Fabio Francione: Il Cinema per capire. Scritti Scelti 1960-2023 Liliana Cavani

Il 12 gennaio 2023 Liliana Cavani ha compiuto novant’anni. Un anniversario importante per il cinema e la cultura italiana.

Ebbene, cos’è il cinema di Liliana Cavani?

La regista di Galileo, dei tre Francesco, di documentari e inchieste che hanno fatto scuola, non ha mai nascosto la propria natura anfibia di cineasta scomoda e attenta alle mutazioni della società contemporanea, filtrata però da studi classici e dalla conoscenza approfondita di miti antichi, illuminati in prospettive contraddittorie e inedite, anche per la modernità novecentesca. Il tutto cerchiato da esperienze esistenziali che le hanno consentito di realizzare un’opera composta, eccole di nuovo, da endiadi intercambiabili; tra queste, per l’appunto e recuperate dal recente passato, “Follia Santità Potere Povertà” rappresentano solo una scelta delle tante possibili e si prestano a nascondersi e a riemergere in quest’antologia. Pertanto, la cinematografia di Liliana Cavani è avviata e mossa da un’esigenza intima che, aperta a dubbi e a interrogativi, diventa storia e narrazione, impegno etico e civile, riflessione politica e religiosa, in cui convivono posture retrospettive e futuri prossimi venturi.

“Il cinema è la maniera in cui i miei pensieri prendono forma. Se i fratelli Lumière non ci avessero dato il cinema, io sarei condannata a non esprimermi e sarei infelicissima oppure in un manicomio”, così Cavani.

Qual è lo specifico del cinema di Liliana Cavani?

Alla regista è stato assegnato il Leone d’Oro alla Carriera in occasione dell’80a Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.

Val la pena ricordare le parole del direttore del festival, Alberto Barbera.

“Il suo è sempre stato un pensiero anticonformista, libero da preconcetti ideologici e svincolato da condizionamenti di sorta, mosso dall’urgenza della ricerca continua di una verità celata nelle parti più nascoste e misteriose dell’animo umano, fino ai confini della spiritualità. I personaggi dei suoi film sono calati in un contesto storico che testimonia una tensione esistenziale verso il cambiamento, giovani che cercano risposte a quesiti importanti, soggetti complessi e problematici nei quali si riflette l’irrisolto conflitto fra individuo e società. Il suo è uno sguardo politico nel senso più alto del termine, antidogmatico, non allineato, coraggioso nell’affrontare anche i più impegnativi tabù, estraneo alle mode, refrattario ai compromessi e agli opportunismi produttivi, aperto invece a una fertile ambiguità nei 10 Il Cinema per capire confronti dei personaggi e delle situazioni messe in scena. Una feconda lezione che è insieme di estetica e di etica, da parte di una protagonista del nostro cinema, che ne definisce la perenne modernità”

Liliana Cavani è una scrittrice fecondissima. Come si è orientato per offrirci una  così meticolosa ricognizione?

Mi sono accorto che c’era, oltre un cospicuo numero di pagine, la cui divisione e diversificata provenienza, tra articoli per quotidiani, lettere aperte, interventi più complessi per riviste specializzate e prefazioni o introduzioni a libri, presentavano nell’intensità dei discorsi una coerenza che, senza soluzione di continuità, era la prosecuzione di tutta la produzione radunata in precedenza. Dunque, su tali rinvenimenti e a mo’ di nuova introduzione al suo cinema, la curatela, trovata ospitalità nella collana L’Arte e le arti dei Libri Scheiwiller, si è spostata da una suddivisione in capitoli, suggerita allora dalla doppia endiadi, “Follia santità potere povertà”, a una scelta di scritti che, in quel “Cinema per capire” (Leitmotiv preso a prestito per questa nuova raccolta), spalma cronologicamente tutti i temi che la regista emiliana ha sviluppato nella sua carriera. Mentre in chiusura del libro si è montata una cronologia dei film sulle dichiarazioni e interviste rilasciate in sessant’anni di attività intellettuale e creativa.

Il libro antologizza una cospicua scelta della pubblicistica della regista emiliana. Quali sono le principali tappe che ne hanno segnato la redazione?

La prima tappa di un certo rilievo appartiene alla retrospettiva, voluta dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano, allora guidato da Massimiliano Finazzer Flory e diretto da Antonio Calbi, Follia Santità Potere Povertà. Il cinema di Liliana Cavani (Cinema Gnomo, Milano 3 – 7 marzo 2010).

L’edizione 2014 del Ca’ Foscari Short Film Festival ospitò il programma speciale Studiare da registi. I saggi accademici di Luigi Di Gianni, Liliana Cavani e Emidio Greco, che consentì di vedere i primi passi nel cinema di alcuni dei più importanti registi del cinema italiano.

