Symposium sulla storia della moneta dal baratto alla valuta digitale

Il Symposium sul tema ‘’La Storia della Moneta dal baratto alla valuta digitale”, si è svolto il 17 maggio scorso, presso la sede del progetto Uniforme, in piazzettatta Sant’Eligio n. 5 a Napoli.

A dare il via a questo interessante convegno è stato Vincenzo Angrisano, presentando il progetto “Vivere Meglio” (CITS, Napoli è, noi contro la mala sanità e altre). Il progetto, ha come obiettivo quello di promuovere iniziative atte a informare l’opinione pubblica su temi di scottante attualità come l’ambiente, la salute e l’educazione finanziaria, (tema della serata), che si auspica  diventi materia di studio e di informazione diffusa. Vincenzo Angrisano ha, in seguito, passato la parola ai conduttori del Symposium Andrea Giglio, Nando Russo e Domenico Credo. Andrea Giglio, Networker digitale, ha spiegato ai presenti che per risalire all’origine del termine moneta occorre tornare indietro nel tempo all’epoca degli antichi Romani, precisamente al 390 a.C. durante l’assedio di Roma da parte dei Galli. Tutto ebbe inizio quando, durante una razzia dei Galli, nei pressi del Tempio di Giunone, le oche del Campidoglio iniziarono a starnazzare lanciando l’allarme. Da quel momento la Dea Giunone prese l’appellativo di Moneta, dal latino monere ovvero avvisare. Dopo qualche tempo, accanto al tempio di Giunone Moneta,  nacque la “Zecca” ossia la fabbrica del denaro che dal quel momento assunse il nome di Moneta. Durante il Symposium, a continuare la narrazione sulla storia della moneta e sul denaro, Nando Russo e Domenico Credo, i quali, con i loro racconti, hanno portato l’appassionato pubblico presente in sala, in un metaforico viaggio attraverso i secoli partendo dal baratto (primo sistema di scambio) sostituito, successivamente, da altre forme di pagamento convenzionali come il sale o conchiglie, fino ad arrivare alla realizzazione delle monete e delle banconote e attualmente della valuta digitale. Il symposium si è concluso con la promessa che l’argomento, che ha suscitato interesse in tutti i presenti, sarà approfondito nei prossimi incontri.

