Simone Beta: La donna che sconfigge la guerra. Lisistrata racconta la sua storia

Dopo la sua prima rappresentazione ad Atene nel 411 a.C., la Lisistrata di Aristofane scompare dal mondo letterario fino alla sua prima edizione moderna: Firenze 1516. Quali sono le ragioni dell’eclissi?

Le ragioni sono diverse. Tra le commedie rimaste, i maestri bizantini (che sono stati i principali utilizzatori di questi testi per motivi didattici) ne prediligevano altre, o perché meno legate all’Atene di Aristofane, e quindi più facili da leggere (come il Pluto), o perché avevano tra i loro personaggi figure più famose (come le Nuvole, dove troviamo Socrate, o le Rane, dove troviamo Eschilo ed Euripide). È anche per questo motivo che le tre commedie cosiddette ‘femminili’ (le Donne alle Tesmoforie e le Donne all’assemblea) sono state poco copiate e studiate nella tarda antichità. E poi la Lisistrata è conservata integralmente da un solo manoscritto, il Ravennate, che non era a disposizione del curatore della prima edizione a stampa (Marco Musuro), uscita nel 1498 a Venezia dalla stamperia di Aldo Manuzio.

Nel 411 Aristofane, massimo rappresentante della commedia attica “antica”, in un clima di rinvigorita ostilità, mette in scena Lisistrata, Colei che scioglie gli eserciti. Lisistrata è una donna ateniese, arcistufa, come tutte le altre concittadine, dell’inesauribile guerra che oppone la sua patria a Sparta. Proposta smaccatamente provocatoria o acre acrobatismo speculativo?

Né l’una né l’altro, credo. Più semplicemente, un tentativo di far ridere (che in fondo è il principale dovere di un comico), ma in modo serio. Non credo che Aristofane credesse nella praticabilità di una simile ipotesi. Ma era un modo di vedere una questione molto importante da un punto di vista insolito.

Idea unica in tutto il teatro comico, si eleva al ruolo di star nientedimeno quella fetta della società attica libera ma debole ed inascoltata, tuttavia partecipe tanto quanto gli uomini dei lutti e dei dolori della guerra.

Lisistrata racconta la sua storia: con quale obiettivo?

Per chi crede nell’indipendenza ideologica e politica di Aristofane (che non è cosa da poco in un intellettuale), la risposta è che Aristofane la scrive con l’obiettivo di far riflettere i suoi concittadini sull’assurdità di una guerra così lunga e così disastrosa (nonché, come la maggior parte delle guerre, così inutile).

Per chi lo vede invece come un sostenitore del partito antidemocratico (una fazione la cui voce si stava levando sempre più forte ad Atene, per meri motivi di interessi personali), Aristofane l’avrebbe scritta con l’obiettivo di dare il suo contributo personale alla caduta del regime democratico (cosa che effettivamente avvenne).

Letteratura, cinema, musica ed arti figurative. Lisistrata traccia la progressiva riscoperta che l’ha fatta diventare la commedia più famosa di Aristofane. Cosa stuzzica la curiosità intorno a quest’opera? Forse, lo “sciopero del sesso”?

Senz’altro. È questa l’idea geniale (ancorché assurda, e nella realtà assai poco realizzabile – ma è un destino che Lisistrata condivide con altre trovate di Aristofane, come, negli Uccelli, la costruzione di una città a metà strada tra il cielo e la terra) dalla quale dipende lo straordinario successo della commedia, che cresce di pari passo con il cadere di certe prevenzioni di tipo censorio dovute al sottofondo erotico che la caratterizza.

Lisistrata è una ribelle, una dissidente rispetto alle convenzioni sociali oppure questa è una lettura semplicistica di un personaggio da millenni esempio sorprendente di complessità e ricchezza drammaturgica?

Non è una ribelle (perché il suo obiettivo non è quello di cambiare la situazione delle donne nel mondo greco, ma semplicemente quello di tornare alla vita di tutti i giorni, caratterizzata dalla pace e dai suoi vantaggi), né una dissidente rispetto alle convenzioni (che comunque, tendenzialmente, rispetta). Si tratta di una lettura che ne sottolinea, a volte in modo anacronistico, alcuni aspetti. Ma le interpretazioni delle opere letterarie antiche sono sempre state influenzate dai modi di pensare moderni – e quindi a volte bisogna accettare gli anacronismi.

 

Simone Beta insegna Lingua e letteratura greca all’Università di Siena. Ha scritto sul teatro (la commedia), sulla poesia (l’epigramma), sulla retorica e sul vino. Presso Einaudi ha curato i seguenti volumi: Terenzio, La donna di Andro (2001); Lirici greci (2008); Sofocle, Edipo re. Edipo a Colono. Antigone (2009). Ha pubblicato, sempre presso Einaudi, Il labirinto della parola (2016).

Giuseppina Capone

Al Circolo della Stampa di Avellino

Serata ricca, colta e al femminile quella che, organizzata dall’infaticabile Giovanna Scuderi, titolare dell’omonima casa editrice, avrà luogo mercoledì 16 novembre, alle 17, presso il Circolo della Stampa di Avellino, con la partecipazione del presidente dell’associazione “Garden Club Verde Irpinia” Gabriella Barra, della scrittrice e storica Gaetana Aufiero e della psicologa Giuseppina Marzocchella. Nel corso dell’evento, intitolato “Violare il Silenzio”, anche Susanna Puopolo, autrice ed interprete del testo “Vestiti a Lutto”, le letture degli autori Amalia Leo, Antonietta Urcioli, Giuseppe Vetromile, Monia Gaita e Ilde Rampino, l’esibizione della cantautrice Patrizia Girardi e l’intervento di Angela Cutillo che “rivivrà” un dipinto di Dorotea Virtuoso con le parole di Maria Reggio.

