Affreschi di Galileo Ghini ritrovati in una villa in Toscana

Da una villa abbandonata nel fiorentino riaffiorano affreschi di uno dei più importanti protagonisti dello stile Liberty in Italia, Galileo Chini, artista poliedrico, versatile, imprevedibile, sicuramente tra i pionieri del Liberty in Italia, della fine Ottocento inizi Novecento.

Si dedicò con passione all’arte della ceramica, partecipando all’abbellimento di facciate in molti palazzi e ville italiane e arricchendo l’arredamento interno di vasellame e rivestimenti ricercati. Dipinse nature morte, bellissimi paesaggi della Versilia e ritratti.

Cimentatosi nell’attività d’illustratore, realizza espressivi manifesti per eventi culturali, manifestazioni e rappresentazioni teatrali e per molte opere del tempo crea scenografie e costumi.

A scoprirli, è stato lo studioso e direttore del sito di settore ‘Italia Liberty’, Andrea Speziali. “Sono stati realizzati senza dubbio dal grande artista di Firenze”, spiega, dopo aver effettuato raffronti e indagini sull’autenticità delle opere. I grandi affreschi decorano le pareti di alcune stanze di una villa, privata e situata fuori da Castelfiorentino, ad alcune decine di chilometri dal capoluogo toscano, in stato di forte abbandono da alcuni anni. Per salvare i dipinti di Chini, Speziali ed Italia Liberty, hanno lanciato l’idea all’attuale proprietà dell’edificio, di una raccolta fondi: l’iniziativa servirebbe anche ad organizzare un convegno dedicato allo stile Liberty e all’opera di Chini nei prossimi mesi a Firenze.

Nell’ambito dell’evento verrà proposta l”istituzione del primo museo del Liberty italiano.

La nuova area culturale potrebbe trovare posto proprio nella villa abbandonata di Castelfiorentino.

La scoperta degli affreschi risale alla metà del mese scorso, quando l’attenzione di Speziali, è attirata da alcune nuove immagini pubblicate sul social di immagini e foto Flickr dal fotografo Jonathan Dellagiacoma, vincitore del primo premio nella prima edizione del contest nazionale Italian Liberty. Ritraggono le sale diroccate della villa a Castelfiorentino, dalle cui pareti l’occhio dello studioso riconosce istantaneamente l’affiorare di affreschi dall’inconfondibile tratto Liberty. “Il paragone con altri suoi lavori, tra pitture, ceramiche e disegni non lascia adito a dubbi, a dar vita alle forme, ai colori della villa fiorentina è proprio la mano di Chini, spiega lo studioso, è la stessa struttura degli affreschi a confermarlo. Inoltre lo studioso prova anche a ipotizzare una datazione per i dipinti ritrovati: “Considerata la villa nella sua caratterizzazione architettonica di inizio Novecento e la manifattura degli affreschi, è presumibile che essi siano stati realizzati tra il 1898 e il 1905”. Resta da capire, adesso, se il rudere di Castelfiorentino potrà rinascere e diventare, oltre che la casa dei capolavori dell’artista fiorentino, anche il primo museo del Liberty in Italia”.

Nicola Massaro

Origini e tradizioni diverse per la festa del papà

Il 19 marzo, in Italia e in altri Paesi a tradizione cattolica (Italia, Spagna e Portogallo su tutti) si festeggia la festa del papà e secondo la credenza lo si fa in questa data perché è quella della morte di san Giuseppe, “padre adottivo” di Gesù.

In altri paesi la festa del papà ha origini e tradizioni diverse. Ad esempio, in Germania la festa del papà coincide con il giorno dell’Ascensione – una festa che cade il giovedì, quaranta giorni dopo la Pasqua – ed è chiamata anche Männertag o Herrentag (“giorno degli uomini”, intesi come maschi). Una delle tradizioni più diffuse in molte città tedesche, sembra risalente all’’800 e criticata dalla stampa locale, è quella di formare comitive di uomini che spingono un carretto pieno di bevande alcoliche e festeggiano.

Negli Stati Uniti, invece, i papà sono “celebrati” la terza domenica di giugno, da quando il presidente Lyndon B. Johnson proclamò questa data festa nazionale nel 1966. L’idea della sua creazione si fa risalire a una donna, Sonora Smart Dodd che secondo la tradizione prese spunto sentendo un sermone in occasione della festa della mamma, che cominciava ad essere celebrata in quegli anni. La prima festa del papà fu celebrata negli Stati Uniti il 19 giugno 1910, nel mese di nascita del padre di Sonora Dodd, che aveva cresciuto sei figli dopo la morte di parto della moglie. La maggior parte dei paesi del mondo celebra la festa del papà la terza domenica di giugno.