Alessandra Federico

E gli angeli sono distanti. Interviste su Alda Merini

E gli angeli sono distanti ripercorre la vita di Alda Merini mediante le parole della poetessa e quelle di persone più o meno note, dall’editore Casiraghy a Emanuela Carniti Merini.
Quale figura di donna ne emerge?
Dalle interviste che ho fatto emerge una figura di donna molto sfaccettata, sicuramente generosa, poi anche autoironica e passionale, un vulcano in pratica. Io non ho avuto la fortuna di incontrare Alda Merini, ma negli ultimi anni mi sono appassionata molto alla sua poesia e quando si parla di Alda Merini, poesia e vita fanno un tutt’uno, così ho voluto dialogare con persone che hanno avuto modo di conoscerla in maniera più o meno approfondita.
Alda Merini sapeva voler bene e farsi volere bene. Le sue telefonate fiume agli amici erano una richiesta di contatto con il mondo, anche se il mondo l’aveva relegata per molto tempo ai margini della società.
Lo scrittore Crocifisso Dentello me l’ha descritta come una donna che amava provocare, anticonformista, che non parlava di letteratura e addirittura, se interrogata sull’argomento, cambiava discorso. La psichiatra Maria Antonietta Dicorato mi ha raccontato che il suo approccio con lei era stato difficile all’inizio, perché la poetessa era ostile verso la categoria degli psichiatri, ma una volta rotto il ghiaccio, Alda Merini aveva preso l’abitudine di chiamarla al telefono tutti i giorni per parlare di sé. Riccardo Redivo, che ha curato con me la raccolta di poesie e racconti di Alda Merini Confusione di stelle, pubblicata da Einaudi, ha definito il suo tono di voce profondo, consapevole del proprio dolore, a tratti sapiente. Anche Redivo aveva avuto delle difficoltà, all’inizio, ad approcciarsi con lei, perché gli aveva chiuso la porta in faccia rimproverandolo di non averla avvisata prima di arrivare. Ambrogio Borsani, curatore del Suono dell’ombra per Mondadori, conoscendola bene ha affermato che Alda Merini avrebbe preferito morire in manicomio piuttosto che vivere una vita senza poesia.
Pasolini sul Corriere della Sera scriveva “…perché come sanno bene gli avvocati, bisogna screditare senza pietà tutta la persona del testimone per screditare la sua testimonianza…”.
Cosa non è stato ancora perdonato ad Alda Merini?
A me sembra che oggi ad Alda Merini sia stato perdonato tutto. Tutti la adorano, ultimamente inizia ad essere valutata positivamente anche in ambito accademico, dove all’inizio si era restii a convalidare il suo valore. È una poetessa che piace sia agli intellettuali che alle persone con poca istruzione. Se si gira per i Social Network si vede quanto proliferano le pagine e i gruppi dedicati a lei. Tra i poeti del secondo Novecento Alda Merini spicca, e ancora di più spicca tra le poetesse di ogni tempo, dove ha un primato indiscutibile a livello di popolarità. Il fatto è che di Alda Merini si apprezzano due cose in particolare: per quanto riguarda la sua vita, paradossalmente se ne esalta la sfortuna – renderle tributo, anche post mortem, credo faccia sentire tutti più buoni, solidali e sensibili (so che può apparire forte come affermazione) –, per quanto riguarda la poesia, invece, si ama la sua semplicità – infatti la poesia di Alda Merini non ha molto di ermetico, di difficile, ma può essere compresa da tutti.
Alla poetessa dei Navigli non hanno perdonato molto quando era ancora in vita: soprattutto non le hanno perdonato il disturbo mentale, di cui non aveva colpa. Ma se il disturbo mentale fa molta paura quando chi ne è affetto è vivo ed è una mina vagante – come lo è stata la poetessa, come lo sono in generale i bipolari –, sembra meno pericoloso quando chi ne soffre muore, e allora torna ad essere una persona uguale alle altre, perché nella morte tutti siamo uguali, anche i cosiddetti ‘pazzi’. E non fanno più paura.
Il suo libro è stato pubblicato in occasione del decimo anniversario della morte di Alda Merini.
Qual è stata la più grande lezione della poetessa dei Navigli?
Per me la lezione di Alda Merini – sembra banale, ma per me è così –  è stata l’amore: la capacità di amare nonostante tutto, di resuscitare quando tutti ti hanno lasciato sola, di amare perfino un marito che ti ha picchiato, di amare la poesia nonostante i tanti rifiuti degli editori e infine, soprattutto, la conquista di amare se stessi anche se gli altri ti hanno stigmatizzato, anche se ti hanno fatto gli elettrochoc, anche se hanno detto che la tua poesia non è abbastanza colta, anche se ti hanno vietato di crescere le tue figlie, anche se qualche volta ti viene voglia di morire. Alda Merini è stata questo: un esempio di poetessa, ma ancora di più, per me, un esempio di donna. Perché non si è lasciata andare, ha combattuto senza cedere alla rabbia. Alda Merini è un esempio di amore.
Alda Merini è nota, per lo più ed anche, per aspetti massmediatici piuttosto che per i riverberi sentimentali, lirici e pirateschi di una donna che ha speso la sua vita nel combattere una rivoluzione sia estetica che linguistica. Per quale ragione, ancora oggi, risulta prevalente l’interesse per le polemiche civili, giornalistiche e letterarie rispetto alla versificazione?
Semplicemente perché sulle prime tutti possono mettere bocca, mentre non tutti hanno l’istruzione necessaria per recensire le sue opere, analizzandone le figure retoriche per esempio. E poi perché tutti siamo umani, quindi è naturale che ci sia più interesse per l’aspetto umano, specie quando è così singolare ed eccentrico, e meno per l’aspetto professionale. E poi anche perché Alda Merini ha saputo scuotere le coscienze. Le sue interviste meriterebbero uno studio a parte. Potrebbero essere trascritte e formare uno splendido libro a sé. La gente le ascolta ancora oggi incantata.
Le interviste che ha effettuato delineano una donna “disordinata, generosa, ironica e provocatoria” che, senza la poesia, non si sarebbe salvata dal buio delle reclusioni nell’ospedale psichiatrico di Milano e, successivamente, del reparto di psichiatria di Taranto. 
Questo delicatissimo libro nasce con uno scopo salvifico? La scrittura stessa può assurgere ad una funzione soterica?
Si scrive sempre per salvarsi. Passavo un bruttissimo periodo quando mi sono dedicata a questo libro di interviste, mi sono attaccata al telefono disturbando persone che per lo più non conoscevo (devo dire che si sono dimostrati tutti estremamente disponibili) e ammetto che per me questo piccolo libro, insieme al romanzo Maddalena bipolare che ho scritto poco tempo prima, è stato un appiglio, una ragione di vita in più quando tutto era diventato molto difficile da sopportare.
La figura di Alda Merini rappresenta salvezza, la salvezza di una che ce l’ha fatta, ha sconfitto la malattia, ha sconfitto l’incomprensione degli ‘addetti ai lavori’ che non la ritenevano abbastanza brava da volerla pubblicare, e poi, alla fine, se la sono contesa. Alda Merini ha sconfitto tutto, perfino la morte, tanto che è ancora più viva oggi fra di noi di quando era ancora viva.
Ornella Spagnulo ha seguito il master in scrittura creativa della Luiss – Luiss Writing School – dopo una laurea a pieni voti in Lettere con tesi pubblicata (Il reale meraviglioso di Isabel Allende) ed è dottoressa di ricerca in Italianistica. Ha curato una raccolta di inediti di Alda Merini per Einaudi, Confusione di stelle, insieme a Riccardo Redivo. Ha pubblicato quattro raccolte di poesie e un saggio di interviste su Alda Merini, E gli angeli sono distanti. Il suo primo romanzo, Maddalena bipolare, è stato vincitore dei premi: premio speciale della giuria concorso Casentino, 46° edizione, premio della critica concorso Montefiore, 11° edizione, premio speciale della giuria concorso Giovane Holden, 15° edizione, ed è stato selezionato come uno dei 200 libri più belli d’Italia dal concorso Tre Colori, 3° edizione.
Il suo sito è www.ornellaspagnulo.it.
Giuseppina Capone

