Tossicodipendenza: Cocaina, Shaboo e sindrome di astinenza neonatale

 “Poteva dirmelo chiunque che la droga distrugge e che mi stavo rovinando la vita, ma non potevo farne a meno perché era l’unico modo che avevo per sopravvivere, paradossalmente. Io stavo bene solo quando ne assumevo una grande dose, mi sentivo invincibile. La Cocaina e la Shaboo mi davano una carica fortissima per affrontare la vita“

Ogni tipo di droga è nociva per il proprio organismo, ma ce ne sono alcune in grado di far diventare una persona davvero irriconoscibile: la Shaboo.

La Shaboo è una droga sintetica il cui utilizzo costante può portare a gravi conseguenze psichiche: perdita di sonno, perdita di capelli e denti, perdita di appetito, e in alcuni casi potrebbe causare la deformazione del viso, o peggio ancora potrebbe portare alla morte. Mentre gli effetti psichici della cocaina sul sistema nervoso centrale possono variare di gravità a seconda della dose assunta e della frequenza d’uso: euforia, anoressia ed insonnia; disforia, caratterizzato da tristezza, malinconia, apatia, difficoltà di attenzione e di concentrazione; paranoia, allucinazioni; psicosi, comportamento stereotipato, perdita di controllo degli impulsi, disorientamento.

Ma quali sono i motivi per cui una persona arriva ad assumere sostanze mortali?

Le difficoltà della vita sono infinite e a volte possono dimostrarsi insormontabili. Potrebbe sembrare più facile, quindi, affrontare i problemi reali rifugiandosi in altro. Scappare dalla realtà o, semplicemente, fingere di far fronte alle difficoltà in modo inconsapevole attraverso il consumo di sostanze tossiche. Esistono storie di vita davvero incredibili. Vicende, racconti di persone che, quando non lo si vive in prima persona o attraverso l’affetto di un caro, nemmeno si immagina potessero esistere realtà del genere. Un drogato viene considerato folle, squilibrato, da evitare, da abbandonare a se stesso, ma alle volte basterebbe capire che chi arriva a farsi del male al punto di rovinarsi la vita, forse è proprio colui che va compreso e aiutato più di chiunque altro al mondo. D’altronde, basterebbe solo ascoltare la loro storia per potersi immedesimare anche per un attimo nelle loro vite, per andare a fondo senza fermarsi alle apparenze.

Ma perché rovinarsi la vita così, invece di affrontare i problemi?

Questo è il quesito che ogni persona pone quando vede qualcuno assumere queste sostanze. È anche vero che tutti hanno una storia da raccontare, tutti hanno, chi più chi meno, affrontato delle difficoltà durante il percorso della propria vita, ma ciò che si vive e come lo si affronta è una questione prettamente personale, dipesa non solo dal proprio vissuto, dalle proprie esperienze, ma anche dal proprio carattere e dalla propria indole. Fare abuso di queste sostanze può portare ad avere poca lucidità mentale, non solo, si ci può facilmente ritrovare ad avere grandi difficoltà ad interromperne l’assunzione anche quando si è in dolce attesa. La maggior parte dei bambini che nascono da madri tossicodipendenti potrebbero avere la sindrome di astinenza neonatale.

La sindrome di astinenza neonatale è un insieme di sintomi che il neonato avverte dopo la nascita a causa dell’interruzione dell’assunzione di sostanze stupefacenti da parte della madre. Ogni sostanza, attraverso la placenta, passa dal torrente circolatorio materno al feto. I sintomi dell’astinenza da droga da parte del neonato, portano il suo sistema nervoso ad uno stato di ipereccitazione. I sintomi più gravi si manifestano durante l’assunzione di queste sostanze da parte della madre. I bambini nati da madri tossicodipendenti possono avere diverse problematiche:

contrarre infezioni HIV; ritardo di crescita intrauterina; convulsioni; malformazioni congenite; nascita pretermine; difficoltà nell’alimentazione;

alterazioni del sonno; respirazione accelerata; tremori e irritabilità.

