Castel Sant’Elmo, uno sguardo dall’alto della fortezza

L’instancabile Vice presidente dell’Istituto Italiano dei Castelli Sezione Campania, architetto Luigi Maglio,  è impegnato in questo periodo a far scoprire il castello che domina la città di Napoli dalla collina del Vomero ai numerosi visitatori che si rivolgono all’IIC Campania.

Rivolgiamo all’architetto alcune domande per meglio conoscere l’importanza e la storia del castello.

Architetto, come mai avete scelto proprio Castel Sant’Elmo per queste “visite al castello”?

E’ un opportunità offerta dall’iniziativa “domenica al museo” promossa dal MiC che consente al pubblico di accedere gratuitamente nei luoghi d’arte gestiti dal Ministero la prima domenica di ciascun mese. In forza di ciò, e nell’ambito di un protocollo d’intesa sottoscritto tra l’Istituto Italiano dei Castelli ed il Polo Museale Campano, da molti anni ormai svolgiamo questa attività di promozione e conoscenza.

Cosa visitare nel castello?

L’itinerario che propone l’Istituto è volto ad illustrare soprattutto le caratteristiche architettoniche e difensive del complesso,  straordinaria opera di ingegneria militare del XVI secolo, per certi versi anticipatrice di soluzioni che saranno applicate più avanti, nel coso dell’ulteriore evoluzione delle fortificazioni. Feritoie, caditoie, ponti levatoi, fossati, rivellini, merli e merloni, bombarde e bombardiere: i visitatori vengono introdotti all’affascinante e originale linguaggio che contraddistingue l’architettura difensiva dell’età moderna. Il forte di Sant’Elmo  è una gigantesca struttura con pianta  stellare a sei punte, provvista di un articolato sistema di gallerie difensive e la piazza d’armi superiore un tempo dotata di artiglierie a lunga gittata. La difesa passiva era basata su enormi spessori murari in tufo, poiché la parte inferiore del complesso fortificato venne ricavata scavando l’interno della collina. La difesa attiva era affidata a grandi casematte, dotate di cannoniere in grado di consentire il tiro da diverse angolazioni.
Un impegno che si aggiunge a quello che vi vede protagonisti in numerose iniziative…

In effetti, oltre alle attività sociali rivolte in via prioritaria ai propri soci, l’Istituto promuove mensilmente conferenze – aperte a tutti  – riguardanti i castelli e le opere fortificate della regione e dell’Italia meridionale, itinerari di visita ai castelli, presentazioni di libri, etc. Ricordo inoltre il corso di castellologia, fiore all’occhiello della nostra sezione regionale, che si svolge ogni anno da febbraio a giugno.

Programmi futuri legati ai castelli di Napoli?

L’obiettivo resta sempre lo stesso, ovvero creare un itinerario di fruizione integrato che comprenda i quattro castelli  – S. Elmo, Castel Capuano, Castel dell’Ovo e Castel Nuovo: bisognerà capire però quali saranno i tempi effettivamente necessari per il recupero  di queste strutture (a parte S. Elmo) ed in particolare quelle gestite dal Comune di Napoli; l’accesso a Castel Nuovo è contingentato per problemi di sicurezza mentre a  Castel dell’Ovo i lavori che inizieranno a breve potrebbero durare due anni.  Poi, a parte, c’è il problema della salvaguardia delle mura aragonesi.

E a quelli della Campania?

Si sono appena concluse le Giornate Nazionali dei Castelli che hanno visto protagonisti, nella nostra regione, i castelli di Baia, Apice, Agropoli, Vairano Patenora, Melito Irpino e Pimonte, con itinerari di grande suggestione, e già stiamo pensando a quali potrebbero essere in futuro i monumenti coinvolti. Avvieremo una riflessione sulle mura bastionate e sul castello di Carlo V a Capua e probabilmente sul forte del Vigliena a  S. Giovanni a Teduccio (nella periferia orientale di Napoli). Ma potranno essere anche riconfermate alcune delle location di maggiore successo dell’ultima edizione.  L’invito rivolto a tutti gli appassionati di castelli resta sempre lo stesso: seguirci sui nostri canali social facebook ed Instagram  ed iscriversi al gruppo aperto “Istituto Italiano dei Castelli regione Campania” che conta già 3700 partecipanti.

Antonio Desideri

 

(Foto di A. Fresca e A. Amitrano)

La Reggia sul mare. Così rinasce il Palazzo Reale di Napoli

La collana Novanta/Venti della redazione napoletana di La Repubblica, il quotidiano diretto da Maurizio Molinari, ha dedicato un ricco e articolato volume, realizzato con la collaborazione di Guida Editori, ad uno dei palazzi più noti di Napoli conosciuto in tutto il mondo.  “La Reggia sul mare. Così rinasce il Palazzo Reale di Napoli” è il titolo di un appassionante viaggio alla riscoperta del palazzo.

Molti i contributi che fanno scoprire al lettore la splendida reggia che si affaccia su Piazza del Plebiscito con l’intento anche di mettere in evidenza il rilancio che la città sta avendo nel corso di questi ultimi anni.  Il libro ha anche come finalità, come sottolinea, il direttore di La Repubblica Molinari nella sua introduzione, quella di mettere “al centro una questione urbanistica vitale per Napoli: il recupero dello storico rapporto tra il Palazzo Reale con piazza del Plebiscito e con il mare. Nel corso dei secoli è andato smarrito. Ora comincia una fase nuova”.

