Maria Giovanna Luini. Parla come ami: L’infallibile potere delle parole

“Aderire con il cuore e la mente a una visione che oltrepassi la materialità”

E’ questa la chiave per giungere ad una piena coscienza di sé?

Non esiste una sola chiave, ognuno di noi può decidere di scovare chiavi che, passo dopo passo, portino a una visione sempre più consapevole. Non fermarsi al piano materiale, tangibile, fisico è un requisito essenziale per rendersi conto di ciò che realmente si è, ma anche usare la mente e il cuore all’unisono: viviamo in un contesto che privilegia la razionalità e il pensiero, considerando il sentire (e le emozioni) prodotti meno rilevanti e un filino pericolosi. La realtà è diversa: sentire, cioè percepire e provare emozioni, ha un’importanza almeno pari rispetto all’uso delle aree razionali del cervello, e contribuisce moltissimo spingerci nella dimensione più completa della consapevolezza.

«Quelle parole mi hanno fatto bene, non so perché ma mi sono sentito subito meglio.» «Ciò che hai detto mi ha fatto male, lo ricorderò per tutta la vita.».

Le parole travalicano il mero elemento comunicativo?

Le parole sono elementi energetici che possiedono un potere creativo o distruttivo. Possiamo considerarle pacchetti di energia che raggiungono destinatari rilasciando vibrazioni multi-livello e, di conseguenza, creando cambiamenti: il contenuto è importante, ma ugualmente importanti sono il tono e l’ispirazione con cui le parole sono emesse. Le parole ispirate, per esempio, arrivano da aree del corpo che associano in modo coerente mente e cuore e ottengono effetti molto più profondi rispetto al semplice contenuto. Come elementi di cura, le parole sono complete cioè non necessitano di altri rimedi: se diventassimo consapevoli di questo potremmo fare tantissimo per elevare il livello di salute, armonia e ricchezza nel mondo. Le parole che distruggono sono spesso inconsapevoli, buttate fuori senza badare a quanto siano potenti: potrebbero essere riconvertite in parole costruttive la cui vibrazione d’amore sappia guarire in modo ampio e duraturo.

La mimica di un volto, il tono di un’esclamazione involontaria, il colorito della pelle, il ritmo nel respiro di chi parla possono regalare o togliere energia a chi ci ascolta?

Certo, è utile restare presenti quando si parla. I cosiddetti aspetti metaverbale e paraverbale entrano a fare parte della comunicazione, in pieno. In studio o nelle sessioni in remoto sono consapevole che i sensi dei pazienti siano accesi e vogliano cogliere non solo ciò che dico, ma come lo dico: vale anche per me quando ascolto e colgo molto al di là del semplice contenuto. E l’energia risponde: ci sentiamo più o meno carichi, positivi, sani, respiriamo meglio o peggio in base a ciò che abbiamo percepito in termini di tono, sguardo, emotività, esitazione, fluttuazioni vocali. Le parole entrano in noi e istantaneamente di scatenano reazioni chimiche, ormonali: è inevitabile che accada, rispondiamo in modo fisico a ciò che riceviamo e l’effetto riguarda rapidamente tutto il corpo.

Dottoressa, lei è consulente all’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano. Guardando la sua personale esperienza, quanto è tangibile il potere delle parole?

Il potere delle parole è meraviglioso e micidiale insieme: con le parole e i toni, con gli sguardi si può togliere o rinforzare la speranza, si può influenzare negativamente o positivamente l’adesione dei pazienti alle cure, si può implicitamente suggerire che una diagnosi di malattia sia una condanna senza appello oppure apra a molte possibilità di terapia. Da consulente in alcuni centri medici ho visto pazienti rinunciare a priori ad affrontare una cura solo per le parole e il tono usati nel colloquio specialistico.

Lei reputa che il potere delle parole d’amore sia infallibile ma esse possono altresì costituire un veleno a rilascio graduale. Ebbene, qual è l’antidoto?

Diventare consapevoli e presenti a se stessi, in una parola: risvegliarsi. Nella maggioranza delle ore di una giornata si vive addormentati, si funziona come automi caricati a molla e si seguono idee vaghe perlopiù appartenenti ad altri: risvegliarsi porta a vedere sul serio, sentire, rendersi conto. Siamo gli artefici della nostra esistenza, anche nelle parti buie: le parole sono il mezzo e lo strumento che usiamo per creare noi stessi e il mondo che percepiamo, ma non ce ne rendiamo conto. L’antidoto a ogni danno creato dal vivere senza consapevolezza è fermarsi, respirare e prestare vera attenzione a ciò che si sta facendo, dicendo, vivendo. Qui, adesso.

