La carriera artistica di Raffaello a Firenze

Il giovane e promettente pittore Raffaello per approfondire la propria crescita culturale e artistica (pur essendo già un artista affermato in Umbria) si trasferì per un breve periodo a Firenze (1504-1508) per ammirare Leonardo e Donatello durante la decorazione della medesima sala del Maggior Consiglio,  e difatti, dedicò il suo tempo allo studio della tradizione figurativa fiorentina. Durante il suo soggiorno a Firenze, Raffaello, strinse amicizia con diversi artisti come Ridolfo del Ghirlandaio, Antonio da Sangallo, Aristotele da Sangallo, Francesco Granacci e in breve tempo riuscì ad ottenere numerosi incarichi da facoltosi cittadini come Lorenzo Nasi (per il quale dipinse la Madonna del Cardellino) e Domenico Canigliari (per il quale realizzò la Sacra Famiglia Canigiani). Il ritratto del facoltoso mercante e illustre Mecenate Agnolo Doni, fu uno dei ritratti che Raffaello realizzò per le famiglie dell’aristocrazia mercantile fiorentina. In questa opera l’artista si rifà alla tradizione realistica e biografica più che psicologica del busto fiorentino e si ispira ai modelli leonardeschi. Nella Madonna con il Bambino, invece, applicò il nuovo principio di organizzazione formale con la nuova flessibilità di ritmi compositivi suggeritagli da Leonardo. Mentre  il tema sacro è quello in cui dedicò maggiormente una grande ricerca di forme ed espressività. Per Raffaello queste opere sono state il terreno di prova su cui si concentrano una chiara ricerca di espressione, e così diede vita ad un proprio linguaggio figurativo.


Le varie tecniche artistiche di Raffaello

Nell’essenzialità dell’impianto strutturale della Madonna del Prato (1506) l’organicità dello schema piramidale stringe le nuove complesse articolazioni compositive in una struttura bilanciata, conferendo all’immagine una nuova cinquecentesca monumentalità. Le ricerche di Raffaello si articolano verso diverse direzioni: nel dipinto della Madonna Esterhazy, Raffaello, è stato in grado di applicare le tecniche apprese da Leonardo dando vita a diversi intrecci di movimenti e donando all’immagine della Madonna l’espressione reale. Da lì a poco, Raffaello abbandonò la tecnica appresa da quest’ultimo per attingere a una fermezza monumentale (suggerita dalle opere di Michelangelo) assieme ad una ricerca di naturalezza e armonia espressiva. Queste ricerche approfondite aiutarono il pittore nell’evoluzione dello stile rinascimentale maturo.

Il principale modello per le Pale d’Altare fiorentino del secondo decennio del secolo fu il dipinto della Madonna del Baldacchino, grazie alla nuova ambientazione architettonica e al respiro spaziale creato dalle figure scalate in profondità, Raffaello riuscì a  rendere intenso lo sguardo dei personaggi religiosi dell’affresco, tanto trasmettere un grande senso di naturalezza e umanità. Conclusa l’esperienza toscana, Raffaello si interessò alla narrazione drammatica. Nel 1503 ricevette l’incarico dalle Monache del convento di Sant’Antonio a Perugia di una Pala di Altare. Nel 1504 dipinse la Madonna col Bambino e i Santi Giovanni Battista e Nicola. Nel 1505 si dedicò all’affresco con la Trinità e Santi nella Chiesa del Monastero di San Severo (Perugia). Da quel momento Raffaello era continuamente in viaggio per lavoro e  nel 1505 partì per Urbino accolto alla Corte di Guidobaldo da Montefeltro.