Alla FoCS con “Napoli è” il M° Ruggiero presenta “Percorsi alla scoperta della musica”

Appuntamento oggi giovedì 3 novembre ore 17.30 presso la Fondazione Casa dello Scugnizzo,  piazzetta San Gennaro a Materdei n. 3, Napoli con il M° Rosario Ruggiero per la presentazione del nuovo ciclo di incontri “Percorsi alla scoperta della Musica” organizzato dall’Associazione Culturale “Napoli è” in collaborazione con il Centro Studi “Mario Borrelli” della Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus, presieduta dal prof. Antonio Lanzaro.

Interverranno il M° Rosario Ruggiero, la dott.ssa Bianca Desideri, giornalista e curatrice dell’iniziativa organizzata dall’Associazione Culturale “Napoli è”, il prof. Antonio Lanzaro presidente della Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus.

Al via la rassegna di prosa e danza invernale a Sassari

Presentata a Sassari la rassegna di prosa e danza invernale organizzata da Cedac Sardegna.

L’incontro con la stampa si è tenuto nella mattinata del 27 ottobre nella sala conferenze a Palazzo Ducale. Con l’assessora alla cultura Laura Useri, ha partecipato il dirigente municipale di riferimento, Alberto Mura. Per l’ERSU Sassari sono intervenuti il direttore del servizio amministrativo Antonio Francesco Temussi e il direttore generale, Libero Meloni.

“Per noi la cultura è importante. Quello che si fa non è scontato. Bisogna iniziare ad apprezzare tutto. La Cedac dà tanto al nostro territorio. Siamo contenti e orgogliosi di essere qui”- ha dichiarato Useri nel suo saluto iniziale.

In puntuale arrivo da Cagliari, Valeria Ciabattoni, direttore artistico Cedac: “E’ una  stagione importante per tutto il settore. Ci affacciamo ad una ripresa della normalità della stagione teatrale (almeno pare) per la stagione della pandemia. Abbiamo fatto un ottimo risultato a Sassari lo scorso anno con una capienza ancora ridotta e la presenza aggressiva del virus. Oggi con l’abbattimento delle prescrizioni sanitarie ma con la grave crisi economica abbiamo ancora il Fus (Fondo Unico per lo Spettacolo ndr)  che ci sostiene”.

Ciabattoni, come di consueto, ha presentato i contenuti del cartellone in programma a Sassari.

Un palinsesto capace di raggiungere i gusti di tutte le aspettative dell’ampia variegata platea sassarese.

Anche la danza, con i suoi quattro spettacoli, spazierà in un omogeneo equilibrio, dal classico al contemporaneo.

“Sono 11 straordinari spettacoli” –  ha affermato Ciabattoni .“La portata dei nomi è importante. Iniziamo con Daniel Pennac. Innamorato dal teatro da tanti anni, con la pandemia si è messo in gioco anche come attore”.

Sarà proprio la commedia “Dal sogno alla scena” ideata dallo scrittore francese, classe 1944, insieme a Clara Bauer e Pako Loffredo, l’esordio della rassegna. Primo appuntamento, il prossimo 6 dicembre, l’unico del cartellone, in scena al teatro Verdi.

La rassegna proseguirà dal 15 dicembre al teatro Comunale con il secondo appuntamento.

In ribalta una scenografia policromatica ideata da Giorgio Gallione con una speciale carovana sonora. Elementi unici per “Ci vuole orecchio. Elio canta e recita Enzo Jannacci”.

A gennaio, in programma due matrici teatrali:

una drammaturgia inglese, con Alessandro Serra impegnato, il 9 gennaio, con una visione molto particolare del testo shakespeariano “La tempesta; Remo Girone, sarà protagonista, oltre a dirigerne la regia, de “Il cacciatore di nazisti. L’avventurosa vita di Simon Wiesenthal”. L’appuntamento è fissato al 31 gennaio.

Impossibile non citare il gradito ritorno di Lucrezia Lante della Rovere, in scena il 28 febbraio per la produzione di Palcoscenico Italiano. L’attrice romana interpreta “La divina Sarah”, un ammaliante testo di Eric – Emmanuel Schmitt, con la partecipazione di Stefano Santospago.

Nell’anno molierano non poteva mancare un classico del grande commediografo francese.

“Il malato immaginario”, coprodotto da una sinergia di più compagnie nazionali, per la regia di Guglielmo Ferro, in scena il prossimo 20 marzo, vedrà impegnati sul palco Emilio Solfrizzi e Lisa Galantini.

Non da ultima, la commedia che chiuderà, il 28 marzo, la prosa in cartellone, vedrà l’ottima Maria Paiato nel testo brillante di David Mamet, “Boston marriage”; per l’adattamento di Masolino D’Amico e la regia di Giorgio Sangati.

Vere sorprese di calibro internazionale, le serate dedicate alla danza.

Ricordiamo solo il Balletto di Roma, protagonista il 7 marzo con “Astor un secolo di tango”. Una straordinaria coreografia di Valerio Longo per le musiche di Astor Piazzolla e la regia di Carlos Branca.

Nel congedare i giornalisti il direttore Meloni ha ricordato il riferimento culturale di Sassari per il nord Sardegna grazie all’iniziativa di Cedac. Analogamente l’impegno istituzionale offerto dall’ERSU per “creare parentesi di positività per i nostri studenti.”

La campagna abbonamenti partirà il prossimo 2 novembre. Gli interessati potranno prenotare l’appuntamento per l’acquisto e ogni informazione utile, previo contatto telefonico con il responsabile Cedac, Tore Pintus.

Luigi Coppola

 

(Foto Luigi Coppola)

Percorsi alla scoperta della musica con il M° Rosario Ruggiero alla FoCS

L’Associazione Culturale “Napoli è” in collaborazione con il Centro Studi “Mario Borrelli” della Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus, presieduta dal prof. Antonio Lanzaro, da anni ormai  promuove l’iniziativa dal titolo “Percorsi alla scoperta della Musica”.