 

Maria Giovanna Luini è laureata in medicina, ha due specializzazioni e un master universitario in ambito medico e sta perfezionando la specializzazione in Psicoterapia Psicosomatica al Centro Riza di Milano. Dal 1994 è anche consulente all’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) a Milano, dove è stata assistente medico personale di Umberto Veronesi alla Direzione Scientifica e con lui ha scritto alcuni libri. Si occupa di medicina psicosomatica e di approcci terapeutici non convenzionali, tiene sessioni individuali e di gruppo, seminari di meditazione e guarigione spirituale. Nel suo ultimo libro, Parla come ami (Mondadori, 2021), ha raccontato il proprio peculiare metodo terapeutico basato sulle parole e su un mantra in grado di interagire con la dimensione psicofisica umana. Grazie all’integrazione tra le diverse medicine accompagna i pazienti su una strada che persegue la guarigione attraverso un approccio personalizzato centrato sul sé.

Giuseppina Capone

 

Anna Chiara Cuozzo: L’essenza dell’assenza

Tra le pagine del libro emerge che la memoria ha un doppio fondo: è il ricordo di ciò che è accaduto e, contemporaneamente, il ricordo di quel che non è avvenuto in quel che è accaduto.
Cos’intende per “memoria” in relazione ai sentimenti?
In questo romanzo ho cercato di trasmettere il concetto di memoria come scheletro dei sentimenti, testimonianza attiva ed inafferrabile di ciò che si prova e si trasmette agli altri.
Le mie protagoniste incarnano a pieno questa descrizione: una di loro, Adela, vive tutta la sua vita per tener viva la memoria di ciò che sua figlia è stata, al punto che la sua intera esistenza è finalizzata a proteggere quei ricordi e a tenerli vivi in un mondo che sembra non averli mai ospitati.
Diametralmente opposto è invece l’atteggiamento di Alma, un’altra delle protagoniste, per la quale è il ricordo di quel che non è avvenuto a muovere le fila della sua storia. L’amore mancato di sua madre infatti, il sentimento che più di tutti contribuisce a renderci ciò che siamo, la condiziona a tal punto da compiere un viaggio oltreoceano pur di comprenderne le ragioni e di scongelare i suoi sentimenti dal gelo in cui la mancanza di quell’affetto li ha confinati.
La storia che narra delinea un percorso che pare indurre ad evadere dalla “comfort zone”, sfidando i propri spettri per smettere di sopravvivere e iniziare realmente a vivere.
Questo delicatissimo libro nasce con uno scopo salvifico? La scrittura stessa può assurgere ad una funzione soterica?
Trovo che la scrittura possa avere qualsiasi potere uno le attribuisca: dal semplice intrattenimento all’esorcizzazione di una paura, dal racchiudere delle memorie al creare qualcosa di nuovo e dargli vita. Il mio romanzo in particolare nasce con lo scopo di approfondire un contesto storico – quello della dittatura militare Argentina di fine anni ’70 – forse non troppo conosciuto in Italia, soprattutto dalla mia generazione che non ha vissuto quegli anni.
Al contempo però, lo scopo di questa storia – anzi, di queste quattro storie intrecciate – è quello di raccontare tutte le diverse strade che possono portare ad uno stesso risultato: il conseguimento della pace interiore e il compimento del proprio destino.
Le mie protagoniste sono infatti molto diverse tra loro e partono da presupposti altrettanto diversi eppure, ognuna di loro a suo modo, desidera soltanto liberarsi dalle proprie paure e dalle proprie catene, andare oltre il limite dello status quo, il confine tra il vivere e il semplice sopravvivere.
Lei lascia intravedere l’abisso di una voragine interiore, dovuta a sentimenti  spezzati, che lascia annichiliti.
La perdita, il lutto, è anche perdita di parte di sé?
A mio parere, ogni cosa a cui ci dedichiamo nella vita, ogni persona che amiamo, ogni dettaglio a cui prestiamo attenzione, racchiude e conserverà per sempre una parte di noi e di ciò che siamo stati.
In tal senso dunque, la perdita rappresenta inevitabilmente il distacco di uno di quei piccoli tasselli che compongono ogni vita.
Il mio romanzo esplora molto questa tematica, partendo dal lutto letterale che è sicuramente il più palese, fino ad arrivare alla mancanza che si prova verso una parte di se stessi che si lascia andare.
A questo proposito, piuttosto che citare gli esempi più lampanti come la morte di una figlia o di una madre, mi sento di parlare del personaggio di Maria, colei che non subisce alcun lutto ma che soffre invece un dolore molto diverso: la perdita di se stessa.
Il suo sembra un monito ad essere attenti al dolore altrui, a farci forieri d’empatia. Trova che la contemporaneità vada scossa in tal senso?
Assolutamente sì.
Ho provato ad incarnare quest’empatia in particolare nel personaggio di Thiago, il quale avrà a che fare con Alma, una delle protagoniste. A differenza di tutte le altre persone che la circondano infatti, lui riesce in qualche modo ad accogliere la sua freddezza e i suoi silenzi senza forzarla, accetta il suo dolore pur non conoscendone le ragioni e riesce ad essere per lei un conforto ed un porto sicuro. Ed empatia significa proprio questo: calarsi nei panni dell’altro, accogliere i suoi sentimenti senza necessariamente condividerli, ma rispettandoli e tutelandoli come se fossero propri.
Allo stesso tempo però, se sembra semplice far caso al dolore altrui quando si sta bene con se stessi, trovo che la vera empatia stia nel farlo anche quando non è così. In questo senso è il personaggio di Adela a descrivere bene il mio pensiero, dimostrando che la vera empatia è vivere il dolore in maniera inclusiva e non egoista, aprirsi all’altro anziché chiudersi nella propria individualità.
Lei esplora la provvisorietà dell’Occidente contemporaneo come Annie Ernaux o Yasmina Reza: sagacia solo a prima vista distratta e breve intuizione. Qual è la cifra caratteristica della sua narrazione?
Trovo che la cifra caratteristica della mia scrittura sia la sincerità e la schiettezza con cui le emozioni e le situazioni vengono raccontate. Non amo i fronzoli e le narrazioni barocche, ho sempre preferito uno stile più scarno ma a mio parere più diretto e funzionale. I miei personaggi sono persone a trecentosessanta gradi e come tali vengono raccontati, senza filtrarne i difetti e le contraddizioni, e allo stesso modo la scrittura si adatta ad essi, cambiando toni ed intensità quando si approccia ad uno o all’altro. Questo è il motivo per cui ho scelto di utilizzare punti di vista differenti per i quattro filoni, per permettere alla narrazione di adattarsi alle varie protagoniste e non viceversa.
Anna Chiara Cuozzo ha pubblicato il suo primo romanzo, Il pianto della matrioska, a sedici anni. Dopo molteplici esperienze nella scrittura online – specialmente su Wattpad – si è cimentata nella stesura di questo romanzo, la cui idea è nata da un viaggio in Argentina.
Giuseppina Capone