Sanzio, dipinse per il Duca una piccola Madonna e tre tavolette come quella di San Michele e il drago, un San Giorgio e il drago. Per alcune famiglie della borghesia medio-alta a Firenze, Raffaello dipinse diversi affreschi di Madonna con bambino: la Madonna del Cardellino e la Madonna del Belvedere e la Bella Giardiniera. Agnolo Doni, la Dama col Liocomo e Donna gravida sono altri affreschi di Raffaello in cui è presente un’evidente influenza di Leonardo. La pala Baglioni (1507) gli fu commissionata da Atlanta Baglioni e destinata a un altare nella chiesa di San Francesco al Prato a Perugia. Mentre la Madonna del Baldacchi fu l’opera con la quale concluse la sua carriera artistica fiorentina (1507-1508). Nel 1508 il giovane artista si trasferì a Roma in seguito alla convocazione del papa Giulio II, il quale il suo intento  era quello di rinnovare, a livello artistico, la città e in particolare il Vaticano. Per la decorazione dei nuovi appartamenti papali collaborarono diversi artisti come il Bramantino, il Sodoma, Baldassare Peruzzi, Lorenzo Lotto e tanti altri. Il papa rimase estasiato dal lavoro di Raffaello che decise di commissionargli tutta la decorazione dell’appartamento. Raffaello in quegli anni si dedicò anche alla realizzazione dei ritratti dando vita a nuove tecniche come nel ritratto di Cardinale, oggi al Prado  (1510-1511 ) il ritratto di Baldassarre Castiglione (1514-1515), il ritratto della Freda Inghirami (1514-1516) e soprattutto con il ritratto di Giulio II che l’artista manifestò tutto il suo nuovo studio di tecniche del ritratto. Le opere di Raffaello comprendono un notevole numero di affreschi:

Ritratto di giovane donna, (1518-1519) olio su tavola Strasburgo, Musée des Beaux-Arts.  Santa Margherita, (1518) olio su tavola, Vienna, Kunsthistorisches MuseumMadonna della Rosa – Ritratto di Lorenzo de’ Medici duca di Urbino (1518)olio su tela già Christie’s – Galleria degli Uffizi Ritratto di Leone X con i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi, (1518-1519) olio su tavola Firenze, Uffizi, Perla di Modena, (1518-1520) Modena, Galleria Estense e tanti altri meravigliosi affreschi. A soli 37 anni Raffaello morì ma nonostante la giovane età è stato uno degli artisti che hanno dato vita alla storia dell’arte italiana.

Alessandra Federico

Maria Rosa Bellezza: Le lesioni dell’anima


Il percorso della protagonista si dipana anche a ritroso nel tempo; si serve di ricordi ingialliti e via via emergenti. La sua personale indagine adopera flashback che compongono un puzzle di notevole suspense. Quale valore attribuisce all’elemento della “memoria”? Si possono davvero chiudere i conti con il passato?
Della memoria mi affascina la sua illusorietà: non corrisponde mai a quello abbiamo vissuto, intendo a livello emozionale. Per me dunque la memoria ha un valore solo relativo, mai assoluto: guardo una foto e recupero il falso ricordo di un momento felice, cristallizzato nelle pose plastiche e nei sorrisi richiesti dal fotografo. Ma le mani intrecciate nelle fotografie si sciolgono repentine subito dopo lo scatto: è quello il vero ricordo che la memoria dovrebbe recuperare. Invece non è mai così. Ma paradossalmente, proprio la fallacia della memoria si trasforma nel mio baule magico di scrittrice. Attraverso le storie ascoltate, i racconti, gli album di fotografie, i vecchi filmini vado ad abitare pianeti e mondi che non mi appartenevano e che diventano miei pur non avendoli mai vissuti. E sì, si possono chiudere i conti con il passato. Avviene appunto quando se ne ammette la sua imperfezione: quando riconosciamo ad esempio che i nostri morti non erano così impeccabili come ci ostiniamo a descriverli, o quando abbiamo la forza di ammettere con noi stessi che non si era più belli e più felici prima. Siamo belli e felici anche ora, solo che non lo sappiamo.

“Le lesioni dell’anima” fa riferimento alle piccole increspature dell’anima.
Le crepe possono essere foriere di benefici interiori, quantunque le ferite?

Le ferite si rimarginano, le crepe si chiudono. È il come che fa la differenza, e questo “come” sta nel valore del tempo che ci diamo per insegnarci la loro lezione. Delle volte siamo troppo frettolosi e acceleriamo i tempi di guarigione; altre lo prolunghiamo eccessivamente come quando ci scortichiamo volontariamente una ferita e la facciamo tornare a sanguinare. Ciò vale anche per le crepe. Devono essere colmate, trovare quel materiale che le riempia e le renda, in apparenza, di nuovo compatte. Il beneficio interiore lo ricaviamo quando troviamo l’emozione giusta per riempire il vuoto che sentiamo e ci diamo il tempo di trovarla senza sostituirla con palliativi che anestetizzano l’anima.

