Dal IV sec. a.C. l’iconografia della dea Afrodite muta radicalmente, a partire dall’Afrodite cnidia di Prassitele: in tale statua Afrodite è rappresentata mentre sta per immergersi nell’acqua per un bagno, con uno sguardo lontano che ne sottolinea il carattere ultraterreno.
In qual misura il primo nudo femminile dell’arte greca ha influenzato l’immaginario collettivo legato a questa divinità?
Di fatto, nel mondo antico, a partire dal IV sec. a.C., l’iconografia dell’Afrodite cnidia è quella più popolare. La dea è rappresentata completamente nuda, la veste appoggiata a un’idria, un tipo di vaso destinato a contenere dell’acqua. Afrodite sta per immergere in un bagno, o forse ne esce. Con una mano davanti al pube sembra quasi volersi coprire; di fatto, però, il gesto ha l’effetto di attirare lo sguardo di chi contempla la statua proprio su quel punto. L’esposizione della statua nel tempio dedicato alla dea a Cnido – città di traffici e commerci dell’antica Caria, oggi in Turchia – aveva suscitato un tale scandalo e, insieme, un tale successo di pubblico – pellegrini, viaggiatori, curiosi, assediavano il tempio per vedere la dea nuda – da imporsi naturalmente sulle altre immagini, velate e severe, della dea, o addirittura guerresche. Si pensi all’Afrodite “marziale”, areia, rappresentata armata di spada. Afrodite areia era venerata ad Argo, Sparta, Taranto ma anche a Citera e Cipro, le due isole collegate alla nascita della dea dal mare. Il culto di questa Afrodite combattente, in contraddizione con l’immagine vulgata di dea graziosa e imbelle, rinvia alle sue origini mediorientali e alle dee mesopotamiche, la sumerica Inanna, l’accadica Isthar, la fenicia Astarte, tutte dee dell’amore e della guerra, da intendersi come principi alla base del funzionamento del cosmo.
In Afrodite viaggia leggera racconto come Prassitele fosse stato ispirato da un modello dal vero, la cortigiana Frine – una donna intelligente, assai combattiva, anche in politica, e di grande bellezza – di cui era – così alcuni dicono – innamorato. Fu in questo modo che, accanto ai nudi maschili, cosiddetti eroici, anche il nudo femminile trovò una sua cittadinanza nello spazio pubblico e ancora oggi, se pensiamo a Afrodite/Venere, pensiamo a una figura femminile nuda o seminuda.
Ai nostri giorni l’Afrodite pop è senz’altro la statua di marmo della Venere di Milo, esposta al Louvre, insieme alla Venere del dipinto di Botticelli, La Nascita di Venere, esposto agli Uffizi a Firenze.
Afrodite si presenta già nella Teogonia di Esiodo come la prima figura femminile in forme antropomorfe, emergendo da un contesto di desiderio e di violenza che ne caratterizza i tratti di seduzione e di inganno, poi presenti nella prima donna, Pandora.
Ella incontra la guerra ed il potere. Riesce a vincere, difendendo l’amore da ogni violenza?
La versione più nota della nascita di Afrodite – dalla spuma del mare, come si suole dire – è raccontata da Esiodo nella Teogonia, vv. 176-206. Secondo questo racconto la dea viene al mondo in virtù di una separazione violenta e non di un’unione sessuale. Di fatto non ha una madre ma deriva da una sorta di prodigiosa reazione dello sperma di Urano – evirato dal figlio Crono per costringerlo a interrompere il coito infinito con Gea, impossibilità così a sgravarsi del figli e delle figlie che nutriva nella sue viscere – a contatto con le onde del mar Mediterraneo. La dea emerge da un abisso marino che è anche un abisso di mistero. Di ogni separazione e incompletezza Afrodite è in qualche modo l’antidoto, la cura, come ho tentato di raccontare nel mio libro, attraverso le storie d’amore e di avventura in cui è coinvolta, direttamente o come regista, complice, osservatrice.
E sì, nelle storie che racconto la dea riesce a difendere l’amore dal desiderio non corrisposto, dalla violenza, anche se lei stessa, ad un certo momento, deve ubbidire alla sua stessa legge e conosce così l’amore umano, destinato a finire, e la sua sofferenza, innamorandosi di un essere mortale, il cacciatore cipriota Adone.