La pubblicazione è stata realizzata in collaborazione con il direttore di Palazzo Reale, Mario Epifani, ”al quale va il merito di un progetto affascinante e impegnativo, che può cambiare l’immagine della città e intensificare il rapporto con gli altri luoghi d’arte della Campania”. Un’interazione fra le ex residenze borboniche (Caserta, Palazzo Reale, Capodimonte, Reggia di Portici, Quisisana a Castellammare di Stabia), un percorso, anzi come proposto dal quotidiano La Repubblica, un “circuito delle regge borboniche” che prevede il rilancio turistico unitamente a quello ferroviario con la riscoperta della linea Napoli-Portici-Castellammare, che fu realizzata a metà dell’Ottocento e che successivamente arrivava anche a Caserta.

Antonio Desideri

Al Trianon Viviani: Lido per mari unici

Prima rappresentazione assoluta a Napoli, lunedì prossimo, alle 20, tra le pareti del Teatro Trianon Viviani, per “Lido per mari unici”, spettacolo che vede Francesca Morgante in qualità di autrice, regista ed interprete.
Di ispirazione onirica, il lavoro trova anche atmosfera congrua in questi nostri giorni, ambientato come è su una spiaggia, in pieno periodo estivo.
 Così la protagonista, addormentatasi, sogna, ed in sogno incontra svariati personaggi compiendo un percorso, allegoria di tutta l’arte drammaturgica, che sortirà catarsi.

Napoli: Il nuovo immaginario.1960 – 1990, la mostra di Mario Schifano

“Il nuovo immaginario.1960 – 1990 è la mostra di Mario Schifano allestita a Napoli all’interno delle Gallerie d’Italia (Museo di Intesa Sanpaolo)  fino al 29 ottobre 2023.

Le meravigliose opere di Schifano (oltre 50) sono le sue creazioni dagli Anni Sessanta fino agli Anni Novanta e sono provenienti dalla Collezione di Intesa Sanpaolo, dal Museo del Novecento di Milano, dalla Galleria Internazionale d’Arte Moderna Ca’ Pesaro di Venezia. “Ultimo autunno” è una delle sue straordinarie opere ispirate ai paesaggi italiani. Ancora, un altro dipinto che l’artista ha voluto dedicare a Gino Severini, Carlo Carrà e Giacomo Balla, grandi Maestri di quel movimento che è il Futurismo rivisitato.

L’artista, che amava studiare nuove tecniche pittoriche, alla fine degli Anni ‘70 decise di sperimentare una pratica nuova. Questo metodo si basava sulla fotografia dei programmi  televisivi, ovvero, ogni scatto che faceva alle immagini dei programmi trasmessi dalla televisione, li  trasformava in un perfetto connubio tra fotografia e pittura: la foto veniva completamente rinnovata dalla sua eccellente tecnica di colorazione; dipinta a mano o ritoccata con penne, pennarelli, e matite. Dunque, lo spettatore sarà ancora e piacevolmente sorpreso dalla prima esposizione in assoluto di una serie di opere degli Anni Sessanta: “Paesaggi TV”. Si tratta, appunto, di diversi capolavori di Schifano della pittura-fotografia.

La carriera d’artista, per Mario, inizia durante la fine degli Anni ‘50. Fino ad allora aveva lavorato come restauratore di opere antiche nel museo d’arte etrusca e archeologica di Villa Giulia, a Roma. In principio, il suo stile era proiettato verso una pittura monocroma, dettata dall’influenza del lavoro di restauratore che aveva da sempre svolto. Difatti, le prime opere esposte durante la mostra, sono pertinenti alla sua prima espressione artistica; opere monocrome esclusive, provenienti dalla Collezione Luigi e Peppino Agrati. (Ad oggi parte del patrimonio artistico del Gruppo Intesa Sanpaolo).

Mario Schifano nasce a Homs, nella Libia Italiana, il 20 settembre del 1934. Da molte persone era ritenuto il fenomeno della pop art italiana. Poco tempo dopo la guerra, l’artista tornò a vivere a Roma e, nello stesso periodo, insieme a Franco Angeli e Tano Festa (artisti di quell’epoca) diventò il simbolo dell’arte contemporanea italiana ed europea. Le opere di Schifano erano sempre più amate e stimate da tutti; giganteschi dipinti realizzati con smalti e acrilici. Opere che tutt’oggi risultano di valore inestimabile sono i suoi Monocromi, la cui  tecnica prevede uno o due colori dipinti su carta da imballaggio incollata su tela. Altri celebri lavori di Schifano sono quelli dedicati ai marchi pubblicitari e, ancor di più, le sue sbalorditive opere paesaggi tv.

Meravigliose creazioni che si possono ammirare durante l’esposizione a Napoli all’interno delle Gallerie d’Italia in via Toledo.