Magia ed ascolto interiore paiono configurarsi come elementi focali per la riscoperta dell’amore verso se stessi.
Come si coniugano?

Magia e ascolto interiore per me si equivalgono. Mi spiego: quando impari amo a fare silenzio, a far tacere la nostra mente, il mondo inizia ad apparire diverso. È apparentemente uguale a prima, è il nostro sentire che fa la differenza. Si inizia a percepire il legame nascosto delle cose, il filo rosso che unisce tutti gli elementi naturali. Ci sono momenti in cui avverto una particolare vibrazione che mi indica che mi sto muovendo nel modo giusto, o si manifestano delle coincidenze che altro non sono che il legame nascosto tra ciò che si vede e ciò che è celato dalla nostra ragione. È magia, e si manifesta solo quando ho saputo fare silenzio dentro di me.

Mizio ed Ada: legami, solitudini, ferite, volti incrociati casualmente.
Quale idea ha inteso veicolare delle relazioni interpersonali?

Nel corso degli anni, come dice lei, incontriamo casualmente molti volti, molte anime. E veniamo a contatto per periodi più o meno lunghi con altri percorsi, altre strade, altre esperienze di vita vissuta. Ce ne appropriamo quando le sentiamo affini o ci allontaniamo quando non ci corrispondono o quando non ci servono più. La maggioranza dei nostri legami è data da persone che ci sono accanto per un tratto di vita e che poi prendono altre strade, a volte con nostro rammarico, talaltre nella nostra più totale indifferenza. E poi ci sono legami che esistono da sempre, da prima del tempo, patti dell’anima che non si sciolgono ma che ad ogni nostra esistenza si rinnovano. E badi bene, non parlo solo di legami romantici, anzi. Ecco, io credo che dal primo vagito l’uomo si metta in cammino aprendosi alle esperienze terrene per cercare le anime con cui ha stretto il patto prima di nascere. Nel mio libro esprimo questa idea non solo attraverso le figure di Ada e Mizio, ma anche nel legame di Ada con il figlio Francesco, anima che decide di non nascere, e nel bellissimo rapporto di Mizio con la nonna Giovanna.

Le sue pagine conservano un’impostazione laica, tuttavia il focus attentivo è puntato sulla spiritualità, vettore di un’umanità positiva.
Cosa l’ha indotta valicare i confini del pudore che protegge, solitamente, l’animo umano, nella fattispecie muliebre?

La ringrazio per la domanda, che trovo davvero appropriata, è un argomento che mi tocca molto, il legame tra la religione e la spiritualità, e il cosiddetto sentire spirituale come un modo alternativo di porsi. Ho sempre avvertito sin da piccola l’anelito alla ricerca di “altro”. All’inizio trovavo risposte confortanti nella religione di cui mi affascinavano le certezze dogmatiche, i riti, i mantra ripetuti, il raccoglimento collettivo. Poi man mano che ho acquisito consapevolezza di me stessa, mi sono spostata: il mio centro non erano più le sovrastrutture religiose, ma la mia cattedrale interiore, la mia anima. E lì ho appreso e cerco di mettere costantemente in pratica una delle azioni spirituali più importanti per me: il non fare di castanediana memoria che è un invito all’astenersi per non creare debiti con il karma, o cosa ancora più difficile per l’essere umano il fare senza partecipare emotivamente. La nascita dei miei figli è coincisa storicamente con l’avvento dei social, che non ha soltanto reso più veloce l’espressione del pensiero, e più superficiale, ma ha avuto un dirompente effetto sulla modalità di comunicazione tra persone. Tutto viene urlato, sputato fuori con rabbia, e immediatamente dimenticato. Le parole sembrano non avere più valore, e invece sono pietre, feriscono, fanno male. E da qui nasce la mia esigenza di squarciare il velo del pudore e trasmettere il messaggio del silenzio e del non fare, che nel libro viene simboleggiato dal ritorno di Mizio a Napoli, un ritorno che non viene annunciato: Mizio si mette in paziente attesa e lascia che sia l’anima di Ada a trovarlo.
Maria Rosa Bellezza è  avvocato, romanziera.

Giuseppina Capone

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