Il 4 ottobre 2014, il giorno di San Francesco d’Assisi, la 16a edizione del Lodi Città Film Festival diede spazio a una retrospettiva dedicata al patrono d’Italia e al suo rapporto con il cinema. Furono proiettati Francesco Giullare di Dio di Roberto Rossellini, Letter to Peter. On Saint François d’Assise by Olivier Messien di Jean-Pierre Gonin, Fratello Sole, Sorella Luna di Franco Zeffirelli, Assisi di Alessandro Blasetti, Il Cantico delle Creature di Luciano Emmer e Francesco di Liliana Cavani. Due anni dopo fu la volta 270 Il Cinema per capire dell’omaggio, ospitato e promosso dal Festival Le voci dell’Inchiesta (Pordenone, 13-17 aprile 2016), Liliana Cavani. Istruzioni per l’uso del cinema come indagine sulla vita. Per l’occasione venne pubblicato il libro Liliana Cavani, Follia Santità Potere Povertà scritti e interviste 1960-2016.

Fabio, cosa deve a Liliana Cavani?

Il mio personalissimo e speciale ringraziamento per aver sostenuto e incoraggiato la nuova edizione dei suoi scritti e per la generosità con cui si offre al prossimo cercando di far capire – e capire con il cinema – il mondo.

 

Fabio Francione vive e lavora a Lodi. Scrive per “il manifesto” ed è condirettore della rivista di studi salgariani e popolari Ilcorsaronero. Si è occupato a vario titolo di Edmondo De Amicis, Emilio Salgari, Giovanni Testori, Franca Rame e Dario Fo, i Mondo Movie e Gualtiero Jacopetti, Andrea Camilleri, Franco Basaglia. Ha inoltre curato libri di Bernardo Bertolucci, Pier Paolo Pasolini, Antonio Gramsci, Gillo Pontecorvo oltre che la mostra del centenario di Paolo Grassi a Palazzo Reale e l’omonimo libro Paolo Grassi. Senza un pazzo come me, immodestamente un poeta dell’organizzazione. Nel 2020, in occasione del duecentesimo anniversario della nascita del suo autore, ha curato la nuova edizione de La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene di Pellegrino Artusi (La nave di Teseo).

Giuseppina Capone

Gli insegnanti di cui abbiamo bisogno. Se ne discute a Roma con il Ministro Valditara

Docenti: Formazione per il Domani. Gli insegnanti di cui abbiamo bisogno

Una scuola al passo con i tempi, dove le parole didattica, inclusione, educazione e conoscenza siano termini sempre più aderenti alla realtà, è ormai un’assoluta esigenza.

In tale contesto, la formazione assume un aspetto determinante e la figura dell’insegnate diventa un punto di riferimento indispensabile per la costruzione del domani e per le famiglie stesse.

Le delicate tematiche che i docenti affrontano sono spesso appesantite da difficoltà legate alle condizioni di lavoro e a contesti di una certa complessità. Il loro ruolo deve essere, pertanto, sostenuto e valorizzato al fine di coltivare e arricchire l’arte di formare le giovani generazioni.

Per discutere del tema, l’Associazione Italiana Maestri Cattolici e l’UGL Scuola – in occasione della Giornata mondiale degli Insegnanti promossa dall’Unesco – hanno organizzato un incontro-dibattito pubblico che si terrà giovedì 5 ottobre alle ore 12.30 presso l’IH Hotels Roma Cicerone in via Cicerone 55/c a Roma e trasmesso in diretta web (https://www.youtube.com/@AIMC-Nazionale).

L’evento si inserisce nella XIII Edizione di “CENTOPIAZZE per l’impegno educativo” promosso dall’AIMC e vedrà collegati in diretta 100 istituti scolastici in rappresentanza di tutto il territorio nazionale.

Parteciperanno e interverranno all’incontro-dibattito:

Giuseppe ValditaraMinistro dell’Istruzione e del Merito

Ornella CuzzupiSegretario Nazionale UGL Scuola

Giuseppe DesideriSegretario Generale Unione Mondiale Insegnanti Cattolici

Esther FloccoPresidente Nazionale AIMC

Albert KabugePadre missionario, comp. Centro Cattolico Internazionale di Coop. con l’UNESCO

S.E. Antonino Raspanti – Vescovo di Acireale e Presidente CESI

Cristina RiccardiVice Presidente Forum delle Associazioni Familiari

Anna Paola SabatiniDirettore Generale USR Lazio

Maurizio SibilioProrettore dell’Università degli Studi di Salerno

Arte contemporanea protagonista assoluta del Museo Madre

Non lontano dalla fermata della metro di Piazza Cavour a Napoli troviamo il Museo Madre, luogo molto caratteristico, ricco di cultura e tanta bellezza. “Madre” è l’acronimo di Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina, inaugurato nel 2005 e ultimato soltanto nel 2007. A partire dal2010 è stata stretta una collaborazione congiunta con un team di operatori scientifici.

