La collina di Posillipo ed il  Parco  virgiliano

Etimologicamente il nome Posillipo deriva dal greco Pausilypon che significa “tregua dal pericolo”  o “che fa cessare il dolore”, ovvero la bellezza quale antidoto  al dolore.

I primi ad abitare questa collina furono i greci, rapiti dalla sua incantevole bellezza.

Dopo i greci anche i romani furono conquistati dalla sua bellezza e vi costruirono le loro ville dove trascorrevano  le loro vacanze.

La spiaggia è disseminata  di rovine di antiche costruzioni ed in tutta l’area si possono notare tutt’oggi le tracce dei templi della Dea Fortuna, di Mercurio, Venere Leucothea e Mitra, segni  della prosperità degli abitanti del luogo.

Il parco Virgiliano fu realizzato su disposizione dell’alto commissario per la Provincia di  Napoli, durante gli anni  20 ed aperto al  pubblico nel 1931 come parco  Vittoria o della Bellezza.

Il parco è costituito da una serie di terrazze prospicienti il Golfo di Napoli da ove si possono  scorgere le isole di Capri, Procida ed Ischia  e l’isolotto di Nisida.

Si possono scorgere ancora le antiche aperture che ventilavano il tunnel che conduceva alla  residenza di Pubblio Vedio Pollione, a poca distanza dalla Villa Imperiale di Pausilypon  e  ai resti     del teatro del I secolo a. c.

Il parco archeologico scende dalla collina fino a raggiungere il vallone della Gaiola, a cui si accede attraverso la Grotta di Seiano, fatta costruire da Augusto e che mette in comunicazione Coroglio  con la Gaiola.

La cosa più strabiliante è il parco  sommerso, istituito nel 2022 dai Ministeri dell’Ambiente e dei Beni Culturali.

Nelle acque che circondano l’isolotto della Gaiola si estende fino alla baia di Trentaremi, il Parco sommerso che tra l’altro ha una  enorme importanza biologica, poiché, per la complessità dei  fondali e il continuo ricambio di acqua determinato dalle correnti marine, si è permesso l’insediamento  e lo sviluppo di una enorme e variegata  quantità di specie  marine.

Purtroppo  negli ultimi anni   questo prezioso  gioiello non è stato rispettato ed è stato  oggetto di speculazione edilizia e di abbandono da parte delle istituzioni.

Alessandra  Federico

 

 

 

 

La natura e l’uomo

Quando parliamo di natura indichiamo l’ambiente e quindi  tutto il mondo  materiale  che è intorno a noi: un luogo esterno a noi.

In tal modo l’uomo quasi non si considera parte integrale della natura ma la considera solo come qualcosa da utilizzare  per i propri scopi.

Al contrario è proprio per tutelare  noi stessi, che dovremo  considerare la natura  come  l’universo  stesso, ovvero:

sistema totale dei fenomeni fisici e degli esseri viventi, animali vegetali e  minerali, che presentano un ordine, realizzano dei tipi e si formano secondo leggi”.

La parola natura quindi racchiude in sé il concetto stesso di esistenza.

Ma in effetti il concetto di natura è strettamente connesso a quello di ambiente.

Sono ambienti  naturali  i boschi e le foreste, il deserto, le spiagge ed il  mare e gli oceani e tutti gli ambienti che  non sono stati  artefatti dagli uomini.

Quando da nomade e cacciatore-raccoglitore, la specie umana  è divenuta  stanziale, ha iniziato ad apportare modifiche nell’ambiente naturale, per renderlo più idoneo alle proprie necessità, ma ha continuato a rispettare le leggi dell’universo, rapportandosi costantemente a loro, valutando ogni possibile impatto che ogni  innovazioni avrebbe potuto apportare non solo  nel  tempo immediato ma per le  future generazioni.

Questo è il modello di vita che ha consentito all’umanità di progredire nel corso dei millenni in  armonia con la natura.

Durante il medioevo esisteva una concezione  dell’armonia e dell’equilibrio tra l’uomo, la natura e l’universo, che rendeva l’uomo qualcosa di speciale, un tassello unico all’interno di uno straordinario e celestiale mosaico. Questa visione dell’armonia e dell’equilibrio cosmico  proveniente soprattutto dalle filosofie del mondo greco e romano, ha influenzato per secoli  la  mente umana rendendola capace  delle  più alte realizzazioni.