Ad ogni modo, indipendentemente dal giorno in cui i papà vengono festeggiati è importante ricordare una cosa: “Colui che genera un figlio non è ancora un padre. Un padre è colui che genera un figlio e se ne rende degno (Fedor Dostoevskij)”.

Maria Grazia Palmarini

Franco Zeffirelli, 95 anni e non sentirli, artista geniale

Scenografo, costumista, pittore, ma soprattutto uno dei nostri più grandi registi, tra cinema, prosa e opera lirica, amatissimo a livello internazionale. E’ Franco Zeffirelli, che il 12 febbraio ha compiuto 95 anni. “Come sto? Tutto sommato non mi posso lamentare data la mia età – dice lui che l’anno scorso fu ricoverato per un malore -.  E’ il fisico che ha iniziato a fare capricci”. Per celebrarlo la Scala e l’Arena di Verona hano deciso di mettere in scena il suo allestimento dell’Aida. “Un bravo ragazzo con la fortuna di avere molti talenti” e “solo idee geniali”, così si è descritto qualche anno fa, il bambino dall’infanzia “complicata” a Firenze, sua città natale, il più internazionale dei registi italiani, ironico, polemico, passionale. Grande tifoso della Fiorentina, “la porto sempre nel cuore anche se la seguo meno”, disse una volta, all’Oscar avrebbe preferito uno scudetto. “Mi reputo fortunato. Ho avuto molti momenti importanti nella mia carriera. Ho conosciuto e collaborato con i grandi nel mondo della musica classica, dell’opera, del teatro, del cinema. Regalandoci e regalando al nostro pubblico momenti memorabili ed indimenticabili “. L’elenco è lungo: da Luchino Visconti, il suo maestro, “mi ha insegnato e forgiato al mestiere” a Maria Callas, “la diva per eccellenza, l’artista più straordinaria e più completa”, “da Domingo a Pavarotti, dalla Taylor e Burton a Lawrence Olivier, Mel Gibson, Glen Close, Judy Dench, Maggie Smith e così via”. E poi “i grandi direttori d’orchestra: Serafin, Von Karajan, Bernstein, Kleiber”. Zeffirelli ricorda anche Coco Chanel: poco dopo averla conosciuta a Parigi “mi regalò una cartella con 12 disegni di Matisse. Ero all’inizio della mia carriera e quei disegni mi sono serviti, vendendoli uno alla volta, per affrontare momenti di crisi economica, dandomi così la possibilità di sopravvivere e di non rinunciare al mio lavoro”. Fatto anche di difficoltà, ma “per me e per l’amore che dedicavo al mio lavoro tutto diventava passione e divertimento”. Meno lusinghiero il giudizio sul mondo dello spettacolo oggi: “Vive un periodo di decadenza, sono venuti a mancare i grandi interpreti, i grandi registi, i grandi scrittori del cinema e del teatro che tutto il mondo ci invidiava”. E anche in generale sull’Italia, tanto amata ma “dove per questioni ideologiche ho sempre dovuto lottare”: “Mi sgomenta sotto ogni punto di vista ma bisogna sempre sperare che le cose migliorino”. La sua carriera lunga 70 anni ora è raccolta a Firenze, al Centro internazionale per le arti dello spettacolo Franco Zeffirelli, che raccoglie disegni, bozzetti, copioni, sceneggiature, libretti d’opera, foto, filmati e che per il suo compleanno sarà aperto gratuitamente. Nato a Firenze, Zeffirelli frequentò l’Accademia di Belle Arti della città ed esordì come scenografo nel secondo dopoguerra, curando il “Troilo e Cressida” del mitico Luchino Visconti, suo compagno per molti anni. L’esordio al cinema e a teatro risale agli anni ’50, quando curò alcuni grandi spettacoli per il Teatro Alla Scala, per il King’s Theatre di Edimburgo e per il Royal Opera House di Londra. Il primo, di 20, film per il cinema è stato “Camping”, del 1957, con Marisa Allasio, Nino Manfredi e Paolo Ferrari, che si rivelò subito un grandissimo successo. In seguito, però, il maestro si orientò verso le trasposizioni di grandi opere di Shakespeare, portando nelle sale “Romeo e Giulietta”, “Amleto” e “La bisbetica domata”, dando sfogo al suo grande senso estetico per le scenografie e per i costumi, che negli anni hanno conquistato anche l’Academy.