La direzione logistica e artistica fu curata dal brillante architetto portoghese Alvaro Siza, invece quest’anno la direzione artistica è passata ad Eva Elisa Fabbris, che ha saputo portare in esposizione artisti del calibro di Kazuko Miyamoto.

Il museo, situato nell’antico palazzo Donnaregina, da cui prende nome, è diviso in tre piani, in base ad ospiti ed esposizioni, infatti al primo troviamo le opere permanenti, create appositamente per spazi ed ambienti del museo, tra queste spiccano l’opera di Francesco Clemente, seguace della transavanguardia, originario partenopeo ma cittadino statunitense, che attraverso i simboli folkloristici della città, ha saputo sviluppare un’opera ricca di dettagli; la seconda è quella di Luciano Fabro, che attraverso l’arte povera ha reso una delle stanze un vero capolavoro, con una nota enigmatica. Il primo piano conserva altre opere di grande caratura, mentre gli altri due sono adibiti alle opere temporanee, come il secondo, dedicato alla mostra dell’artista nipponico Kazuko Miyamoto.

L’arte contemporanea non è di facile comprensione, soprattutto a primo impatto, ma il Madre riesce a lasciare stupito in un modo o nell’altro chiunque lo visiti.

Rocco Angri

Marilisa D’Amico: Parole che separano. Linguaggio, Costituzione, Diritti

Le questioni linguistiche trascinano, smuovono le folle sui social e coinvolgono i media, spesso suscitando sdegni e querelle.

Ne consegue che la grammatica riguarda noi tutti: come assumere posizioni sensate tra isterismo e ragionevolezza?

Le parole, le espressioni, i modi di dire e le consuetudini linguistiche sono divenute sempre più centrali nel dibattito pubblico, soprattutto a seguito delle potenzialità dei social networks.

La possibilità di esprimere pensieri, di qualsiasi natura essi siano, con immediatezza e senza apparenti filtri rappresenta certamente un tratto caratterizzante la società contemporanea e un fenomeno che necessita di essere preso sul serio anche

e, soprattutto, da chi si occupa di verificarne la compatibilità con i principi costituzionali su cui si fonda il nostro ordinamento giuridico.

Da questo punto di vista, la Costituzione credo rappresenti la prima e più importante bussola per orientare i comportamenti dei singoli individui.

La “ragionevolezza” di cui si riferisce nella domanda impone, cioè, di assicurare che sussista sempre un adeguato bilanciamento tra i diritti fondamentali che vengono esposti e che si trovano, assai spesso, contrapposti gli uni agli altri.

La libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero con qualsiasi mezzo, inclusi quindi i nuovi e più diffusi social networks, non potrà mai e non dovrà risolversi in una violazione di altri principi che la Costituzione del nostro Stato salvaguardia con particolare forza. Il riferimento è, per prima cosa, al principio di eguaglianza e di non discriminazione che sancisce l’articolo 3 della nostra Costituzione, così come, più in generale, il rispetto della dignità umana e dei diritti inviolabili di cui riferisce prima l’articolo 2.

Ritengo, detto altrimenti, che, al di là delle specifiche scelte in materia di regolamentazione del fenomeno che qui ci occupa, è fondamentale ispirare qualsiasi intervento legislativo al doveroso rispetto dei principi che riconosce e garantisce la nostra Costituzione.

La stessa ragionevolezza costituisce un principio, che soggiace alla nostra Carta costituzionale ed è ad essa e al punto di equilibrio da tracciare tra principi costituzionali che vengono in rilievo, senza che nessuno ne venga interamente sacrificato, a cui dobbiamo attenersi per favorire una coesistenza pacifica e l’inclusione sociale di tutti e di tutte.

“Famiglia”, “genere”, “matrimonio”, così come “norma”, “natura”, “trasgressione”. L’analisi etimologica e storica di questi termini può contribuire a comprendere la qualità del mutamento in atto?

È sempre importante partire dai significati e dalle definizioni delle parole, che impieghiamo nel nostro linguaggio, scritto e parlato.

Allo stesso tempo, credo sia centrale saper riconoscere che questi stessi significati non possono considerarsi “cristallizzati”, come direbbe la nostra Corte costituzionale.

Piuttosto, dai significati originari è necessario partire per verificarne la persistente attualità entro il contesto sociale, così da potere accogliere nuovi significati, più inclusivi e capaci di riflettere gli inarrestabili mutamenti sociali di cui siamo testimoni ogni giorno.

In definita, potremmo dire, che uno sguardo al passato aiuta sempre a comprendere le origini delle parole, ma non può frenarne l’evoluzione e la capacità delle parole di assumere significati nuovi e diversi in linea con i tratti della società contemporanea.