Purtroppo, quando il corpo e il cervello sono oramai distrutti e manipolati da queste sostanze tossiche, non si ha la capacità di comprendere che non si sta mettendo a rischio solo la propria vita, ma anche quella degli altri, soprattutto per le donne che sono in dolce attesa poiché rischiano di mettere al mondo una persona infelice, viste le varie problematiche fisiche e psichiche che potrebbe avere il bambino. Inoltre, è chiaro che diventa facile assumere atteggiamenti violenti e aggressivi e perdere il controllo di sé. Non è semplice, per chi lo vive, venir fuori da questo inferno, soprattutto quando si è agli inizi del periodo di interruzione di assunzione di queste sostanze, perché lo stato di astinenza può essere vissuto davvero come un incubo. È difficile risalire dopo che si ha toccato il fondo ma quando si decide di essere aiutati si ha già fatto un passo verso la guarigione.

Claudio, quando hai iniziato ad assumere sostanze stupefacenti?

Quando si è molto giovani, e non solo, soprattutto quando si è da sempre poco seguiti dai propri genitori, si intraprendono facilmente strade sbagliate e pericolose. Avevo quindici anni, un po’ per gioco, un po’ per farmi accettare dai miei coetanei, iniziai a fare uso di cocaina, inizialmente. Fino ad assumere altre sostanze pensanti come la Shaboo. Mi sentivo un drago, ma ben presto smisi di studiare. Quando i miei genitori se ne sono accorti mi hanno portato prima in terapia da uno psicanalista e poi in comunità, dove ci sono restato per ben tre anni. Avevo smesso, avevo ritrovato la voglia di vivere essendo me stesso senza il bisogno di dover assumere alcun tipo di sostanza per affrontare le difficoltà della vita. Una volta tornato a casa, dopo tre lunghi anni trascorsi in comunità, non passò molto tempo prima che tornassi di nuovo a fare uso di cocaina e di Shaboo. La mia situazione familiare diventava sempre meno sopportabile perché i miei litigavano in continuazione, hanno da sempre discusso per quel che ricordi e di conseguenza, a me e ai miei fratelli, ci hanno sempre dato poche attenzioni. Per qualche mese ripresi ad andare a scuola, evitavo le compagnie sbagliate e tutto sembrava andare nel verso giusto. I miei genitori decisero finalmente di separarsi e da li a poco mia madre decise di distruggere ulteriormente il nostro nucleo familiare invitando a vivere con noi il suo nuovo fidanzato. Giorgio è un uomo distinto, una persona per bene e da stimare, ma io mi sentivo ancora una volta, e ancora più di prima, messo da parte nella vita di mia madre. Partiva spesso con lui e mi lasciava solo con mia sorella di undici anni e mio fratello di 9. Uscivo da poco da una situazione difficile e per me reggere ancora quella stabilità da solo, mettermi sulla retta via e restarci, era troppo difficile. Avevo solo diciotto anni e avevo ancora, allora più che mai, bisogno di qualcuno che si prendesse cura di me. Anche di chi mi dicesse ogni giorno cosa dovevo o non dovevo fare, cosa era giusto che io facessi e come avrei potuto continuare a vivere senza drogarmi. Non ce la feci, ancora una volta caddi in tentazione. Mi sentivo solo e abbandonato e allora lasciai i miei fratelli a casa per incontrare le mie vecchie amicizie, quelle con cui facevo uso di cocaina. Ma io ne avevo bisogno. Sentivo la necessità di stare con chi come me aveva bisogno di compagnia, e la droga per noi era l’unico modo per scappare dalla realtà. Passò poco tempo, forse tre o quattro mesi, prima che il compagno di mia madre se ne accorgesse. Lei non se ne sarebbe mai accorta. Mi portarono di nuovo in comunità. Io non avevo bisogno di stare in quello stupido edificio a farmi inculcare nella mente che mi stavo distruggendo la vita, avevo solo bisogno della mia famiglia. Ero troppo e stupidamente orgoglioso per dirlo.

