Dopo le elezioni di metà mandato in America, tutti hanno vinto.
Il Presidente Trump è soddisfatto, per aver rafforzato la sua posizione al Senato, vero organo legislativo dello Stato Federale; i democratici sono soddisfatti per il risultato alla Camera dei rappresentanti, che mantiene una natura di controllo (oltre ad essere organo legislativo) sull’attività del Presidente in primis.
Tutti contenti, nessuno escluso; soprattutto le deputate dei Democratici, mai così numerose ed eterogenee come dopo questa tornata elettorale.
Ha ragione la reporter del New York Times, Amy Chozick, quando dice: “Sono convinta che l’alto numero di deputate donne che vedremo nel 2019 al Congresso non nasce solo dalla reazione alla misoginia di Donald Trump. Lo dobbiamo in parte anche a Hillary Clinton. Nel bene e nel male: perché se è vero che la sua corsa non ha rotto il soffitto di cristallo, la barriera che da sempre impedisce alle donne di arrivare ai vertici, di sicuro ha mostrato a tante, soprattutto in casa democratica, che la strada è possibile”.
Sembra che il Partito Democratico abbia compreso, almeno questa volta, che per risalire la china è impossibile prescindere dal ruolo politico della donna e dalle sue competenze: non si può parlare ad un Paese soltanto con metà voce.
Indubbiamente, il fatto che le elette siano donne americane di ogni etnia ed età appartenenti a quella cospicua fetta di America maltrattata ed umiliata dalle politiche e dai modi trumpiani, ha contribuito al successo delle urne.
Le nuove elette, infatti, sono rappresentanza di quella diversità che tanto spaventa il Presidente ma che ha sostanzialmente fatto grande l’America, per dirla con un’espressione a lui cara.
Così, Alexandria Ocasio-Cortez, 29 anni, eletta nel suo distretto per la Camera nello stato di New York, diventa la più giovane rappresentante al Congresso della storia americana: non una sprovveduta, ma un’attivista che ha sconfitto Joe Crowley, che in molti consideravano come il possibile successore di Nancy Pelosi come capogruppo del partito. Il suo trionfo conferma il trend già registrato nelle scorse primarie democratiche che favorisce candidati donne, liberal, esponenti delle minoranze e millennial.
Nel numero record di donne elette per il midterm, moltissime sono esponenti di minoranze, come le prime due deputate musulmane, Rashida Tlaib, avvocato di origine palestinese, votata in Michigan, e Ilhan Omar, 36enne somala con un passato da rifugiata nei campi profughi kenioti, in Minnesota; o le prime deputate native americane, Sharice Davids e Deb Haaland, elette in Kansas e New Mexico. La Davids è diventata anche la prima donna nativo-americana a mettere piede nel Congresso.
Ed ancora, la rifugiata afghana Safiya Wazir, 27 anni e madre di due figlie, è stata eletta con i democratici all’Assemblea legislativa dello Stato del New Hampshire; fuggita dall’Afghanistan dei Talebani nel 1997 con la sua famiglia quando aveva sei anni, Safiya è la prima ex rifugiata a ottenere un seggio all’Assemblea legislativa del New Hampshire.
Dunque, delle 92 donne che occuperanno gli scranni del Congresso americano, 28 sono quelle neoelette, un risultato davvero ragguardevole.
L’augurio è che il trend americano, in questo caso, diventi mondiale.
Rossella Marchese