Appuntamento domani giovedì 3 novembre ore 17.30 presso la Fondazione Casa dello Scugnizzo,  piazzetta San Gennaro a Materdei n. 3, Napoli per il primo degli incontri di questa nuova edizione organizzata dall’Associazione Culturale “Napoli è” nata nel 1994 e attiva in vari settori della cultura non solo a livello locale. Poesia, letteratura, fotografia, musica, storia, arte e architettura, pari opportunità e tutela delle differenze di genere, recupero delle tradizioni con “Rivive la Napoli dei Sedili. Il Palio dei Sedili” che ha compiuto quest’anno i 25 anni dall’ideazione, sono i principali impegni che la vedono protagonista.

“La musica è un linguaggio universale in grado di coinvolgere e affascinare persone di differenti lingue e culture, senza distinzioni sociali o di età, di superare le barriere della comunicazione, di creare legami oltre le frontiere, di creare atmosfere e stemperare tensioni – evidenzia la giornalista Bianca Desideri che cura l’organizzazione dell’iniziativa”.

A volte, però, le persone utilizzano termini musicali senza conoscerne l’autentico significato (armonia, ritmo, sincope, canzone, sinfonia, ecc.).

“Gli incontri con il pianista e valente concertista Rosario Ruggiero – prosegue Bianca Desideri – si propongono di rendere fruibili anche ai non esperti termini, curiosità, elementi della storia della musica, spaziando nel tempo e nei vari generi musicali, spiegandoli e facendo scoprire i loro autori, da Bach ad Haydn, Mozart, Beethoven, Chopin, Brahms fino a Rachmaninoff, Debussy, Kachaturian e più”.

Il prossimo incontro è previsto per il 15 dicembre alle ore 17.30.

Per informazioni sul seminario: 3478139937 oppure e-mail associazionenapolie@libero.it. 

 

I grandi romanzi di avventura in edicola

Accompagneranno i lettori della collana ben 65 uscite di grandi romanzi di avventura scritti tra il XIX e il XX secolo, diventate vere e proprie pubblicazioni di pregio editoriale grazie alla presenza di tavole realizzate da grandi maestri dell’illustrazione.

La collana di Hachette, presente in edicola, raccoglie, nelle pagine dei volumi scelti a comporla, incisioni di grandi artisti, tra i quali Bayard, Meryon, Vierge, Morin, Roux o Finnemore.

La tecnica dell’incisione rappresentò, nel periodo del Romanticismo, un vero e proprio genere artistico riuscendo a rendere evidenti e narrare, come è possibile vedere nelle illustrazioni dei libri, emozioni e paure dei protagonisti della narrazione.

Abbiamo scelto di presentare la collana con il primo “capolavoro” illustrato  uscito lo scorso agosto: “L’Isola del Tesoro” di Robert Luis Stevenson, autore che ha lasciato ai posteri opere di grande fascino e successo, come appunto “L’isola del tesoro”, “La freccia nera” e “Lo strano caso del Dottor Jekyll e del signor Hyde”.

La narrazione della ricerca del tesoro ha appassionato generazioni di adulti e ragazzi che hanno letto la storia del misterioso marinaio con una gamba di legno che si rifugia nella locanda “Ammiraglio Benbow” e che è in possesso di una mappa di un tesoro rubato, sepolto in un’isola deserta. Proprio di questa mappa verrà in possesso il giovane Jim Hawkins e da quel momento sarà un susseguirsi di eventi e avventure.

Antonio Desideri

The passenger: a Napoli la mostra dedicata a David Bowie

“The passenger” si intitola la mostra dedicata a David Bowie e, questa volta, dopo Milano sarà Napoli ad ospitare le opere che raccontano la carriera cinematografica della star. Ad organizzare questo evento, per ricordare dopo sei anni dalla sua scomparsa l’amatissimo cantante, attore e musicista londinese, sono stati la società Navigare srl, Vittoria Mainoldi e Maurizio Guidoni di Ono Arte.

L’esposizione ha avuto inizio il 24 settembre 2022, in collaborazione con il Comune di Napoli e il PAN, e terminerà il 29 gennaio 2023. La location è stata selezionata accuratamente ed allestita esclusivamente per l’evento: si svolge all’interno di una sala del Palazzo delle Arti Napoli.

La mostra presenta 60 fotografie prodotte dallo storico fotografo Andrew Kent, con il quale il cantante aveva un forte legame di amicizia, e l’obiettivo è quello di  raccontare, attraverso la fotografia,  un fondamentale quanto esordiente periodo di vita della stella della musica rock: Bowie nel 1976 presenta l’album “Station to station” con 66 concerti in quattro mesi tra Usa, Europa e Canada. Il tour in Europa contava ben 25 tappe e, una volta divenuto un fotografo di fama mondiale Kent, durante ogni spettacolo ebbe il vantaggio di ottenere una posizione riservata esclusivamente a lui la cui veduta gli permise di elaborare un perfetto reportage di ogni concerto di Bowie. Per Kent si prospettava una vita movimentata e di successo dal momento in cui ebbe la grande occasione di seguire la star durante ogni viaggio: navi, hotel, treni, aerei e visitare luoghi incantevoli come Mosca, Berlino, Londra e tanti altri luoghi in compagnia del suo più caro amico. Kent è un noto e stimatissimo fotografo americano, non solo per aver realizzato molti scatti per Bowie, (che senza  dubbio sono i suoi lavori più considerevoli), ma anche per aver  lavorato per molte rock star degli Anni ‘70: Freddie Mercury, Iggy Pope Frank Zappa, Elton John, Jim Morrison, KISS. Considerato che il rapporto tra David e Andrew non era solo professionale ma i due erano legati da una profonda amicizia sincera, all’interno della mostra ci sono anche diverse fotografie che raccontano aneddoti di Bowie con Kent e, soprattutto, momenti speciali per la star come quello che ricorda il poster del film in cui interpretò un importante ruolo. Ancora, video, scatti di abiti originali che indossava durante i suoi concerti, le copertine delle riviste di quegli anni in cui era quasi sempre presente il volto della star. A proposito degli abiti originali di Bowie: il cantante, per il suo abbigliamento eccentrico (spesso si truccava da donna), diventò un’icona capace di abbattere gli stereotipi riguardo l’omosessualità e non solo, riuscì ad avvicinare più generazioni amanti della musica rock e, dunque,  pare proprio  che il suo intento fosse quello di seminare pace. Anche il messaggio che vuole mandare Kent allo spettatore attraverso le sue foto arriva forte e chiaro: una persona muore quando viene dimenticata e questo per David Bowie non accadrà mai.