Symposium sulla storia della moneta dal baratto alla valuta digitale

Il Symposium sul tema ‘’La Storia della Moneta dal baratto alla valuta digitale”, si è svolto il 17 maggio scorso, presso la sede del progetto Uniforme, in piazzettatta Sant’Eligio n. 5 a Napoli.

A dare il via a questo interessante convegno è stato Vincenzo Angrisano, presentando il progetto “Vivere Meglio” (CITS, Napoli è, noi contro la mala sanità e altre). Il progetto, ha come obiettivo quello di promuovere iniziative atte a informare l’opinione pubblica su temi di scottante attualità come l’ambiente, la salute e l’educazione finanziaria, (tema della serata), che si auspica  diventi materia di studio e di informazione diffusa. Vincenzo Angrisano ha, in seguito, passato la parola ai conduttori del Symposium Andrea Giglio, Nando Russo e Domenico Credo. Andrea Giglio, Networker digitale, ha spiegato ai presenti che per risalire all’origine del termine moneta occorre tornare indietro nel tempo all’epoca degli antichi Romani, precisamente al 390 a.C. durante l’assedio di Roma da parte dei Galli. Tutto ebbe inizio quando, durante una razzia dei Galli, nei pressi del Tempio di Giunone, le oche del Campidoglio iniziarono a starnazzare lanciando l’allarme. Da quel momento la Dea Giunone prese l’appellativo di Moneta, dal latino monere ovvero avvisare. Dopo qualche tempo, accanto al tempio di Giunone Moneta,  nacque la “Zecca” ossia la fabbrica del denaro che dal quel momento assunse il nome di Moneta. Durante il Symposium, a continuare la narrazione sulla storia della moneta e sul denaro, Nando Russo e Domenico Credo, i quali, con i loro racconti, hanno portato l’appassionato pubblico presente in sala, in un metaforico viaggio attraverso i secoli partendo dal baratto (primo sistema di scambio) sostituito, successivamente, da altre forme di pagamento convenzionali come il sale o conchiglie, fino ad arrivare alla realizzazione delle monete e delle banconote e attualmente della valuta digitale. Il symposium si è concluso con la promessa che l’argomento, che ha suscitato interesse in tutti i presenti, sarà approfondito nei prossimi incontri.

