Edmondo Lupieri: Una sposa per Gesù. Maria Maddalena tra antichità e postmoderno

Maria di Magdala, seguace di Gesù, venerata come santa dalla Chiesa cattolica, viene descritta nei Vangeli canonici. Per quale ragione è ignorata nelle Lettere di Paolo?

Tutti e quattro i Vangeli canonici ricordano la figura di Maria Maddalena, come colei che, la mattina di quella che per noi è la domenica dopo l’esecuzione e la sepoltura di Gesù, avrebbe trovato, da sola o con altre donne, la sua tomba vuota. In Marco le donne avrebbero visto un fanciullo in candide vesti; in Luca due uomini in vesti sfolgoranti, poi spiegati come angeli; in Matteo, oltre che un angelo, avrebbero anche incontrato il Risorto e, soprattutto, in Giovanni la Maddalena, da sola, avrebbe incontrato Gesù, gli avrebbe parlato e, pur essendole proibito di toccarlo o di trattenerlo, avrebbe ricevuto da lui (come in Matteo) l’incarico di annunciare l’evento agli altri discepoli. In Giovanni, inoltre, la Maddalena (con la madre di Gesù, una di lei sorella e il discepolo amato) si trova anche sotto la croce nel momento cruciale in cui Gesù affida sua madre al discepolo, rendendolo così proprio fratello. Il suo personaggio poi sparisce dalle narrazioni neotestamentarie, essendo forse compresa anonimamente fra le altre donne che, con Maria la madre e i fratelli del Signore, si trovano a Gerusalemme, all’inizio degli Atti degli Apostoli.

Il silenzio di Paolo a prima vista stupisce. Nel suo racconto il Risorto appare soltanto a discepoli uomini, singoli o in gruppi (ma nella apparizione a oltre cinquecento di loro, anche donne dovrebbero essere comprese) e da ultimo a Paolo stesso, ma non esplicitamente a donne e men che meno alla Maddalena, che non è mai nominata. Nelle lettere Paolo è molto parco di particolari riguardanti la vita di Gesù e i personaggi che gli erano stati vicini: né il padre né la madre né Giovanni Battista sono da lui mai ricordati per nome e solo la madre è ricordata indirettamente quando dice che Gesù era “nato da donna, sotto la Legge”.

Tuttavia, per la Maddalena, su cui si basano tutti i racconti evangelici relativi alla tomba vuota, alcune riflessioni si impongono. È certo possibile un lavoro di censura da parte di Paolo nei confronti di un personaggio femminile che forse stava diventando ingombrante (e tuttavia Paolo ricorda e nomina, con lodi e giudizi positivi, numerose donne attive nelle sue missioni), specialmente se si potesse provare che una versione arcaica dei racconti evangelici, con la Maddalena, circolasse già quando Paolo scrive (in particolare una versione arcaica di Luca che sarebbe stata ripresa e conservata da Marcione nel secondo secolo). Sulla base dei testi esistenti e la loro cronologia relativa più probabile, però, possiamo ricostruire una storia diversa. La figura della Maddalena è ancora ignorata da Paolo in una fase arcaica della tradizione; appare nel Marco autentico, ma non ci fa una bella figura, in quanto, vinta dalla paura, non dice a nessuno di aver trovato la tomba vuota; cresce quindi di importanza nei vangeli più recenti, fino a diventare importantissima in Giovanni (e continuare a crescere nei racconti apocrifi successivi, in cui diventa discepola privilegiata). La sua figura, cioè, non sembra vittima di una crescente censura, ma al contrario, pare al centro di un processo di crescita riflesso nei prodotti letterari coevi. È quindi possibile che al tempo di Paolo o nelle tradizioni a lui note la figura della Maddalena non si fosse ancora consolidata. Tra i primissimi seguaci di Gesù, almeno secondo Paolo, quello che contava erano le apparizioni del Risorto ai leader del movimento e non la scoperta della tomba vuota, su cui forse non si era ancora sviluppata la narrazione testimoniata nei decenni successivi.

La figura di Maria di Magdala è stata identificata per lungo tempo con altre figure di donna presenti nei Vangeli: alcune tradizioni la accostano a Maria di Betania, altre alla peccatrice che unge i piedi a Gesù a casa di Simone il Fariseo. Come mai avviene tale accostamento?

