Emanuela Chiaricò Le Imperfette è una raccolta di dieci racconti inglesi, nove dei quali mai tradotti prima in italiano, pubblicati tra il 1880 e il 1922. Cosa accade nel già citato quarantennio rispetto all’affermazione della New Woman?
Oggi è quasi impossibile immaginare quanti pochi diritti avessero le donne nell’Inghilterra vittoriana. In un mondo totalmente maschilista, per via del loro sistema riproduttivo erano considerate emotive e instabili, per estensione quindi incapaci di prendere decisioni razionali; e una volta sposate erano trattate poco meglio degli schiavi. Agli occhi della legge, come spiego nella mia introduzione al libro, una donna dopo il matrimonio cessava di esistere; nel sistema patriarcale subiva il passaggio da figlia a moglie con un’unica prospettiva di completamento del paradigma vittoriano: diventare madre. Il controllo da parte del marito non era solo relativo ai suoi possedimenti ma anche al corpo. Per una donna sposata rifiutare il sesso era preludio di annullamento del matrimonio; il marito poteva picchiarla, anche violentarla senza conseguenza alcuna. Solo nel 1891 queste pratiche aberranti cessarono di essere diritti di cui poter godere da parte di un uomo.
Questo ci dice quanto uomini e donne vivessero due sfere molto diverse; i primi quella pubblica e le seconde quella privata. Le donne contenute nel libro ci raccontano esattamente questa evoluzione che porta alla nascita della New Woman, non alla sua affermazione.
In quadro sociale e legislativo così penalizzante, nella costruzione del progetto ho voluto far notare come da Alice Sheperd, protagonista de Il cuore fedele alla donna che sedeva con le mani in mano dell’ultimo e omonimo racconto, si sia trasformata la coscienza femminile. La prima, Alice, era una vera donna vittoriana, devota alla rassegnazione di un marito egoista e prevaricatore che addirittura la tiene nascosta alla famiglia per le sue origini umili e il dubbio passato; Esther Stables che dimora nel secondo racconto Inguaribile, è una sarta, una figlia del popolo che vede nel matrimonio la sua unica possibilità di riscatto da una vita di stenti, e con i poteri del suo pianto riesce a far capitolare Willoghby un giovane di 26 anni la cui una storia familiare e sociale le possono garantire una progressione. Kathleen in Il desiderio più profondo ha una storia simile ad Esther ma a differenza di quest’ultima non ama suo marito John; rimasta vedova decide di non sposare l’uomo di cui si è innamorata per punirsi dell’ingiustizia a cui ha sottoposto il pover’uomo che l’aveva sposata salvandola da una famiglia di origine anaffettiva. Queste tre donne sono ancora calate nel patriarcato vittoriano ma se pensiamo alla giovane Flo nel racconto Terra Incognita, siamo davanti ad un cambiamento, in lei c’è già l’embrione della New Woman. George Egerton che è in realtà lo pseudonimo di Mary Chavelita Dunnes Bright mette a confronto una madre vittoriana e una figlia che si ribella al matrimonio, per toccare il tema del matrimonio forzato contratto in totale inconsapevolezza (Flo ha solo 17 anni) e della violenza sessuale del marito, e osa anche di più alludendo all’aborto. Terra incognita fornisce alla costruzione narrativa del mio progetto quell’elemento deflagrante che evidenzia la nascita del movimento suffragista. In L’inquilino perfetto di George Gissing, la protagonista è una donna risoluta che non cede davanti alle piccole abitudini fastidiose del marito, un ex scapolo impenitente, e rivendica i suoi diritti quando lui con fare minaccioso sembra volerla aggredire fisicamente. I tre racconti che consacrano la nascita della New Woman e dello stream of consciousness che era il secondo obiettivo che mi era prefissa costruendo la raccolta antologica, sono L’Associazione di Virginia Woolf, Lena Wrace di May Sinclair e La donna con le mani in mano di L.Parry Truscott. Nel racconto corale di Woolf, le due protagoniste sono consapevoli che la donna nuova possa affermarsi grazie alla futura generazione di donne; le altre due sono emancipate da un punto di vista economico ma non emotivo perché ancora dipendenti dallo sguardo maschile per sentirsi legittimate, accettate.
Oltre al superamento dello stereotipo vittoriano femminile, si assiste alla nascita del modernismo. Di quali peculiarità si connota siffatto movimento che coinvolge la cultura tutta?
Sì, il progetto accompagna anche il passaggio dalla tradizione vittoriana alla nascita del modernismo; io ho approcciato i bagliori della nascita del modernismo che ha una spinta consolidante dopo la fine della prima guerra mondiale, i cui orrori cambiano le priorità valoriali, e gli scrittori, dal canto loro, non possono ignorare i progressi tecnologici e i cambiamenti sociali del XX secolo, cimentandosi con la ricerca di nuove tecniche narrative e poetiche, e un approccio distaccato dall’opera, a cui si uniscono la mancata interferenza dell’autore o dell’autrice, la narrazione della coscienza, e la frammentazione modernista. Contrariamente a quanto si possa pensare, la prima ad utilizzare la locuzione flusso di coscienza in ambito letterario è May Sinclair e non Virginia Woolf; l’espressione compare infatti in una sua recensione ai romanzi della collega Dorothy Richardson, e in particolare in riferimento a Pointed roofs, contenuto in Pilgrimage (all’epoca erano solo tre in tutti, in seguito diventeranno tredici) sulla rivista The Egoist (aprile 1918, Vol. 5, No. 4).