Alessandra Federico

E gli angeli sono distanti. Interviste su Alda Merini

E gli angeli sono distanti ripercorre la vita di Alda Merini mediante le parole della poetessa e quelle di persone più o meno note, dall’editore Casiraghy a Emanuela Carniti Merini.
Quale figura di donna ne emerge?
Dalle interviste che ho fatto emerge una figura di donna molto sfaccettata, sicuramente generosa, poi anche autoironica e passionale, un vulcano in pratica. Io non ho avuto la fortuna di incontrare Alda Merini, ma negli ultimi anni mi sono appassionata molto alla sua poesia e quando si parla di Alda Merini, poesia e vita fanno un tutt’uno, così ho voluto dialogare con persone che hanno avuto modo di conoscerla in maniera più o meno approfondita.
Alda Merini sapeva voler bene e farsi volere bene. Le sue telefonate fiume agli amici erano una richiesta di contatto con il mondo, anche se il mondo l’aveva relegata per molto tempo ai margini della società.
Lo scrittore Crocifisso Dentello me l’ha descritta come una donna che amava provocare, anticonformista, che non parlava di letteratura e addirittura, se interrogata sull’argomento, cambiava discorso. La psichiatra Maria Antonietta Dicorato mi ha raccontato che il suo approccio con lei era stato difficile all’inizio, perché la poetessa era ostile verso la categoria degli psichiatri, ma una volta rotto il ghiaccio, Alda Merini aveva preso l’abitudine di chiamarla al telefono tutti i giorni per parlare di sé. Riccardo Redivo, che ha curato con me la raccolta di poesie e racconti di Alda Merini Confusione di stelle, pubblicata da Einaudi, ha definito il suo tono di voce profondo, consapevole del proprio dolore, a tratti sapiente. Anche Redivo aveva avuto delle difficoltà, all’inizio, ad approcciarsi con lei, perché gli aveva chiuso la porta in faccia rimproverandolo di non averla avvisata prima di arrivare. Ambrogio Borsani, curatore del Suono dell’ombra per Mondadori, conoscendola bene ha affermato che Alda Merini avrebbe preferito morire in manicomio piuttosto che vivere una vita senza poesia.
Pasolini sul Corriere della Sera scriveva “…perché come sanno bene gli avvocati, bisogna screditare senza pietà tutta la persona del testimone per screditare la sua testimonianza…”.
Cosa non è stato ancora perdonato ad Alda Merini?
A me sembra che oggi ad Alda Merini sia stato perdonato tutto. Tutti la adorano, ultimamente inizia ad essere valutata positivamente anche in ambito accademico, dove all’inizio si era restii a convalidare il suo valore. È una poetessa che piace sia agli intellettuali che alle persone con poca istruzione. Se si gira per i Social Network si vede quanto proliferano le pagine e i gruppi dedicati a lei. Tra i poeti del secondo Novecento Alda Merini spicca, e ancora di più spicca tra le poetesse di ogni tempo, dove ha un primato indiscutibile a livello di popolarità. Il fatto è che di Alda Merini si apprezzano due cose in particolare: per quanto riguarda la sua vita, paradossalmente se ne esalta la sfortuna – renderle tributo, anche post mortem, credo faccia sentire tutti più buoni, solidali e sensibili (so che può apparire forte come affermazione) –, per quanto riguarda la poesia, invece, si ama la sua semplicità – infatti la poesia di Alda Merini non ha molto di ermetico, di difficile, ma può essere compresa da tutti.
Alla poetessa dei Navigli non hanno perdonato molto quando era ancora in vita: soprattutto non le hanno perdonato il disturbo mentale, di cui non aveva colpa. Ma se il disturbo mentale fa molta paura quando chi ne è affetto è vivo ed è una mina vagante – come lo è stata la poetessa, come lo sono in generale i bipolari –, sembra meno pericoloso quando chi ne soffre muore, e allora torna ad essere una persona uguale alle altre, perché nella morte tutti siamo uguali, anche i cosiddetti ‘pazzi’. E non fanno più paura.
Il suo libro è stato pubblicato in occasione del decimo anniversario della morte di Alda Merini.