La polisemia di accezioni, ovvero genere linguistico, biologico e sociale, su cui riflette, dimostra quanto la dimensione linguistica emani riecheggiamenti nella maniera in cui si avverte la realtà, si erige l’identità e si calcificano i preconcetti. Reputa che modi di dire, proverbi e battute possano costituire l’anticamera di forme di violenza?

La domanda potrebbe, credo, essere riformulata concentrandosi sul ruolo che i pregiudizi, o meglio, gli stereotipi assumono entro il contesto sociale.

Certamente, e purtroppo, modi di dire, espressioni, parole e, appunto, stereotipi costituiscono spesso la prima causa di fenomeni sociali quali la violenza.

Penso, soprattutto, alla violenza nei confronti delle donne e delle categorie più svantaggiate, come, ad esempio, le persone con disabilità oppure i e le migranti che arrivano nel nostro Paese dopo viaggi estenuanti ed estremamente pericolosi.

Gli stereotipi, in particolare, possono rivelarsi particolarmente nocivi, perché fissano pregiudizi, spesso negativi, nei confronti di chi è diverso oppure diversa da noi.

Prendendo quale esempio la violenza nei confronti delle donne, non si può certo disconoscere che la costruzione sociale diseguale tra uomini e donne che, spesso, contribuisce a rendere oppure a fare concepire la donna alla stregua di una proprietà dell’uomo non può non essere considerata causa di comportamenti violenti che, purtroppo, costituiscono un fenomeno in crescita nel nostro Paese così come a livello globale.

Le parole, le espressioni e gli stereotipi, aggiungerei, devono essere pesati ed utilizzati con cautela nella piena consapevolezza del loro potere e della loro capacità di influenzare in modo decisivo comportanti e condotte violente, lesive dei diritti fondamentali delle persone.

Lei ripercorre anche la quotidianità linguistica: abitudini, consuetudini, situazioni in cui tutti possono identificarsi, aprendo una riflessione sulla libertà che conferisce un uso pregno e consapevole della lingua. La Parola possiede un potere civico?

La parola, se utilizzata in modo non lesivo di diritti fondamentali come nei casi citati appena sopra, certamente può e deve assolvere ad una funzione civica.

Ho fatto riferimento alla Costituzione. Anche la Costituzione, come ovvio, ha un proprio linguaggio, fatto di parole ed espressioni ed è a quelle parole, a quelle espressioni che occorre guardare quando si voglia discutere della funzione civica delle parole.

Le parole hanno una forza intrinseca, perché orientano i comportamenti individuali e collettivi. Sta a noi, come cittadini e cittadine, scegliere le parole e le espressioni più “giuste” per favorire la diffusione di un linguaggio rispettoso dei diritti e delle libertà di tutti e tutte e non al contrario violento e offensivo della dignità altrui.

Una discriminazione davvero aggressiva, oggi, è costituita dall’hate speech.

In qual misura i social network hanno acuito il fenomeno?

Sicuramente il discorso d’odio, il c.d. Hate Speech, costituisce una delle conseguenze più gravi legate ad uso delle parole lesivo dei diritti fondamentali.

L’ingresso dei social networks ha sicuramente contribuito ad amplificarne la dimensione quantitativa e qualitativa.

La velocità, l’immediatezza, l’assenza di filtri e di controlli efficaci di tutto ciò che viene espresso e diffuso sui social networks ha reso il discorso d’odio un fenomeno quotidiano e assai complesso da regolamentare.

Si tratta di un fenomeno che non si mantiene ovviamente entro i confini dei singoli Stati, ma che possiede una dimensione globale, che rende necessarie risposte uniformi e, ancora una volta, globali. Risposte difficili da trovare ma di cui molto ci si sta occupando a livello sicuramente europeo.

L’auspicio è che si riesca ad arginare le conseguenze più pericolose di questo fenomeno, senza che si opti per soluzioni che comportino il sacrificio integrale di un diritto, la libertà di manifestazione del pensiero, che la nostra Corte costituzionale ha affermato rappresentare la “pietra angolare” della nostra democrazia.

 

Marilisa D’Amico è professoressa ordinaria di Diritto costituzionale e Prorettrice con delega a Legalità, trasparenza e parità di diritti nell’Università degli Studi di Milano. Come avvocato ha difeso davanti alle Corti italiane ed europee questioni relative ai diritti fondamentali, come quelle sulla procreazione medicalmente assistita, sul matrimonio omosessuale, sulla presenza femminile nelle Giunte regionali. Nelle nostre edizioni ha pubblicato Una parità ambigua (2020) e Parole che separano (2023).

Giuseppina Capone

Baccalà Village a San Marco Evangelista: un tripudio di sapori , cultura e divertimento.