“La neve in tasca”, la raccolta di poesie di Franco Filice

Si terrà venerdì 20 maggio alle ore 18.00 a Napoli, presso la libreria The Spark creative hub in piazza Borsa, la presentazione del libro di poesie “La neve in tasca” di Franco Filice, Edizioni Oedipus. Con l’autore, interverrà l’attrice e drammaturga Daniela Mancini che leggerà alcuni brani tratti dal volume.

Franco Filice è traduttore letterario dal 1992. Ha esordito con il romanzo Thomas mio padre, di Monika Mann, Tullio Pironti. Dopo la traduzione della raccolta di saggi Contro l’antisemitismo, di Theodor W. Adorno, Manifestolibri 1994, per lunghi anni si è occupato della gestione della biblioteca del Goethe Institut di Napoli, prima di riprendere la traduzione letteraria come principale attività. Traduce soprattutto opere di narrativa tedesca contemporanea, tra cui, negli ultimi anni, Mare calmo, di Nicol Ljubic, L’angelo dell’oblio, di Maja Haderlap, La cosmonauta e Una terra senza fine, di Jo Lendle, La Stasi dietro il lavello, di Claudia Rusch, Figlie dell’estate, di Lisa-Maria Seydlitz, tutti per Keller editore, nonché Harold e Billy, di Einzlkind, per edizioni nottetempo. Ha insegnato Lingua e traduzione tedesca presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli.

 