Sei riuscito a smettere quando sei tornato in comunità?

Avevo smesso. Ci ero riuscito. Ma non è passato molto tempo prima che io ne facessi ancora uso. Ancora, una terza volta. Allora mi ci hanno lasciato altri due lunghi anni in quella comunità. Smisi di studiare definitivamente. Sono praticamente cresciuto lì dentro con tante altre persone con il mio stesso problema. Ho conosciuto poi una ragazza che stava facendo il mio stesso percorso, lei aveva iniziato ad assumere la prima dose di anfetamina all’età di 13 anni. Gliel’avevano fatto provare le sue compagne di danza, quelle più grandi, naturalmente. Quelle con la quale si incrociava nello spogliatoio tre volte la settimana – mi raccontava – io e Giada ci siamo conosciuti in quel centro di recupero per tossicodipendenti e ora siamo felicemente sposati. Inizialmente eravamo felici e non sentivamo più il bisogno di assumere stupefacenti, poi abbiamo trascorso un periodo difficile,  non so cosa sia successo ma improvvisamente ci siamo ritrovati ancora una volta schiavi di quella roba. La cocaina ci faceva sentire insuperabili. Ne abbiamo fatto uso per parecchio tempo, poi Giada ha scoperto di aspettare nostro figlio. Il dottore diceva che se Giada non avesse smesso di assumere queste sostanze il bambino avrebbe potuto avere la sindrome di astinenza neonatale una volta venuto al mondo. In quel momento non sapevamo come comportarci anche perché entrambi non avevamo una famiglia accanto, allora ci siamo completamente affidati nelle mani del nostro dottore. Giada era già al quarto mese di gravidanza quando ha finalmente avuto la forza di chiudere con la cocaina ma era ormai troppo tardi. Daniel aveva già assunto troppe volte quella sostanza. Una volta nato nostro figlio, ha dovuto trascorrere diversi mesi in ospedale poiché esiste una cura specifica per questi neonati da intraprendere subito dopo la nascita. Il neonato viene posto in incubatrice, inizialmente, per il controllo della temperatura. Dopodiché, almeno per le prime sei ore di vita vanno controllati i parametri vitali. Poi, naturalmente, l’hanno seguito 24 su 24 in tutto e per tutto, stando attenti alla sua alimentazione. Ma per fortuna, per chi fa uso di sostanze come la cocaina o anfetamine, il bambino non deve essere sottoposto a nessuna terapia farmacologica. I medici hanno poi, prima delle dimissioni di Daniel, sottoposto me e Giada a varie test psicologici per assicurarsi che fossimo finalmente disintossicati e coscienti del fatto che dal quel momento in poi la nostra vita sarebbe cambiata totalmente e che avremmo avuto maggiori responsabilità. Io credo che Daniel sia stato un regalo dal cielo. Avevamo bisogno di dare e avere maggiore affetto, per tutto quello che i nostri genitori ci hanno fatto mancare. Nostro figlio è stato la nostra salvezza. Credo anche che l’amore di un genitore verso il proprio figlio vada oltre ogni cosa, prima di ogni cosa, soprattutto. Almeno questo è quanto sente il mio cuore. Per questo motivo per me il comportamento dei miei genitori è ingiustificabile. Oggi Daniel ha quasi 4 anni e non abbiamo mai smesso di andare in terapia dallo psicologo. Anche sotto consiglio del medico che ha salvato la vita di nostro figlio.

Quanto è stato difficile per te non assumere più alcuna sostanza da quando aspettavate Daniel ?

