Roberto Franchini è giornalista, scrittore e saggista, si occupa da anni di storia della musica. È stato direttore dell’Agenzia di informazione e comunicazione della Regione Emilia-Romagna, presidente della Fondazione Collegio San Carlo di Modena e del Festival filosofia.
Pare surreale che ad Auschwitz, Terezin, Buchenwald e Dachau risuonassero note; eppure, anche i campi di sterminio nazisti possedevano una loro colonna sonora.
Quali scopi ha potuto ravvedere nella produzione musicale all’interno dei lager?
Occorre distinguere tra produzione musicale volontaria dei prigionieri e “musica obbligata”. I brani eseguiti dalle bande davanti ai cancelli, quando i prigionieri uscivano la mattina per andare al lavoro e quando rientravano, erano una sofferenza psicologica sia per chi li eseguiva e, soprattutto, per chi era costretto ad ascoltarli. La musica scandiva la giornata, i tempi di lavoro e i momenti della vita nei lager: la musica era funzionale alla organizzazione dei lager, modellati in parte sul sistema militare e in parte su quello burocratico tedeschi.
In alcuni lager, come Terezin per esempio, vennero reclusi anche compositori importanti, che non smisero di comporre e di presentare la loro musica, come Victor Ullmann, Pavel Haas e Hans Krasa. Nei lager vennero composte canti di resistenza e canzoni che esprimevano dolore, angoscia, smarrimento.
Le SS imponevano ai prigionieri di accompagnare le torture, le marce verso il lavoro o le camere a gas con brani strumentali. Per quale ragione?
Dal punto di vista pratico la musica copriva le urla dei torturati e il rumore delle pallottole con le quali le guardie mettevano fine alla vita di chi aveva tentato di fuggire o di chi si era ribellato. Allo stesso tempo, la musica aumentava la paura e il dolore di chi era imprigionato.
Lei scrive “Quello che veniva chiamato il modello Dachau comprendeva l’uso degli altoparlanti e della musica come strumenti di propaganda”. E’ verosimile ipotizzare che la musica avesse lo scopo di affermare, ulteriormente, la forza e la sicurezza del regime nazista?
Direi che è non solo verosimile ma anche certo. Dagli altoparlanti i nazisti diffondevano musiche militari, brani patriottici e i discorsi di Hitler, in particolare in occasione dei congressi del partito.
Undici trascinanti capitoli per non dimenticare. Da quali personalità erano costituite orchestre e complessi?
Nei lager nazisti vennero formate bande musicali, vere e proprie orchestre sinfoniche, jazz band, orchestrine per il cabaret, cori di ogni genere. Anche se, talvolta, quelle formazioni musicali si avvalevano di musicisti dilettanti, in molti casi ebbero l’opportunità di aggregare musicisti professionisti e di buon valore. Gli artisti del cabaret di Westerbork erano alcuni dei migliori professionisti tedeschi, i jazzisti di Terezin erano trombettisti o chitarristi di buon livello dell’Europa centrale, in particolare cechi. Ad Auschwitz o a Terezin vennero reclusi pianiste di notevole livello, l’orchestra femminile di Birkenau, unica nel suo genere, venne diretta da Alma Rosè, violinista viennese brillante e di notevole fama.
L’Arte come forma di resistenza?
Questa è la domanda alla quale è più difficile rispondere, forse impossibile. I canti composti dai prigionieri politici dal 1933 fino allo scoppio della guerra erano quasi sempre canti di resistenza: alla musica veniva affidato il compito di esprimere la volontà di ,lottare fino alla liberazione, al ritorno a casa, al recupero di una vita normale, per quanto possibile. Anche alcuni testi del cabaret di Westerbork e le composizioni più complesse di Terezin celavano critiche al nazismo e a Hitler ma anche squarci di speranza.
La musica era lo strumento che i musicisti utilizzavano per mantenere in vita la speranza, via necessaria per non morire psicologicamente prima della morte fisica. Anche se poi, al momento di tirare le somme, erano i comandanti nazisti che avevano nelle loro mani il potere di decidere chi spedire a morire nelle camere a gas di Auschwitz o di Treblinka.
Giuseppina Capone