Alessandra Federico

L’importanza dello studio sullo sviluppo infantile

Lo studio dello sviluppo del bambino ha come obiettivo scoprire i processi della sua crescita e le loro ragioni. Secondo la studentessa di dottorato (psicologia) Kathleen Stassen Berger questo tipo di studio si basa su tre concetti: il primo, si edifica sullo studio dello sviluppo secondo la scienza e quindi su teorie, dati, analisi, pensiero critico e metodi per cercare risposte precise. Anche se la scienza non ha mai dato risposta su quale sia lo scopo della vita, è fondamentale conoscere la sua spiegazione riguardo il percorso di vita, i metodi da seguire e gli ostacoli che devono essere affrontati per vivere. Mentre il secondo concetto riguarda la scienza dello sviluppo che studia tutti i tipi di persone; cerca di identificare generalità e differenze per descriverle simultaneamente. Il terzo ed ultimo si focalizza sulla definizione di cambiamento nel tempo; lo sviluppo obbliga crescita e cambiamento durante la vita. La continuità e la discontinuità sono le chiavi che descrivono i processi di sviluppo manifestati lungo la vita di ogni persona, poiché la Continuità definisce le caratteristiche stabili nel tempo e la Discontinuità  indica le diverse particolarità acquisite da quelle precedentemente possedute. Esiste una connessione reciproca tra un momento dell’esistenza e l’altro e alcuni psicologi dello sviluppo sono riusciti ad osservarlo e a comprenderne le ragioni. Difatti, questo legame, ha aiutato questi ultimi a stabilire cinque principi che inquadrano lo studio dello sviluppo. Multidirezionalità: lo sviluppo avviene per tutti gli aspetti della vita: per quello fisico, mentale, emozionale, relazionale, psicologico. Multi-contestualità: lo sviluppo infantile è il primo passo della vita umana. Per questo motivo è caratterizzato dai contesti storici, dai vincoli economici e dalle tradizioni culturali in cui si colloca. Multiculturalità: la scienza dello sviluppo è sommersa in culture diverse, sia a livello internazionale che all’interno di ogni nazione. Ognuno di questi sistemi pervasivi possiede un insieme di valori, tradizioni e strumenti con cui gli esseri umani imparano a convivere. Multidisciplinarietà: la cultura dello sviluppo richiede comprensione e informazione, poiché ogni persona evolve simultaneamente nel corpo, nella mente e nello spirito. Infatti, il suo risultato è raggiunto attraverso i contributi di psicologia, biologia, educazione e sociologia, oltre a neuroscienze, economia, religione, antropologia, storia, medicina e genetica, tra gli altri. Plasticità: lo sviluppo umano prevede il cambiamento continuo. Cioè, ogni individuo e i suoi tratti personali possono essere modellati durante la vita, sebbene ogni persona mantenga una certa durabilità nella propria identità. Lo studio poliedrico del primo stadio dello sviluppo umano si suddivide in tre step fondamentali del cambiamento del neonato: Campo biofisico: si dedica allo studio dello sviluppo fisico, dunque racchiude l’evoluzione motoria, sensoriale e contestuale che influisce sulla crescita e la maturazione del bambino. Campo cognitivo: si focalizza sull’analisi dello sviluppo del pensiero e delle capacità intellettuali del bambino, non solo, soprattutto nelle circostanze in cui il bambino si trova in compagnia di coetanei (come a scuola)  influenza l’apprendimento della parola, della scrittura o della memoria. Campo socio-affettivo: questo campo evidenzia particolarmente  la capacità del bambino di esprimere le emozioni che prova, e le relazioni che stabilisce con gli altri. Inoltre, da estremamente valore a tutti gli aspetti dell’ambiente che stimolano lo sviluppo socio-emotivo del bambino.

Alessandra Federico

Edmondo Lupieri: Una sposa per Gesù. Maria Maddalena tra antichità e postmoderno

Maria di Magdala, seguace di Gesù, venerata come santa dalla Chiesa cattolica, viene descritta nei Vangeli canonici. Per quale ragione è ignorata nelle Lettere di Paolo?

Tutti e quattro i Vangeli canonici ricordano la figura di Maria Maddalena, come colei che, la mattina di quella che per noi è la domenica dopo l’esecuzione e la sepoltura di Gesù, avrebbe trovato, da sola o con altre donne, la sua tomba vuota. In Marco le donne avrebbero visto un fanciullo in candide vesti; in Luca due uomini in vesti sfolgoranti, poi spiegati come angeli; in Matteo, oltre che un angelo, avrebbero anche incontrato il Risorto e, soprattutto, in Giovanni la Maddalena, da sola, avrebbe incontrato Gesù, gli avrebbe parlato e, pur essendole proibito di toccarlo o di trattenerlo, avrebbe ricevuto da lui (come in Matteo) l’incarico di annunciare l’evento agli altri discepoli. In Giovanni, inoltre, la Maddalena (con la madre di Gesù, una di lei sorella e il discepolo amato) si trova anche sotto la croce nel momento cruciale in cui Gesù affida sua madre al discepolo, rendendolo così proprio fratello. Il suo personaggio poi sparisce dalle narrazioni neotestamentarie, essendo forse compresa anonimamente fra le altre donne che, con Maria la madre e i fratelli del Signore, si trovano a Gerusalemme, all’inizio degli Atti degli Apostoli.