Prosegue il Baccalà Village, la kermesse gastronomica itinerante dedicata al baccalà, giunta alla sua quarta tappa. L’appuntamento di questo inizio autunno si terrà a San Marco Evangelista (CE), presso l’ampio Polo Fieristico A1 Expo (uscita Caserta Sud), da oggi, Venerdì 29 settembre a domenica 1 ottobre, ingresso libero dalle ore 18 alle 24. L’evento è ideato dallo chef “scellato” (come si autodefinisce) Antonio Peluso, della Locanda del Baccalà di Marcianise. Per questa tappa, Peluso ha previsto due importanti novità: la partecipazione degli chef stellati e delle star dei social, in particolare di TikTok, il pizzaiolo Errico Porzio e lo chef Peppe Di Napoli dell’omonima pescheria e due nuovi piatti da scegliere nelle tre consuete proposte di menu, ovvero il baccalà alla brace e la zuppa di baccalà con patate. Nelle tre classiche proposte di menu, logicamente il baccalà sarà l’ingrediente principale: una prima proposta dove si potrà scegliere un antipasto, un primo tra paccheri con pomodorini, olive e capperi e baccalà, risotto al radicchio, provola e baccalà e ziti alla genovese di mare con baccalà, oltre alla bevanda, al dolce e al caffè. Un secondo menu dove ci sarà sempre un antipasto a scelta e un secondo a scelta tra baccalà fritto con contorno, baccalà in cassuola o gratinato al forno con mandorle, e ovviamente bibita, dolce e caffè, e poi il menu completo con antipasto, primo, secondo, dolce, bibita e caffè. Mentre per gli amanti della pizza ci saranno la pizza bianca e quella rossa, entrambe ovviamente con baccalà. Per coloro che non sono amanti del baccalà saranno a disposizione le stesse proposte gastronomiche, prive però dell’ingrediente protagonista. Tra i dessert, oltre alla consueta sfogliatella classica napoletana e al cioccolatino al baccalà già raccontato da chef Peluso nel suo libro “50 Sfumature di Baccalà”, spicca la novità assoluta della graffa di Zio Savino, food influencer e volto noto televisivo. Venerdì 29 settembre alle 19.30 è in programma un incontro dedicato alla tradizione del baccalà, e moderato dal direttore responsabile della Buona Tavola Magazine Renato Rocco, coi seguenti relatori: il giornalista del Mattino e critico enogastronomico Luciano Pignataro, l’Assessore della Regione Campania all’Agricoltura Nicola Caputo, il Presidente della Provincia di Caserta Giorgio Magliocca, Antonio Limone direttore dell’Istituto Zooprofilattico del Mezzogiorno e i sindaci delle precedenti tappe del Baccalà Village 2023. Porteranno poi i saluti istituzionali il sindaco di San Marco Evangelista Marco Cicala e ovviamente il padrone di casa Antimo Caturano, Presidente dell’A1 Expo. “Dopo aver sdoganato questo alimento dal tradizionale consumo invernale, tipico del periodo natalizio, l’obiettivo è dimostrare che si può gustare il baccalà a prezzi popolari, nonostante il periodo che stiamo attraversando e il costo della materia prima. Anche con soli 15, 18 euro, ad esempio”, assicura lo chef Peluso. Il pensiero va già alla quinta e ultima tappa 2023 del Baccalà Village, prevista per il prossimo Natale a Pignataro Maggiore (CE), con cui salutare l’anno e rimandare alla prossima e terza edizione del 2024 con nuove date e tappe tutte da scoprire.
Ivan Matteo Criscuolo

Patrizia Poli: La pietra in tasca

Emily Brontë innalza la scrittura a “pulsazione, respiro, centro assoluto del vivere”. La narrazione in poesia e prosa da intendersi come rifugio paradisiaco?

Per Emily la scrittura era una fuga di libertà nella fantasia, una trascendenza romantica, e la poesia uno sfogo privatissimo. Ma non fuggiva dalla realtà quotidiana che amava oltre ogni dire. Adorava il luogo in cui viveva, la propria famiglia e i lavori umili che volentieri svolgeva nell’ambito domestico. Tuttavia la sua immaginazione, il suo cuore potente, la sua sensibilità sentimentale la spingevano verso lidi di gloria, di passione, tormento e turbamento, dove tutto era possibile e non esistevano mezze misure. Non cercava il paradiso, lo aveva già a portata di mano, le bastava guardare fuori della finestra. Cathy, nel romanzo, ha un incubo in cui si trova nel regno dei cieli e piange disperata perché vuole tornare sulla terra, nella brughiera e fra le braccia di Heathcliff, non certo un angelo, piuttosto un demonio che solo lei sa domare.

Può fornire degli elementi circa il contesto familiare e sociale in cui l’autrice ha scritto e vissuto?