La fusione della figura della Maddalena con quelle di tutte le donne che in qualche modo ungono o vorrebbero ungere Gesù prima o dopo la crocifissione, è una caratteristica della Chiesa latina. Nella Chiesa greca e in generale nelle Chiese orientali sotto l’influsso culturale delle tradizioni greche, la Maddalena rimane la mirrofora, colei che avrebbe voluto ungere il cadavere di Gesù, ma che appunto trova la tomba vuota la mattina della Pasqua cristiana.

Fra i Padri della Chiesa ci furono discussioni per alcuni secoli, su quante donne avessero unto Gesù e i pareri discordavano. Era abbastanza facile assimilare il racconto giovanneo secondo cui Maria di Betania avrebbe unto Gesù (sulla testa) prima della sua passione, a casa di Lazzaro, risuscitato, con quello di Marco e di Luca secondo cui una donna anonima lo aveva unto, sempre prima della morte, a casa di Simone il Lebbroso, sempre a Betania. L’idea dell’unzione portò poi a identificare questa donna/Maria con la Maddalena, anche se, stando ai testi, questa non avrebbe mai unto Gesù, ma avrebbe soltanto voluto ungerlo. Se una donna aveva unto Gesù prima della crocifissione, perché quella stessa donna non avrebbe dovuto volerlo ungere anche dopo?

Fu anche relativamente facile identificare la Maddalena con la peccatrice anonima che, secondo Luca, unge i piedi di Gesù a casa di un Simone, non lebbroso ma fariseo, e non a Betania ma in una città anonima in Galilea, dato che Luca, subito dopo, ricorda proprio la Maddalena come colei da cui erano usciti sette diavoli (esorcizzati da Gesù, anche se Luca lo dice solo in modo implicito): non erano forse i sette diavoli i sette paccati capitali, che gravavano sull’animo della peccatrice pentita?

La fusione di tutte le figure femminili evangeliche connesse con l’unzione di Gesù e la costruzione quindi di una Maddalena unitaria, ricevette alla fine la conferma papale in alcune prediche di Gregorio Magno, da cui emerge l’enorme utilità pastorale di avere una prostituta (ché tale fu ritenuta la donna peccatrice) pentita. Se persino una prostituta può diventare santa, qualsiasi peccatore può redimersi. Per questo le proteste degli esegeti che si rendevano conto della artificiosità della ricostruzione tradizionale furono ignorate a lungo o condannate. Con la Riforma, l’evidenza dei testi portò a una dura polemica e allo smantellamento della figura della “Maddalena unita” a favore della “Maddalena divisa”, ma solo in area protestante. L’utilità di avere una prostituta pentita era tale che ancora lo stesso Lutero continuò a ritenere che un’unica donna, la Maddalena, avesse unto Gesù. In area cattolica, la parola definitiva, con l’accettazione ufficiale di più figure distinte, è stata detta con la riforma liturgica di Paolo VI (1969).

Dalla penitente emaciata di Donatello alla bellezza carnale rinascimentale sino alla contemporanea talvolta mesta, talvolta erotica: quali vie percorre l’iconografia di Maria Maddalena?

Le traiettorie iconografiche della figura di Maria Maddalena si sviluppano in parallelo con gli esiti delle molteplici e a tratti contraddittorie riflessioni esegetiche che abbiamo appena ricordato nel punto precedente.

Le rappresentazioni iconografiche più antiche la presentano nella sua funzione di “mirrofora” che, con altre donne, scopre la tomba vuota e incontra uno o più angeli o lo stesso Risorto. Accanto a tale visione, caratteristica dei Vangeli sinottici, dai racconti di Giovanni prendono vita due altre scene che avranno larga fortuna nei secoli: la Maddalena sotto la croce (con Giovanni e la Madonna, oppure, gradualmente, da sola) e il “Noli me tangere”, quando appunto il Risorto le avrebbe impedito di toccarlo.

Poco alla volta, la sua figura viene inserita in altri contesti evangelici, nella cui narrativa esistente non appare, ma in cui era logico pensare fosse presente: la Deposizione dalla croce, il Compianto del Cristo morto e la Sepoltura di Gesù (tutti ricorderanno, per esempio il ciclo giottesco).

