Livia Sambrotta premio Bancarella 2021 con “Non Salvarmi”

 

Macchinazioni, intrighi, segreti, misteri, verità sapientemente celate, insabbiamenti, enigmi: sono ingredienti essenziali del thriller.
Il suo romanzo in che misura diverge dal genere codificato?

In “Non salvarmi” ho aderito a tutti gli stilemi del genere, pur decidendo in alcuni casi di attualizzarli. Il romanzo è infatti giocato su una suspense crescente, sui colpi di scena legati ai diversi protagonisti e sui twist della storia, tutti elementi congeniali al mistery. Avevo però anche la necessità di scardinare alcuni canoni dell’alta tensione. L’incipit del libro ne è un esempio. Siamo all’aeroporto di Phoenix e la protagonista, Deva Wood, sta per imbarcarsi su un volo diretto a Milano. Attraversa la hall per andare in bagno, e qui viene ripresa per l’ultima volta con le gambe macchiate di sangue. Da quel momento scompare misteriosamente e non salirà mai sul suo aereo. Generalmente il reato in un thriller viene associato all’ignoto e al buio. Qui invece accade tutto il contrario. Ci troviamo in un luogo di massima sicurezza in pieno giorno, sorvegliato dall’occhio imperscrutabile della videocamera. In questo ambiente siamo rassicurati che nulla possa fuggire al nostro controllo. Invece è proprio qui che si innesca il mistero.
“Ecco chi siamo” pensa. “Fiocchi di neve destinati a sciogliersi a terra”
Lei scandaglia esistenze elitarie, privilegiate ma fragilissime.
Il dolore come condizione ontologica?

Nel libro indago le storie di diversi protagonisti, molti dei quali appartenenti al mondo privilegiato di Hollywood. Nonostante le loro carriere dorate e la loro fama, ogni personaggio in questa storia cova un dolore profondo e sotterraneo. Ma nel mondo del potere, la fragilità come il fallimento e la debolezza sono degli stati umani da censurare e isolare. I figli di queste star milionarie, affetti da dipendenze di varia natura, dalle droghe al sesso compulsivo, vengono infatti curati in un centro di rehab nel deserto dell’Arizona. Un luogo estremo, in cui non sono ammesse comunicazioni con l’esterno e dove la vita quotidiana è ridotta alla basica volontà di sopravvivere. Come dichiara il filosofo Byung-Chul Han: “Nella società odierna il dolore viene interpretato come un segno di debolezza, qualcosa da nascondere o da eliminare in nome dell’ottimizzazione.” In realtà è proprio la sofferenza a rendere unica l’esperienza umana e a dare valore alle nostre vite. Nel romanzo inesorabilmente ogni personaggio si troverà a dover affrontare il proprio dolore e a comprendere, al di là delle maschere dell’eterno consenso, chi è veramente.
Questo è un libro che gratta il fondo della sfera affettiva; vaglia meticolosamente i sentimenti, emozione, ossessione, attrazione, passione, per poi scaraventarli, di nuovo, sul fondo, senza sterili edulcorazioni. Qual idea ha voluto che emergesse dei rapporti umani?
Ritengo che i rapporti umani siano la base di tutti i nostri raggiungimenti e allo stesso tempo dei nostri ostacoli invalicabili. Sono le piccolezze quotidiane dovute alle nostre relazioni, quelle minuscole inquietudini e ossessioni irrisolte, che nel tempo crescono fino a diventare così intense da modificare le traiettorie del nostro destino. La tensione di “Non salvarmi” si svela proprio in questa sfaccettata dimensione emotiva dovuta all’interdipendenza di ogni personaggio. Per questo ho scelto la soluzione del thriller corale, proprio perché il vero mistero è legato alle conseguenze dei rapporti umani. Mettere da parte la nostra visione egoica e autoreferenziale è sicuramente il modo per approcciarsi all’altro, gratificando non solo noi stessi, ma anche la vita delle persone intorno a noi. Abbiamo più bisogno di alterità che di uno specchio che continuamente rimandi la percezione di noi stessi.
La sua scrittura, scorrevole ed incisiva, diretta ed immediata, pare rinviare al linguaggio delle serie TV.
Quanto risponde ad una sua precisa volontà la contaminazione dei linguaggi?

Sicuramente la congiunzione di diversi stili è stato l’obiettivo compositivo di questo romanzo. Per definire la mia voce prima di tutto ho lavorato sulla potenza e l’immediatezza dell’immagine attraverso le ambientazioni. Da una parte abbiamo la suggestione del deserto dell’Arizona, nella sua nuda immensità e nel suo silenzio scalfito solo dalle onde di colore in continuo movimento. Dall’altra parte abbiamo Milano, nella sua frenetica ascesa espansionistica e il fascino rivoluzionario della sua architettura verticale. La polarizzazione di queste due location così diverse ha reso al meglio il mio approccio cinematografico e ha regalato alla storia un ritmo molto intenso simile a quello delle serie tv. Avevo però anche la necessità di indagare psicologicamente i miei protagonisti, regalando al lettore delle emozioni sospese, le stesse che si possono vivere al cinema quando al buio si vede un film e si può assorbire la storia visceralmente in ogni suo dettaglio.
Lei è Film Promotion Coordinator Southern Europe per la company UCI Cinemas. Il suo ruolo l’ha supportata nel puntare l’attenzione sui figli di Hollywood?
Il mio ruolo professionale mi ha dato il privilegio di vivere il cinema da addetta ai lavori. In questi anni ho vissuto esperienze straordinarie che sono state ispirazionali per il mio libro. Partecipare alle anteprime mondiali con le grandi star del cinema, condividere con i leader del mercato strategie e visioni del business per il lancio dei film di successo globale, mi ha dato la possibilità di comprendere fino in fondo il settore cinematografico. Ho potuto quindi raccogliere testimonianze e retroscena che non sono accessibili al pubblico e rivelano anche l’anima nera di questo mondo in evoluzione. Ad esempio nel romanzo il finanziere più potente del mondo hollywoodiano, si trova a Ryhad perché sta portando il cinema in Arabia Saudita, dopo trentacinque anni di chiusura delle sale cinematografiche. Questo processo elettrizzante l’ho potuto seguire realmente da vicino perché è stato proprio il nostro gruppo, AMC, a riaprire la prima sala a Ryhad nel 2018.

Livia Sambrotta è laureata in Lingue e Letterature Straniere con indirizzo spettacolo, dopo aver lavorato come redattrice per i magazine di promozione cinematografica 35mm e Primissima, nel 2015 pubblica il primo romanzo noir Amazing Grace (Tragopano Edizioni) e diverse short stories. Nel 2017 vince con un suo racconto il premio letterario Torinoir Memonoir 2017 del gruppo letterario fondato dall’autore Enrico Pandiani. Dal 2015 ha condotto diversi seminari di scrittura creativa a Milano. Nel 2017 ha pubblicato il romanzo noir Tango Down (Edizioni Pendragon). Il romanzo è stato selezionato tra i finalisti al Festival Giallo al Centro Rieti e ha ricevuto il Premio Menzione Speciale al Festival Garfagnana in Giallo. Attualmente lavora a Milano per la company internazionale UCI Cinemas come Film Promotion Coordinator Southern Europe. Il suo ultimo thriller Non salvarmi (SEM Libri) ha vinto il Premio Selezione Bancarella 2021.

Giuseppina Capone

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