Sull’armonia tra uomo e cosmo.

Giuseppe  Veneziano

Quando  successivamente, ed in particolare  negli ultimi due secoli, le espressioni dell’uomo si sono  distaccate da queste concezioni, e abbandonando il dubbio  metodologico della ricerca  scientifica,  si è accostato alla scienza con lo stesso spirito di fede che aveva verso le divinità, il suo comportamento nei confronti della natura è radicalmente  cambiato.

“nei secoli il fare scienza ha cambiato radicalmente senso. Da una concezione che collocava  le  verità scientifiche in subordine a quelle  religiose si è passato alle più radicali  posizioni libertarie. La società condiziona, quindi, le scelte degli scienziati. Il progresso scientifico, a sua volta ha spesso innescato processi di  cambiamento della società”.

Umberto  Galimberti

L’antropizzazione ha quindi  fatto si che:

In alcune aree dell’ambiente  naturale si  è intervenuti trasformando e  modificando, sfruttando  le risorse  naturali mettendo a repentaglio  la sua  stessa sopravvivenza e quelle delle altre specie viventi”.

Stefania Belmonte. Il giornale dell’ambiente

L’ambiente antropizzato è  il luogo dove viviamo ed è l’insieme  delle condizioni sociali, morali  culturali, storiche ed economiche in cui un individuo vive e che lo definiscono

Alessandra Federico

Intervista a Katya Maugeri autrice del libro “Tutte le cose che ho perso”

Le donne detenute rappresentano appena il 4% dell’intera popolazione carceraria, percentuale esigua.

Emarginate fra gli emarginati: è possibile intravedere nella scarsità numerica la ragione per la quale se ne discute raramente?

La realtà carceraria è sommersa dal pregiudizio, dall’indifferenza collettiva che vede il carcere come una istituzione punitiva pertanto i detenuti e le detenute sono considerati scarti della società.                                                               
Le sette donne intervistate, recluse nel carcere femminile di Rebibbia, protagoniste di storie autobiografiche, non hanno nomi bensì numeri. Perché?

I capitoli sono divisi in “celle” con dei numeri che le rappresentano.

Loro, durante le nostre chiacchierate, mi hanno raccontato di sentirsi identificate in numeri e private della loro identità.

“Lo dovrebbero raccontare tutti che tra quelle mura il tempo smette di esistere”.

Un tempo senza frequenza, senza scansione.

Da quali azioni e pensieri è scandita la quotidianità dietro le sbarre?

È un non-tempo in un non-luogo, in cui si resta sospesi e intrappolati.

Ci sono varie attività che stimolano la creatività delle detenute, ma solo chi realmente ha la forza emotiva di rimettersi in gioco trova in quelle azioni il punto dal quale rinascere. Altre, invece, si abbandonano in pensieri negativi e scelgono azioni estreme.

“Il carcere è un universo parallelo, una realtà intrisa di pensieri disordinati, confusi, dove la stessa identità personale rischia di perdersi.”

Qual è il rapporto delle detenute con la peculiare condizione della genitorialità?

La genitorialità è molto complessa all’interno di un istituto penitenziario.

A soffrirne sono certamente i bambini che, da innocenti, scontano una pena ingiusta.

I bambini non dovrebbero assolutamente vivere dietro le sbarre, dovrebbero vivere da bambini liberi di poter sognare il proprio futuro.

Il 2022 è ricordato come l’anno record dei suicidi in carcere; nei primi sei mesi del 2023 già 25 persone si sono tolte la vita in cella. Qualche giorno fa 3 persone hanno scelto di morire.

Lo Stato non dovrebbe salvaguardare la salute e la libertà personale?

La salute mentale non si cura all’interno di un carcere ma in strutture specializzate, servono percorsi individuali per cercare di recuperare chi vive la detenzione.

I suicidi mostrano una chiara fotografia dei disagi all’interno degli istituti carcerari, sono dati allarmanti, è un’emergenza che non può più essere ignorata.