Inizialmente è stato un incubo. Volevo scappare, volevo la droga. Anche per Giada è stato così, ne avevamo bisogno altrimenti ci saremmo sentiti soffocare. Ogni volta che andavamo a dormire per noi si trasformava in una vera e propria tragedia: sudore, attacchi di panico, convulsioni. Ma l’amore verso Daniel ci ha fatto superare ogni cosa, perché al solo pensiero che avremmo potuto rovinare la vita nostro figlio, mi sentivo stringere la gola e sentivo un dolore al cuore. Ci siamo rovinati abbastanza e ora è il momento di affrontare la vita in un altro modo e poi nostro figlio ci dà la carica giusta. Ho capito che la vita, quando stai per crollare, ti da sempre un’altra opportunità per potercela fare, e, soprattutto, ti fa capire che c’è sempre un motivo per cui valga la pena essere vissuta. Vissuta a pieno, perché è imprevedibile perché quando meno te l’aspetti ci sarà qualcosa che te la rivoluzionerà completamente. Inevitabilmente, ci saranno ancora situazioni difficili da affrontare, ma ho capito che dopo si viene sempre ripagati con qualcosa di bello. Perché dopo la pioggia c’è sempre l’arcobaleno. Anche se alcune ferite me le porterò dietro per tutta la vita, ho capito che bisogna solo abituarsi a conviverci, vedere le cose da un altro punto di vista e prendere magari anche il buono da ciò che accade, cosi da attutire i colpi qualora dovesse accadere qualcosa che fa soffrire. La mia situazione familiare è un po’ cambiata da quando ho avuto Daniel, mia madre è innamorata di suo nipote e questo, forse, potrebbe anche celare ai miei occhi i suoi sbagli. Potrebbe far sbiadire pian piano i brutti ricordi che ho della sua assenza nella mia vita. Una delle cose di cui vado fiero di me è che ho imparato a perdonare. Sento che col tempo le cose andranno sempre meglio. Adesso sono felice, davvero. L’unica cosa che mi fa rende triste, è che nel quartiere in cui vivo sono considerato sempre un tossico. Purtroppo la cattiveria e l’ignoranza riempie la bocca degli stolti. Credo di andar via, di portare la mia famiglia lontano da questo posto in cui quando qualcuno ti vede a terra, fanno un ulteriore gesto per calpestarti definitivamente.

Dove vorresti portare la tua famiglia?

Ci sono delle storie davvero incredibili, che ti tolgono il fiato, che ti fanno rimanere li a pensare per ore e ore che tutto sommato la tua vita non è poi così tanto male se ogni volta riesci a trovare la via d’uscita e ci sono, inoltre, racconti di persone che possono essere grandi insegnamenti di vita, ed è questo che dovrebbero imparare certe persone, ma chi non l’ha vissuto, chi ha vissuto in ambienti sereni, non ha la minima idea di cosa possa passare certa gente e non prova nemmeno a comprendere. Allora io credo che le persone debbano smettere di parlare a vanvera, dovrebbero imparare a giudicare prima la loro vita e soprattutto iniziare ad avere un po’ più di sensibilità e mettersi nei panni degli altri.

Per questo motivo voglio andar via, non so se andremo al Nord Italia o all’estero. Magari in Olanda, o in qualsiasi altro posto dove la mentalità delle persone è aperta, e dove ognuno si fa i cavoli propri e dove ci daranno la possibilità di vivere sereni senza ripensare al passato. Il passato per me sarà solo da insegnamento per condurre una vita completamente diversa e per sapere con determinazione cosa voglio e non voglio, cosa è giusto o meno. Perché non è solo importante trovare chi ti aiuta, ma è ancora più importante – nonché fondamentale – trovare chi non ti giudica e non ti maltratta. Ho anche imparato che quando sei fragile è più facile farsi schiacciare dal prossimo, e che alcune persone sanno essere davvero perfide perché godono dell’infelicità altrui. Un consiglio che mi sento di dare a chi non riesce a smettere di assumere queste sostanze è quella di farsi aiutare, perché da soli non è facile uscirne. Quando chiediamo aiuto abbiamo già fatto un grande passo verso la guarigione. Invece, per chi come me è da poco uscito da questo incubo, il mio consiglio è quello di vivere la vita a pieno senza dare importanza al giudizio altrui. Perché a volte le parole crudeli delle persone, quando si è ancora fragili, possono ancora una volta riuscire a distruggerci. Non bisogna permetterlo, perché la vita potrebbe sempre stupirvi, perché potrebbe essere per voi, come lo è stato per me, una scoperta meravigliosa.