Alessandra Federico

La Storia d’Italia per i piccoli

Un’avventura alla scoperta della storia d’Italia dai primi uomini che hanno abitato la nostra penisola al boom economico  attraverso la piacevole e interessante narrazione che ne fa il nonno  di Marco e Giulia, due bambini dei nostri tempi affascinati dai suoi racconti.

Un appassionante viaggio nel tempo alla scoperta di tante diverse epoche che portano al nostro presente. Una narrazione che fa conoscere, anche attraverso le ricche illustrazioni, storie, luoghi, eventi, protagonisti e il ruolo che hanno avuto.

40 uscite in edicola per la collana edita da EMSE Italia srl, la prossima, secondo il piano dell’opera, il 3 novembre con il volume dedicato all’impero romano e il successivo il 10 novembre dedicato a Pompei, Ercolano e al Vesuvio.

Antonio Desideri

Lucrezia: desiderio di futuro nella Roma antica

È il febbraio del 509 a.C., una sera fatale in un’Urbe soffocata dalla sopraffazione politica. Governano i Tarquini, imprimendo un pesante dispotismo tirannico ed un notevole segno assolutistico. Il potere non è più trasmesso per elezione popolare bensì per via ereditaria. Le vie romane hanno già visto Tarquinio Prisco celebrare un trionfo vestito con una toga ricamata d’oro ed una tunica palmata, ovvero con tutte le decorazioni e le insegne per cui risplende l’autorità del comando assoluto.  Lucrezia, moglie di Collatino, matrona pacata, laboriosa, fedele, si trova a casa propria: accoglie Sesto Tarquinio, figlio del re Tarquinio il Superbo; viene stuprata; dopo poco si suicida. L’episodio è arcinoto con modiche e collaterali varianti. “Gara delle mogli” durante l’assedio di Ardea, o incontro casuale fra i giovani della famiglia reale e la moglie di Collatino? Richiesta d’accoglienza da parte di Sesto Tarquinio, in nome della parentela con lo stesso Collatino o congegna d’una fuorviante e falsa epistola in cui quest’ultimo chiede alla consorte di porgere ospitalità per la notte? Lucrezia chiama a sé, convocandoli a Collazia, il padre ed il marito o si reca lei stessa a Roma per esporre il vituperio di cui è stata vittima? Bruto, il futuro eversore della monarchia, è presente mentre Lucrezia si toglie la vita o sopraggiunge successivamente?

Non importa: quell’abuso scatena una sequenza di eventi che sfocia nel giro di pochi giorni alla rivolta popolare destinata a decretare la fine del regime monarchico ed alla cacciata dei Tarquini. Una storia di vibrante passione: vita e morte di Lucrezia. Eroina mitizzata dal fluire fantasioso del tempo. Icona lanifica, casta, pia, frux, domiseda.

L’evento è indubbiamente coinvolgente e pregno di stimoli alla riflessione. Mediante Lucrezia si può scrutare un affresco sociale estremamente affascinante e sicuramente illuminante per i molteplici riverberi che produce sulla storia delle istituzioni così come sulle attuali questioni di genere.

Tatuata da una cicatrice indelebile non cincischia in lagnanze e decide per sé, determina il suo avvenire. Vessillo di pudicitia, ripresa mentre tesse la lana con le sue ancelle, mentre le nuore del re si divertono in banchetti ed orge, sferra il colpo mortale ai Tarquini.

Afferrando il coltello e piantandoselo nel cuore, uccide se stessa e partorisce la Repubblica. Lucrezia mi piace assai: pone e dispone della propria esistenza. Mette al centro d’un fatto privato il suo corpo e lo usa per sovvertire le forze politiche in campo. È la prima onda di una marea: la sua mano é legata al divenire, il suo petto ammicca ad un futuro ancora da dipanare.

Lucrezia, irreprensibile matrona, dedita alla cura domestica, dona pace e spinge alla battaglia; è casta e si concede eternamente; terrorizza ed ammalia; fertilizza e sterilizza. Ogni suo aspetto possiede una funzione politico-sociale trasformatrice. Scandisce la lotta per il rinnovamento. Volge uno sguardo sistemico. Possiede una mentalità affatto fossile. Abbatte con fiera determinazione gabbie concettuali ancestrali. Mobilita la massa, scuote l’opinione pubblica e muta il corso della storia di Roma. Decostruisce l’idea di “donna” come categoria ontologica e la intende, invece, come “costrutto sociale”.

Qual è la lezione di Lucrezia? Reagire alle posizioni identitarie. Cura, appeal erotico, docilità? Non semplifichiamo!

“Lucrezia chiudi la bocca! Sono Sesto Tarquinio e ho una spada in mano. Una sola parola e sei morta!” scrive Livio. E Lucrezia ai suoi cari “Da oggi in poi, più nessuna donna, dopo l’esempio di Lucrezia, vivrà nel disonore!”