Il re scugnizzo

Quanto è aderente la figura di Maradona al monello napoletano indicato nel titolo?
Diego era il perfetto modello di scugnizzo: cresciuto in strada, bambino vivace e irrequieto con una famiglia poco abbiente alle spalle… Le caratteristiche c’erano tutte.
Nel Novecento il calcio ha sconfitto i totalitarismi di Hitler e di Stalin.
Quale funzione politico-sociale-antropologica ha assunto Diego Armando Maradona?
Dittature e regimi totalitari hanno sempre sfruttato lo sport a fini propagandistici e politici. Lo stesso Maradona, su cui aveva messo gli occhi il dittatore argentino Videla, aveva rischiato di diventare oggetto di propaganda. Il suo rapporto con la politica è stato, però, sempre distaccato, nonostante le sue idee, notoriamente orientate a sinistra, e la sua amicizia con Castro: Diego si limitava a sostenere con la sua popolarità le cause sociali e politiche che sentiva vicine. Quello che offre in particolare la sua parabola umana, con la sua ascesa e la caduta, è però un esempio senza pari di come il talento – indipendentemente da chi lo possiede – possa cambiarti la vita.
Il 25 novembre 2020 la notizia del decesso di Maradona richiamò con veemenza l’interesse dell’opinione pubblica internazionale.
Un campione dello sport quale eroe tragico contemporaneo?
Diego è stato un uomo con uno strepitoso talento e un’enormità di difetti: due aspetti destinati a catalizzare l’opinione pubblica. Ha incarnato la forza, la fragilità, la ricchezza e la povertà. Con la sua vita ha raccontato una storia epica che resterà nella memoria e nel cuore di molti.
La sceneggiatura è accompagnata da emozionanti illustrazioni. Quali sono i ritmi della collaborazione tra chi crea una graphic novel?
La storia la scrivo da solo, dopo aver raccolto le idee e tracciato le linee fondamentali della trama. Quindi fornisco a Ernesto tutti i dettagli: le immagini di riferimento, i luoghi e talvolta anche schizzi della scena che avevo in mente. Dopodiché inizia il lavoro duro: il suo. Ernesto si isola per un paio di mesi e torna con quelle tavole meravigliose che ha visto. È un lavoro che portiamo avanti separatamente, malgrado la comunicazione resti costante.
Paolo, può offrirci un ricordo personale che lo lega al Pibe de Oro?
Negli anni in cui Diego era a Napoli, per una serie di vicende, finii in una scuola privata e mi ritrovai in classe Ciccio Baiano, che allora giocava nel Napoli. Quel giovane calciatore era letteralmente assillato dalle domande sulla vita privata di Maradona, come se il resto della squadra non esistesse. Pochi mesi dopo arrivò lo scudetto e alcuni di quei giorni incredibili sono finiti inesorabilmente nella nostra graphic novel.
Paolo Baron e Ernesto Carbonetti muovono i primi passi nel fumetto pubblicando Suburbans (2013) e Punk is Undead (2016) per 80144 Edizioni. Nel 2017 esce per Magic Press la graphic novel Lazzaro, il primo zombie e – sempre per 80144 Edizioni – Chiedi a John. Quando i Beatles persero Paul (2018), pubblicato anche in Francia, Spagna, Brasile e Stati Uniti per Image Comics col titolo Paul is Dead. Per il mercato internazionale – in lingua inglese – è appena uscito Jim Lives. The Mystery of the Lead Singer of The Doors and the 27 Club (Image Comics).
Giuseppina Capone

Il CITS e il Symposium sulla fotografia sociale

La fotografia sociale è il tema su cui si è basato il Symposium presso la sede del progetto Uniforme. Vincenzo Angrisani, Raffaele Federico, Emilio Oriente e Carlo Landolfi sono stati i conduttori di questo conviviale incontro descrivendo, accuratamente, la storia della fotografia. La fotografia oltrepassa i secoli attraversando anche l’evoluzione sullo studio da parte di artisti e scienziati fino ad arrivare ai tempi moderni dove, l’utilizzo dello Smartphone, è riuscito a svalutare il valore di questo strumento diminuendone, appunto, il potere suggestivo e rivoluzionario.

Può ancora oggi la fotografia svolgere la funzione di scuotere quelle coscienze impigrite perché rassegnate da una ineludibile realtà circostante? E’ questo il quesito che molte persone al giorno d’oggi si pongono. Le risposte date alla domanda sono state tutte diverse e sostanziate da esempi recenti; quello riportato nella discussione è relativo al propagarsi di immagini sui social che, nell’arco di poco tempo, sono state in grado di diventare virali e manipolare e influenzare, purtroppo e spesso negativamente, il comportamento delle persone più sensibili e fragili. Per questo motivo, la fotografia, deve tornare ad essere utilizzata allo scopo di trasmettere emozioni, a chi la osserva e a chi la scatta, attraverso informazioni interessanti e idee positive atte a migliorare l’ambiente e la qualità della vita delle persone. A tal proposito, attraverso il programma di attività sociale denominato “Scatta e riscatta”, il progetto “Vivere meglio” utilizza proprio la fotografia come strumento di sensibilizzazione e risveglio delle coscienze. Da settembre 2021 questo progetto ha dato vita ad una serie di iniziative che ha stimolato i cittadini a partecipare attivamente (singoli o in gruppi) e che, con le foto-segnalazioni di degrado ambientale e igienico sanitario, (indirizzate agli enti responsabili e alla Stampa) sono riusciti a evidenziare alcune problematiche risolte poi con esito positivo. Al dibattito, seguito agli interventi, ha piacevolmente partecipato con interesse il cospicuo pubblico presente al Symposium, che ha, inoltre, collaborato ad incrementare l’incontro con nuove idee e nuove proposte.  Tutti gli interventi saranno inseriti in una pubblicazione.