Alessandra Federico

 

Paura dell’abbandono: ossessione e bisogno di affetto

 Volevo che mi amasse perché mio padre non l’ha mai fatto. Ero ossessionata dal pensiero di perderlo e sapevo che il mio comportamento assillante l’avrebbe fatto allontanare, ma non riuscivo a fermarmi”.

Quando un amore ci porta a vivere uno stato di ossessione non possiamo considerarlo tale. Piuttosto, potrebbe trattarsi di mancanza d’affetto che alle volte ci portiamo dentro sin dalla tenera età, un vuoto che, una volta diventati adulti, pretendiamo di colmarlo con l’amore del proprio partner.

È facile confondere il bisogno di riempire un vuoto d’affetto con il vero amore,  quando si è cresciuti senza l’amore di un genitore, soprattutto da bambine da parte di un padre. È fondamentale, quindi, andare con cautela in queste circostanze in modo tale da essere in grado di capire quando si tratta di sentimenti veri che nutriamo nei confronti di chi abbiamo accanto, o se vogliamo la loro presenza nella nostra vita per non sentirci soli e abbandonati.

A volte è necessario fermarsi, guardarsi dentro, porsi delle domande e impegnarsi nel trovare anche delle risposte.

Un’accurata conoscenza di sé stessi potrebbe essere una buona tecnica per riconoscere i propri sentimenti e poter capire cosa si cerca e di cosa si ha bisogno per vivere una vita felice. Sarà amore solo quando realizzi che nessuno potrà mai colmare quella mancanza se non amando te stesso.

L’importanza di amare se stessi

Amare sé stessi è fondamentale per acquisire maggiore sicurezza e di conseguenza conoscere sé stessi a fondo per poter capire di cosa si ha bisogno, cosa si merita e di cosa si può fare a meno.

Amare sé stessi è il primo percorso che ognuno di noi dovrebbe fare, prima di ogni altra cosa. È il mezzo più potente che si ha a disposizione per andare avanti nella vita, per non curarsi del giudizio altrui e per  assumere comportamenti diversi da quelli che solitamente ci hanno portato a sbagliare, si assumono, inoltre, approcci differenti nei confronti del prossimo, di sé e della vita. Dunque, avere una forte sicurezza di sé è di vitale importanza per poter condurre una vita serena. L’insicurezza, invece, ci porta a vivere una stato di ansia, di frustrazione perché quando si nasce e cresce con mancanze d’affetto, si è, di conseguenza, continuamente insoddisfatti ed è proprio questo che porta poi alla frustrazione, alla rabbia, all’angoscia. Quest’ultimi, sono sentimenti negativi che possono col tempo portare alla vera infelicità. Per questo motivo è importante soffermarsi sui propri sentimenti e fare una profonda conoscenza di sé, mettendo in tavola tutte le carte della propria vita ed esaminarle una per una accuratamente. Entrare nel proprio cuore e cercare di percepire ogni suo segnale, cosa proviamo e perché lo proviamo. Prendersi cura di sé e volersi bene permette di trovare la propria identità e le proprie potenzialità. Ripetersi frasi positive continuamente, al fine di sentirla completamente nostra, potrebbe essere uno dei metodi efficaci per acquisire maggiore sicurezza di sé,  perché qualsiasi parola ripetiamo con costanza influenza la nostra mente in continuazione, ed è quindi  importante parlare a sé stessi con frasi che trasmettono apprezzamento di sé, entusiasmo, gioia, incoraggiamento, verso tutto ci che si vuole realizzare: lavoro, una relazione d’amore, relazioni di amicizia e familiari e tanto altro.

