“E tuttavia non posso dimenticare che Napoli è una città generosa. Se per solida consapevolezza o per qualche fragilità identitaria resta da capire, benché personalmente ritenga più credibile la seconda ipotesi.”
Più che una dichiarazione d’amore l’analisi di Paolo Macry, racchiusa nel prologo al suo ultimo saggio, “Napoli. Nostalgia di domani” (Il Mulino editore), consegna al lettore un compendio illuminante su un pianeta complesso e plurimillenario in perenne fermento.
Storico, docente universitario presso gli atenei di Salerno e Napoli (Istituto Universitario Orientale e Federico II), direttore del Centro studi per la storia comparata delle società rurali in età contemporanea, Macry ha contribuito in modo puntuale non solo sul versante accademico nell’esplorare gli aspetti più complessi attinenti la storia del Mezzogiorno italiano.
Questo lavoro di sintesi disegna un quadro esauriente di oltre duemilacinquecento anni di storia napoletana. L’indagine svolta riesce con una prosa efficace a coniugare storia, cultura, stati d’animo d’intellettuali spesso contrastanti, smanie popolari apparentemente disimpegnate da una identità civica. Un dedalo di luoghi, conflitti spesso drammatici e intrisi di sangue e orrore che fanno il paio con altrettanti avvicendamenti di potere politico, straniero e dominante.
La “nostalgia di domani”, sottotitolo in copertina, non evoca un libro esclusiva dei napoletani in senso stretto. Il saggio illumina con dovizia storica un itinerario puntato “in uno di quei luoghi che ciascuno crede di conoscere anche se non li ha mai visti”. Proprio in questo principio cristallizzato da secoli di stereotipi o pregiudizi sulla capitale del Mezzogiorno, l’autore incide passaggi decisivi riportando alla luce notizie e vicende che tessono una tela composita, complessa che non riduce alcuna conclusione definitiva circa le prospettive future di un domani, intravisto oggi solo con nostalgia. In questa visione il saggio investe prospettive che coinvolgono la storia italiana nel suo insieme costruendo collegamenti antropologici utili a comprendere l’alternarsi delle fasi storiche politiche sino alla definizione di questa stagione contemporanea che risulta, dopo questa lettura, meno casuale e più comprensibile.
Lo sfondo storico è reso nitido nella narrazione dove s’innestano i comportamenti del popolo che, in una vulgata diffusa, sono stati quasi sempre percepiti come soccombenti e passivi rispetto al “sovrano di turno”.
Una cultura adeguatamente espressa dall’autore in quei “processi di gentifricazione”, protagonisti non secondari e riconoscibili in costumi antichi come il tufo delle vecchie mura cittadine. Uno stigma congenito il gioco del lotto, forte di un milione di giocate medie a fine Settecento con una popolazione di trecentocinquantamila abitanti.
L’itinerario storico attraversa le dinastie alternatesi passando per gli Angioini, i Borboni, sino alla nostra era contemporanea, avvalendosi anche di alcune affascinanti riproduzioni grafiche di archivio.
Dalla rivoluzione del 1799 sino ai moti del 1860 e alle Quattro giornate del Quarantatrè,
passando per l’accoglienza festosa riservata alle camicie rosse del Generale Garibaldi.
Il tema del popolo suddito è declinato anche nel rapporto coni vari “sovrani repubblicani” che si alternano alla poltrona municipale di Palazzo San Giacomo.
L’iperbole monarchica, per certi versi irripetibile, del “Laurismo”, segna uno spartiacque nella crescita volumetrica e urbana della città, segnata dal dirigismo politico dell’armatore caudillo Achille Lauro. I profili dei sindaci successori, da Antonio Bassolino sino all’attuale Luigi De Magistris, risaltano lo sfondo di un consenso popolare apparentemente defilato e succube del governante di turno. Rispetto all’altra questione dirimente, il ruolo e i contributi della classe intellettuale, da Benedetto Croce sino a Roberto Saviano passando per Matilde Serao, Annamaria Ortese o Curzio Malaparte, il giudizio di Macry rimane neutro rispetto a posizioni diverse espresse nei confronti degli stessi autori, troppo spesso derubricati come denigratori o peggio. Il “negazionismo identitario” è compensato in una napoletanità coinvolgente che accomuna ogni residente di qualsiasi origine nella città del golfo reale. Una cittadinanza che non è una confezione di superficie ma un paradigma che riunisce in una sorta di consapevolezza quotidiana l’intera comunità.
Una lettura illuminata della critica risulta quella di Piero Craveri pubblicata sulla Domenica del Sole 24 Ore dello scorso trenta dicembre.
Lo stesso ci ricorda la prima presentazione del libro a Napoli in programma nella mattinata del 5 gennaio alla Sala Assoli in vico Lungo Teatro Nuovo.
Con l’autore dialogherà Franco Moscato alla presenza del giornalista Rai Ettore De Lorenzo. Buona lettura.
Luigi Coppola