Durante il periodo del Pleistocene, quando la Lucania era completamente sommersa dalle acque del Mediterraneo, e della Puglia non v’erano che piccoli arcipelaghi emersi, la balenottera Giuliana doveva nuotare indisturbata in quel suo habitat e tanto si sa sul suo conto visto che dal suo ritrovamento, avvenuto casualmente nell’agosto del 2006 ad opera di un agricoltore, alcuno studio è stato compiuto su di lei. Di Giuliana conosciamo ben poco, il suo fossile, rinvenuto sulle pietrose rive del lago artificiale di San Giuliano, vicino Matera, fu trovato ormai 10 anni or sono, recuperato in 3 apposite campagne tra il 2007 e il 2011 e successivamente deposto in grosse e robuste casse dimenticate al Museo Archeologico Nazionale “Domenico Ridola”.
A tirare fuori questa storia dal dimenticatoio ci ha pensato un documentario a firma di Renato Sartini, giornalista scientifico del Venerdì di Repubblica e film maker, dal titolo: Giallo Ocra. Il mistero del fossile di Matera.
Il ritrovamento di Giuliana è unico al mondo; in concreto della balenottera sono state rinvenute 12 vertebre toraciche, diverse costole, di cui una lunga 3 metri, e la pinna pettorale, rappresentata da scapola, omero, radio, ulna e diverse falangi; del cranio, invece, che è la parte più importante dello scheletro della balena, è stata ritrovata la porzione posteriore, cioè quella parte che includeva il cervello, e una parte del rostro. E proprio il recupero del cranio ha permesso di stimare la lunghezza della balenottera, che doveva superare i 25 metri, misure attualmente raggiunte solo dalla balenottera azzurra e dalla balenottera comune, che vantano il titolo di animali più grandi del pianeta; sorprendentemente, sono state rinvenute anche le bulle timpaniche dell’esemplare, cioè la struttura ossea cava che racchiude parti del sistema uditivo dei mammiferi placentati, elemento fondamentale che ha permesso l’assegnazione dello scheletro al genere balenottera. Questo spiegano nel documentario i paleontologi Giovanni Bianucci, Angelo Varola e Walter Landini, ordinari delle Università di Pisa e del Salento che si sono occupati del cetaceo fin dall’estate della sua scoperta.
Per le sue dimensioni, la balenottera potrebbe racchiudere in sé racconti interessanti, legati alle grandi transizioni climatiche o ai movimenti endogeni del nostro pianeta, che avrebbero portato ad uno sconvolgimento della vita sulla Terra, sia nella struttura degli esseri viventi che in quella delle terre stesse a causa del movimento delle placche.
In termini di ricerca, dunque, le premesse sarebbero promettenti, ma nonostante ciò il restauro, lo studio e la musealizzazione del fossile non sono mai partiti. Le ragioni del ritardo si sono legate ad una più che problematica reperibilità di fondi e, forse, anche nella mancata comprensione dell’importanza del reperto, complice una sensibilità istituzionale tradizionalmente più legata alla conservazione del patrimonio archeologico del luogo: il lascito storico ed artistico della Magna Grecia.
Tuttavia, grazie alla pressione esercitata dall’efficace mossa comunicativa di un documentario dedicato, che si è avvalso dei patrocini (pur non onerosi) delle più importanti istituzioni scientifiche pubbliche e private su scala nazionale, la ricchezza paleontologica eclissata di Matera ha seguito un percorso di divulgazione pubblica davvero importante, dalla presentazione al Festival Futuro Remoto di Napoli, nell’ottobre 2016, ad un’interrogazione parlamentare al Ministro dei Beni, delle Attività culturali e del Turismo, a febbraio di quest’anno e ad aprile è arrivata al Quirinale.
Si spera che con questa movimentazione di animi e di mass media la situazione di Giuliana migliori drasticamente, dall’abbandono alle prime pagine delle riviste di settore e non solo, lì dove dovrebbe stare, studiato ed ammirato, il fossile più grande del mondo.
Rossella Marchese