Alessandra Federico

Alla FoCS l’incontro: La condizione delle Donne negli eventi bellici e nelle situazioni di conflitto

Martedì 17 maggio 2022 alle ore 10.30, la Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus, in piazzetta San Gennaro a Materdei n. 3, Napoli, organizza un incontro di informazione e formazione sul tema “La condizione delle Donne negli eventi bellici e nelle situazioni di conflitto”.

“L’iniziativa – evidenzia Antonio Lanzaro, presidente della Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus – raccoglie e rilancia, come focus di discussione, quanto emerso dalle riflessioni e istanze rappresentate a più voci in questi tragici mesi ed anche nell’ambito dello sportello FocsAscolto, dello Spazio Donne e del Centro Studi e Ricerche Mario Borrelli”.

Un momento di forte riflessione, così come nella tradizione della Fondazione, sulla condizione della Donna nelle situazioni di conflitto e guerra in questa difficile situazione internazionale e alle porte dell’Unione europea, che si sovrappone alla pandemia da Covid-19.

Un incontro dedicato a tutte le Donne ucraine e di tutto il mondo coinvolte in situazioni di conflitto e violenza per sensibilizzare sempre più tutti a lavorare per la pace in ogni situazione e in ogni luogo.

Dopo i saluti del presidente della Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus prof. Antonio Lanzaro interverranno: la Dott.ssa Bianca Desideri, Giornalista-Giurista, Direttore “Centro Studi e Ricerche Mario Borrelli della Fondazione Casa dello Scugnizzoonlus” anche in veste di moderatrice; la dott.ssa Matilde Colombrino, assistente sociale della Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus; Gaetano  Bonelli, Direttore del Museo di Napoli-Collezione Gaetano Bonelli e della Casa Museo “Enrico Caruso”; l’Arch. Laura Bourellis, esperta Beni Culturali, Consigliera Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus; la Dott.ssa Assunta Landri psicologa – psicoterapeuta, consulente Procura della Repubblica presso Tribunale di Napoli Sportello d’ascolto psicologico ”FocsAscolto” Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus.

Per partecipare all’evento è necessario attenersi alla vigente normativa per il contenimento del Covid-19.

“Scatta e riscatta” con il CITS

Il 13 maggio 2022, nell’ambito del Maggio dei Monumenti, si è tenuta  una interessante  ecofotopasseggiata organizzata dal CITS.

L’iniziativa, che ha il Patrocinio morale della seconda Municipalità del Comune di Napoli, ha condotto i volontari del progetto VIVERE MEGLIO lungo  via Duomo  fino a raggiungere la Chiesa San Giorgio Maggiore ai Mannesi.

La Chiesa risalente il IV secolo d.c., è un prezioso tesoro semignorato, posto in piazzetta ai Mannesi, un piccolo largo che da via Duomo conduce a  via Forcella.

Come tutto il patrimonio artistico culturale di Napoli è un luogo trascurato, con rifiuti abbandonati lungo la strada, cassonetti per i rifiuti aperti 24h24. La carreggiata presenta diverse buche causate da sampietrini divelti e sparsi ovunque.

Tutto meticolosamente documentato da fotografie  che andranno  a costituire  la mostra estemporanea “Scatta e riscatta”.