Il silenzio di Paolo a prima vista stupisce. Nel suo racconto il Risorto appare soltanto a discepoli uomini, singoli o in gruppi (ma nella apparizione a oltre cinquecento di loro, anche donne dovrebbero essere comprese) e da ultimo a Paolo stesso, ma non esplicitamente a donne e men che meno alla Maddalena, che non è mai nominata. Nelle lettere Paolo è molto parco di particolari riguardanti la vita di Gesù e i personaggi che gli erano stati vicini: né il padre né la madre né Giovanni Battista sono da lui mai ricordati per nome e solo la madre è ricordata indirettamente quando dice che Gesù era “nato da donna, sotto la Legge”.

Tuttavia, per la Maddalena, su cui si basano tutti i racconti evangelici relativi alla tomba vuota, alcune riflessioni si impongono. È certo possibile un lavoro di censura da parte di Paolo nei confronti di un personaggio femminile che forse stava diventando ingombrante (e tuttavia Paolo ricorda e nomina, con lodi e giudizi positivi, numerose donne attive nelle sue missioni), specialmente se si potesse provare che una versione arcaica dei racconti evangelici, con la Maddalena, circolasse già quando Paolo scrive (in particolare una versione arcaica di Luca che sarebbe stata ripresa e conservata da Marcione nel secondo secolo). Sulla base dei testi esistenti e la loro cronologia relativa più probabile, però, possiamo ricostruire una storia diversa. La figura della Maddalena è ancora ignorata da Paolo in una fase arcaica della tradizione; appare nel Marco autentico, ma non ci fa una bella figura, in quanto, vinta dalla paura, non dice a nessuno di aver trovato la tomba vuota; cresce quindi di importanza nei vangeli più recenti, fino a diventare importantissima in Giovanni (e continuare a crescere nei racconti apocrifi successivi, in cui diventa discepola privilegiata). La sua figura, cioè, non sembra vittima di una crescente censura, ma al contrario, pare al centro di un processo di crescita riflesso nei prodotti letterari coevi. È quindi possibile che al tempo di Paolo o nelle tradizioni a lui note la figura della Maddalena non si fosse ancora consolidata. Tra i primissimi seguaci di Gesù, almeno secondo Paolo, quello che contava erano le apparizioni del Risorto ai leader del movimento e non la scoperta della tomba vuota, su cui forse non si era ancora sviluppata la narrazione testimoniata nei decenni successivi.

La figura di Maria di Magdala è stata identificata per lungo tempo con altre figure di donna presenti nei Vangeli: alcune tradizioni la accostano a Maria di Betania, altre alla peccatrice che unge i piedi a Gesù a casa di Simone il Fariseo. Come mai avviene tale accostamento?

La fusione della figura della Maddalena con quelle di tutte le donne che in qualche modo ungono o vorrebbero ungere Gesù prima o dopo la crocifissione, è una caratteristica della Chiesa latina. Nella Chiesa greca e in generale nelle Chiese orientali sotto l’influsso culturale delle tradizioni greche, la Maddalena rimane la mirrofora, colei che avrebbe voluto ungere il cadavere di Gesù, ma che appunto trova la tomba vuota la mattina della Pasqua cristiana.

Fra i Padri della Chiesa ci furono discussioni per alcuni secoli, su quante donne avessero unto Gesù e i pareri discordavano. Era abbastanza facile assimilare il racconto giovanneo secondo cui Maria di Betania avrebbe unto Gesù (sulla testa) prima della sua passione, a casa di Lazzaro, risuscitato, con quello di Marco e di Luca secondo cui una donna anonima lo aveva unto, sempre prima della morte, a casa di Simone il Lebbroso, sempre a Betania. L’idea dell’unzione portò poi a identificare questa donna/Maria con la Maddalena, anche se, stando ai testi, questa non avrebbe mai unto Gesù, ma avrebbe soltanto voluto ungerlo. Se una donna aveva unto Gesù prima della crocifissione, perché quella stessa donna non avrebbe dovuto volerlo ungere anche dopo?

Fu anche relativamente facile identificare la Maddalena con la peccatrice anonima che, secondo Luca, unge i piedi di Gesù a casa di un Simone, non lebbroso ma fariseo, e non a Betania ma in una città anonima in Galilea, dato che Luca, subito dopo, ricorda proprio la Maddalena come colei da cui erano usciti sette diavoli (esorcizzati da Gesù, anche se Luca lo dice solo in modo implicito): non erano forse i sette diavoli i sette paccati capitali, che gravavano sull’animo della peccatrice pentita?

La fusione di tutte le figure femminili evangeliche connesse con l’unzione di Gesù e la costruzione quindi di una Maddalena unitaria, ricevette alla fine la conferma papale in alcune prediche di Gregorio Magno, da cui emerge l’enorme utilità pastorale di avere una prostituta (ché tale fu ritenuta la donna peccatrice) pentita. Se persino una prostituta può diventare santa, qualsiasi peccatore può redimersi. Per questo le proteste degli esegeti che si rendevano conto della artificiosità della ricostruzione tradizionale furono ignorate a lungo o condannate. Con la Riforma, l’evidenza dei testi portò a una dura polemica e allo smantellamento della figura della “Maddalena unita” a favore della “Maddalena divisa”, ma solo in area protestante. L’utilità di avere una prostituta pentita era tale che ancora lo stesso Lutero continuò a ritenere che un’unica donna, la Maddalena, avesse unto Gesù. In area cattolica, la parola definitiva, con l’accettazione ufficiale di più figure distinte, è stata detta con la riforma liturgica di Paolo VI (1969).

