La sua è un’autobiografia, un racconto retrospettivo della sua pur giovane esistenza, che mette in forte risalto la sua vita individuale ed aspetti salienti della sua crescita. La “fame” appare essere un elemento rilevante, considerando che è presente sin dal titolo: termine che può essere riferito letteralmente al bisogno di cibo ma può anche essere applicato metaforicamente a desideri di altra natura. Ci spiega l’accezione in cui l’adopera?
Come ha correttamente notato, il termine “Fame” è utilizzato nel reale significato del bisogno di cibo ma anche, simbolicamente, per dare l’idea, in primo luogo, di una fame di libertà e di una vita migliore, ed in secondo luogo, con riferimento ad oggi, fame di imparare sempre di più, di viaggiare, di scoprire il futuro giorno dopo giorno con intensità.
Lei ripercorre i giorni di una fanciullezza angosciante, dolorosa, oppressiva, asfittica. Quali sono le ragioni più intime che l’hanno indotta a rievocare un periodo tanto cupo?
Le ragioni per cui ho ripercorso un periodo cupo ma anche un periodo piuttosto positivo, diciamocelo, della mia infanzia/adolescenza è stata proprio la voglia di raccontare la storia al mondo per mettere a conoscenza le persone di realtà a loro sconosciute o poco raccontate. Per quanto l’idea di scriverne un libro girasse nella mia testa da molto tempo, ciò che mi ha dato l’input è stata proprio la mia gravidanza. Il diventare madre, capire cosa provi e cosa superi una donna per avere un figlio, mi ha fatto pensare moltissimo a mia madre. Ho voluto mettere nero su bianco il suo ricordo perché se non fosse stato per lei, nonostante le difficoltà, nonostante la tempesta, io non sarei qui a stringere mia figlia tra le braccia.
La storia è ambientata nella Russia post-sovietica, facendo intravedere la traccia della linea della transizione dalla caduta del comunismo a Putin. Può offrirci qualche dettaglio degno di curiosità?
Non torno in Russia da molto tempo, per cui, non riesco a rendermi effettivamente conto dei cambiamenti che ha subito il paese negli anni. Nel mio racconto, però, faccio notare come la Russia di allora e, molto probabilmente, anche l’attuale Federazione Russa, portino negli anni, gli effetti, i pensieri, i modi, le decisioni dell’epoca sovietica. Un esempio lampante potrebbe essere l’utilizzo del colore rosso in molti ambiti.
Lei è un’orfana, le è mancata la protezione ed il “nutrimento” dei suoi genitori; ha vissuto l’esperienza di attendere d’esser scelta per l’adozione. Quali emozioni ricorda e sente di voler condividere rispetto a quei momenti?
Le emozioni che sicuramente sono prevalse in quel momento erano la paura che qualcosa andasse storto nel processo adottivo che avevano intrapreso i miei attuali genitori (poiché il processo adottivo in Russia è davvero complicato) e la gioia di essere libera. Mi riferisco a una libertà non solo fisica ma liberta dall’imposizione delle rigide regole di convivenza all’interno dell’orfanotrofio. Direi, quindi, più una libertà mentale dalle imposizioni, forse necessarie, ma comunque troppo premature per un bambino.
Quali sono stati gli ostacoli, le difficoltà, gli inconvenienti che ha dovuto affrontare durante l’adozione e quali riverberi hanno tutt’oggi?
Questa domanda andrebbe decisamente fatta ai miei genitori. Le mie difficoltà erano solo i pensieri e l’interminabile attesa. La mia famiglia invece ha superato non pochi ostacoli per regalarmi una vita migliore.
Giusy Capone