Emily ha vissuto un’esistenza tragica ma quieta, in una famiglia che la amava e non era così rozza o isolata come poi si è voluto far credere. Figlia d’intellettuali, autodidatta come i suoi fratelli, ha poi perfezionato gli studi, anche all’estero. A Haworth non c’erano grandi distrazioni ma si leggeva, si dipingeva, si suonava, si commentavano le notizie politiche e sociali. Purtroppo un’atmosfera di morte ha accompagnato questa famiglia, a partire dal luogo dove i fratelli sono cresciuti, circondato da cupe pietre tombali, fino ai drammatici fatti che li hanno strappati al mondo nel fiore degli anni, uno dopo l’altro.

Emily Brontë pare essere in piena sintonia con gli elementi della natura.

Potrebbe essere questa specifica attitudine poetica la chiave per comprendere l’autrice di “Cime Tempestose”?

Senz’altro esiste fusione completa fra natura e opera poetica dell’autrice. I suoi personaggi non sono immorali ma premorali, agiscono come gli elementi atmosferici, come un fiume che esce dal suo letto o un terremoto che scuote le fondamenta della terra. Non importa quante vittime lascino sul cammino, loro devono fare quello che fanno, cioè amarsi, azzannarsi, fondersi. Ecco perché questo romanzo è così unico, così speciale, così fuori dal tempo.

Frammenti di lettere, poesie, testimonianze guidano direttamente il lettore in questa doviziosa biografia. Interessanti sono i rapporti intrafamiliari.

Quale analisi possibile?

In realtà la mia non è l’ennesima biografia, per questo vi rimando a quella classica, e fuorviante, di Elizabeth Gaskell – da cui è tratto il mirabile romanzo di Lynne Reid Banks e che ha contribuito a creare la “leggenda dei Brontë –, a quella monumentale, moderna e innovativa di Juliet Barker o a quella poetica e struggente di Paola Tonussi.

Qui è Emily che, ormai spirito nella brughiera come la sua Cathy e il suo Heathcliff, ricorda la propria vita e rivive il romanzo. Per questo ci sono ripetizioni e rimandi continui, per questo si va volutamente avanti e indietro nel tempo, mentre i ricordi si mescolano e rincorrono, insistenti, in un flusso di coscienza inarrestabile.

Emily era se stessa solo a casa, nella brughiera, con la famiglia e con i suoi amati animali: cani, gatti, falchi. Aveva un rapporto speciale con Anne, la sorella minore, ma adorava anche tutti gli altri componenti della famiglia: suo padre, serio, burbero ma giusto e compassionevole. Charlotte, severa e timida, romantica, l’unica a diventare famosa prima della morte. Branwell, che lei non giudicava ma sosteneva nonostante le malefatte. E poi la serva Tabitha che stimolava con i racconti la fantasia dei fratelli, la zia Elisabeth giunta a sostituire la madre morta. Il ricordo pietoso e struggente di Maria ed Elisabeth, le sorelle decedute da bambine.

Una famiglia unita nella fede e nel dolore ma anche molto nell’amore per le lettere e le arti, per la politica e l’impegno sociale. Una famiglia che, dopo aver perso la madre, ha visto morire in due mesi due sorelline e poi, a distanza di anni, altri tre fratelli in nove mesi.

Lettere, poesie e testimonianze sono state la base dalle quali sono partita, dunque, ma non le ho citate né riportate nel testo.

In “La pietra in tasca” emerge l’immaginario letterario di Emily Brontë.

Può motivare il suo interesse per l’autrice?

Credo di aver letto da ragazzina una vecchia edizione di “Cime tempestose” trovata in casa. M’innamorai subito dell’atmosfera “infestata e spettrale” del romanzo. Ho cercato di riproporla nella rivisitazione del testo che compone la seconda parte di “La pietra in tasca”.  All’università, poi, scrissi una tesina sull’argomento, approfondendolo, e da allora, il bisogno di scavare nell’animo di Emily e di Charlotte, e della loro disgraziata famiglia, non mi ha mai abbandonato.

Che cos’ha di tanto travolgente il romanzo di Emily? L’eroe byronico è scisso in due e non trova nessuna controparte capace di rabbonirlo e redimerlo. In realtà l’eroe satanico trova qui la sua amata metà dell’inferno. Heathcliff e Cathy non “s’innamorano”, non si scoprono, semplicemente “esistono” l’uno nell’altra, da sempre e per sempre (e, entrambi, sono Emily Brontë).

Un libro senza scampo, senza redenzione, almeno per i due eroi principali – dove la morte non è una sconfitta o una punizione bensì un premio. Non vanno in paradiso, questi due, né all’inferno, vanno in un luogo – la brughiera – al quale entrambi appartengono; si ritrovano, tornano a fondersi, a essere di nuovo la persona che la sorte aveva diviso.

