Non sono chiare le proposte politiche sui finanziamenti alla sanità in Italia.
Nell’attuale campagna elettorale il confronto fra le parti sulla questione sanità in Italia presenta contraddizioni e dichiarazioni contraddittorie che senz’altro disorientano il cittadino, per questo, per fare chiarezza, occorre riflettere partendo dai dati oggettivi pubblicati sul sito del Ministero della salute.
Il Servizio sanitario nazionale, gestito dalle regioni come stabilito dalla Costituzione, è finanziato da tre voci:entrate proprie delle aziende del Servizio sanitario nazionale (in particolare grazie al ticket);fiscalità generale delle Regioni, tramite l’Irap e l’addizionale regionale dell’Irpef; bilancio dello Stato, che finanzia il fabbisogno sanitario attraverso la compartecipazione all’Iva, le accise sui carburanti e il Fondo sanitario nazionale. Nel 14 aprile 2016 l’intesa tra Stato e regioni ha stabilito che le fonti del finanziamento del fabbisogno giungessero per un terzo dai contributi delle regioni (A+B) e per circa il 60 per cento dall’intervento statale, mentre risulta residuale l’intervento delle regioni a statuto speciale. Ma il finanziamento del sistema ha subito numerose modifiche e interventi a partire dal 2014, come descrive la Camera dei deputati e sintetizza il ministero delle Finanze , che attualmente fa rilevare come il finanziamento sia aumentato di circa 7 miliardi e mezzo nel corso di questa legislatura (+6,4 per cento), crescita che inizialmente già prevista di 30 miliardi e che poi è stata ridotta grazie a tagli di circa 22 miliardi in quattro anni. La spesa è dunque cresciuta, ma non di quanto previsto. Infatti, ci sono state numerose ricontrattazioni degli accordi presi tra stato e regioni nel 2014, in occasione della firma delPatto della salute 2014-2016 e poi formalizzati dalla legge di stabilità 2015 (comma 556), quando, già allora si erano gettate le basi per le future riduzioni così come è realmente accaduto a partire dalla successiva intesa stato regioni del 2015 e con le leggi di stabilità 2016,2017 e con il decreto del ministero delle Finanze del 5 giugno 2017, con tagli che superano la quota 20 miliardi, ma che ancora una volta dà un saldo positivo. Affrontando la questione da un altro punto di vista è doveroso osservare come in un mondo in cui sono i numeri a farla da padroni, non le persone, con le loro ansie, le malattie, i dolori, le paure e dove i medici e gli infermieri non sono solo bravi, ma addirittura straordinari e costituiscono eccellenze assolute, quotidianamente mortificate da chi la salute pubblica dovrebbe amministrarla, a livello nazionale al regionale. Una salute guardata solo dal punto di vista della spesa, mai dell’investimento alimenta il paradigma della cattiva sanità. Quella amministrata con criteri che non tengono conto che per gestire la sanità occorre far riferimento costante alla qualità dei professionisti che operano: medici, ricercatori, scienziati, ai quali andrebbe proposta una sanità pubblica capace di riconoscere il proprio ruolo alla luce di quelle “humanities” tanto care alla cultura anglosassone.
Danilo Turco