Apuleio, autore della fiaba di Amore e Psiche, non faceva mistero di essere numida e getulo. Mouloud Mammeri ha più volte sottolineato l’affinità tra la fiaba di Apuleio ed un racconto cabilo L’uccello della tempesta. Quanto egli deve, oltre che alla fabula milesia, alle fiabe di tradizione orale del Nordafrica?
Per molto tempo, il patrimonio folklorico è stato, con il platonismo e l’ellenismo orientale, al centro della ricerca della misteriosa origine di Amore e Psiche. E, come scriveva Calvino, il modello di un «amore precario che ha la sua prova nell’assenza» ritorna in tutte le storie di abbracci, sposi misteriosi e sotterranei delle fiabe di una vastissima area geografica (la più famosa è la Bella e la Bestia). Molti interpreti recenti hanno ritenuto, però, sempre meno essenziale il patrimonio folklorico che, invece, a mio avviso, deve essere centrale nella ricerca. Un saggio piuttosto recente del 2014 di E. e N. Plantade – Libyca Psyche: Apuleius’ Narrative and Berber Folktales – aveva non a caso ipotizzato, esaminando con una grande mole di dati i motivi del patrimonio orale berbero, che Amore e Psiche fosse una stilizzazione romana operata su materiale folklorico libico.
La favola di Amore e Psiche è tra le più note di ogni tempo ed ha dato vita a un numero infinito di variazioni. Dove risiede il suo immutato fascino?
Sono molti gli elementi di fascino di Amore e Psiche: l’amore al buio; l’atmosfera magica; l’evidente percorso iniziatico e misterico alla base del ‘viaggio’ di Psiche-anima; la crescita di Cupido, che, come dice sua madre Venere, prima di Psiche non era che «un bambino viziato che non sa tenere a posto le mani». Più di ogni cosa, però, quello che è riveste maggiore fascino è proprio il mistero del vero significato della favola, che rispecchia l’enigma dell’amore.
“Tutto l’universo obbedisce all’Amore”, così Fontaine. L’illusione ed il desiderio, l’amore “al buio”, sono da preferire alla realtà?
Se dovessi rispondere per me, direi proprio di sì, e ammetto che è stato da subito il centro del mio interesse e anche la ragione che mi ha spinto a lavorare su Amore e Psiche. La Fontaine anticipa quel divario tra desiderio e possesso e tra illusione e realtà che pervaderà il Settecento e, con una malinconica voluttà, lo fa dire anche al suo protagonista. Amore dice a Psiche che dovrebbe imparare ad amare «un marito che puoi immaginare a tuo piacere, e a cui puoi attribuire la bellezza che vuoi»; e aggiunge: «la cosa migliore è l’incertezza, e che dopo il possesso abbiate ancora motivo di desiderare: è un segreto di cui non ci si era ancora avveduti». In maniera più tragica, questa è anche l’interpretazione di Leopardi e in generale, potremmo dire, romantica, ma, nonostante il fascino innegabile, non può corrispondere davvero del tutto alla misteriosa intenzione di Apuleio: perché Amore e Psiche, alla fine della favola, saranno di nuovo insieme, e raggiungeranno – riprendendo le parole di Madame de Lambert – quella «Métaphysique d’Amour» che la preferenza per l’amore al buio costringe a negare.
Psiche ritroverà il suo Amore solo “oltre la morte”. Ebbene, l’amore è impossibile?
Per certi versi, mi verrebbe da risponderle che sì, l’amore è impossibile. Ma in realtà, lo è per La Fontaine, per Leopardi, per Pascoli, per la Cvetaeva – soprattutto per la Cvetaeva, la più grande incarnazione dell’amore al buio che la letteratura abbia avuto – ma non per Apuleio. Per Apuleio, l’amore era possibile, o in ogni caso è l’idea che senza dubbio lui vuole esprimere, anche con il sorriso e l’ironia. Perché, come ho già detto, Amore e Psiche si ritroveranno, e il loro amore sarà di nuovo possibile. Solo, quell’amore al buio, quello che in realtà non era ancora amore – perché non possiamo dimenticare che Psiche si innamora davvero di Amore solo quando lo vede, ferendosi per sbaglio con una delle sue frecce – finisce nell’istante in cui può iniziare davvero.
Leopardi, Apuleio, Heine, Keats, La Fontaine, Pascoli: c’è un tratto che conduce fino ad una definizione dell’amore?
Per tutti gli autori citati, l’amore è anche sofferenza. Forse, però, la miglior risposta è in quei versi del quinto canto dell’Inferno di Dante: Amor, ch’a nullo amato amar perdona / mi prese del costui piacer sì forte, / che, come vedi, ancor non m’abbandona. L’amore è fatale. L’amore è sofferenza. L’amore è per sempre.
Barbara Castiglioni
è dottore di ricerca in Culture Classiche e Moderne presso l’Università di Torino e poi borsista del progetto PRIN «An Interpretative Database of the Greek and Roman mythical lore», si è occupata di tragedia greca, in modo particolare di Euripide, di cui ha curato l’edizione dell’Elena per la Fondazione Lorenzo Valla (2021). Si è occupata anche di ricezione del classico, curando per Mimesis l’Arianna di Marina Cvetaeva. Ha tradotto e commentato la sezione del iv libro dell’Onomasticon di Polluce (la Vita Felice 2022).
Giuseppina Capone