Il libro-inchiesta è arricchito dalla prefazione del magistrato Francesco Maisto, Garante dei detenuti, dalla postfazione della sociologa Eleonora de Nardis e dal contributo di Sandro Libianchi, Presidente del Coordinamento nazionale Operatori per la Salute nelle Carceri Italiane.

Che senso ha, oggi, l’uso del termine “rieducazione”?

La rieducazione è indispensabile se davvero vogliamo definirci una società civile, umana.

È la finalità della pena e consiste nel creare da parte dello Stato durante l’esecuzione della stessa, le condizioni necessarie affinché il detenuto possa successivamente reinserirsi nella società in modo dignitoso mettendolo poi in condizioni, una volta in libertà, di non commettere nuovi reati

“Il carrellino della felicità”.

Qual è il ruolo e la funzione degli psicofarmaci dietro le sbarre?

Il “carello della felicità” rappresenta il modo che hanno le detenute di sospendere i loro pensieri, le loro ansie.

Sono psicofarmaci prescritti per le loro patologie, non vengono forniti a caso chiaramente. È un modo per anestetizzarsi e allontanare angosce e preoccupazioni.

Dottoressa Maugeri, la narrazione della propria esperienza può assumere una finalità terapeutica?

La scrittura autobiografica è terapeutica, assolutamente. Me ne occupo da diversi anni all’interno di una comunità terapeutica per tossicodipendenti.

Raccontare di sé porta inevitabilmente a conoscere le proprie ombre, gli errori e le origini di questi sbagli. Raccontarsi è un pò come ritrovarsi. E da quel punto iniziare a migliorare, uscire fuori dal tunnel e camminare verso un futuro migliore.

Giuseppina Capone

Nola, alla luce nuovi reperti archeologici

La città di Nola è sempre stata un punto strategico nella Penisola, crocevia di diversi popoli, che hanno lasciato traccia nel centro campano.

Capita sempre più spesso, infatti, che vengano annunciate nuove scoperte, come il caso di qualche giorno fa, quando, in una zona periferica della città, è stato portato alla luce un reperto risalente all’età medioevale, nello specifico i molteplici impianti di calcare per la trasformazione in calce ci possono ricondurre ad un quartiere dell’artigianato.

La datazione è ancora incerta, ma si potrebbero collocare i ritrovamenti nel periodo VI-VII secolo, inoltre, la presenza di statue rappresentanti toghe romane ci fa comprendere come Nola fosse non solo abitata dai Germani, protagonisti dei famosi regni Romano-Barbarici, ma anche da mercanti e artigiani provenienti dall’Impero Romano d’Oriente e quindi di grande spessore.

Non ci dobbiamo meravigliare dinanzi a questa fusione tra due popoli così diversi, infatti Nola era stata un fiore all’occhiello della civiltà romana, insieme a Cuma e Capua, di conseguenza edifici e cultura romana erano ben collocati nella cittadina di Nola, spunto e occasione di erudizione per i “cugini” di Costantinopoli, che nonostante si dovessero confrontare con i rozzi barbari, non perdevano occasione di frequentare Nola e il vicino regno di Napoli per spunto ed erudizione “classica”, mantenendo culturalmente e socialmente viva la città.

Rocco Angri

 

(Foto di Rocco Angri)

Anfiteatro di Nola nuovamente visibile

Nola è un centro ricco di storia, addirittura più antico di Roma, grazie ai resti risalenti all’età del bronzo, al nome di origine etrusca “Hyria” e a quello sannitico “Nuvla” e diventato un vero e proprio punto di riferimento nella penisola durante l’epoca romana.

Parlare della “Festa dei gigli” (classificata come bene immateriale del patrimonio UNESCO) sarebbe limitativo, visto ciò che il territorio nolano ha da offrire, come il famoso “Anfiteatro Laterizio”, risalente al I sec a.C., che misura all’incirca 138×108 m, di cui purtroppo al giorno d’oggi è stato portato alla luce circa un terzo, anche se in questi ultimi mesi il vento sembra star cambiando.

La Soprintendenza dell’Area metropolitana di Napoli, rappresentata dall’arch. Mariano Nuzzo, ha programmato la riqualificazione dell’area dell’anfiteatro, cercando di riportare alla luce l’intera struttura, che magari darà spazio a nuove scoperte, e di aprire al pubblico lo spazio che riguarda anche le mura della città.