Dalla penitente emaciata di Donatello alla bellezza carnale rinascimentale sino alla contemporanea talvolta mesta, talvolta erotica: quali vie percorre l’iconografia di Maria Maddalena?

Le traiettorie iconografiche della figura di Maria Maddalena si sviluppano in parallelo con gli esiti delle molteplici e a tratti contraddittorie riflessioni esegetiche che abbiamo appena ricordato nel punto precedente.

Le rappresentazioni iconografiche più antiche la presentano nella sua funzione di “mirrofora” che, con altre donne, scopre la tomba vuota e incontra uno o più angeli o lo stesso Risorto. Accanto a tale visione, caratteristica dei Vangeli sinottici, dai racconti di Giovanni prendono vita due altre scene che avranno larga fortuna nei secoli: la Maddalena sotto la croce (con Giovanni e la Madonna, oppure, gradualmente, da sola) e il “Noli me tangere”, quando appunto il Risorto le avrebbe impedito di toccarlo.

Poco alla volta, la sua figura viene inserita in altri contesti evangelici, nella cui narrativa esistente non appare, ma in cui era logico pensare fosse presente: la Deposizione dalla croce, il Compianto del Cristo morto e la Sepoltura di Gesù (tutti ricorderanno, per esempio il ciclo giottesco).

In epoca grosso modo medievale si costruiscono nuove leggende. In quanto convertita, si sarebbe dedicata ad una intensa attività missionaria, incominciata proprio col portare l’annuncio della risurrezione agli altri discepoli (diventando così apostola apostolorum). Si sarebbe poi recata in vari luoghi del Mediterraneo (persino a Roma per discutere con Tiberio), ma soprattutto in Gallia, con viaggio avventuroso fino a Marsiglia (non senza fare tappa e miracoli sull’Isola della Maddalena, da lei così denominata), dove avrebbe convertito addirittura il peraltro ignoto “principe” locale.

In quanto prostituta pentita, però, si presunse anche che, abbandonata la vita di sregolatezze, si fosse poi dedicata ad una ascesi estrema. Si prese la Vita leggendaria di un’altra donna lussuriosa, ritiratasi poi a vivere nel deserto, Santa Maria Egiziaca, e la si adattò alla Maddalena. Il problema era che nella Gallia meridionale, dove era finita nelle altre leggende la Maddalena, non ci sono deserti. Così finì in una grotta sulle alture brulle e scoscese della Provenza. E quando incominciarono a trovarsi sue reliquie in loco, la cosa parve certa.

Ai penitenti nel deserto succedono molte cose, almeno nelle leggende agiografiche (si pensi alle tentazioni di Sant’Antonio, tanto per fare un esempio). Non abbiamo storie di grandi tentazioni per la Maddalena, ma vari aspetti hanno colpito la fantasia degli artisti chiamati a rappresentarla. In primo luogo, chi si pente si spoglia. Prima delle vecchie abitudini – e allora abbiamo la Maddalena pentita che si libera dei gioielli, simbolo della sua trascorsa vita peccaminosa e siede o giace affranta dal dolore per la morte del suo amato Gesù – e poi anche dei vestiti, soprattutto se nel deserto – e allora abbiamo la Maddalena penitente che, più o meno emaciata, appare sempre più scarsamente vestita (dei soli capelli, talora lunghi e sensuali) in ambienti ora desertici ora lussureggianti di vegetazione.

Un “pane celeste”(la manna nel deserto per gli Ebrei dell’Esodo; il pane portato dai corvi a Elia in fuga nel deserto; il cibo che gli angeli avrebbero portato a Gesù nel deserto dopo le tentazioni, almeno secondo Marco e Matteo) talora raggiunge gli anacoreti. Così accade alla Maddalena che prima incomincia a nutrirsi (soltanto) dell’ostia consacrata portatale quotidianamente da un angelo, poi viene addirittura portata in cielo (le cosiddette “ascensioni della Maddalena”) sempre da angeli alle ore canoniche, per unirsi ai cori angelici e ricevere nutrimento liturgico ed eucaristico direttamente in cielo. Talora vestita, talora nuda.

Proprio la nudità e la precedente vita peccaminosa della Maddalena sono gli aspetti più visibili, soprattutto in epoca moderna, dell’iconografia magdalenica. Specialmente quando la committenza si fece laica e vari sovrani fecero rappresentare persino le proprie amanti nelle vesti discinte di Maddalene non troppo pentite, al di fuori del controllo ecclesiale, che aveva per esempio obbligato il Card. Borromeo a difendere le mammelle nude dipinde da Tiziano (sarebbero materne, e quindi non sensuali), esplose letteralmente la nudità della Maddalena. Gli artisti trovarono sempre più interessante (e forse più vendibile) una Maddalena che mostrava le tracce dei sui peccati che una Maddalena che mostrasse le cicatrici della penitenza. La moda maturata almeno dal Rinascimento esplose poi col romanticismo e raggiunse la pornografia enticlericale esplicita di un Félicien Rops, per poi scivolare nell’ultima musa, con la cinematografia e in Internet.

Mary”, “Gesù di Montreal”, “Chocolat”.

Professore, dove risiede la malìa di Maria di Magdala?