“The woman is perfected” è l’incipit di “Edge” di Sylvia Plath. Può definire la “perfezione” muliebre?
Il verso che lei cita ha ispirato la scelta del titolo della raccolta Le Imperfette, e per rispondere alla sua domanda riprendo le parole della coordinatrice del progetto Antonia Santopietro (Zest Letteratura Sostenibile/Literaria Consulenza Editoriale), che nella sua nota a margine dice: “Al culmine della vita, nella compiutezza raggiunta sull’orlo, si definisce la donna, la sua perfezione; e imperfette sono le donne confinate in ruoli o ambiti di irrilevanza, ritenute folli o moderatamente atte alla vita, inette o ripudiate, invisibili nei secoli, nei molti luoghi e nelle diverse culture”. La scelta del titolo voleva dunque rafforzare l’indefinibilità della perfezione muliebre, che non è un ideale a cui tendere, ma un recinto culturale in cui tenere addomesticato un’ideale femminile che configura la perfezione come il contraltare all’ossessione della virilità.
Quanto ha contribuito la narrazione nella comprensione delle questioni di genere?
Il suo contributo è stato assoluto, e con la costruzione cronologica progressiva dei racconti ho immaginato le autrici in particolare, ma anche alcuni autori passarsi il testimone letterario per approfondire e comprendere le questioni di genere.
Molte delle autrici contenute nel progetto sono state rivalutate da studiose dell’argomento, ad esempio Ann Ardis, Elaine Showalter ed Emma Burris-Janssen hanno lavorato su George Egerton; Rebecca Bowler e Claire Drewery su May Sinclair, e ovviamente tutti gli studi approfonditi sulla più conosciuta Virginia Woolf.
L’articolazione dell’identità femminista costruita da queste autrici è il frutto di una collusione, non di un’opposizione alle nozioni gerarchiche di differenza etnica e culturale. Una capacità assoluta di lettura dei tempi in cui vivevano, e al contempo letteraria per aver saputo trasferire quelle stesse nozioni e permettere loro di veicolare il più possibile. Alle volte non potevano essere esplicite, erano costrette ad alludere per via di temi tabù, il già citato aborto in Egerton ad esempio, ma ad una lettura più attenta non era impossibile cogliere a cosa si riferissero realmente.
I racconti proposti sono di George Moore, Ella D’Arcy, George Egerton, Netta Syrett, Arthur George Morrison, George Gissing, Virginia Woolf, May Sinclair, Elinor Mordaunt, L. Parry Truscott. Si può seguire un file rouge dal punto di vista formale, guardando squisitamente agli aspetti stilistici?
Nella costruzione del progetto ho tenuto conto del fil rouge di cui parla; anche qui c’è una sorta di staffetta linguistica e stilistica che si manifesta di racconto in racconto tracciandone l’evoluzione. In George Moore, ad esempio, si percepisce il germe della ribellione alla tradizione letteraria vittoriana soprattutto per i temi che predilige trattare: sesso, prostituzione, adulterio e omosessualità; Egerton restituisce il mondo interiore dei personaggi attraverso l’uso di momenti psicologici o passaggi quasi onirici; Morrison con il racconto dello slum, del periferico, pone scorci di modernità tematica e linguistica con sconfinamenti dialettali e l’ambiente povero del sobborgo sembra confluire nel paesaggio interiore del protagonista; Gissing pur con il suo lavoro consono al mercato letterario tardo vittoriano, rimane fedele a quello stile ma lo arricchisce con un’analisi psicologica e dialoghi accesi intrisi di intenso sarcasmo saturnino. Truscott che con il tentativo di catturare la natura simultanea e sfaccettata del pensiero e dell’esperienza, va oltre il desiderio di mostrare qualcosa di lineare e semplicistico e offre un esempio di flusso di coscienza potente regalando una dimensione quasi visionaria al racconto.
Emanuela Chiriacò è traduttrice. Collabora alla redazione del portale Zest Letteratura Sostenibile, per il quale scrive recensioni e traduce articoli. Ha pubblicato i racconti Fame da Bue nell’antologia Non ti resisto edito da Emma Books (Concorso Donna nel Quotidiano – Literaria Consulenza editoriale, 2017), Il nero assottiglia anche la notte, Uastasignu, Uno, Fish e Affetti feroci, amati rancori sulla rivista Fili d’aquilone dal 2017 al 2020, e Mièrum nell’antologia Racconti divini (Giacovelli editore, 2018). Ha tradotto e pubblicato i racconti A respectable woman (Una donna rispettabile) di Kate Chopin (Emmazine il magazine di Emma Books, aprile 2018), e The kiss (Il bacio) di Kate Chopin (Zest Letteratura Sostenibile, giugno 2018).
Giusy Capone