Patrizia Poli

Si è laureata in lingua e letteratura inglese.

Ha gestito per molti anni un negozio in un quartiere popolare della sua città, poi si è dedicata a tempo pieno alla scrittura.

In passato ha collaborato al blog Critica Letteraria e al sito Livorno Magazine.

Dal 2012 amministra il blog culturale collettivo signoradeifiltri.

Ha tradotto alcuni saggi dello scrittore Guido Mina di Sospiro pubblicati sulla rivista Pangea.

Ha pubblicato:

L’uomo del sorriso, Marchetti Editore 2015, segnalato al XXVI premio Calvino e recensito su L’indice dei libri del mese, romanzo storico incentrato sulle figure di Gesù e Maria Maddalena.

Signora dei filtri, Marchetti Editore, 2017, romanzo mitologico basato sulla storia di Medea e Giasone e del viaggio degli Argonauti.

Una casa di vento, Marchetti Editore, 2019, storia di sentimenti familiari difficili, ambientata a Livorno ai giorni nostri.

L’ultima luna, Milena Edizioni, 2021, romance ambientato in Africa.

L’isola delle lepri, Literary Romance, 2021, romanzo storico su Santa Margherita d’Ungheria.

Axis Mundi, Literary Romance, 2021, historical romance sul ciclo arturiano.

Post Partum, Butterfly Edizioni, 2023, scritto a quattro mani con la scrittrice ogliastrina Federica Cabras.

La pietra in tasca, Literary Romance, 2023.

Giuseppina Capone

Nola: L’importanza della memoria

Nella fatidica data dell’11 settembre si è tenuta, presso il Teatro Umberto di Nola, la giornata in ricordo dell’eccidio di Nola, in occasione dell’80º anniversario.

L’evento ha avuto luogo alle 19:30 ed è stato un connubio perfetto tra filmati e recitazione, uno spettacolo dinamico, che ha saputo tenere gli spettatori, di tutte le età, sempre attenti alla scena, soprattutto scatenando in loro un forte senso di comprensione al ricordo degli eventi.

Certo, la tematica non è delle più felici, in quanto 10 ufficiali del 48º reggimento italiano furono fucilati ad opera della divisione nazista Göring, in seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943, ma i vari interventi degli attori in scena, tra monologhi, balli e canzoni, non hanno fatto calare una vena malinconica, ma sono stati capaci di suscitare un forte senso di appartenenza e commemorazione per le imprese di chi ha difeso la città di Nola.

Durante l’evento si sono alternati filmati ufficiali dell’Istituto Luce, accompagnati dalla narrazione di chi era sul palco, prima da un punto di vista degli Alleati, spiegando modalità e dettagli dello sbarco avvenuto tra Salerno e Agropoli il 9 settembre 1943, successivamente anche dalla parte di chi era quel giorno sul luogo, nella caserma Principe Amedeo, ovvero il tenente Michele Nicoletti. Infine la parte che sicuramente ha colpito di più è stata quella della “memoria”, considerata nemica del tempo e ben diversa dalla storia, il cui compito era in questa occasione ricordare chi eroicamente si è mosso in prima linea per la difesa di Nola, e che anche da innocente ha pagato con la vita, come i tenenti Antonio Pesce ed Enrico Forzati.

Lo spettacolo si è concluso con i saluti del Sindaco di Nola Carlo Buonauro, il regista Gaetano Stella, la direzione artistica di Carmela Parmense e infine il colonnello Antonio Grilletto, ideatore dell’iniziativa e della frase:” Amare i caduti ed onorarne la memoria è dovere precipuo di ogni cittadino”.

Dopo i saluti, quando tutti si stavano per alzare, al pubblico è stata offerta una particolare sorpresa, infatti ad assistere c’erano due parenti degli eroi già citati, Alberto Liguoro, figlio del tenente Alberto Pesce e Antonio Forzati, nipote di Enrico Forzati, accompagnati da numerosi applausi.

Rocco Angri

 

(Foto Rocco Angri)

1527 Quando Napoli fece voto a San Gennaro

L’Associazione Culturale “Napoli è”  insieme al Museo dei Sedili di Napoli, diretto dalla giornalista Alessandra Desideri, partecipano alla VI edizione di “1527 Quando Napoli fece Voto a San Gennaro” evento realizzato sotto l’egida del “Comitato promotore UNESCO per la candidatura del culto e devozione popolare di San Gennaro a Napoli e nel Mondo” nato nel 2020 per iniziativa dell’Arcidiocesi di Napoli, del LUPT dell’Università Federico II, dell’ICOMOS, della Deputazione della Cappella del Tesoro di San Gennaro, del Comitato Diocesano San Gennaro, del Museo Diocesano, della Fondazione Fare Chiesa e Città, nonché da Sebeto APS, Fondazione Ferrante Sanseverino e Associazione I Sedili di Napoli ONLUS (che coordina l’evento), con il patrocinio morale dal Comune di Napoli e dell’Istituto Cervantes in Napoli.