In epoca grosso modo medievale si costruiscono nuove leggende. In quanto convertita, si sarebbe dedicata ad una intensa attività missionaria, incominciata proprio col portare l’annuncio della risurrezione agli altri discepoli (diventando così apostola apostolorum). Si sarebbe poi recata in vari luoghi del Mediterraneo (persino a Roma per discutere con Tiberio), ma soprattutto in Gallia, con viaggio avventuroso fino a Marsiglia (non senza fare tappa e miracoli sull’Isola della Maddalena, da lei così denominata), dove avrebbe convertito addirittura il peraltro ignoto “principe” locale.

In quanto prostituta pentita, però, si presunse anche che, abbandonata la vita di sregolatezze, si fosse poi dedicata ad una ascesi estrema. Si prese la Vita leggendaria di un’altra donna lussuriosa, ritiratasi poi a vivere nel deserto, Santa Maria Egiziaca, e la si adattò alla Maddalena. Il problema era che nella Gallia meridionale, dove era finita nelle altre leggende la Maddalena, non ci sono deserti. Così finì in una grotta sulle alture brulle e scoscese della Provenza. E quando incominciarono a trovarsi sue reliquie in loco, la cosa parve certa.

Ai penitenti nel deserto succedono molte cose, almeno nelle leggende agiografiche (si pensi alle tentazioni di Sant’Antonio, tanto per fare un esempio). Non abbiamo storie di grandi tentazioni per la Maddalena, ma vari aspetti hanno colpito la fantasia degli artisti chiamati a rappresentarla. In primo luogo, chi si pente si spoglia. Prima delle vecchie abitudini – e allora abbiamo la Maddalena pentita che si libera dei gioielli, simbolo della sua trascorsa vita peccaminosa e siede o giace affranta dal dolore per la morte del suo amato Gesù – e poi anche dei vestiti, soprattutto se nel deserto – e allora abbiamo la Maddalena penitente che, più o meno emaciata, appare sempre più scarsamente vestita (dei soli capelli, talora lunghi e sensuali) in ambienti ora desertici ora lussureggianti di vegetazione.

Un “pane celeste”(la manna nel deserto per gli Ebrei dell’Esodo; il pane portato dai corvi a Elia in fuga nel deserto; il cibo che gli angeli avrebbero portato a Gesù nel deserto dopo le tentazioni, almeno secondo Marco e Matteo) talora raggiunge gli anacoreti. Così accade alla Maddalena che prima incomincia a nutrirsi (soltanto) dell’ostia consacrata portatale quotidianamente da un angelo, poi viene addirittura portata in cielo (le cosiddette “ascensioni della Maddalena”) sempre da angeli alle ore canoniche, per unirsi ai cori angelici e ricevere nutrimento liturgico ed eucaristico direttamente in cielo. Talora vestita, talora nuda.

Proprio la nudità e la precedente vita peccaminosa della Maddalena sono gli aspetti più visibili, soprattutto in epoca moderna, dell’iconografia magdalenica. Specialmente quando la committenza si fece laica e vari sovrani fecero rappresentare persino le proprie amanti nelle vesti discinte di Maddalene non troppo pentite, al di fuori del controllo ecclesiale, che aveva per esempio obbligato il Card. Borromeo a difendere le mammelle nude dipinde da Tiziano (sarebbero materne, e quindi non sensuali), esplose letteralmente la nudità della Maddalena. Gli artisti trovarono sempre più interessante (e forse più vendibile) una Maddalena che mostrava le tracce dei sui peccati che una Maddalena che mostrasse le cicatrici della penitenza. La moda maturata almeno dal Rinascimento esplose poi col romanticismo e raggiunse la pornografia enticlericale esplicita di un Félicien Rops, per poi scivolare nell’ultima musa, con la cinematografia e in Internet.

Mary”, “Gesù di Montreal”, “Chocolat”.

Professore, dove risiede la malìa di Maria di Magdala?

Nel 1620, Giovan Battista Marino descrisse la Maddalena del Tiziano nella sua raccolta di poesie dedicate a opere d’arte famose (La Galeria) e la sintetizzò benissimo in una frase: “quanto pria del folle mondo errante, tanto poscia di Cristo amata amante”. Proprio qui sta l’interesse, la curiosità che a volte sfocia nella pruderie, per un personaggio erroneamente ricostruito di peccatrice, anzi di prostituta, che ama riamata il Cristo durante la sua vita terrena, per poi diventare asceta e quindi salire agli onori dell’altare.