Affrancata da gioghi vetusti e da costrizioni culturali, braccio armato nella lotta di liberazione, Lucrezia sa di non essere una monade: il suo personale è politico. Eh, no: la donna perfetta non è quella morta. Lucrezia desidera il futuro.

Giuseppina Capone

Isabella Bignozzi: Il segreto di Ippocrate

Ippocrate, autore del celebre giuramento e padre della medicina occidentale: perché ha scelto di srotolare i fili della vita del maestro di Kōs?

Ho svolto per molti anni la professione odontoiatrica, ho avuta una lunga frequentazione universitaria e ospedaliera, e un mio studio privato per lungo tempo. Nei miei anni di attività clinica ho avuto la fortuna di avere molte soddisfazioni e innumerevoli difficoltà, incontri più o meno positivi, riflessioni accorate sul mio lavoro. Ho attraversato a un certo punto della mia attività un momento difficile e confuso, non ero serena con la realtà che mi circondava, e trovavo che alcune situazioni cui il mio lavoro in quel momento mi induceva non fossero in sintonia con le mie pulsioni più profonde. Il nome di Ippocrate a volte riecheggiava nei miei pensieri, lo vivevo come un simbolo etico, avendo conosciuto le sue parole alte nel giuramento che ogni medico fa a inizio carriera; era dunque per me una specie di padre spirituale.

È stato allora che ho trovato le opere di arte medica di Ippocrate disponibili nel web, in particolare il Corpus Hippocraticum, compendio di tutte le opere attribuite a Ippocrate (a torto o a ragione) e raccolte da Émile Littré in: Hippocrate. Oeuvres Completes, Jean-Baptiste Baillière, 1839. All’inizio non avevo alcuna intenzione di scrittura, mi guidava solo la curiosità, e un’esigenza di ascolto, di pura lettura e meditazione. Cercavo forse conforto, e alcune risposte.

Dunque ho letto per esteso i suoi scritti e ho sviluppato, nei mesi, una strana amicizia a distanza con questo sapiente vissuto tanti secoli prima di me. Ho trovato sia il conforto sia le risposte che cercavo e in più l’ho sentito vicino, come se lo conoscessi personalmente. Volevo a quel punto cercare di trasmettere questa sensazione di protezione e di saggezza a chiunque altro ne sentisse la necessità. Per questo ho voluto dargli un volto, delle vicende, dei pensieri. È venuto tutto in modo molto naturale.

Va detto che i suoi trattati sono per la maggior parte di natura molto tecnica: parlano di febbri, di epidemie, di umori; di pozioni, unguenti, suffumigi; di antichi anestetici e manovre chirurgiche. Sono anche frammentari, spesso, e sibillini, per il gran numero di secoli che intercorrono tra noi e l’età greca classica durante la quale sono stati redatti.

Ma sentivo in essi una voce di fondo, riflessiva, attenta al paziente, rispettosa. Una voce che mi ha confortato e, infine, conquistato. Nel rispetto di un’ampia documentazione storica da me consultata, ma facendo uso – laddove possibile e necessario per mancanza di informazioni – della mia immaginazione, nel corso di circa un anno è nato il romanzo.

Ippocrate sfiora eventi storici grandiosi, penso alla politica periclea ed al conflitto peloponnesiaco: in che misura la Grecia del V sec. a.C. tange la sua narrazione?

L’età classica è un’epoca che mi è rimasta nel cuore fin dal liceo. La Grecia e Atene in quel momento storico rappresentavano il cuore della cultura occidentale. Ne ho sempre immaginato l’atmosfera, i mercati, i templi; i teatri, l’agorà. Il desiderio di partecipazione politica dei cittadini, di disquisizione filosofica, di condivisione delle conoscenze.

La bellezza era ovunque: l’architettura e le arti animavano le poleis; il Partenone era in costruzione sull’acropoli, un tempio inondato di luce; e poi il Pireo, le Lunghe Mura; e infine, il senso di pace: Atene e Sparta proprio allora avevano stipulato un trattato che auspicava trent’anni di non belligeranza e prosperità tra la Lega Delio-Attica e la Lega Peloponnesiaca.

Ippocrate da ragazzo ebbe modo di vedere la polis nel suo massimo splendore: vi era cultura, indagine, speculazione. Anche nelle zone più periferiche della civiltà ellenica vi era grande fermento culturale. Penso alle scuole filosofiche della Magna Grecia, ad esempio. Gli studiosi di quell’epoca osservavano la natura e il mondo animale, facevano congetture sull’essenza dell’universo, ma anche sulle malattie degli uomini. Alcmeone e Democede di Crotone, Empedocle e Acrone di Agrigento furono tra questi. Senza dimenticare Democrito, Parmenide di Elea, Zenone; la scuola Pitagorica tutta. Gli studiosi di Crotone e Agrigento dissezionavano gli animali, mentre i filosofi inserivano nelle nozioni mediche le loro ipotesi sugli elementi primordiali dell’universo: l’acqua, l’aria, il fuoco e la terra servivano a spiegare la composizione dei corpi così come quella del mondo.

È in questa temperie che si sviluppa la medicina di Ippocrate. Le vecchie cosmologie iniziavano a dare stimolo allo studio empirico dei fatti, a un atteggiamento che potremmo definire proto-scientifico.