L’anfiteatro fu realizzato intorno al 80 a.C. sotto commissione di Silla, che dopo aver conquistato la città di Nola, ordinò una sorta di sviluppo civile e urbanistico, che racchiudeva nel progetto la realizzazione della struttura vicino alle mura della città, di cui ancora oggi possiamo vedere i resti.

Nel corso dei secoli l’anfiteatro subì diverse ristrutturazioni, tra cui una in cui si sostituirono le mura precedenti con delle nuove in tufo, più resistenti, che intorno al XV sec furono usate per la realizzazione della facciata di Palazzo Orsini.

Disponiamo anche di alcune testimonianze scritte, prima tra tutte quella di Ambrogio Leone nel suo “De Nola”, nel 1514 e altre fonti minori aragonesi che ci parlano della maestosità dell’anfiteatro, ed infine lo storico polacco Karl Beloch, amante di Napoli e dintorni, parla dell’anfiteatro come opera che sta andando a deteriorarsi, infatti era visibile ben poco, visto l’innalzamento del terreno e la poca attenzione che veniva data all’area.

Nel 1993 finalmente gli scavi hanno portato alla luce una piccola parte dell’anfiteatro, ma ci auguriamo che i lavori avviati dalla Soprintendenza, che dovrebbero terminare il 25/12/2023 diano ottimi risultati, conferendo a Nola un ulteriore motivo di vanto e sperando che nuovi elementi possano far tornare un flusso turistico per ammirare i resti dell’antica civiltà romana.

Rocco Angri

Claudio Scarano, un artista che ama definirsi “modestamente pittore”

Modestamente pittore, così si definisce Claudio Scarano , versatile e pluripremiato artista, considerato dalla critica come “l’ultimo pittore della Scuola di Posillipo”, l’ultimo pittore dell’800 napoletano.

Guardare le opere di Scarano porta a scoprire luoghi noti e meno noti che attraverso le sue pennellate diventano vera e propria emozione che si trasferisce nel soggetto della sua opera pittorica. E così, pennellata dopo pennellata, le immagini prendono corpo e i colori attraverso le loro combinazioni e ombreggiature costruiscono visioni e prospettive mettendo in risalto la sua abilità tecnica e la sua capacità di combinare insieme, in un mix vincente, colore ed emozione dando alla pittura quella “voce” propria che ne fa l’opera identificativa dell’autore.

Claudio Scarano nella sua lunga carriera artistica ha al suo attivo mostre personali e collettive in Italia e all’estero (New York, Londra, Francia), numerosi premi e riconoscimenti nazionali ed internazionali, riconoscimenti da critici e stampa. Tra i riconoscimenti internazionali che Scarano ritiene particolarmente significativi vi è l’Oscar Mondiale della pittura a Montecarlo.

Alcune sue opere sono esposte in via permanente nel Museo dei Sedili di Napoli presso la Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus.

La sua abilità artistica si rivela sia nelle opere realizzate in studio sia in quelle in “estemporanea” dove le pennellate conservano tutta la loro forza e valore. I suoi quadri e la sua carriera travalicano il suo definirsi semplicemente come “modestamente pittore”.

Antonio Desideri

Un Fotoit ricco di storie

La rivista FOTOIT della FIAF Federazione Italiana delle Associazioni Fotografiche nel numero di luglio-agosto 2023 propone una interessante carrellata di articoli di approfondimento sul 75mo Congresso Nazionale della Federazione tenutosi a Caorle e su alcuni protagonisti della fotografia contemporanea. Fra questi Ugo Mulas, Gea Casolaro,  Helmut Newton, Fabio Magara,  Riccardo Varini, Toti Clemente, Christian Velcich.

Un saggio di Filippo Venturi è dedicato all’Intelligenza Artificiale che “ha travolto le nostre vite come uno tsunami all’inizio di questo2023”. La rubrica Periscopio propone alcune mostre  i giro per l’Italia e spazio è anche dedicato alle iniziative dei Club affiliati alla FIAF.

Una rivista fotografica ricca di interessanti spunti di approfondimento per gli appassionati di fotografia e per coloro che sono agli inizi di questa forma d’arte.