Nel 1620, Giovan Battista Marino descrisse la Maddalena del Tiziano nella sua raccolta di poesie dedicate a opere d’arte famose (La Galeria) e la sintetizzò benissimo in una frase: “quanto pria del folle mondo errante, tanto poscia di Cristo amata amante”. Proprio qui sta l’interesse, la curiosità che a volte sfocia nella pruderie, per un personaggio erroneamente ricostruito di peccatrice, anzi di prostituta, che ama riamata il Cristo durante la sua vita terrena, per poi diventare asceta e quindi salire agli onori dell’altare.

In un’epoca post-freudiana e post-darwiniana quale la nostra è diventato sempre più abituale pensare a Gesù Cristo in termini non teologici o cristologici, ma semplicemente e pienamente umani. E se un essere umano completo ha anche una vita affettiva, sentimentale e sessuale completa, perché non dovrebbe averla avuta anche Gesù?

Sulla vita di Gesù, anche sessuale, si sono fatte tutte le illazioni possibili. Per quanti lo ritengono eterosessuale, quale personaggio femminile presente nella tradizione sarebbe più adatto della Maddalena, “amata amante”, ad essergli compagna, forse sposa, almeno amante? Arriviamo così a romanzi di diversissimo livello letterario e a produzioni cinematografiche anch’esse di diverso valore artistico. Ma in tale ulteriore processo culturale contemporaneo, la Maddalena diventa una specie di “archetipo”, come ha appunto scritto una contributrice al volume, parlando della filmografia dei nostri giorni, erede e incarnazione di fantasie ormai plurisecolari. E poco conta che la ricostruzione della prostituta pentita sia storicamente insostenible: ormai è lei, la Maddalena, e tale rimane. E può diventare modello di altre figure femminili di fantasia, come accadrebbe appunto nel caso di “Chocolat”. Bella, carnale, inquietante compagna di un Cristo troppo umano, perché dovremmo, nel nostro immaginario alla disperata ricerca di sogni e illusioni, rinunciare alla Maddalena che la tradizione occidentale ci ha consegnata? Meglio supporre un grande complotto, una grande operazione di copertura di una realtà divenuta troppo scomoda: Gesù era uomo come gli altri e aveva una compagna. Una donna che lo amava e lo ha seguito fin sotto la croce, per poi rivederlo vivo e gettare nella sua allucinazione le fondamenta stesse della fede cristiana. Davvero una storia “ammaliante”.

Tredici studiose e studiosi di varia estrazione ripercorrono la storia di Maria Maddalena. C’è un filo rosso ad accomunarne i tratti?

Se a questi aggiungiamo i sette contributi del volume “I mille volti della Maddalena” (Roma 2020) otteniamo non una improbabile enciclopedia sulla Maddalena, ma un’analisi ragionata su come un personaggio storico, in quasi due millenni di riflessioni, sia stato trasformato in una specie di mito dalle mille sfaccettature. Direi che questo sia uno degli aspetti più affascinanti della ricerca storica: scoprire come noi, in ogni generazione, abbiamo proiettato noi stessi, le nostre speranze, le nostre paure sui personaggi del passato, per rendere appunto “nostro” quel passato. Come gli altri personaggi delle origini cristiane, da Giovanni Battista a Gesù, da Maria di Nazareth a Pietro, anche la Maddalena è diventata quello che ci serviva. Dagli insulti anticristiani di antichi filosofi e polemisti moderni a esaltazioni antitetiche di laici e credenti, la sua figura storica è forse perduta per sempre. Prostituta pentita o dea del New Age, rivestita dei soli capelli o di paludamenti preziosi, emaciata e morta in una grotta provenzale o tranquilla madre di molti figli, accanto a un Gesù altrettanto anziano e sopravvissuto alla crocifissione, fuggiti entrambi in un’India sempre più lontana e per noi misteriosa, la Maddalena è parte ormai ineliminabile dell’immaginario transreligioso sognato da milioni e forse miliardi di esseri umani. Lo studio della sua figura, oltre che un’avventura intellettuale a tratti esaltante, è una grande lezione di umiltà. La Maddalena ci aiuta a capire come noi umani ricreiamo costantemente la nostra storia, confezionando “storie” a nostro uso e consumo. Come fu detto di Giovanni Battista, davvero anche di lei possiamo dire che “ne abbiamo fatto quello che abbiamo voluto”.

 

Edmondo Lupieri è stato docente di Storia del cristianesimo e delle chiese presso l’Università di Udine e attualmente insegna Nuovo Testamento e Cristianesimo Antico presso la Facoltà di Teologia della Loyola University di Chicago. Fra le pubblicazioni scientifiche ha al suo attivo “I Mandei. Gli ultimi gnostici” (Brescia 1993; edizione inglese 2003; nuova edizione italiana prevista nel 2013) e “In nome di Dio. Storie di una conquista” (Brescia 2014). Per la Fondazione Valla ha curato “L’Apocalisse di Giovanni” (1999; edizione inglese 2006).

Giuseppina Capone

‘O Napule 2023. Terzo scudetto

Chi téne cunuscenza d’’o pallóne

a dda dicere cu ttutto ‘o córe.

‘O Napule è nu vère squadrone

‘sti guagliune nc’hanno fatto onóre.

 

Chi tène curaggio e dì quaccósa?…

Chisti jucature songo una cósa!…

‘O scudetto se ll’hanno faticato,

niente a nnuje c’è state rialato.

