Il 2 giugno del 1946 gli italiani scelsero la Repubblica e il 25 giugno si insediò l’Assemblea Costituente, composta da 556 membri. Quali sono le peculiarità della componente muliebre?
Sono 21 donne di diverse generazioni (la più anziana era Lina Merlin, nata nel 1887, la più giovane Teresa Mattei, nata nel 1921), di diversa estrazione sociale (alcune provenivano da famiglie borghesi – per esempio Elsa Conci, la stessa Mattei, Maria de Unterrichter – e altre da un contesto molto umile, come Teresa Noce, Adele Bei, Filomena Delli Castelli), di diverso colore politico: nove comuniste, nove democristiane, due socialiste, un’eletta nel Fronte dell’Uomo Qualunque. Eppure, nonostante le differenze, furono capaci di fare sintesi nel nome del bene comune.
Lei ha affermato: “Senza le loro battaglie, diversi articoli della Costituzione, compresi i principi fondamentali, non sarebbero gli stessi”. Ventuno donne pressoché dimenticate dai più. Penso a Teresa Mattei. Un’avanguardia modesta, solo il 3,7 per cento. Quale fu il loro contributo nella modernizzazione dell’Italia?
Fu un contributo fondamentale, perché lottarono per il principio di parità sancito dall’articolo 3 e dagli altri articoli della Costituzione che riguardano la famiglia e il lavoro: senza il loro apporto, il loro “sguardo”, probabilmente non si sarebbe arrivati a un risultato che migliorava non solo la condizione della donna ma dell’intera società.
I Costituenti furono filosofi, giuristi, personalità della cultura e della vita politica antecedente il fascismo. Quali ostacoli dovettero saltare le 21 Costituenti rispetto al rapporto con la componente maschile? In fondo, Giovanni Leone aveva asserito: “La femminilità e la sensibilità sono antitetiche alla razionalità”.
Va ricordato che la donna, al tempo, era in una condizione di subalternità totale, non aveva alcuna voce nello spazio pubblico ma neanche all’interno della famiglia (vigevano la potestà maritale e la patria potestà, l’adulterio femminile era sanzionato, a differenza di quello maschile, ecc.). Nonostante questo humus culturale e sociale (o forse proprio per questo!) le ventuno elette, reduci dalla determinante conquista del diritto al voto, seppero far valere le loro ragioni. E anche laddove persero le loro battaglie, come accadde per l’accesso delle donne al concorso in magistratura (che fu consentito solo con la legge del 1963), aprirono una strada.
Le Madri della Costituzione, scattando una fotografia di gruppo, sono davvero differenti tra loro: nove comuniste, nove democristiane, due socialiste ed una proveniente dalle file dell’Uomo Qualunque. Diverse quanto a formazione politico-ideologica ma tutte antifasciste e resistenti. Ebbene, riuscirono a tessere una relazione efficace?
Come accennato prima, sì, perché avevano chiaro il loro obiettivo e agirono unite per conquistarlo. Certamente la comune lotta antifascista, la spinta alla costruzione della democrazia e alla rinascita del Paese cementò la loro azione all’Assemblea Costituente.
Quale fu la loro sorte a lavori terminati e conclusi?
Alcune proseguirono il loro percorso in Parlamento, nelle successive legislature (Nilde Iotti è stata la prima presidente della Camera dei deputati, nel 1979), diverse diventarono sindache, altre invece furono emarginate dai loro stessi partiti. Nel tempo, quasi tutte loro sono state dimenticate, nonostante la loro lezione e il segno che hanno lasciato nella Carta. Per questo, nel mio piccolo, ho voluto dare un contributo di conoscenza con Le Madri della Costituzione, anche andando alla ricerca dei discendenti, di cui ho riportato le testimonianze.
Eliana Di Caro è giornalista al Sole 24 Ore dal 2000: dopo aver lavorato al mensile Ventiquattro e alla redazione Esteri del quotidiano, dal 2012 è al supplemento della Cultura “Domenica”, nel ruolo di vice caposervizio e curatrice delle sezioni di Storia ed Economia e società. È tra le autrici di Donne della Repubblica (il Mulino, 2016), Basilicata d’autore (Manni, 2017), Donne nel 68 (il Mulino, 2018), Donne al futuro (il Mulino, 2021). Ha pubblicato Andare per Matera e la Basilicata (il Mulino, 2019) e Le vittoriose (Il Sole 24 Ore, 2020). Scrive dei temi legati alle donne – dei loro diritti e dell’emancipazione femminile – e della terra lucana. Appassionata di tennis, ogni tanto recensisce qualche libro sull’argomento.
Giuseppina Capone