Marcostefano Gallo: L’illusione del melograno

Il percorso dei protagonisti si dipana anche a ritroso nel tempo; si serve di ricordi ingialliti e via via emergenti. La sua personale indagine adopera flashback che compongono un puzzle di notevole suspense. Quale valore attribuisce all’elemento della “memoria” nella sua produzione? Si possono davvero chiudere i conti con il passato?
La memoria, in particolar modo nei romanzi in cui si indaga negli aspetti più torbidi dell’animo umano, è un elemento fondamentale, asse portante del comportamento dei veri personaggi, che spesso agiscono in base alle esperienze pregresse, che siano positive o meno. I conti con il passato non si chiudono mai, c’è sempre qualcosa che ritorna anche quando pensiamo sia tutto finito. È la natura umana del resto, soprattutto quella dei più fragili: volgiamo lo sguardo avanti ma la mente ed il cuore rimangono sempre un po’ negli anni persi, per varie ragioni.
Il suo romanzo narra di Tancredi e sua madre, agli antipodi tuttavia legati da un laccio sentimentale inscindibile, quello della famiglia.
Perché i legami familiari sono sempre così passionali, in grado, al contempo, di allontanare ed attirare, congiungere e dividere, annientare e generare?
La famiglia è il luogo in cui non scegli di abitare, ma quello che ti viene posto in dote, da questa casualità possono nascere divergenze (o convergenze) che inevitabilmente segnano la tua esistenza ed il tuo cammino. Essendo appunto persone con le quali spesso si convive a lungo tutto è amplificato ai massimi livelli, ed il sangue in comune porta inevitabilmente ad una sorta si legame speciale.
Tancredi vive come un animale in cattività, inconsapevole della propria natura. Quanto coraggio occorre per saltare dal trampolino ed aprirsi ad una vita piena in cui far emergere con forza il proprio talento?
Mi viene in mente il titolo di un disco del mio gruppo, i Noir Col: La teoria del primo passo. Ebbene, ogni passo che facciamo verso le nostre scelte è una rottura inevitabile con il vissuto che fino a quel momento abbiamo avuto.  C’è chi nasce con questo coraggio e riesce a sfruttarlo, c’è invece chi come Tancredi ha bisogno di una “spinta” causata da fattori esterni, che in questo caso non faranno altro che infondegli la fiducia giusta.
Macchinazioni, intrighi, segreti, misteri, verità sapientemente celate, insabbiamenti, enigmi: sono ingredienti essenziali del giallo. Il suo romanzo in che misura diverge dal genere codificato?
Generalmente faccio solo un tipo di distinzione nel mondo del romanzo: bello o brutto. Penso che nel caso di questa storia ho affrontato un tema che mi è caro, ovvero l’indagare sugli aspetti più neri dell’animo umano, il nostro personale “dark side of the moon”. In generale poi le storie ambientate nei piccoli borghi sono sempre in un certo qual modo intrise da segreti, misteri e verità che diventano menzogna (e viceversa). È l’animo umano ad essere così tremendamente complicato, per fortuna di chi deve scriverne.
Lei è uno storico dell’arte, scrittore, cantante e autore della band Noir Col.  Quanto ha riversato nella sua scrittura della sua eclettica vita professionale e spirituale?
Direi che tutto confluisce in un unico contenitore. Gli studi universitari mi hanno infuso il metodo giusto e la pazienza che occorre per orchestrare un’opera complessa come un romanzo, mentre la musica mi ha regalato il senso della fluidità nello scrivere (cosa che non per tutti è un pregio). In generale direi che la scrittura è una perfetta sintesi di quel che è stato il mio percorso di studi, che ha modellato anche la forma dei miei sogni.
Marcostefano Gallo, ha conseguito una Laurea Specialistica in Storia dell’Arte. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni letterarie:
“L’arte di uccidere” Calabria Letteraria Editrice (2007)
“L’infinito per me” CSA Editrice (2008)
“La vendetta ha il mio stesso nome” CSA Editrice (2009)
“Circo Dovrosky” Ferrari Editore (2016)
“La fragilità dei Palindromi” Ferrari Editore (2018)
“Lo strano caso del Rêverie” Scatole Parlanti (2020)
“L’illusione del melograno” Pellegrini (2021)
Giuseppina Capone

Riapre l’antico Teatro di Ercolano

”Con questa riapertura vogliamo sensibilizzare i nostri cittadini. Attraverso il turismo e la nostra storia Ercolano può rinascere e soprattutto creare con le sue bellezze tanti posti di lavoro di cui il Meridione ha gran bisogno” – ha dichiarato Ciro Buonajuto, sindaco di Ercolano.
Il Teatro di Ercolano riapre finalmente le porte. L’antico Teatro fu sepolto dall’eruzione del 79 d.C, mentre nel Settecento veniva scelto da turisti di tutta Europa (dopo essere stato il primo monumento esplorato tra tutti i siti vesuviani colpiti dal cataclisma).

Da domenica 24 aprile e ogni sabato fino a dicembre, il Teatro di Ercolano sarà nuovamente aperto a chiunque abbia voglia di respirare storia, arte e cultura: scale realizzate in età borbonica (con torce ed elmetti protettivi), cunicoli in cui sono visibili reperti, gallerie, graffiti, e piccole stalattiti.

A venticinque metri di profondità, il teatro, fonde la città antica con quella moderna, unisce il parco archeologico con la città sovrastante del mercato dei vestiti usati di Pugnano e il suo centro storico. ”Un luogo straordinario che è il punto di partenza per andare a visitare e scoprire il resto della città di Ercolano. Ci troviamo nel punto in cui è nata l’archeologia occidentale e moderna: con la data del 1738 cominciano gli scavi sistematici proprio dal sito del Teatro. Qui viene sperimentata una forma innovativa di documentazione che non era stata realizzata fino ad allora: qui, ad esempio, viene realizzato un plastico del 1802 che è basato su quello del Settecento che era stato rovinato da un incendio, e che noi esponiamo”, ha affermato, durante la visita in anteprima alla stampa, il direttore del Parco archeologico Francesco Sirano.