 

Maradona è cuntento all’aldilà

tutta pittata azzurra è ‘sta Città.

Dint’’a ll’aria ‘sta festa se spase

 

Ggente â dinto e ffóre ‘e ccase,

pure se nun capisce d’’o pallóne

lle vene tanta voglia ‘e festiggià.

 

Armando Fusaro

4 maggio 2023

 

 

 

 

I castelli della Lomellina

La pubblicazione realizzata dall’Associazione Culturale Astrolabio di Vigevano “I castelli della Lomellina. La piccola Loira” in collaborazione con l’Ecomuseo del Paesaggio Lomellino, accompagna con le fotografie di Luigi Pagetti, Giorgio Bacciocchi e Riccardo Gallino, il lettore e, perché no, il visitatore alla scoperta di 26 castelli lomellini, caratteristici per il colore rosso mattone.

“La gran parte di questi beni architettonici – spiega il presidente dell’Associazione Astrolabio, Cesare Bozzano –  è stata edificata (spesso ampliando costruzioni fortificate realizzate tra i secoli X e XIV) a partire dal periodo visconteo, per svilupparsi particolarmente in quello sforzesco, fino alla sua scomparsa e quindi tra la seconda metà del secolo XV e la prima metà del XVI”.

“In questi ultimi anni la Lomellina ha iniziato a farsi conoscere e apprezzare da migliaia di visitatori anche con il contributo delle numerose iniziative dell’Ecomuseo – sottolinea nella prefazione il direttore dell’Ecomuseo del Paesaggio Lomellino Francesco Berzero”.

Castelli e luoghi che costituiscono un itinerario da scoprire e vedere o visitare se aperti al pubblico.

Fino al 29 settembre 2023 sarà possibile ammirare alcuni di essi nella mostra fotografica “Storie di Pietra. Una passeggiata fotografica alla scoperta di gioielli d’arte e cultura: I Castelli, le vie, le strade, i monumenti  di Napoli – La Napoli dei Sedili  – I Castelli pavesi”,  organizzata a Napoli, presso la Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus, dall’Associazione Culturale “Napoli è”, in collaborazione con Istituto Italiano dei Castelli Sezione Campana e l’Associazione fotografica Frascarolo, il Museo dei Sedili di Napoli e curata per la parte relativa ai castelli pavesi da Claudio Babilani.

La mostra, gratuita, resterà aperta fino al 29 settembre 2023 dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 16.00.

Contatti: Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus tel.: 081-5641419  Sig.a Ida D’Aniello

Antonio Desideri

 

(Nella foto: Castello di Frascarolo, Claudio Babilani)

Emma de Franciscis: L’uomo che attraversò tre secoli

“L’uomo che attraversò tre secoli” è un romanzo storico. Esso ha, evidentemente, richiesto ricerche storiche accurate e meticolose. Quale metodo si è imposta di adottare per trattenere le informazioni e, poi, renderle narrativa?

Volevo raccontare i cambiamenti sociali di cui l’uomo è testimone e attore nel corso della propria vita, che non ha come limite gli anni compresi tra la data di nascita e quella di morte bensì somma almeno due generazioni prima (genitori e nonni) e due generazioni dopo (figli e nipoti). Nel caso del longevo Costanzo de Sanctis, che ha conosciuto la bisnonna e i bisnipoti, si sono raggiunti 140 anni, attraverso tre secoli.

Avendo iniziato a scrivere il romanzo nel 2019, sono andata a ritroso fino al 1879.

Inizialmente mi sono affidata alle mie conoscenze derivanti da letture, studi universitari, film e documentari visti, mi sono affidata alla descrizione di luoghi vissuti, luoghi dell’anima, scomposti e ricomposti come luoghi letterari, in questo modo ho posto le basi storico-geografiche del romanzo. Mi sono poi costantemente preoccupata di avere coerenza nella narrazione e per questo mi sono opportunamente documentata: ho verificato che il linguaggio dei dialoghi fosse coerente con l’epoca, ho fatto ricerche sugli usi, sull’alimentazione, sul modo di viaggiare, di vestire, sulle musiche, e su ulteriori elementi che, sebbene non presenti nella narrazione, sono serviti per comprendere appieno i personaggi e farli agire in modo coerente. Man mano che la trama prendeva forma e i personaggi si caratterizzavano, ho riempito il romanzo di dettagli di vita familiare e di eventi storici, elementi narrativi fortemente connessi.

Lei racconta la vita del longevo Costanzo de Sanctis vissuto fino a 140 anni.

In qual misura ha voluto che la Letteratura s’inserisse in un dibattito etico-medico circa la longevità?

Studi scientifici hanno fissato la “scadenza biologica” dell’uomo a 140 anni, traguardo che però non si riscontra nella realtà della vita; io ho trasposto questo limite nel “rimanere vivi” nella memoria e negli affetti.

I centotanti anni di Costì, per utilizzare un’espressione del romanzo a me cara, non sono un numero bensì un concetto: è importante riempie la vita di tanto affetto, tante esperienze e tante relazioni sociali.

Una saga che squarcia tradizioni familiari arrugginite ed obsolete.

Quali tratti assume la Storia nella ricerca di coordinate, d’interpretazioni univoche della realtà, di superamento delle contraddizioni del nostro complesso tempo?