È vero che Ippocrate ha vissuto la sua giovinezza agli antipodi di questa parte del mondo greco, e ha risentito soprattutto degli stimoli culturali della propria regione geografica, quella orientale: fu influenzato dalla scuola medica di Cnido, ad esempio, dove vi era un Asklepieion di grande tradizione, e queste furono le sue conoscenze iniziali, se pur reinterpretate e integrate in relazione alle pratiche della scuola di Kos, cui lui propriamente apparteneva; ma è vero anche che in un secondo momento della sua vita, Ippocrate iniziò a viaggiare. Dalle fonti è molto chiaro che fu un medico cosmopolita, se così si può dire, per i suoi tempi. Le basi della sua scienza erano profondamente correlate alla medicina egizia e medio-orientale, da cui ha traslato molte conoscenze; è ben noto che in età matura fosse divenuto un viaggiatore instancabile, e che fosse spesso ad Atene, in Magna Grecia, in Tracia, in Egitto. Viaggiò, curò gli infermi, insegnò e apprese in tutte le terre conosciute del bacino del mediterraneo; visitò regioni allora inospitali, come la Scizia, la Libia, le regioni interne all’Asia Minore. Dunque la sua cultura medico-scientifica era variegata, e frutto di numerosi contatti avuti anche ai margini o al di fuori del mondo greco.

Gli episodi storici di quel periodo sono molteplici, in quanto esso fu denso di avvenimenti e ricco di storiografi accurati, di cui conserviamo le cronache. Basti pensare a Erodoto e, meno fantasiosi e più essenziali, Tucidide e Senofonte.

Nel mio romanzo ho cercato di trasfondere molto di tutto ciò; il mio Ippocrate cresce nella sua piccola isola, apprendendo dal padre. Ma poi viaggia a lungo, incontra grandi personalità, ne assorbe i precetti e le riflessioni. La sua vita procede tra conquiste e grandi delusioni, come accade per ognuno di noi. Dalla sofferenza di alcuni eventi tragici forgerà la sua tenacia, il suo equilibrio, le sue incredibili capacità. Dal punto di vista della cornice storica, ho inserito molto di quell’epoca, sia come riferimenti alla situazione politica, sia a quella culturale; inoltre ho voluto introdurre anche un piccolo divertissement, un viaggio che Ippocrate ho immaginato abbia fatto al seguito dei Diecimila di Ciro. Questo episodio, di pura fantasia (benché nulla provi né vieti, per la coincidenza di tempi e luoghi), mi è stato funzionale per descrivere una svolta di pensiero cui il mio Ippocrate va incontro, in tarda età, smantellando l’ultimo pregiudizio che gli aveva impedito, fino ad allora, di realizzarsi appieno e divenire compiutamente sé stesso, come uomo e come medico.

Dunque nella narrazione ho evocato numerosi avvenimenti e circostanze dell’epoca, creando – questa è la mia speranza – un’ambientazione storica e filosofica il più possibile ricca e veritiera. Tutto questo però, ci tengo molto a dirlo, senza tediare il lettore con particolari nozionistici, bensì facendo sì che la temperie culturale, i fatti politici, l’architettura e la natura, gli eventi storici entrino come arabeschi a cornice di una favola.

Quali sono i testi che ha letto e consultato per redigere il suo romanzo?

La fonte principale che ho usato è il già citato Corpus Hippocraticum; in realtà, soltanto alcuni degli scritti in esso inclusi sono da ritenersi più certamente suoi, e su questi ho fatto una consultazione più serrata, basandovi l’intelaiatura filosofica del romanzo: Sull’antica medicina, Le arie, le acque, i luoghi, Il prognostico, Gli aforismi, Sul regime delle malattie acute, alcuni scritti di ortopedia (che trattano la riduzione delle fratture, delle lussazioni, la terapia delle ferite della testa), Il Giuramento.

Nella parte introduttiva di tale raccolta del Littré si tratta a lungo anche della vita di Ippocrate, delle sue teorie e dei suoi maestri, riportando in modo critico le informazioni a suo riguardo che ci vengono fornite dalle tre biografie esistenti: quella di Sorano di Efeso, risalente al II secolo d.C.; quella contenuta nella Suda, un’enciclopedia storica del X secolo d.C. scritta in greco bizantino e riguardante il mondo antico del bacino del mediterraneo; quella di Giovanni Tzetzes, un filologo bizantino vissuto nel XII secolo d.C.. Questi storici pongono le loro fonti in autori ancora precedenti: Eratostene, Ferecide, Apollodoro, Ario di Tarso, Sorano di Kos, Istomaco e Andreas.

Per la ricostruzione geografica e storica mi sono aiutata con i seguenti testi i quali, benché successivi, mi hanno dato un’idea abbastanza fedele della natura e delle vicende del periodo storico di cui dovevo narrare:

la Biblioteca storica di Diodoro Siculo (frammenti, I sec a.C.)

la Periegesi della Grecia di Pausania (II sec d.C.)

la Geografia di Strabone (14-23 d.C.)

Inoltre ho attinto informazioni da alcuni testi classici e intramontabili, ricchissimi di dettagli e di episodi, più o meno veritieri, che mi hanno aiutata a entrare pienamente nello spirito dell’epoca:

Esiodo: Le opere e i giorni

Erodoto: Le storie

Tucidide: La guerra del Peloponneso

Senofonte: Anabasi

Infine, vi è una parte finale del libro in cui Ippocrate giungerà in Egitto, in visita a un collega e maestro, un sacerdote di Sekhmet che dirige la Casa della vita di Memphis. Tutte le nozioni di medicina egizia cui si fa riferimento in questa parte e anche altrove le ho tratte dai Papiri di Smith e di Ebers.

In particolare ho consultato il testo integrale del papiro Edwin Smith, che ho trovato disponibile per intero, traslitterato e tradotto in inglese, ad opera della University of Chicago Oriental Institute Publication. Si tratta di un testo scritto in ieratico, datato al 1650 a.C., ma secondo alcuni storici trascritto e rielaborato da un documento più antico, risalente al 2500-3000 a.C., che sarebbe addirittura opera del leggendario Imhotep; tale papiro è di contenuto principalmente chirurgico, e le informazioni in esso contenute, davvero sorprendenti, includono l’esame obiettivo, la diagnosi, il trattamento e la prognosi di numerose patologie (ferite della testa e del massiccio facciale; fratture cervicali, vertebrali, clavicolari, omerali; lussazioni articolari; tumori al seno), con speciale interesse per diverse tecniche operative e descrizioni anatomiche, ottenute anche nel corso dei processi di imbalsamazione e mummificazione dei cadaveri.