Nicola Massaro

A colloquio con Salvatore Di Maio

Salvatore Di Maio nel suo libro intitolato “Nato il 4 luglio a Napoli. Le metamorfosi di uno scugnizzo, per i tipi delle Edizioni La Città del Sole, mostra attraverso la sua esperienza un’interessante spaccato della vita napoletana.

Il volume sarà presentato presso la Fondazione Casa dello Scugnizzo a Napoli il 28 febbraio. Abbiamo rivolto a Salvatore Di Maio alcune domande in particolare sul suo percorso di vita trascorso alla Casa dello Scugnizzo.

Salvatore Di Maio, di grande significato le dediche che aprono il volume. Una dedicata alla moglie Maria Antonietta e una alla figlia Francesca. L’altra al padre Peppe e a Don Mario. Perché questa scelta?

Mio Padre Peppe rappresenta per me l’amore, quello irrazionale che non ha bisogno di spiegazioni, c’è e te lo porti appresso. Don Mario, che in una dedica a me destinata si definì “padre adottivo, è la persona a cui devo la mia normalità. la Casa dello scugnizzo da lui creata mi ha offerto la possibilità di crescere con riferimenti che altrimenti non avrei avuto. Mia moglie e mia figlia sono il mio presente e il mio passato di uomo adulto, all’una debbo quasi tutto quello che sono, con tutto ‘o buono e tutto ‘o malamente. Mia figlia è l’amore razionale e irrazionale, parte di me.

Quanta importanza ha avuto nella sua formazione e nella sua vita l’esperienza educativa vissuta con don Mario Borrelli presso la Casa dello Scugnizzo?

Tantissima, perché mi ha dato una adolescenza da ricordare e mi ha fornito gli strumenti e la curiosità per affrontare la vita. mi ha fatto scoprire che il mondo andava oltre Napoli ed è grazie alla Casa che ho imparato la lingua inglese che è stata poi fondamentale per la mia carriera da pubblico dipendente.

Perché “metamorfosi di uno scugnizzo”?

Perché l’insicurezza che accompagna il personaggio del libro, lo costringe a continui cambiamenti per somigliare, quanto più possibile, alle figure di riferimento che man mano ha incontrato nella sua vita. la sensazione di non sentirsi all’altezza nel mondo fuori la Casa dello scugnizzo lo spingono a trasformarsi di volta in volta, fino a quando non si renderà conto di essere accettato per quel che è.

Per lei Scugnizzo è un modo di vivere?

No, non credo sia un modo di vivere, ma mi rendo conto che esserlo stato può, in qualche modo, condizionare il carattere. aver sofferto quella condizione che lo escludeva e lo destinava ad un destino da ultimo, gli ha sicuramente consentito, una volta uscito da quella condizione, di rispondere alle avversità con ottimismo e fantasia.

Quanto di lei c’è in Tore, il protagonista del libro?

Il mio vissuto ha fatto da canovaccio, come quelli della “commedia dell’arte, una traccia su cui improvvisare. c’è quindi tanto di me, Tore mi somiglia ma non è pienamente Salvatore.

Attraverso il racconto del protagonista si snoda anche la storia di una generazione e di una città…

La Storia, quella con la “S” maiuscola, da il tempo agli eventi cui il protagonista partecipa. a volte gli eventi storici ne condizionano le scelte. Tore è partecipe di tanti momenti storici della città, ne è coinvolto come membro delle truppe che hanno consentito ai Cesari di meritarsi la menzione nella Storia.

Alessandra Desideri

Addio allo storico napoletano Giuseppe Galasso

 

Italia ancora orfana di un altro intellettuale di rilevo.

Giuseppe Galasso si è spento all’età di 88 anni, nella sua casa di Pozzuoli, lo scorso 12 febbraio. È stato, e sarà sempre, uno degli interpreti più acuti del pensiero storicista di Benedetto Croce, di cui, probabilmente, è stato anche tra gli eredi più appassionati.

Storico per vocazione, Galasso è stato tra i massimi studiosi del Regno di Napoli e non ebbe mai alcuna considerazione del recente revival neoborbonico, ritenendolo del tutto infondato e strumentale, più volte segnalandone la scarsa consistenza sul Corriere del Mezzogiorno. Anzi, Galasso, napoletano affezionatissimo, nel bicentenario della nascita di Cavour aveva scritto la prefazione per una raccolta di scritti del conte piemontese (edita da Bur, 2010), sottolineando con forza la vocazione nazionale della politica seguita dal grande statista. Inoltre, soltanto lo scorso 12 novembre aveva attirato un pubblico folto e attento al teatro Bellini di Napoli con una lezione sulla Repubblica napoletana del 1799, organizzata dall’editore Laterza.