Qual è stata la più grande lezione della poetessa dei Navigli?
Per me la lezione di Alda Merini – sembra banale, ma per me è così –  è stata l’amore: la capacità di amare nonostante tutto, di resuscitare quando tutti ti hanno lasciato sola, di amare perfino un marito che ti ha picchiato, di amare la poesia nonostante i tanti rifiuti degli editori e infine, soprattutto, la conquista di amare se stessi anche se gli altri ti hanno stigmatizzato, anche se ti hanno fatto gli elettrochoc, anche se hanno detto che la tua poesia non è abbastanza colta, anche se ti hanno vietato di crescere le tue figlie, anche se qualche volta ti viene voglia di morire. Alda Merini è stata questo: un esempio di poetessa, ma ancora di più, per me, un esempio di donna. Perché non si è lasciata andare, ha combattuto senza cedere alla rabbia. Alda Merini è un esempio di amore.
Alda Merini è nota, per lo più ed anche, per aspetti massmediatici piuttosto che per i riverberi sentimentali, lirici e pirateschi di una donna che ha speso la sua vita nel combattere una rivoluzione sia estetica che linguistica. Per quale ragione, ancora oggi, risulta prevalente l’interesse per le polemiche civili, giornalistiche e letterarie rispetto alla versificazione?
Semplicemente perché sulle prime tutti possono mettere bocca, mentre non tutti hanno l’istruzione necessaria per recensire le sue opere, analizzandone le figure retoriche per esempio. E poi perché tutti siamo umani, quindi è naturale che ci sia più interesse per l’aspetto umano, specie quando è così singolare ed eccentrico, e meno per l’aspetto professionale. E poi anche perché Alda Merini ha saputo scuotere le coscienze. Le sue interviste meriterebbero uno studio a parte. Potrebbero essere trascritte e formare uno splendido libro a sé. La gente le ascolta ancora oggi incantata.
Le interviste che ha effettuato delineano una donna “disordinata, generosa, ironica e provocatoria” che, senza la poesia, non si sarebbe salvata dal buio delle reclusioni nell’ospedale psichiatrico di Milano e, successivamente, del reparto di psichiatria di Taranto. 
Questo delicatissimo libro nasce con uno scopo salvifico? La scrittura stessa può assurgere ad una funzione soterica?
Si scrive sempre per salvarsi. Passavo un bruttissimo periodo quando mi sono dedicata a questo libro di interviste, mi sono attaccata al telefono disturbando persone che per lo più non conoscevo (devo dire che si sono dimostrati tutti estremamente disponibili) e ammetto che per me questo piccolo libro, insieme al romanzo Maddalena bipolare che ho scritto poco tempo prima, è stato un appiglio, una ragione di vita in più quando tutto era diventato molto difficile da sopportare.
La figura di Alda Merini rappresenta salvezza, la salvezza di una che ce l’ha fatta, ha sconfitto la malattia, ha sconfitto l’incomprensione degli ‘addetti ai lavori’ che non la ritenevano abbastanza brava da volerla pubblicare, e poi, alla fine, se la sono contesa. Alda Merini ha sconfitto tutto, perfino la morte, tanto che è ancora più viva oggi fra di noi di quando era ancora viva.
Ornella Spagnulo ha seguito il master in scrittura creativa della Luiss – Luiss Writing School – dopo una laurea a pieni voti in Lettere con tesi pubblicata (Il reale meraviglioso di Isabel Allende) ed è dottoressa di ricerca in Italianistica. Ha curato una raccolta di inediti di Alda Merini per Einaudi, Confusione di stelle, insieme a Riccardo Redivo. Ha pubblicato quattro raccolte di poesie e un saggio di interviste su Alda Merini, E gli angeli sono distanti. Il suo primo romanzo, Maddalena bipolare, è stato vincitore dei premi: premio speciale della giuria concorso Casentino, 46° edizione, premio della critica concorso Montefiore, 11° edizione, premio speciale della giuria concorso Giovane Holden, 15° edizione, ed è stato selezionato come uno dei 200 libri più belli d’Italia dal concorso Tre Colori, 3° edizione.
Il suo sito è www.ornellaspagnulo.it.
Giuseppina Capone