In un’epoca post-freudiana e post-darwiniana quale la nostra è diventato sempre più abituale pensare a Gesù Cristo in termini non teologici o cristologici, ma semplicemente e pienamente umani. E se un essere umano completo ha anche una vita affettiva, sentimentale e sessuale completa, perché non dovrebbe averla avuta anche Gesù?

Sulla vita di Gesù, anche sessuale, si sono fatte tutte le illazioni possibili. Per quanti lo ritengono eterosessuale, quale personaggio femminile presente nella tradizione sarebbe più adatto della Maddalena, “amata amante”, ad essergli compagna, forse sposa, almeno amante? Arriviamo così a romanzi di diversissimo livello letterario e a produzioni cinematografiche anch’esse di diverso valore artistico. Ma in tale ulteriore processo culturale contemporaneo, la Maddalena diventa una specie di “archetipo”, come ha appunto scritto una contributrice al volume, parlando della filmografia dei nostri giorni, erede e incarnazione di fantasie ormai plurisecolari. E poco conta che la ricostruzione della prostituta pentita sia storicamente insostenible: ormai è lei, la Maddalena, e tale rimane. E può diventare modello di altre figure femminili di fantasia, come accadrebbe appunto nel caso di “Chocolat”. Bella, carnale, inquietante compagna di un Cristo troppo umano, perché dovremmo, nel nostro immaginario alla disperata ricerca di sogni e illusioni, rinunciare alla Maddalena che la tradizione occidentale ci ha consegnata? Meglio supporre un grande complotto, una grande operazione di copertura di una realtà divenuta troppo scomoda: Gesù era uomo come gli altri e aveva una compagna. Una donna che lo amava e lo ha seguito fin sotto la croce, per poi rivederlo vivo e gettare nella sua allucinazione le fondamenta stesse della fede cristiana. Davvero una storia “ammaliante”.

Tredici studiose e studiosi di varia estrazione ripercorrono la storia di Maria Maddalena. C’è un filo rosso ad accomunarne i tratti?

Se a questi aggiungiamo i sette contributi del volume “I mille volti della Maddalena” (Roma 2020) otteniamo non una improbabile enciclopedia sulla Maddalena, ma un’analisi ragionata su come un personaggio storico, in quasi due millenni di riflessioni, sia stato trasformato in una specie di mito dalle mille sfaccettature. Direi che questo sia uno degli aspetti più affascinanti della ricerca storica: scoprire come noi, in ogni generazione, abbiamo proiettato noi stessi, le nostre speranze, le nostre paure sui personaggi del passato, per rendere appunto “nostro” quel passato. Come gli altri personaggi delle origini cristiane, da Giovanni Battista a Gesù, da Maria di Nazareth a Pietro, anche la Maddalena è diventata quello che ci serviva. Dagli insulti anticristiani di antichi filosofi e polemisti moderni a esaltazioni antitetiche di laici e credenti, la sua figura storica è forse perduta per sempre. Prostituta pentita o dea del New Age, rivestita dei soli capelli o di paludamenti preziosi, emaciata e morta in una grotta provenzale o tranquilla madre di molti figli, accanto a un Gesù altrettanto anziano e sopravvissuto alla crocifissione, fuggiti entrambi in un’India sempre più lontana e per noi misteriosa, la Maddalena è parte ormai ineliminabile dell’immaginario transreligioso sognato da milioni e forse miliardi di esseri umani. Lo studio della sua figura, oltre che un’avventura intellettuale a tratti esaltante, è una grande lezione di umiltà. La Maddalena ci aiuta a capire come noi umani ricreiamo costantemente la nostra storia, confezionando “storie” a nostro uso e consumo. Come fu detto di Giovanni Battista, davvero anche di lei possiamo dire che “ne abbiamo fatto quello che abbiamo voluto”.

 

Edmondo Lupieri è stato docente di Storia del cristianesimo e delle chiese presso l’Università di Udine e attualmente insegna Nuovo Testamento e Cristianesimo Antico presso la Facoltà di Teologia della Loyola University di Chicago. Fra le pubblicazioni scientifiche ha al suo attivo “I Mandei. Gli ultimi gnostici” (Brescia 1993; edizione inglese 2003; nuova edizione italiana prevista nel 2013) e “In nome di Dio. Storie di una conquista” (Brescia 2014). Per la Fondazione Valla ha curato “L’Apocalisse di Giovanni” (1999; edizione inglese 2006).

Giuseppina Capone

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