L’affascinante teatro, per volere del duoviro Annius Mammaìianus Rufus e progettato dall’architetto P. Numisius, fu costruito in un’area nei pressi del foro durante la prima fase dell’età augustea, (all’interno si svolgevano commedie e satire e poteva ospitare duemilacinquecento persone). Prima ancora di essere sotterrato da ceneri, fango e lapilli durante l’eruzione del Vesuvio del 79, il Teatro aveva già subito gravi danni a causa del terremoto di Pompei avvenuto nel 62. Nel 1710 fu scoperto da Ambrogio Nocerino, un contadino che, intento a scavare un pozzo per il suo orto, trovò dei pezzi di marmo che vendette, poi,  ad un artigiano di Napoli. L’artigiano lavorava per il duca Emanuele Maurizio d’Elboeuf, che, una volta venuto a conoscenza dei ritrovamenti, decise di acquistare il pozzo e di cominciare le indagini tramite cunicoli sotterranei.

Diversi furono i tentativi di studio per arrivare alla scoperta del teatro: l’architetto, ingegnere, archeologo svizzero Karl Jakob Weber, introdusse una tecnica di scavo ordinata, mentre, poco tempo dopo, tramite l’utilizzo di una pompo idrovora, Francesco La Vega, (ingegnere e archeologo) riuscì a raggiungere il piano di calpestio in cocciopesto. Ancora, altri studi furono intrapresi da Francois Mazois all’inizio del XIX secolo.  Ma per un lungo periodo le ricerche furono completamente accantonate e solo nel 1865 venne restaurato l’ingresso per la discesa del Teatro.

Un vero e proprio tesoro dal valore inestimabile l’antico teatro di Ercolano,  finalmente pronto per essere nuovamente vissuto.