La Fotografia in Italia con FOTOIT

Il numero di settembre di FOTOIT, la rivista della FIAF (Federazione Italiana delle Associazioni Fotografiche),si apre con l’editoriale del Presidente FIAF Roberto Rossi in cui parla delle iniziative in corso e di quelle programmate  fra le quali quelle per la chiusura delle celebrazioni dei 75 anni di vita.

La sezione “Periscopio” segnala eventi fotografici  (mostre, concorsi, letture portfolio, presentazione di volumi, ecc.) in giro per l’Italia.

In questo numero, come usuale nella rivista, spazio agli autori: Robert Doisneau, Alessandro Fruzzetti, Francesco Faraci, Mario Cresci, Chiara Innocenti (che è anche l’autrice scelta per la copertina), Leonilda Prato, Massimo Alfano, Marco De Angelis, Anna Pierottini.

“Singolarmente fotografia” è dedicata alle foto dell’anno. Per “Lavori in corso” istruzioni di lavoro con “Il Focus Stacking 2”.

Interessante il saggio sulla Fotografia transfigurativa e la “Storia di una fotografia” con Tearful.

La rubrica Circoli FIAF presenta l’Associazione Culturale Fotografica La Tangenziale.

Antonio Desideri

 

“I Lunedì dei Castelli” appuntamento dal 2 ottobre con l’Istituto Italiano dei Castelli

Parte il 2 ottobre il ciclo di seminari “I Lunedì dei Castelli”, un appuntamento serale autunnale dedicato a tutti coloro che vorranno conoscere il variegato mondo delle fortificazioni e potranno incontrarsi con altre persone interessate al tema e con i soci dell’Istituto Italiano dei Castelli.

“Si tratta del primo ciclo strutturato a livello nazionale – sottolineano gli organizzatori –  promosso dal nostro Istituto, dopo l’esperienza pilota “paesaggio e fortificazioni” svoltasi nel 2021, durante la pandemia. L’obiettivo del corso è fornire ai partecipanti una prima chiave di lettura per la corretta conoscenza del vastissimo patrimonio di architettura fortificata ancora oggi presente sul territorio nazionale e che costituisce una componente fondamentale dei Beni Culturali Archeologici ed Architettonici”.

Il ciclo di seminari sarà svolto in modalità online su piattaforma Google Meet ed articolato in 11 incontri. I seminari saranno tenuti dai membri del Consiglio Scientifico dell’Istituto Italiano dei Castelli, da docenti delle Università italiane, da funzionari delle soprintendenze.

Quali sono i temi trattati nel ciclo di conferenze?

“Tra i temi trattati – elencano gli organizzatori – : le fortificazioni in epoca classica, con approfondimento dei casi paradigmatici di Paestum e Pompei; l’architettura difensiva normanno-sveva in Italia meridionale tra XI e XIII secolo; il sistema dei castelli viscontei in Lombardia; le caratteristiche architettoniche e funzionali dei castelli siciliani, con particolare attenzione alle influenze arabe; le artiglierie nevrobalistiche e la rivoluzione della polvere da sparo, tecniche che modificarono la prassi ossidionale a partire dal XIV secolo; le trasformazioni dei castelli in Italia centrale e nel Mezzogiorno nella seconda metà del XV secolo per l’adeguamento alle nuove tecniche di assedio (fase dell’architettura militare di Transito); la fortificazione cd. “alla moderna” caratterizzata dall’introduzione della traccia all’italiana (fronte bastionato) che caratterizzerà l’evoluzione dell’architettura militare per circa tre secoli, con gli esempi paradigmatici delle fortezze veneziane dello “Stato di Terra”; i grandi forti di sbarramento in Piemonte e Valle d’Aosta tra XVII e XVIII secolo (Exilles, Bard, Demonte, La Brunetta, Fenestrelle); la scuola militare prussiana e il caso dei forti di Verona e del Quadrilatero; le opere difensive in calcestruzzo armato e la protezione delle coste nel XX secolo, con particolare riferimento alla Sardegna e, infine, l’iconografia dei castelli nelle rappresentazioni artistiche in Trentino Alto Adige”.

Un ciclo di seminari dedicato non solo agli appassionati, ma, soprattutto, agli operatori dei beni culturali, studenti, architetti e ingegneri.

La partecipazione al ciclo di studi consente, agli studenti, di richiedere al proprio corso di laurea il riconoscimento di crediti per le attività a scelta/libere.

A fine corso agli iscritti sarà rilasciato attestato di frequenza.

Per iscrizioni e informazioni:: corsocastellologia@istitutoitalianocastelli.it tel. 392 7204031

Antonio Desideri

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