È il febbraio del 509 a.C., una sera fatale in un’Urbe soffocata dalla sopraffazione politica. Governano i Tarquini, imprimendo un pesante dispotismo tirannico ed un notevole segno assolutistico. Il potere non è più trasmesso per elezione popolare bensì per via ereditaria. Le vie romane hanno già visto Tarquinio Prisco celebrare un trionfo vestito con una toga ricamata d’oro ed una tunica palmata, ovvero con tutte le decorazioni e le insegne per cui risplende l’autorità del comando assoluto. Lucrezia, moglie di Collatino, matrona pacata, laboriosa, fedele, si trova a casa propria: accoglie Sesto Tarquinio, figlio del re Tarquinio il Superbo; viene stuprata; dopo poco si suicida. L’episodio è arcinoto con modiche e collaterali varianti. “Gara delle mogli” durante l’assedio di Ardea, o incontro casuale fra i giovani della famiglia reale e la moglie di Collatino? Richiesta d’accoglienza da parte di Sesto Tarquinio, in nome della parentela con lo stesso Collatino o congegna d’una fuorviante e falsa epistola in cui quest’ultimo chiede alla consorte di porgere ospitalità per la notte? Lucrezia chiama a sé, convocandoli a Collazia, il padre ed il marito o si reca lei stessa a Roma per esporre il vituperio di cui è stata vittima? Bruto, il futuro eversore della monarchia, è presente mentre Lucrezia si toglie la vita o sopraggiunge successivamente?
Non importa: quell’abuso scatena una sequenza di eventi che sfocia nel giro di pochi giorni alla rivolta popolare destinata a decretare la fine del regime monarchico ed alla cacciata dei Tarquini. Una storia di vibrante passione: vita e morte di Lucrezia. Eroina mitizzata dal fluire fantasioso del tempo. Icona lanifica, casta, pia, frux, domiseda.
L’evento è indubbiamente coinvolgente e pregno di stimoli alla riflessione. Mediante Lucrezia si può scrutare un affresco sociale estremamente affascinante e sicuramente illuminante per i molteplici riverberi che produce sulla storia delle istituzioni così come sulle attuali questioni di genere.
Tatuata da una cicatrice indelebile non cincischia in lagnanze e decide per sé, determina il suo avvenire. Vessillo di pudicitia, ripresa mentre tesse la lana con le sue ancelle, mentre le nuore del re si divertono in banchetti ed orge, sferra il colpo mortale ai Tarquini.
Afferrando il coltello e piantandoselo nel cuore, uccide se stessa e partorisce la Repubblica. Lucrezia mi piace assai: pone e dispone della propria esistenza. Mette al centro d’un fatto privato il suo corpo e lo usa per sovvertire le forze politiche in campo. È la prima onda di una marea: la sua mano é legata al divenire, il suo petto ammicca ad un futuro ancora da dipanare.
Lucrezia, irreprensibile matrona, dedita alla cura domestica, dona pace e spinge alla battaglia; è casta e si concede eternamente; terrorizza ed ammalia; fertilizza e sterilizza. Ogni suo aspetto possiede una funzione politico-sociale trasformatrice. Scandisce la lotta per il rinnovamento. Volge uno sguardo sistemico. Possiede una mentalità affatto fossile. Abbatte con fiera determinazione gabbie concettuali ancestrali. Mobilita la massa, scuote l’opinione pubblica e muta il corso della storia di Roma. Decostruisce l’idea di “donna” come categoria ontologica e la intende, invece, come “costrutto sociale”.
Qual è la lezione di Lucrezia? Reagire alle posizioni identitarie. Cura, appeal erotico, docilità? Non semplifichiamo!
“Lucrezia chiudi la bocca! Sono Sesto Tarquinio e ho una spada in mano. Una sola parola e sei morta!” scrive Livio. E Lucrezia ai suoi cari “Da oggi in poi, più nessuna donna, dopo l’esempio di Lucrezia, vivrà nel disonore!”
Affrancata da gioghi vetusti e da costrizioni culturali, braccio armato nella lotta di liberazione, Lucrezia sa di non essere una monade: il suo personale è politico. Eh, no: la donna perfetta non è quella morta. Lucrezia desidera il futuro.
Giuseppina Capone