“La neve in tasca”, la raccolta di poesie di Franco Filice

Si terrà venerdì 20 maggio alle ore 18.00 a Napoli, presso la libreria The Spark creative hub in piazza Borsa, la presentazione del libro di poesie “La neve in tasca” di Franco Filice, Edizioni Oedipus. Con l’autore, interverrà l’attrice e drammaturga Daniela Mancini che leggerà alcuni brani tratti dal volume.

Franco Filice è traduttore letterario dal 1992. Ha esordito con il romanzo Thomas mio padre, di Monika Mann, Tullio Pironti. Dopo la traduzione della raccolta di saggi Contro l’antisemitismo, di Theodor W. Adorno, Manifestolibri 1994, per lunghi anni si è occupato della gestione della biblioteca del Goethe Institut di Napoli, prima di riprendere la traduzione letteraria come principale attività. Traduce soprattutto opere di narrativa tedesca contemporanea, tra cui, negli ultimi anni, Mare calmo, di Nicol Ljubic, L’angelo dell’oblio, di Maja Haderlap, La cosmonauta e Una terra senza fine, di Jo Lendle, La Stasi dietro il lavello, di Claudia Rusch, Figlie dell’estate, di Lisa-Maria Seydlitz, tutti per Keller editore, nonché Harold e Billy, di Einzlkind, per edizioni nottetempo. Ha insegnato Lingua e traduzione tedesca presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli.

 

Il re scugnizzo

Quanto è aderente la figura di Maradona al monello napoletano indicato nel titolo?
Diego era il perfetto modello di scugnizzo: cresciuto in strada, bambino vivace e irrequieto con una famiglia poco abbiente alle spalle… Le caratteristiche c’erano tutte.
Nel Novecento il calcio ha sconfitto i totalitarismi di Hitler e di Stalin.
Quale funzione politico-sociale-antropologica ha assunto Diego Armando Maradona?
Dittature e regimi totalitari hanno sempre sfruttato lo sport a fini propagandistici e politici. Lo stesso Maradona, su cui aveva messo gli occhi il dittatore argentino Videla, aveva rischiato di diventare oggetto di propaganda. Il suo rapporto con la politica è stato, però, sempre distaccato, nonostante le sue idee, notoriamente orientate a sinistra, e la sua amicizia con Castro: Diego si limitava a sostenere con la sua popolarità le cause sociali e politiche che sentiva vicine. Quello che offre in particolare la sua parabola umana, con la sua ascesa e la caduta, è però un esempio senza pari di come il talento – indipendentemente da chi lo possiede – possa cambiarti la vita.
Il 25 novembre 2020 la notizia del decesso di Maradona richiamò con veemenza l’interesse dell’opinione pubblica internazionale.
Un campione dello sport quale eroe tragico contemporaneo?
Diego è stato un uomo con uno strepitoso talento e un’enormità di difetti: due aspetti destinati a catalizzare l’opinione pubblica. Ha incarnato la forza, la fragilità, la ricchezza e la povertà. Con la sua vita ha raccontato una storia epica che resterà nella memoria e nel cuore di molti.
La sceneggiatura è accompagnata da emozionanti illustrazioni. Quali sono i ritmi della collaborazione tra chi crea una graphic novel?
La storia la scrivo da solo, dopo aver raccolto le idee e tracciato le linee fondamentali della trama. Quindi fornisco a Ernesto tutti i dettagli: le immagini di riferimento, i luoghi e talvolta anche schizzi della scena che avevo in mente. Dopodiché inizia il lavoro duro: il suo. Ernesto si isola per un paio di mesi e torna con quelle tavole meravigliose che ha visto. È un lavoro che portiamo avanti separatamente, malgrado la comunicazione resti costante.
Paolo, può offrirci un ricordo personale che lo lega al Pibe de Oro?
Negli anni in cui Diego era a Napoli, per una serie di vicende, finii in una scuola privata e mi ritrovai in classe Ciccio Baiano, che allora giocava nel Napoli. Quel giovane calciatore era letteralmente assillato dalle domande sulla vita privata di Maradona, come se il resto della squadra non esistesse. Pochi mesi dopo arrivò lo scudetto e alcuni di quei giorni incredibili sono finiti inesorabilmente nella nostra graphic novel.
Paolo Baron e Ernesto Carbonetti muovono i primi passi nel fumetto pubblicando Suburbans (2013) e Punk is Undead (2016) per 80144 Edizioni. Nel 2017 esce per Magic Press la graphic novel Lazzaro, il primo zombie e – sempre per 80144 Edizioni – Chiedi a John. Quando i Beatles persero Paul (2018), pubblicato anche in Francia, Spagna, Brasile e Stati Uniti per Image Comics col titolo Paul is Dead. Per il mercato internazionale – in lingua inglese – è appena uscito Jim Lives. The Mystery of the Lead Singer of The Doors and the 27 Club (Image Comics).
Giuseppina Capone

Il CITS e il Symposium sulla fotografia sociale

La fotografia sociale è il tema su cui si è basato il Symposium presso la sede del progetto Uniforme. Vincenzo Angrisani, Raffaele Federico, Emilio Oriente e Carlo Landolfi sono stati i conduttori di questo conviviale incontro descrivendo, accuratamente, la storia della fotografia. La fotografia oltrepassa i secoli attraversando anche l’evoluzione sullo studio da parte di artisti e scienziati fino ad arrivare ai tempi moderni dove, l’utilizzo dello Smartphone, è riuscito a svalutare il valore di questo strumento diminuendone, appunto, il potere suggestivo e rivoluzionario.