 “Aspettavo che la mia vita iniziasse. Vivevo con un buco nell’anima. Attendevo l’arrivo di qualcosa o di qualcuno che avrebbe finalmente colmato quella sensazione di solitudine che mi porto dentro da sempre. Solo col passare degli anni ho capito che posso colmarlo con l’amore verso me stessa, e che devo superare la paura dell’abbandono”.

Lorena, ventiquattro anni, napoletana, racconta la sua esperienza e come ha superato queste paure.

Lorena, quando hai scoperto di avere queste paure?

Mi porto dietro questo problema, se così si può chiamare, sin dai tempi dei miei primi fidanzati, dall’età di quindici anni, quando tutto dovrebbe essere rose e fiori, quando tutto dovrebbe essere una novità, io l’ho sempre vissuta come una cosa già vissuta. Mi spiego: come se dentro di me già sapessi come sarebbero andate le cose, come se in qualche modo io avessi già avuto una rottura, una delusione da parte di un uomo. Ad oggi, riconosco il motivo e sto cercando di superarlo anche se mi rendo conto che faccio molta fatica perché una volta scoperta la causa, ci vuole altro tempo per elaborarla e per far si che rimanga solo un ricordo assopito. Non ho mai avuto fiducia, ho sempre fatto pensieri strani e contorti e alla fine mi sono sempre ritrovata da sola. Commetto sempre lo stesso errore: inizialmente sono serena, ma col tempo inizio a diventare ossessiva e a controllarlo e a fare pensieri negativi per qualsiasi cosa. Può sembrare una cosa banale e forse è una cosa che accomuna molte persone ma per me è davvero una sofferenza.

Sei a conoscenza del motivo per cui hai queste paure?

Durante i miei primi anni di vita, mio padre è stato molto presente: mi portava in giro, sulle giostre, al mare, sulla neve, mi regalava le videocassette dei cartoni animati Disney. Cenerentola l’avrò visto almeno un centinaio di volte insieme lui. Avevo 4 anni quando i miei genitori iniziarono a litigare. Non capivo perché, non capivo nulla di tutto ciò che stava accadendo. Nel corso degli anni vedevo mio padre sempre meno, era meno presente a casa, addirittura mancava a pranzo o a cena. Solo diversi anni dopo e quando ormai ero già grande, hanno avuto il coraggio di dirmi che in realtà erano da tempo separati in casa. Adesso ognuno prosegue per la propria strada, entrambi hanno la propria vita. Ora siamo una famiglia allargata, un po’ come quelle delle fiction italiane. Io e i miei fratelli viviamo con nostra madre, il suo compagno e i suoi figli. Mio padre lo vedo poco, continua a non essere presente. Non so se la causa di tutto ciò sia dovuta solo all’abbandono da parte di mio padre, fatto sta che tutt’ora lo vivo come se mi avesse lasciato. Non sa niente di me eppure sono sua figlia, a stento ci salutiamo e scambiamo due chiacchiere quando quella volta al mese trascorriamo un pomeriggio assieme anche con i miei fratelli. L’unica cosa che mi fa provare meno rabbia nei sui confronti è pensare che anche lui, a sua volta, ha vissuto la mancanza del padre e che quindi non ha saputo svolgere il suo ruolo con me e con i miei fratelli. A suo modo manifesta l’affetto che nutre per noi, con soldi, maggiormente. Ma purtroppo le cose materiali non colmano i vuoti d’affetto. Questi sono i motivi per cui le mie relazioni d’amore vanno sempre a finire male. Forse pretendevo troppo da parte dei miei ragazzi. Volevo che colmassero la mancanza di mio padre.

