Fuggire dalla miseria, non solo nel Mediterraneo

Ancora racconti di disperazione dal Venezuela. Questa volta sono i Paesi confinanti con Caracas a fare notizia. Su invito dell’Ecuador, infatti, lo scorso settembre si sono riuniti i ministri degli Esteri di 14 Paesi latinoamericani, assieme ai rappresentanti dell’Unhcr, l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati e  dell’Organizzazione mondiale per le migrazioni, in un vertice di emergenza per mettere a punto delle soluzioni politiche condivise nel coordinare un fenomeno che non ha precedenti nella storia del continente sudamericano: la fuga in massa della popolazione venezuelana.

Fuggono con borsoni, abiti indossati uno sull’altro, a volte qualche trolley, in fretta e a piedi, lasciandosi tutto il resto in Venezuela. L’Onu ha stimato che sono circa 2,3 milioni i venezuelani fuggiti dal Paese e dalla miseria imperante; e l’esodo è sempre più impetuoso, basti pensare che egli ultimi 15 mesi in Colombia sono entrati oltre 1 milione di migranti; ogni giorno ne arrivano più di 4mila al confine con l’Equador e poi, dopo un viaggio di settimane a piedi o in autostop (perché i soldi per gli autobus non ci sono) fino in Perù, dove si è arrivati ad un numero complessivo di presenze che supera il mezzo milione.

Il Venezuela, che un tempo attirava con le sue ricchezze minerarie è diventata la terra da cui fuggire, tanto che Joel Millman, rappresentante dell’Organizzazione mondiale per le migrazioni, ha equiparato questa crisi migratoria a quella del Mediterraneo. Entrambe di difficile soluzione.

Tuttavia solo con la cooperazione dei Paesi limitrofi, in Venezuela come nel Mediterraneo, si può sperare di giungere ad una risoluzione della situazione.

Eppure, anche i valichi del Sudamerica si chiudono. Il Brasile schiera l’esercito nello stato di Roraima, l’Equador vuole respingere chi si presenta alle sue frontiere con la sola carta di identità, così anche il Perù. Ma per i venezuelani il passaporto è diventato una chimera, per ottenerlo ci vogliono mesi e circa 200 dollari, cifra ormai insostenibile per larga parte degli esuli che arrivano a piedi, dopo aver marciato per migliaia di kilometri.

Sul ponte Simòn Bolìvar , porta d’ingresso alla Colombia, si registrano oltre 100mila passaggi al giorno, quasi tutti in uscita dallo Stato-caserma di Maduro. La maggioranza si ferma, altri proseguono il viaggio verso gli altipiani andini; le mete più ambite sono il Perù, con la sua economia in piena espansione, l’Argentina e il Cile.

Nei paesini di frontiera tra Colombia e Venezuela, ormai assediati dai migranti, si vedono incollate ai muri le banconote bolivares, che ormai non valgono più nulla, accompagnate a scritte offensive contro Maduro, principale responsabile dell’agonia in cui versa il Paese da ormai 5 anni.

Rossella Marchese

 

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