Può ancora oggi la fotografia svolgere la funzione di scuotere quelle coscienze impigrite perché rassegnate da una ineludibile realtà circostante? E’ questo il quesito che molte persone al giorno d’oggi si pongono. Le risposte date alla domanda sono state tutte diverse e sostanziate da esempi recenti; quello riportato nella discussione è relativo al propagarsi di immagini sui social che, nell’arco di poco tempo, sono state in grado di diventare virali e manipolare e influenzare, purtroppo e spesso negativamente, il comportamento delle persone più sensibili e fragili. Per questo motivo, la fotografia, deve tornare ad essere utilizzata allo scopo di trasmettere emozioni, a chi la osserva e a chi la scatta, attraverso informazioni interessanti e idee positive atte a migliorare l’ambiente e la qualità della vita delle persone. A tal proposito, attraverso il programma di attività sociale denominato “Scatta e riscatta”, il progetto “Vivere meglio” utilizza proprio la fotografia come strumento di sensibilizzazione e risveglio delle coscienze. Da settembre 2021 questo progetto ha dato vita ad una serie di iniziative che ha stimolato i cittadini a partecipare attivamente (singoli o in gruppi) e che, con le foto-segnalazioni di degrado ambientale e igienico sanitario, (indirizzate agli enti responsabili e alla Stampa) sono riusciti a evidenziare alcune problematiche risolte poi con esito positivo. Al dibattito, seguito agli interventi, ha piacevolmente partecipato con interesse il cospicuo pubblico presente al Symposium, che ha, inoltre, collaborato ad incrementare l’incontro con nuove idee e nuove proposte.  Tutti gli interventi saranno inseriti in una pubblicazione.

Alessandra Federico

Alla FoCS l’incontro: La condizione delle Donne negli eventi bellici e nelle situazioni di conflitto

Martedì 17 maggio 2022 alle ore 10.30, la Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus, in piazzetta San Gennaro a Materdei n. 3, Napoli, organizza un incontro di informazione e formazione sul tema “La condizione delle Donne negli eventi bellici e nelle situazioni di conflitto”.

“L’iniziativa – evidenzia Antonio Lanzaro, presidente della Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus – raccoglie e rilancia, come focus di discussione, quanto emerso dalle riflessioni e istanze rappresentate a più voci in questi tragici mesi ed anche nell’ambito dello sportello FocsAscolto, dello Spazio Donne e del Centro Studi e Ricerche Mario Borrelli”.

Un momento di forte riflessione, così come nella tradizione della Fondazione, sulla condizione della Donna nelle situazioni di conflitto e guerra in questa difficile situazione internazionale e alle porte dell’Unione europea, che si sovrappone alla pandemia da Covid-19.

Un incontro dedicato a tutte le Donne ucraine e di tutto il mondo coinvolte in situazioni di conflitto e violenza per sensibilizzare sempre più tutti a lavorare per la pace in ogni situazione e in ogni luogo.

Dopo i saluti del presidente della Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus prof. Antonio Lanzaro interverranno: la Dott.ssa Bianca Desideri, Giornalista-Giurista, Direttore “Centro Studi e Ricerche Mario Borrelli della Fondazione Casa dello Scugnizzoonlus” anche in veste di moderatrice; la dott.ssa Matilde Colombrino, assistente sociale della Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus; Gaetano  Bonelli, Direttore del Museo di Napoli-Collezione Gaetano Bonelli e della Casa Museo “Enrico Caruso”; l’Arch. Laura Bourellis, esperta Beni Culturali, Consigliera Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus; la Dott.ssa Assunta Landri psicologa – psicoterapeuta, consulente Procura della Repubblica presso Tribunale di Napoli Sportello d’ascolto psicologico ”FocsAscolto” Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus.

Per partecipare all’evento è necessario attenersi alla vigente normativa per il contenimento del Covid-19.

“Scatta e riscatta” con il CITS

Il 13 maggio 2022, nell’ambito del Maggio dei Monumenti, si è tenuta  una interessante  ecofotopasseggiata organizzata dal CITS.

L’iniziativa, che ha il Patrocinio morale della seconda Municipalità del Comune di Napoli, ha condotto i volontari del progetto VIVERE MEGLIO lungo  via Duomo  fino a raggiungere la Chiesa San Giorgio Maggiore ai Mannesi.

La Chiesa risalente il IV secolo d.c., è un prezioso tesoro semignorato, posto in piazzetta ai Mannesi, un piccolo largo che da via Duomo conduce a  via Forcella.