Antonio Desideri

Discorsi sulla bellezza

La bellezza è soggettiva. La bellezza è oggettiva.

È possibile discutere obiettivamente circa la Bellezza senza essere influenzati dal proprio senso e gusto?

Nella raccolta di saggi “Discorsi sulla Bellezza” edito da Pensa, io e i coautori, esperti in discipline molto diverse tra loro dall’arte alla letteratura, dalla filologia classica alla filosofia, dalla musicologia alla sociologia, dalla teologia alla psicologia, abbiamo indagato approfonditamente il tema della bellezza nel tentativo di afferrare l’inafferrabile. Bellezza oggettiva o soggettiva? Il libro porta alla luce alcuni criteri eterni di bellezza – riferibili ad esempio alla sezione aurea, rapporto armonico presente in natura, nelle arti figurative e in matematica – ma indaga, al tempo stesso, il ruolo assunto dalle emozioni nell’attribuzione soggettiva di valore estetico ad un’opera d’arte, ad uno stimolo, dando origine, in alcuni casi, a sintomi psicosomatici transitori, la nota “Sindrome di Stendhal” con estasi e paralisi contemplativa.

Il bello per Aristotele e Platone è il “Vero”. Nell’età moderna, Vico afferma un altro criterio, secondo cui il “vero” è il “fatto” (verum – factum).

Unificando questi due criteri si ricava la forma occidentale della bellezza?

Imbrigliare il segreto della bellezza in dogmi occidentali, orientali, in regole, criteri… è operazione, secondo me, destinata a perdere. Il mio tentativo è stato ed è, viceversa, di aprire e non di chiudere a punti di vista differenti che possano far luce sulle implicazioni eterne del contagio positivo della bellezza.

Oggi, l’opera d’arte è intellettualizzata: l’opera d’arte è “operazione” sul corpo

dell’arte; si fa meta-arte ed in molteplici correnti si traduce in una discesa agli inferi dei materiali dell’arte.

Cosa ne pensa dell’arte che si congiunge con il residuale, con l’immondizia?

Sono cauta nell’esprimermi, qui subentrano suggestioni personali non essendo esperta d’arte. Sono contagiata dal bello eterno, dalle opere della Natura. L’arte moderna la rispetto, ne comprendo il messaggio ma raramente, a mio avviso, tocca punte di eterna bellezza.

Può commentare l’aforisma di Ernst Jünger: “Il mondo diventa sempre più brutto e si riempie di musei”?

Le brutture del mondo credo ci siano sempre state, siamo solo più coinvolti da una rete che ci informa in tempo reale. La bellezza non trovo sia chiusa nei musei anzi apprezzo molto i musei che custodiscono e si prendono cura delle opere che altrimenti andrebbero in rovina. Una nota negativa è nella fruizione, ridotta nei tempi e accelerata nei ritmi, molto spesso pari a quelli di una catena di montaggio. Occorrerebbe maggiore rispetto e la ricaduta, anche a livello culturale, sarebbe sicuramente positiva.

L’educazione e la cultura possono costituire una soluzione eroica per contrastare la volgarità, il pressapochismo ed aprirsi all’invisibile?

La chiave è proprio questa: educazione al gusto, ai sentimenti, al bello.

Il contagio della bellezza è tangibile: amministro da anni un gruppo Facebook “Arte Bellezza Conoscenza” in cui le volgarità sono pari a zero e il bello mostra il suo benefico effetto quotidianamente su comportamenti, pensieri, proposte. In chiusura di questa intervista mi permetto di allegare un mio breve testo tratto dal libro di prosa poetica “Lettere dalle nuvole” esemplificativo delle ricadute positive della bellezza.

 

E se l’antidoto alla rabbia fosse la bellezza?

Chi avrebbe mai moti aggressivi e violenti

se educato dall’infanzia alla grazia e alla gentilezza.

 

La bellezza gratifica e seda la rabbia

dona pace agli animi, nutrendoli.

 

Non una mera promessa

che se non mantenuta alimenterebbe frustrazioni e malcontento

ma esperienza di ricerca e cura del bello in tutte le forme

che il nostro generoso mondo possiede e dona.

