Da una parte ci sono gli artisti che utilizzano Internet come medium e come soggetto delle proprie opere, e per questo si parla di Net Art; dall’altra parte, gli artisti che mettono in scena le metafore della tecnologia e le trasformazioni emotive, cognitive e culturali che contraddistinguono l’era digitale, sono questi i ricercatori dell’arte Post Internet. Questi ultimi, nati tutti dagli anni Ottanta in poi, si confrontano con la condizione digitale per descrivere gli effetti delle nuove tecnologie e di internet sulla cultura e sulla società contemporanee, mentre i pionieri della Net Art contestano i canali canonici di fruizione dell’arte.
Insomma, due visioni dissonanti, che oscillano tra interpretazione e rifiuto.
Alcuni nomi, per avere una percezione del fatto che si sta discutendo di fenomeni concreti: Ryan Trecartin, artista americano 37enne, immagina nei suoi video un futuro in cui l’intercambiabilità dell’identità online diventerà una realtà, i suoi personaggi cambiano sesso a loro piacimenti ed il loro corpo può essere preso in affitto ed usato come una multiproprietà; Ed Atkins, londinese di 36 anni, per le sue visioni apocalittiche utilizza l’animazione digitale per realizzare corpi fantastici ed iperefficienti, ma deboli e consunti, come se i soggetti si svuotassero delle loro caratteristiche umane per raggiungere la perfezione virtuale ed immateriale. Questi sono solo alcuni, i più noti, del “settore”.
Le ultime tendenze, dalle visioni ottimistiche degli anni Novanta, si sono evolute verso un approccio artistico più critico, che rispecchia il disagio contemporaneo dell’uomo di fronte alla tecnologia sempre più efficiente ed intelligente, con i suoi algoritmi capaci di condizionare le scelte ed i comportamenti, nonché di immagazzinare un numero inconcepibile di dati sensibili.
La terribile constatazione di trovarsi di fronte ad un oceano di dati, troppo vasto per essere compreso, diventa sentimento artistico nelle opere di Camille Hernot, Mark Leckey e Hito Steyerl; basta farsi un giro in rete, o più semplicemente su Youtube, per capire la fama di cui godono. Soprattutto la Steyerl, che oltre ad essere una delle artiste più interessanti è pure un’attenta critica e divulgatrice dei fenomeni di trasformazione della rete con le sue video installazioni che descrivono le relazioni tra individui e forze economiche nel presente globalizzato. E, su tutto questo nuovo che avanza, poco compreso, troneggiano le parole di un altro artista post concettuale digitale, Seth Price, che arriva a sostenere che l’arte pubblica di oggi trova spazio su internet e consiste proprio nel modo in cui gli utenti si scambiano informazioni, quasi a suggerire che l’arte sia soprattutto una questione di dispersione di immagini, interscambiabili e modificabili all’infinito.
Di fronte a questa proliferazione di correnti e di immagini appare opportuno chiedersi, dunque, come distinguere gli artisti tra i miliardi di altri utenti online; quale sarebbe il ruolo dell’artista, quando tutti fanno qualcosa che assomiglia ad arte e che può essere presa per buona.
Siamo di fronte all’ammissione di una sconfitta o all’avverarsi della profezia di un’avanguardia di massa: una società esteta dove, grazie alla tecnologia, tutti saranno artisti, produttori e soprattutto consumatori.
Rossella Marchese