Dall’inizio degli Anni ‘50 si è verificata una crescita numerica delle popolazioni, concentrata per la maggior parte nei grossi centri urbani, aggiunto a questo fenomeno si è avuto uno sviluppo considerevole della produzione industriale ed agricola.
La società si è trovata quindi ad affrontare un problema relativamente nuovo, relativo alla enorme mole di rifiuti che si venivano a creare. Le infrastrutture e i governi hanno affrontato questo problema preoccupandosi di disfarsi al più presto dei rifiuti, allontanandoli dal luogo di produzione, senza considerare la possibilità di un loro recupero.
Per anni i rifiuti sono stati riversati nella terra o nei fiumi o direttamente a mare.
Si considerava l’estensione del mare tale da consentirgli di sopportare senza danni qualsiasi aggressione da parte dell’uomo, ma non era così. Oggi sugli Oceani galleggiano macchie di petrolio e rifiuti di ogni genere, mentre il DDT (anche se da anni vietato in Occidente) è stato rinvenuto nel grasso dei pinguini dell’Antartide.
Dalle nostre case, attraverso la rete fognaria, si riversano a mare, inquinandolo, una quantità di sostanze che potrebbero essere utilizzate dall’agricoltura come utili fertilizzanti naturali (nitriti, fosfati, potassa).
L’industria, purtroppo, ha introdotto nell’uso domestico una serie di prodotti chimici (saponi, solventi, lubrificanti, acidi, vernici, alcool) che avvelenano le acque di scolo rendendole inutilizzabili agli scopi agricoli e, per di più, uccidendo i batteri, impediscono il naturale processo di depurazione.
Quando laviamo i piatti, versiamo nel lavello uno dei responsabili della più grave ed irreversibile forma d’inquinamento delle acque.
Il detersivo costituisce, infatti, un nutrimento chimico per le alghe, che prosperano in acque ricche di fosfati e producono il fenomeno della eutrofizzazione che sopprime la vita delle altre specie.
L’agricoltura sparge ogni anno sul suolo italiano 2 miliardi e 170 milioni di kg di pesticidi e fertilizzanti che defluendo nei corsi d’acque sotterranee si spandono e giungono nei fiumi, nei laghi e nel mare.
L’industria chimica produce in Italia 5 milioni di sostanze chimiche, le cui scorie vengono smaltite attraverso i corsi d’acqua.
Ogni anno vengono riversati nei fiumi tre milioni di tonnellate di mercurio.
Sei milioni di tonnellate di petrolio attraversano i mari lasciando in essi tracce che alla fine troviamo nell’acqua dei nostri rubinetti.
Metalli pesanti e sottoprodotti dell’industria farmaceutica si stanno accumulando nel ciclo dell’acqua e dalle ciminiere delle fabbriche fuoriescono fumi che rendono acida l’acqua piovana.
Tocca alle Istituzioni intervenire con controlli serrati sui cicli produttivi industriali e sullo smaltimento corretto delle scorie, sull’uso appropriato dei fertilizzanti e dei pesticidi in agricoltura.
E’ indispensabile intervenire sulla raccolta e smaltimento dei rifiuti, iniziando da una loro possibile riduzione alla fonte, impedendo ad esempio, l’enorme spreco di plastica e carta nelle confezioni e l’utilizzo del mono uso (sacchetti, piatti, bicchieri, bottiglie di vetro e di plastica, etc.).
Naturalmente questo dipende anche dai cittadini-consumatori che, come primo atto da compiere, devono essere consapevoli delle scelte al momento dell’acquisto .
Alessandra Federico