Qual è stato il motivo per cui il tuo ragazzo si è allontanato da te? Ero molto gelosa. Troppo. Ogni donna per me era una sfida, un ostacolo. È anche divertente se adesso mi soffermo a pensarci perché ogni settimana la mia fissazione ricadeva su una ragazza diversa. Ma so bene che una relazione non funziona così. Con il ragazzo che frequento adesso sto cercando di avere un comportamento diverso e se devo essere sincera le cose stanno andando anche abbastanza bene. Ma è ancora l’inizio. D’altronde, le esperienze ci lasciano sempre un segno, ci danno sempre un insegnamento, anche se, ad essere sincera, ci ho impiegato diversi anni per imparare dai miei errori e non so nemmeno se effettivamente ho imparato davvero. Forse perché quest’ultima delusione da parte del ragazzo precedente mi ha segnato molto. Credo anche che io sia una di quelle persone che non riescono a stare sole, ho paura dell’abbandono e ogni volta che finisce una storia con un ragazzo, poco dopo ne sto già frequentando un altro. Con Vittorio, il ragazzo che frequento adesso, sto cercando di prendere le cose molto alla leggera perche devo capire tante cose di me, innanzitutto. E capire se è lui che voglio o voglio solo essere protetta da un uomo perché mio padre non c’è mai stato.

Come pensi di risolvere questo tuo problema?

Non lo so. So solo che ancora una volta ho fallito. Per me è una sconfitta, per me ho perso. Perché credevo che almeno questa volta sarei riuscita a sconfiggere questa paura, perché in fondo si tratta di questo: la paura di non avere quella persona tutta per sé, è la paura di un abbandono che ti porta ad essere così oppressiva e sinceramente non so nemmeno se si tratti di amore, a questo punto. Adesso credo che io debba pensare a me stessa e a risolvere questo mio problema se non voglio portarmelo dietro per tutta la vita. Anche avendo accanto Vittorio, in modo da poter capire davvero cosa sento. A volte c’è bisogno di una grande scossa per capire certe cose, c’è bisogno di toccare il fondo per risalire ed io credo di essere precipitata abbastanza. È come se io facessi di tutto per mettere alla prova la persona che ho accanto, come se nella mia testa pensassi che lui debba essere torturato per vedere fin quando è capace di restarmi accanto. Ma non è cosi che dovrebbero andare le relazioni d’amore. Sono stanca di soffrire, voglio essere felice. Credo di meritarlo.

Hai mai permesso a qualcuno di aiutarti a farti superare questa tua paura?

A volte ne parlo con amici o amiche ma non è facile farsi comprendere, spesso ti giudicano o ti danno consigli banali giusto per dire qualcosa. Non è facile trovare persone sensibili e soprattutto empatiche. Ecco, empatia è la parola che più amo al mondo. Mettersi nei panni degli altri è la cosa che mi riesce meglio, è la cosa che cerco nelle persone e forse anche per questo motivo faccio fatica ad avere relazioni durature, che si tratti di amicizia o di amore. Credo che le persone empatiche siano coloro che hanno maggiore sensibilità e profondità d’animo. In realtà sono anche andata diversi anni in terapia da un analista. Credevo di aver risolto, ma credo che se la cosa non parta da me poco risolve anche uno psicanalista con 40 anni di esperienza. Ho trascorso anni a parlare di questo mio problema e ogni volta che credevo ne stessi uscendo, tornavo punto e a capo. Anche se a dirla tutta, quest’ultima rottura mi ha insegnato tanto, e mi ha fatto guardare lontano dove il mio sguardo non era mai arrivato prima d’ora: devo amarmi, devo conoscermi e devo sapere cosa mi rende felice, sopra ogni cosa. Ora penso sia arrivato davvero il momento di superare questa paura se voglio essere felice. Ed io ora voglio esserlo. Forse mai come prima sto riuscendo a riempire il mio cuore. Credo anche che tutto questo io l’abbia fatto di proposito, inconsciamente. Avevo paura di vivere un amore così grande.

Alessandra Federico

 

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