Nel romanzo vicende storiche e vicende familiari si incontrano e si scontrano, muovendosi insieme sulla linea del tempo e determinando i cambiamenti sociali: talvolta lenti e silenziosi, altre volte conflittuali. La Storia entra nella famiglia e la famiglia entra nella Storia.

Non so parlare del superamento delle contraddizioni del nostro tempo perché la mia formazione non mi dà gli strumenti per farlo; nel romanzo ho affrontato il superamento delle contraddizioni delle epoche passate in quanto già conoscevo le conseguenze di tali cambiamenti, che ho potuto far diventare il pensiero di personaggi quale Arturo, capace di cogliere nel presente i semi dei cambiamenti del tempo.

Il percorso dei protagonisti si dipana anche a ritroso nel tempo; si serve di ricordi ingialliti e via via emergenti. La sua personale indagine adopera flashback che compongono un puzzle di notevole suspense.

Quale valore attribuisce all’elemento della “memoria”?

Il tema della memoria è il filo conduttore del romanzo. Non esiste la famiglia se non c’è la memoria delle persone che vi hanno fatto parte e degli episodi, il più delle volte approdati leggenda, meritevoli di essere raccontati. Ugualmente non esiste la storia se non c’è la memoria dei fatti accaduti e di come questi abbiano influenzato la vita della famiglia. Memoria è rivolgersi al futuro, è tramandare, è non dimenticare.

E non far dimenticare è il compito di ciascuno di noi.

Il suo romanzo è stato edito dalla casa editrice Dante&Descartes, diretta dallo storico libraio di Mezzocannone Raimondo Di Maio, da sempre impegnato in un’editoria etica e civile.

Quale ruolo dovrebbe ricoprire la Letteratura in un contesto socio-economico come quello napoletano?

Ho incontrato Raimondo Di Maio un anno fa, mi fu presentato da un’amica comune, e da allora è nato un rapporto di stima reciproca e di amicizia.

Non farei distinzione tra ruolo della letteratura nel contesto napoletano e in altri contesti, un libro deve poter essere letto da chiunque e ovunque: l’autore deve usare un linguaggio che arrivi al cuore del lettore in maniera diretta e universale.

Questo è il compito della letteratura che io vivo come un momento di piacere e come uno strumento per migliorarsi e per arricchirsi. Di ogni libro che leggo, annoto almeno una frase; quando non annoto, allora il libro non mi ha lasciato nulla.

 

Emma de Franciscis, nata a Napoli nel 1968, dove vive e lavora come architetto. Il suo romanzo di esordio è “L’uomo che attraversò tre secoli”, edito nel 2022 dalla casa editrice Dante&Descartes.

Giuseppina Capone

Napoli tra bellezza e magia. Un’inchiesta straordinaria del vicequestore Santoro

Si presenta oggi nella Sala “Mario Borrelli” della Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus nel cuore di Materdei a cura del Comitato Italiano  per la tutela della salute (C.I.T.S), della fondazione Casa dello Scugnizzo onlus, dall’Associazione Culturale Napoli è, dal Gruppo Albatros del libro di Antonio R. Garofalo “Napoli tra bellezza e magia. Un’inchiesta straordinaria del vicequestore Santoro” per le Edizioni Albatros ci catapulta dal presente al passato, un viaggio a ritroso di 223 anni. Un salto nel passato nella migliore tradizione dei viaggi nel tempo.

Il protagonista, il vicequestore di polizia Alberto Santoro, torna a Napoli dopo ben venti anni di servizio nella lontana Alessandria e appena si affaccia nella sua città ne assapora da subito la plurimillenaria storia ripercorrendone le principali strade in particolare quelle a lui note quando era giovane e soffermandosi in luoghi cari che aveva dovuto lasciare per il suo lavoro.

Nato a via Mezzocannone 109, aveva vissuto a via Atri e lì subito era ritornato trovando la sua vecchia abitazione così come l’aveva lasciata. I primi contatti con la sua nuova vita napoletana li ha con il capo della squadra mobile Roberto Fantini che si dichiara immediatamente felice di averlo con loro.

Santoro lascia l’ufficio e prosegue il suo percorso alla riscoperta di Napoli arrivando al Conservatorio di San Pietro a Majella, lì accanto c’è una libreria nella quale da sempre avrebbe voluto entrare ma non l’aveva mai fatto. E’ arrivato il momento di togliersi la curiosità di vedere com’è all’interno, entra e vede tantissimi libri, vecchi scaffali e dietro questi la sagoma di una porta, scosta qualche scaffale e oltrepassa il varco ritrovandosi in un passaggio buio. Senza timore vi entra e dietro di lui la porta si chiude, non gli resta che andare avanti nel suo cammino per trovare un’altra via di uscita. Alla fine sbuca nella sala del coro di una chiesa. Dopo poco chiude gli occhi e incomincia quella che è la sua avventura, indietro nel tempo, al 10 giugno 1799.

Si ritrova d’improvviso per due giorni in quel fine Settecento “alle prese con rivolte popolare, illustri personaggi dell’Illuminismo e, tra l’altro un omicidio da risolvere”.

Ci fermiamo qui lasciando ai lettori scoprire con quali personaggi il vicequestore entra in contatto e quali episodi vive e il mistero che lo ha condotto a vivere quell’esperienza.

Bianca Desideri

 

 

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