Ho letto inoltre su alcuni testi di medicina egizia numerosi frammenti tratti dal Papiro di Ebers (datato al 1550 a.C.), uno scritto immenso: basti pensare che l’originale misura più di 20 metri di lunghezza e trenta centimetri di larghezza e contiene 877 commi che descrivono numerose malattie in vari campi della medicina come l’oftalmologia, la ginecologia, la gastroenterologia, e le loro corrispondenti prescrizioni. Questo papiro include la prima relazione scritta sui tumori.

Lei è un medico ed una scrittrice: quale riflessione può offrirci circa il nesso tra cultura umanistica e cultura scientifica?

Sia la parola medico sia la parola scrittore sono definizioni troppo grandi per me. In ogni caso, ho sempre avuto grande amore per la medicina e la scienza, ma anche per la letteratura in ogni sua forma, e in modo precipuo per la filosofia. Quest’ultima disciplina, di carattere eminentemente speculativo per definizione, penso sia l’ambito che più compiutamente esprime il nesso tra i due versanti del pensiero umano: le discipline cosiddette umanistiche e quelle scientifiche.

Nell’antichità questi due regni erano molto più vicini tra loro. Ai tempi di Ippocrate – e così per lunghi secoli, fino a tutto il medioevo – lo stesso studioso era spesso medico, filosofo, poeta; a volte pittore, narratore, musicista. I numerosi Perí Physeos (Sulla natura) dei filosofi naturalisti presocratici erano opere che cercavano di cogliere l’essenza dell’universo, del mondo vegetale e animale, del corpo umano e delle sue malattie; l’acqua, l’aria, la terra e il fuoco erano i quattro elementi primordiali che servivano a spiegare la composizione dei corpi così come quella del mondo; opere eminentemente proto-scientifiche, che però erano scritte spesso in versi, avevano un’attitudine lirica dichiarata, a dimostrazione del sacro e del poetico che pervade l’esistenza di ogni essere vivente.

Leonardo da Vinci viene spesso citato per la sua genialità onnicomprensiva e circonferenziale (era inventore, ingegnere, esperto di anatomia ma anche scrittore e pittore) ma il suo non è un caso isolato. Le attitudini speculativa e creativa nell’antichità si mischiavano, traevano forza l’una dall’altra.

Poi è accaduto qualcosa, in particolare a partire dall’illuminismo e a seguire con la rivoluzione industriale e l’avvento della tecnologia, che ci ha abituati a pensare che la scienza e le materie umanistiche siano universi lontani, e che presuppongano atteggiamenti di pensiero opposti, tra loro inconciliabili. Il metodo scientifico proposto per primo da Galileo nel sedicesimo secolo introdusse la sperimentazione e il risultato ripetibile come unici elementi adatti a convalidare o confutare l’ipotesi dello scienziato, senza che nessuna sua opinione o pregiudizio potessero andarne a contaminare i risultati. E questo è senz’altro giusto e desiderabile, ma non esclude che lo scienziato possa far tesoro delle sue conoscenze e spingersi oltre, in altro ambito. Lo scienziato è tale solo se ha solide conoscenze acquisite, ma questa è condizione necessaria e non sufficiente per attuare nuove scoperte, per le quali serve un atto artistico d’intuizione. Albert Einstein ha saputo immaginare, quasi sognare dimensioni diverse spazio-temporali, prima di cercare le formule matematiche per dimostrarne la possibile esistenza. E così Stephen Hawking nelle sue teorie cosmologiche.

Il pregiudizio colpisce allo stesso modo le discipline umanistiche, e si pensa che per poter essere narratore o poeta basti la fantasia, o una presunta attitudine artistica o sensibilità specifica, allestita con qualche improvvisata nozione di espressione verbale che possa stupire il lettore. Ma questa, secondo la mia personale opinione chiaramente, trovo sia una grande bugia. Nelle discipline umanistiche la base dell’evolversi del letterato o del poeta risiede nell’applicazione, nella lettura, nella meditazione profonda di ciò che già è stato scritto e pensato; solo così un autore può ambire a dare a chi legge un messaggio ancora degno di questo nome. Non esiste creazione senza istruzione, senza familiarità intensa e affettuosa con i letterati e i poeti che ancora risuonano nell’aria; e, a saperla ascoltare, l’aria risuona di molte grida. Allo stesso modo in cui non esiste scoperta basata sul solo arido studio, senza essere benedetti dalla meraviglia dell’intuizione.

Anche per chi si avvicina come fruitore al prodotto culturale – sia esso letterario, filosofico, o scientifico – la condizione principe è quella dell’accoglienza: essere pronti a una frequentazione intima, prolungata, a un’intensa contemplazione dei contenuti, finché non si senta quello sgomento che si prova di fronte all’opera d’arte: sia essa la perfezione di una fuga di Bach o l’immagine delle interconnessioni tra masse stellari (che appaiono incredibilmente simili a quelle neuronali); sia essa un’immagine endocellulare presa al microscopio elettronico, o il verso di un poeta che scandagli i recessi dell’animo umano.

Ogni musicista è un grande matematico; ogni poeta frequenta quotidianamente l’infinito e l’eterno, ogni medico o biologo conosce il pulsare del miracolo della vita. È necessario poter essere pronti alla fatica, a un’intima ascesi, allo spavento della comprensione, prima di essere illuminati dall’intuizione.

Qual è il messaggio etico ippocrateo?