Mentre la dea Era, legittima consorte olimpica di Zeus, presiede all’unione matrimoniale, nodo fondamentale nella grande rete dell’ordine sociale, nella quale i due coniugi si completano l’uno attraverso l’altro e hanno potere solo insieme – la coppia Era-Zeus non si separa, nonostante l’alto grado di conflittualità che regna tra le due divinità, perché il loro regno crollerebbe – Afrodite è la dea dell’amore come festa, del matrimonio come rito che celebra la vita e la gioia. Anche questi aspetti emergono dalle vicende che ho scelto di raccontare, in parte riprendendo elementi della tradizione e delle fonti storiche e letterarie, in parte inventando intrecci sulla basi però di dati, di indizi, disseminati sulle rotte della dea.
Pandora merita un discorso a parte, essendo un artefatto – si tratta in sostanza di una prima donna-automa ideata e realizzata dall’abilissimo Efesto – che appartiene già a un altro spazio mitico, a un’altra età del mondo rispetto a quello in cui si situa originariamente Afrodite, che è una titana e appartiene all’età di Crono – l’età dell’oro e di un’umanità aurea che non conosceva alcune distinzione di sesso, né la fatica, né il lavoro, e viveva in armonia con il divino, senza bisogno di astuzie, di inganni, di rivalse, di Prometei. Ma, ripeto, è un’altra storia.
La dea viene soventemente riconosciuta con uno specchio, una mela, una corona di mirto, un uccello sacro – una colomba, un passero – fiori come le rose o il mirto.
Può disvelare questi simboli?
Più che simboli si tratta di attributi a cui si sono associati significati simbolici che hanno poi subito cambiamenti e adattamenti semantici nel corso del tempo e a seconda del contesto in cui vengono evocati. Anche la corona, e in generale gli ornamenti d’oro, come la sua famosa “cintura di Afrodite”, che è in realtà una fascia trapunta d’oro, fanno parte della dea e rappresentato i suoi poteri; anzi, sono veri e propri oggetti magici che fanno del corpo della dea uno spazio di potere che agisce nel suo stesso manifestarsi. Del cinto Afrodite viaggia leggera racconta la storia e prova a darne un senso.
Lo specchio serve alla bellezza per contemplarsi – e diventa simbolo di vanità con il mutamento della mentalità – la mela. o “pomo della discordia”, rimanda al famoso giudizio di Paride e alla vittoria della dea sulle rivali, Atena ed Era (a cui è seguito la famosa guerra di Troia). Il mirto, che ha un suo spazio nel paesaggio del mio libro, è un arbusto sempreverde e deliziosamente odoroso, con bacche che producono il buonissimo liquore, molto diffuso sui litorali del Mediterraneo. Nella Metamorfosi, Ovidio racconta la storia del mirto e riferisce di come Afrodite, appena nata, avrebbe coperto il suo corpo nudo con alcuni rami di questa pianta per sottrarsi allo sguardo lascivo di un satiro. Le rose sono legate all’amore di Afrodite per il cacciatore Adone e restano nella tradizione, specie se rosse come il sangue e la passione, fiori amorosi e da innamorati. Le colombe venivano talvolte allevate nei suoi santuari e le sono associate alla dea perché sembrare avere comportamenti simili a quelli umani – come il bacio – e perché amoreggiano tutto l’anno. I passeri, invece, le sono associati perché considerati tradizionalmente uccelli lascivi. Anche la melagrana è sacra dea – non solo a Persefone, con cui peraltro esistono legami interessanti e complessi – come la mirra, la lattuga, l’anemone; tra gli animale, l’oca, il cigno e creature marine come i tritoni, i molluschi a conchiglia e le loro perle. L’elenco è lungo e non ne esiste una versione unica, come non restano identici i significati dei vari attributi della dea. Occorre sempre interrogarci sul contesto.
“Afrodite, marina e dorata, celeste e terrena, viaggia leggera sulle rotte del Mediterraneo.”
Qual è il luogo di culto maggiormente rappresentativo?
