Il pret à porter nacque dopo la fine della seconda guerra mondiale. Ed è proprio con la fine della guerra che si aprì un nuovo capitolo nel modo di vestire dell’intera Europa occidentale. Tradizioni vecchie di decenni o secoli furono spazzate via per essere rapidamente sostituite con un modo di vivere che aspirava a una più democratica società dei consumi: produzioni artigianali, manifatture e industrie distrutte dalla guerra o antiquate imboccarono la strada della modernità adeguandosi il più possibile ai metodi che l’America aveva messo a punto nei decenni più recenti completando così il proprio processo d’industrializzazione. Anche la moda risentì di questo clima, portando un sistema di produzione che era stato inventato in Europa più di un secolo prima, ma che aveva avuto il suo vero sviluppo negli Stati Uniti: la confezione industriale.
Gli imprenditori europei iniziarono a visitare le aziende americane. L’industria europea scoprì il vero e proprio sistema moda: ready to wear, progettato da designer che nulla avevano da invidiare ai couturier parigini e articolato in una gamma di offerte ricca e di qualità. A partire dalla fine degli anni quaranta la società europea cominciò ad adottare il modello di consumo che arrivava d’oltreoceano. Il modo di vestire e di concepire il proprio aspetto esteriore ebbe un grande peso in questa trasformazione, poiché l’adozione di un abbigliamento informale e, almeno teoricamente, alla portata di tutti esprimeva la messa in crisi a livello individuale sia dei tradizionali modelli di comportamento e di bon ton, sia dei rituali di diffusione delle nuove mode. L’obiettivo che si posero gli imprenditori fu quello di creare un prodotto di moda che fosse alternativo all’haute couture, ma soprattutto alla confezione di basso prezzo che si era diffusa negli anni trenta. Era l’emblema, il segno della democratizzazione della moda, della possibilità per tutte le donne di accedere a questo mercato una volta privilegio di una piccola èlite. Dior aveva colto il mutamento di costumi e aveva risposto con una linea di pret à porter di lusso destinata al pubblico statunitense e presto anche ad altri couturier sperimentarono questa via.
Il pret à porter in Italia
In Italia iniziarono Jole Veneziani e Ferdinanda Gattinoni, che sfilarono a Firenze con collezioni boutique degli Anni ‘50, e presto si aggiunsero Maruccelli, Biki, Antonelli, e le Sorelle Fontana. Fu però negli Anni ‘60 che le sartorie diedero vita a vere e proprie linee di pret à porter che cominciarono a sfilare con l’etichetta di alta moda pronta. La conformazione sociale del paese non aveva mai favorito la nascita di una vera industria di confezione, contrastata dalla presenza di una fitta rete di sarti artigiani in grado di rispondere alle richieste di abbigliamento di tutti gli strati della popolazione. Gli unici esempi di aziende che si erano occupate di confezione femminile nel periodo tra le due guerre erano la Merveileuse di Torino e la Fias-Lo Presti Turba di Milano, ma la loro attività aveva una forte impronta sartoriale e serviva un mercato di lusso. Ma nel 1945 le aziende si svilupparono presto con ampi stabilimenti e grandi quantità di manodopera. Nei primi Anni ‘60 il pret à porter aveva completamente conquistato il pubblico. La moda era ormai guidata da giovani stilisti che avevano raggiunto una notorietà pari a quella dei couturier. Era quindi giunto il momento di ratificare il cambiamento consolidando sia la professione di creatore di moda sia il suo risvolto produttivo.
Alessandra Federico