Alessandra Federico

Samantha Colombo: Polvere e cenere

Samantha Colombo ha studiato etnomusicologia e lavora tra editoria, musica e comunicazione. È appassionata di letteratura inglese e americana, espressionismo tedesco e avanguardie russe. Ha scritto racconti in numerose antologie collettive. “Polvere e cenere” è il suo primo romanzo.
“Polvere e cenere” ha, evidentemente, richiesto ricerche storiche accurate e meticolose. Quale metodo si è imposta di adottare per trattenere le informazioni e, poi, renderle narrativa?
La ricerca storica è stata, per me, la fase più coinvolgente nella stesura del romanzo. Dopo aver abbozzato la trama, ho deciso di inserire gli eventi in un contesto il più possibile verosimile. Ad esempio, si parla di una rappresentazione della “Bohème” a Londra: lo spettacolo è andato davvero in scena nel giorno e nel teatro che sono descritti. Il metodo che ho adottato, e che mi è più congeniale, è stato di avere una padronanza il più possibile completa del periodo storico di riferimento, iniziando con ricerche su libri e archivi online, prendendo appunti. Studiando sono poi arrivate ulteriori idee per arricchire la trama e costruire meglio i personaggi. Inoltre, ho passato parecchio tempo ai Metropolitan Archives di Londra, dove ho potuto consultare documenti originali, mappe e altro materiale. Costruire una scenografia il più possibile accurata è stato indispensabile, anche perché Londra è una dei protagonisti principali.
Gloria vive nell’Ottocento in modo spregiudicato e consapevole. “Spingersi oltre i propri limiti e scardinare le proprie convinzioni, a dispetto di tutto, era ciò che la sua natura meglio rispecchiava” Quali sono le peculiarità che la rendono contemporanea?
Gloria è un personaggio abbastanza sopra le righe per la sua epoca, tuttavia non così atipico. Studiando la società tardo-vittoriana, ho trovato infatti molte somiglianze con la nostra epoca, sia nella spinta all’innovazione sia nelle criticità sociali e politiche. È una donna che, da sempre, si è trovata a badare a sé stessa, facendo scelte complesse, affrontando rinunce, costruendo una professione, gestendo la propria indipendenza economica, tutti aspetti molto difficili per le donne dell’epoca e, mi viene da dire, ancora oggi oggetto di rivendicazioni. Credo che la narrazione delle donne di ogni tempo, anche nella contemporaneità, abbia dei tratti comuni: uno di questi è senza dubbio il legittimo bisogno di affrancarsi da uno stato  di subordinazione, vivere appieno la propria vita, per quanto ciò comporti difficoltà e sofferenze.
Il percorso dei protagonisti si dipana anche a ritroso nel tempo; si serve di ricordi ingialliti e via via emergenti. La sua personale indagine adopera flashback che compongono un puzzle di notevole suspense. Quale valore attribuisce all’elemento della “memoria” nella sua produzione? Si possono davvero chiudere i conti con il passato?
L’elemento della memoria è essenziale, nel romanzo così come nella vita di ogni giorno. Per me è naturale scrivere racconti di ambientazione storica, mi trovo a mio agio con il passato nella misura in cui mi aiuta a mettere ordine nel caos del presente. Per usare un’immagine che amo molto, direi che non ho paura dei fantasmi, anzi: mi trovo a mio agio con loro, hanno molto da dire e, spesso, dei consigli da non sottovalutare. Per quanto riguarda il chiudere i conti col passato, non vedo le nostre vite come suddivise in compartimenti stagni. Credo che ogni decisione presa, che porti poi a soddisfazioni o rimpianti, sia stata dettata da emozioni e influenze che ci hanno portato ad agire in un determinato modo, questo non si può cambiare. Sono però davvero convinta che il passato ci dia una grande possibilità: quella di migliorare, di non commettere gli stessi errori, di lasciare andare ciò che ci fa stare male. Ci dà anche una grande speranza: che la felicità, spesso, è accanto a noi e dobbiamo riuscire a vederla, raccogliere le forze e lottare, se necessario, per lei.
Macchinazioni, intrighi, segreti, misteri, verità sapientemente celate, insabbiamenti, enigmi: questi sono ingredienti essenziali del giallo. Il suo romanzo, tuttavia, indossa una veste storica. Ebbene, in che misura diverge dal genere codificato?
Ci sono esempi stupendi di giallo storico, mi vengono in mente, ad esempio, Caleb Carr con “L’alienista” oppure la stessa Agatha Christie, con lo spesso trascurato “C’era una volta”, per non parlare di una pietra miliare del genere, “Il nome della Rosa” di Umberto Eco. Ho immaginato “Polvere e cenere” quando ero un’adolescente e l’ho ripresa alcuni anni fa, trovandomi quasi spiazzata per la presenza di tutti gli elementi appena citati, ma non credosi possa definire un  giallo nel senso stretto del termine. Forse è un racconto d’avventura con venature noir, soprattutto per le sfumature nei caratteri dei protagonisti, che prendono decisioni spesso opportuniste, trovandosi ad abbracciare il male in luogo del bene. Il giallo, come si diceva giustamente, ha delle regole ben codificate e credo che l’ambientazione storica presenti molti aspetti interessanti, uno su tutti quello di consentire a chi scrive di dare uno sguardo inedito a ciò che vuole raccontare, magari inserendo dei parallelismi con l’attualità.
Londra è da sempre una città caleidoscopio, multiple, imprevedibile, variabile?
Quali sono le ragioni che l’hanno indotta a sceglierla come ambiente che “accoglieva nel suo ventre universi tanto dissimili, uniti nel nome di una speranza più forte della povertà e persino della morte”?
Londra è proprio così e, come accennavo, è forse la protagonista principale del romanzo. L’ho scelta proprio perché, in origine, il mio desiderio era di scrivere una storia ambientata tra le sue strade. Anzi, l’intero racconto nasce proprio prendendo ispirazione da una vecchia cartina della città, pubblicata negli anni in cui è ambientato il libro. In particolare, quando si parla della Londra vittoriana, spesso si generalizza, pensando da un lato alle atmosfere orrorifiche dei quartieri poveri, dall’altro al perbenismo e alle luci degli ambienti nobili. Ciò che ho scoperto, approfondendo gli studi, è una città con somiglianze incredibili con il nostro mondo: mi ha colpito, ad esempio, l’estrema attenzione alla questione ambientale, con la progettazione di parchi, lo spostamento di fabbriche dal centro cittadino per ridurre le emissioni delle ciminiere, il potenziamento della rete fognaria e molti, molti altri interventi. Inoltre, la presenza della tecnologia inizia a farsi sentire, mi vengono in mente il telegrafo e i raggi X, oppure i movimenti politici progressisti, in grado di unire donne, operai, classe media. Londra è diventata una sorta di specchio del mondo, sono rimasta affascinata dalla tenacia di quanti combattevano, e combattono tuttora, per renderlo un posto migliore.
Giuseppina Capone
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