Ippocrate ha avuto molti meriti, primo tra tutti quello di essersi distaccato da una visione sacerdotale della medicina, e di aver dato origine alla scienza medica razionale dei popoli d’occidente; di aver perseguito la speculazione guidata dall’osservazione, dallo studio, dal ragionamento, di aver messo da parte rituali e superstizioni, di aver posto le basi di un seppure rudimentale metodo scientifico; di aver elaborato la teoria degli umori, della salute come equilibrio, della forza rigeneratrice della natura come prima alleata del terapeuta.

Entrando nello specifico dei suoi scritti, sicuramente le nozioni che ci ha trasmesso riguardo l’ortopedia, la riduzione delle fratture, la risoluzione delle lussazioni articolari hanno rivestito grande importanza per i medici che sono venuti dopo di lui; assolutamente innovativa inoltre la sua abitudine di tenere quello che ora definiremmo un diario clinico dove appuntava anamnesi, segni e sintomi alla prima visita, terapie somministrate, osservazioni nei giorni delle successive visite, che svolgeva con attenta sollecitudine; è così che nasce il primo abbozzo di cartella clinica, che è ancora oggi lo strumento base di osservazione e monitoraggio del paziente, di formulazione di diagnosi integrate, di monitoraggi puntuali dell’andamento terapeutico, di prognosi ragionate, di raccolta dati a scopo statistico e di ricerca.

Ippocrate inoltre fu tra i primi a considerare lo stile di vita del malato come uno degli elementi chiave per comprendere la causa del malanno e per sconfiggerlo. Fu il primo a osservare, accanto agli elementi dietetici, anche quelli atmosferici, psicologici e persino sociali del paziente, con un’ampiezza di vedute che ci ha lasciato intuizioni moderne e grandi insegnamenti.

Ma quello che più sorprende ed emoziona, a mio avviso, sono proprio gli scritti etici di Ippocrate, in cui egli dà disposizioni di comportamento. Nel romanzo le sue parole vengono a volte riportate testualmente:

«Quando voi dovete visitate il malato … sappiate prima di entrare cosa si deve fare; poiché molti casi necessitano non di ragionamento, ma di un intervento caritatevole […] Entrando, ricordatevi la maniera di sedersi, la riservatezza, l’abbigliamento, l’austerità, la brevità del linguaggio, il sangue freddo che non si confonde, la diligenza verso il malato, la cura, la risposta alle obiezioni, il mantenimento della calma nelle confusioni che sopraggiungono…».

Tali precetti di condotta toccano la punta più elevata nel Giuramento, con cui il libro si chiude e sul quale ogni medico ancora oggi fa la sua dichiarazione d’intenti a inizio professione: un testo profondo, intriso di un rispetto per la persona e di un amore per la vita che somigliano ai migliori afflati etici e principi deontologici dell’epoca moderna.

Ippocrate dai suoi testi appare un ricercatore implacabile, ma anche un grande umanista, pieno d’ideali: è ben documentata l’avversione che Ippocrate avesse per la furbizia, la sua refrattarietà agli insegnamenti dei sofisti, alle superstizioni e ai rituali che inquinassero il rigore scientifico e la morale integrità.

In questo momento storico di pandemia, in questo clima ansioso, surreale, in cui alcuni minimizzano e altri vedono l’apocalisse, dalle parole alte di Ippocrate non può che venire un senso di equilibrio e di speranza, insieme alla sensazione che le difficoltà dell’essere umano di fronte a queste calamità siano sempre state molto simili. Non è difficile immaginare che lo stato d’animo di Ippocrate ad Atene, durante l’epidemia di peste contro la quale si trovò a combattere, e durante la quale morì lo stesso Pericle, fosse molto somigliante a quello dei nostri medici e infermieri in questo momento storico.

Gli scritti di Ippocrate ci restituiscono uno studioso ostinato, strenuo nel combattere il male degli altri, fino a mettere in pericolo la sua stessa incolumità; un guaritore tormentato dalla purezza, non disposto a barattare in alcun modo la propria integrità.

I principi etici di Ippocrate che ho potuto riscontrare nel giuramento e in alcuni passaggi di altri suoi scritti sono espressi senza retorica ma in semplici precetti che egli rivolge ai colleghi per aiutarli ad avvicinarsi all’arte medica: lo studio implacabile, l’umiltà nell’apprendimento, l’ascolto attento – privo di alterigia o di presunzione – dei sintomi e delle sofferenze del paziente; la fedeltà alla propria causa, la difesa della vita, la dignità di ogni essere umano. La generosità e precisione nel trasmettere le proprie acquisizioni agli altri studiosi.

Un grande insegnamento, valido ancora oggi, e da molti applicato quotidianamente senza troppi clamori: i medici e i ricercatori che in questo momento particolare della storia umana si stanno adoperando, spesso ponendosi a rischio in prima persona, per contenere e sconfiggere la pandemia, a beneficio di noi tutti.

 

Isabella Bignozzi ha esercitato la professione di medico Odontoiatra per 22 anni. Ha studiato a Bologna (Laurea presso la facoltà di Medicina e Chirurgia), a Roma (Specializzazione e Dottorato di ricerca internazionale), a Torino (Master internazionale). Ha scritto innumerevoli lavori scientifici indicizzati e impattati. Ha svolto consulenze editoriali di tipo medico-scientifico per Springer Healthcare. Appassionata di lettura ha scritto per AltriAnimali, exLibris, Spore, Risme, Offline, Narrandom, Futura, L’Irrequieto, CrackRivista, Sulla quarta corda, Pangea.

Collabora stabilmente con PulpLibri e Formicaleone rivista.

Alcune sue poesie sono state pubblicate sul sito «Inverso – Giornale di Poesia», e una silloge poetica è in pubblicazione per la casa editrice Transeuropa.

Si è formata come redattore editoriale presso Oblique (www.oblique.it) frequentando il Corso Principe per redattori editoriali, edizione ottobre 2019 – gennaio 2020.

Giuseppina Capone

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