Come tutto il patrimonio artistico culturale di Napoli è un luogo trascurato, con rifiuti abbandonati lungo la strada, cassonetti per i rifiuti aperti 24h24. La carreggiata presenta diverse buche causate da sampietrini divelti e sparsi ovunque.

Tutto meticolosamente documentato da fotografie  che andranno  a costituire  la mostra estemporanea “Scatta e riscatta”.

Marcostefano Gallo: L’illusione del melograno

Il percorso dei protagonisti si dipana anche a ritroso nel tempo; si serve di ricordi ingialliti e via via emergenti. La sua personale indagine adopera flashback che compongono un puzzle di notevole suspense. Quale valore attribuisce all’elemento della “memoria” nella sua produzione? Si possono davvero chiudere i conti con il passato?
La memoria, in particolar modo nei romanzi in cui si indaga negli aspetti più torbidi dell’animo umano, è un elemento fondamentale, asse portante del comportamento dei veri personaggi, che spesso agiscono in base alle esperienze pregresse, che siano positive o meno. I conti con il passato non si chiudono mai, c’è sempre qualcosa che ritorna anche quando pensiamo sia tutto finito. È la natura umana del resto, soprattutto quella dei più fragili: volgiamo lo sguardo avanti ma la mente ed il cuore rimangono sempre un po’ negli anni persi, per varie ragioni.
Il suo romanzo narra di Tancredi e sua madre, agli antipodi tuttavia legati da un laccio sentimentale inscindibile, quello della famiglia.
Perché i legami familiari sono sempre così passionali, in grado, al contempo, di allontanare ed attirare, congiungere e dividere, annientare e generare?
La famiglia è il luogo in cui non scegli di abitare, ma quello che ti viene posto in dote, da questa casualità possono nascere divergenze (o convergenze) che inevitabilmente segnano la tua esistenza ed il tuo cammino. Essendo appunto persone con le quali spesso si convive a lungo tutto è amplificato ai massimi livelli, ed il sangue in comune porta inevitabilmente ad una sorta si legame speciale.
Tancredi vive come un animale in cattività, inconsapevole della propria natura. Quanto coraggio occorre per saltare dal trampolino ed aprirsi ad una vita piena in cui far emergere con forza il proprio talento?
Mi viene in mente il titolo di un disco del mio gruppo, i Noir Col: La teoria del primo passo. Ebbene, ogni passo che facciamo verso le nostre scelte è una rottura inevitabile con il vissuto che fino a quel momento abbiamo avuto.  C’è chi nasce con questo coraggio e riesce a sfruttarlo, c’è invece chi come Tancredi ha bisogno di una “spinta” causata da fattori esterni, che in questo caso non faranno altro che infondegli la fiducia giusta.
Macchinazioni, intrighi, segreti, misteri, verità sapientemente celate, insabbiamenti, enigmi: sono ingredienti essenziali del giallo. Il suo romanzo in che misura diverge dal genere codificato?
Generalmente faccio solo un tipo di distinzione nel mondo del romanzo: bello o brutto. Penso che nel caso di questa storia ho affrontato un tema che mi è caro, ovvero l’indagare sugli aspetti più neri dell’animo umano, il nostro personale “dark side of the moon”. In generale poi le storie ambientate nei piccoli borghi sono sempre in un certo qual modo intrise da segreti, misteri e verità che diventano menzogna (e viceversa). È l’animo umano ad essere così tremendamente complicato, per fortuna di chi deve scriverne.
Lei è uno storico dell’arte, scrittore, cantante e autore della band Noir Col.  Quanto ha riversato nella sua scrittura della sua eclettica vita professionale e spirituale?
Direi che tutto confluisce in un unico contenitore. Gli studi universitari mi hanno infuso il metodo giusto e la pazienza che occorre per orchestrare un’opera complessa come un romanzo, mentre la musica mi ha regalato il senso della fluidità nello scrivere (cosa che non per tutti è un pregio). In generale direi che la scrittura è una perfetta sintesi di quel che è stato il mio percorso di studi, che ha modellato anche la forma dei miei sogni.
Marcostefano Gallo, ha conseguito una Laurea Specialistica in Storia dell’Arte. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni letterarie:
“L’arte di uccidere” Calabria Letteraria Editrice (2007)
“L’infinito per me” CSA Editrice (2008)
“La vendetta ha il mio stesso nome” CSA Editrice (2009)
“Circo Dovrosky” Ferrari Editore (2016)
“La fragilità dei Palindromi” Ferrari Editore (2018)
“Lo strano caso del Rêverie” Scatole Parlanti (2020)
“L’illusione del melograno” Pellegrini (2021)
Giuseppina Capone
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