Posso dire qual è per me, in questo mio libro, il luogo più rappresentativo: Ischia, l’antica Pithekoussai e la storia d’amore che si svolge sull’isola. Ma è una risposta personale che non ho nessuna pretesa di oggettività. Non ho infatti scritto un saggio sulla dea. Il mio è un lungo racconto, fatto di viaggi e avventure che ho scelto seguendo le mie inclinazioni, le mie fissazioni anche; in parte si tratta di materiale tratto dal mito antico, dalla storia, dalla tradizione letteraria, e riscritto, interpretato, completato nei suoi vuoti dovuti alle lacune della tradizione; in parte si tratta di storie di mia invenzione, che ho messo insieme analizzando e riassemblando dati ed elementi che ho rintracciato nei miei studi intorno alla dea.
“Tutto l’universo obbedisce all’Amore”. Così si legge nell’Elogio in Les Amours de Psyché, di Jean de la Fontaine.
Il fascino di Afrodite risiede nell’inspiegabilità d’un sentimento?
Il fascino di Afrodite è legato, a mio avviso, all’ineluttabilità dell’amore, del desiderio, dell’eros – con quello che comporta di istinti, di conflittualità, di lotta – in ciascuna e ciascuno di noi. Perché non lo sappiamo. Così è. In effetti, la spiegazione non c’è, c’è una legge. La forma che questa legge cosmica ha preso alle nostre latitudine è quella di Afrodite La dea è una fantasia mediterranea, nostra, tutta umana. Ed è in effetti una fascinosissima donna fatale, nel senso che appartiene al nostro destino di specie: il sesso, l’amore, le loro varie declinazioni civilizzate e civili, e la bellezza a cui aspiriamo ogni giorno, dopo tutto, come consolazione, come forma di possibile felicità.
Professoressa, Lei si occupa anche di studi di genere in ambito letterario. Le sue ricerche sono influenzate dalla sua formazione formazione classica?
Certo. La mia formazione classica influenza non solo le mie ricerche ma anche il mio sguardo sulle cose. Per questo mi occupo della ricezione del mondo antico nella modernità e oggi. Il ricorso a una lente di genere mi è utile per osservare aspetti e rintracciare nessi che, senza quella lente, non apparirebbero, rimarrebbero sulla sfondo, offuscati da altre prospettive. Un caso emblematico è il famoso incontro sulle mura di Ettore e Andromaca in Il. VI, su cui mi sono soffermata in un articolo “Se delle parola di occupano gli uomini”, apparso su Alias del 2.12.2023, e a cui rimando. Si tratta di un episodio notissimo, che io incontrari la prima volta alle medie e che mi fu spiegato esaltando l’amore dei giovani sposi sullo sfondo sanguinario della guerra, la tenerezza del padre, in una pausa del combattimento, che prende in braccio il figlio neonato dopo essersi tolto l’elmo piumato che spaventava il piccino, la tristezza del destino di un grande e coraggioso guerriero destinato a soccombere alla violenza del nemico straniero. C’è altro da osservare in quella scena, da leggere nei versi di Omero e usare lenti nuove aiuta a vedere di più e meglio. Peraltro, tutto è già in quei testi. Omero è una voce critica e non organica all’ordine sociale che rappresenta e racconta. Va letto e contestualizzato, come ogni autore, autrice, come ogni tema, per evitare di fare strame della storia, anche di quella delle idee, e dire delle solenni sciocchezze, in nome di una modernità senza vero progresso, che finisce per imporsi come un nuovo conformismo.
https://ilmanifesto.it/femminismo-se-della-parola-si-occupano-gli-uomini
Francesca Sensini è professoressa associata di Italianistica presso l’Université Côte d’Azur di Nizza. Classicista di formazione, dedica prevalentemente le sue ricerche alla letteratura italiana tra Otto e Novecento, agli studi della ricezione classica e agli studi di genere in ambito letterario. Nel 2023 ha pubblicato il romanzo La Trama di Elena, Ponte alle Grazie. Tra le altre pubblicazioni recenti ricordiamo “Non c’è cosa più dolce”: Giovanni Pascoli ed Emma Corcos, lettere, Il Nuovo Melangolo, 2022; La lingua degli dei: l’amore per il greco antico e moderno, ivi, 2021; Pascoli maledetto, ivi, 2020. Ha curato la ristampa dei romanzi di Marise Ferro, La violenza, Elliot 2022; La ragazza in giardino, ivi, 2022; Le romantiche, Succedeoggi Libri, 2021; La guerra è stupida, Gammarò, 2020.
Giuseppina Capone