Stefania Aurigemma vive a Roma, è psicologa del Lavoro e delle Organizzazioni, specializzata in Formazione Formatori, esperta in Gestione Integrata della Qualità. Ha svolto attività di consulenza nell’ambito della Formazione Manageriale e della Gestione delle Risorse Umane presso primarie aziende nazionali, enti pubblici e Organismi di Certificazione. È autrice di numerose pubblicazioni in tema comportamenti organizzativi efficaci ed ha curato volumi sulla Qualità della Formazione tra cui Formazione innovativa per la qualità – Metodologie, strumenti ed esperienze, Nuovo Studio Tecna, 1999; Formazione nella sanità come strategia di cambiamento, (con Rita Pomposini), Nuovo Studio Tecna, 1999; Qualità e fattore umano (con Massimiliano Galli), Nuovo Studio Tecna, 1999. Recentemente ha orientato i propri interessi verso la psicologia del profondo ad orientamento junghiano. È autrice dei libri di prosa poetica Lettere dalle Nuvole, L’Inedito Edizioni (2018) e I tempi dell’anima, Luca Pensa Editore (2019), curatrice delle raccolte di saggi Autenticità, Pensa Editore (2021), e Discorsi sulla bellezza, Pensa Editore (2023).

Giuseppina Capone

Un nuovo mondo su Marte: i pericoli dell’IA

L’esordiente Goffredo Tripi trascina con il suo Alpha, per i tipi di Effigi Edizioni, il lettore in una storia di fantascienza che travolge e fa riflettere. Ma veniamo alla storia.

Un gigantesco meteorite colpisce il pianeta Terra nel 2187 devastandolo e cancellando ogni forma vivente. Gli unici sopravvissuti dell’umanità sono quelli che abitano la colonia di Marte costituita nel 2053 dalla Società Scientifica Internazionale “e, successivamente, sostenuta e irrobustita da un manipolo di nazioni e multinazionali, aveva realizzato un nuovo modello di struttura geopolitica e sociale. A poche ore dall’Assemblea delle Nazioni di Marte”, incontro assolutamente fondamentale per “il futuro degli abitanti del pianeta, l’impossibile accade: da una remota stazione scientifica realizzata al polo boreale marziano, un gruppo di ricercatori, intento nella mappatura da remoto della superficie della Terra, si accorge che sul pianeta “morto” è apparso come dal nulla un gigantesco manufatto alieno. Misteriosa l’origine, ignoto il significato, sconosciute le sue intenzioni”.

E da qui si dipana un’interessante costruzione narrativa sicuramente interessante per gli appassionati di fantascienza e per i lettori e un monito legato a profondi timori sulla reale pericolosità della Intelligenza Artificiale. Non diciamo di più per non svelare il finale di questo romanzo di Tripi che speriamo non si avveri mai per il bene dell’umanità ma resti sempre e solo un capitolo della vasta letteratura e filmografia fantascientifica.

Antonio Desideri

 

Maghi, streghe e guaritori, un viaggio nell’arte e nel tempo

Un interesse quello di Rosalda Bologni per il mondo dell’esoterismo e la tradizione nei riti di guarigione e nell’arte dagli egiziani al web passando per le campagne senesi che “attraverso un viaggio nel tempo e frequenti rimandi all’arte, si propone di accompagnare il lettore nella ricerca di curiosi legami esoterici tra magia e operatori della tradizione” con il suo libro pubblicato da Effigi dal titolo “Maghi, streghe e guaritori”.

Un interesse nato nel periodo dei suoi studi universitari condotto alla Facoltà di Lettere dell’Università di Siena seguendo l’insegnamento di “Storia delle Tradizioni Popolari” tenuto dal professor Pietro Clemente negli anni ’70-80 del secolo scorso.

Il volume è arricchito da disegni ed illustrazioni e accompagna il lettore alla scoperta dell’esoterismo. La prima parte è dedicata  a “Esoterismo, religione e magia presso gli Egizi”, la seconda a “Esoterismo, tradizioni popolari e stregoneria, anche nell’area senese”, la terza a “Stregoneria e capacità di guarire nella tradizione popolare”.

Un volume da scoprire in particolare per gli appassionati dell’esoterismo.

Bianca Desideri

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