Mario De Caro è professore di filosofia morale all’Università Roma Tre e regolarmente Visiting professor presso la Tufts University, dove insegna dal 2000. Si occupa di filosofia morale, teoria dell’azione, metafisica e storia della filosofia della prima modernità. Già presidente della Società Italiana di Filosofia Analitica, è literary executor di Hilary Putnam e vicepresidente della Consulta Nazionale di Filosofia. Tra i suoi volumi Azione (il Mulino 2008), Il libero arbitrio (Laterza 20199), Realtà (Bollati Boringhieri 2020) e (Harvard University Press, in preparazione).
Professore, quando inizia la riflessione sull’idea di realtà e sotto quali spinte?
La riflessione sulla realtà inizia con l’inizio della filosofia. In particolare, la filosofia ionica nasce come indagine sulla natura, alla ricerca della ragione unificante delle cose. Ma anche la ricerca filosofica ateniese sin dalle origini – con i sofisti e Socrate – indaga un altro genere di natura: la natura umana, così come viene declinata nella vita comune della polis. Sia Platone e Aristotele, poi, porteranno avanti le indagini su questi due tipi di natura, talora intrecciandole. Ma è solo con la rivoluzione scientifica che si presenta un problema che è ancora al cuore della filosofia: quello della radicale frattura delle due nature: quella del mondo che appunto chiamiamo “natura” (che include l’essere umano in quanto entità biologica) e quella del mondo umano, in quanto portato della cultura e della vita in comune. Insomma, per riprendere la terminologia della scuola aristotelica, “prima” e “seconda” natura cominciano a fronteggiarsi in modo esplicito con la nascita della scienza moderna che da una parte delegittimava il mondo ordinario postulato a partire dalla percezione, dall’altra assumeva la realtà di entità inosservabili come gli atomi.
In qual misura l’indagine sulla realtà è stata arrestata dalle filosofie legate alla “svolta linguistica”?
Uno dei caratteri principali della svolta linguistica è che ha marginalizzato la metafisica e ciò sia in ambito analitico sia in ambito continentale (in quest’ultimo senso si pensi allo strutturalismo e al poststrutturalismo). L’idea dei fautori di quella svolta, sostanzialmente, è che noi non possiamo mai uscire dai limiti del nostro linguaggio (come direbbe Wittgenstein) e dunque ogni indagine sulla realtà è dipendente da una preliminare e fondante indagine sulla natura del linguaggio e sul modo in cui il mondo è articolato linguisticamente. In questo quadro, la metafisica è pesantemente subordinata alla filosofia del linguaggio: Donald Davidson, per fare solo un esempio, decreta l’esistenza degli eventi a partire da un’analisi prettamente linguistica. In questo modo, però, è facile che si arrivi a forme di antirealismo di vario genere rispetto al mondo esterno: da Dummett (che a lungo ha negato la realtà del passato) a quanti negano la entità inosservabili della scienza (come van Fraassen).
Il “realismo ordinario” privilegia la testimonianza dell’esperienza percettiva a quella della scienza; il “realismo scientifico” reputa che il mondo contenga esclusivamente le cose che le scienze naturali possono rappresentare e spiegare. Esiste un’altra forma di realismo?
Certo. Innanzi tutto ci sono le forme di soprannaturalismo, per cui esistono entità non materiali ossia le sostanze spirituali. Poi ci sono le forme di realismo rispetto alle entità astratte (i numeri, le proposizioni, gli universali). Una cosa fondamentale da notare, però, è che tanto il realismo ordinario quanto il realismo scientifico tendono ad avere una visione unilaterale, monistica, della realtà. Tra questi due estremi, dunque, si collocano varie forme di realismo pluralista, che accettano come reale tanto la visione ordinaria quanto quella scientifica del mondo. Il “naturalismo liberalizzato”, per cui io simpatizzo, appartiene a questa categoria.
I giudizi estetici e morali hanno un preciso statuto rispetto all’indagine circa la realtà?
Se con il termine “preciso” si intende qualcosa su cui i filosofi sono d’accordo tra loro, la risposta a questa domanda è molto netta: assolutamente no. Dobbiamo però aggiungere subito che una delle discussioni portanti della filosofia contemporanea è se le proprietà morali e quelle estetiche siano reali. Cosa significhi, però, il termine “realtà” quando si applica a queste presunte proprietà è cosa molto controversa; e non solo nel senso che molti filosofi che si occupano di questo tema sono antirealisti. Anche lo schieramento realista, infatti, è frastagliato al suo interno. Pensiamo solo all’intenso dibattito metaetico sullo statuto delle proprietà morali: per alcuni realisti (come G.E. Moore), le proprietà morali esistono ma sono per definizione non-naturali; per altri (come molti naturalisti contemporanei) le proprietà morale esistono ma solo nel senso che sono integralmente riducibili alle proprietà studiate dalle scienze della natura. E in mezzo c’è un gran numero di posizioni diversamente articolate.
È concepibile una filosofia integralmente realista?
A mio parere, nessun filosofo degno di questo nome è mai stato del tutto realista o del tutto antirealista. L’arcirealista Meinong, per esempio, non credeva nella realtà del quadrato rotondo o delle assenze. Dall’altra parte, prendiamo Berkeley, antirealista al massimo grado rispetto al mondo esterno, che era super-realista rispetto alla mente (in particolare, la mente divina). Persino i filosofi post-moderni, nel decretare la fine del mito della Realtà, non negano certo che esistano oggetti concreti di cui si può dire che sono reali. Tutti i filosofi seri che si sono occupati della realtà, insomma, si sono sempre collocati nell’intervallo tra un ipotetico realismo integrale e un altrettanto ipotetico antirealismo integrale. Tutte le proposte serie di soluzione del problema del realismo, pertanto, sono in effetti questione di grado: il vero problema, è di determinare quale sia la giusta dose di realismo da adottare nei vari casi. Bisogna cioè stabilire quali sono, nei vari ambiti, le entità reali: i numeri? Gli universali? Le entità collettive? Gli atomi? Gli universi paralleli? I colori? I qualia? Le essenze? Le malattie psichiche?
Giuseppina Capone