Il suo attivismo, sociale e politico, è letteralmente durato tutta la sua vita. Laureatosi in Storia medievale, nel 1953 vinse una borsa di studio al crociano Istituto italiano di studi storici, del quale divenne segretario nel 1956. La sua carriera accademica era stata rapida e brillante, tanto da caratterizzarlo già negli anni Sessanta come una figura emergente della storiografia dell’età medievale e moderna. In seguito, dal 1972 al 1979, fu preside della facoltà di Lettere e Filosofia all’Università Federico II di Napoli, poi tra il 1978 e il 1983 presidente della Biennale di Venezia. La carriera politica fu altrettanto importante: Consigliere comunale del Partito repubblicano, Galasso fu eletto sindaco di Napoli nel 1975, ma dovette rinunciare all’incarico per l’impossibilità di trovare un accordo tra i partiti nel formare la giunta. Più tardi, approdò alla politica nazionale; eletto deputato del Pri nel 1983, assunse l’incarico di Sottosegretario ai Beni Culturali nel governo guidato da Craxi e qui si distinse per il suo impegno a favore dell’ambiente. Riuscì a far approvare nel 1985 il provvedimento noto appunto come “legge Galasso”, la prima disciplina organica adottata nell’Italia repubblicana per la tutela del paesaggio. Poi fu Sottosegretario anche all’Intervento pubblico nel Mezzogiorno nei governi De Mita e Andreotti, terminando la sua esperienza a Montecitorio con il crollo della Prima Repubblica nel 1994.

Nel suo ultimo editoriale sulla sua rivista Acropoli, prossima all’uscita, una riflessione lucida sulle prossime elezioni politiche del 4 marzo, segno inequivocabile di un intellettuale vivo fino all’ultimo respiro.

Rossella Marchese

Gli studenti di Chiaramonti nella giornata della Memoria

Nelle centinaia d’iniziative promosse in Italia nell’ultimo sabato di gennaio, coincidente con la giornata mondiale della Memoria, la Sardegna ha preso parte con eventi forti e partecipati come la cerimonia promossa dal comune di Chiaramonti, centro interno dell’Anglona a poche decine di chilometri da Sassari.

Puntuali alle 10.30 le scolaresche del locale plesso didattico guidate dalla responsabile, professoressa Marina Zara, hanno gioiosamente stipato l’aula consiliare del comune. Accompagnati da altri docenti le classi quarta e quinta F della scuola primaria e tre classi della scuola media secondaria hanno animato l’intensa mattinata d’interventi e testimonianze.  I lavori sono stati introdotti dalla giornalista Letizia Valle che ha presentato tutti i relatori. Alternati da due interventi musicali del cantautore Franco Sechi, bravo nel proporre uno stralcio tratto da “La vita è bella” (colonna sonora dell’omonimo celebre film di Roberto Benigni, vincitore di tre Premi Oscar), ancor di più nel presentare ai bambini l’impegnativo brano “Auschwitz” di Francesco Guccini. Decisivo il passaggio emerso nell’attualità dell’orrore dell’Olocausto vissuto nella metà del Novecento rispetto alla declinazione politica mediale del dibattito europeo e italiano sul tema dei “migranti”.  La sequenza dei cartelloni e degli elaborati preparati dai gruppi di bambini, alternatisi al centro dell’aula, è stata vibrante e ricca di emozioni.

Le immagini proiettate in digitale hanno aiutato la condivisione di esperienze di straordinario impatto. Ricorrente e ripreso in più disegni, il noto binario che consentiva il capolinea dei convogli ferroviari nel campo di sterminio. Impressi dalle tenere voci alcuni versi poetici di

Hannah  Hershkowitz , la ragazzina polacca nata nel 1935, autrice di “Volevo volare come una farfalla” e altri ancora di Primo Levi.  I lavori prodotti dai giovani studenti di Chiaramonti hanno evidenziato una forte sensibilità rispetto ai temi della giornata, favorita da un importante lavoro didattico propedeutico dei docenti, supportati dal presidio della locale biblioteca comunale. Ente importante nella manifestazione con la Cooperativa Comes, attiva a Chiaramonti sin dal 2012 e rappresentata dalla bibliotecaria Caterina Marrone.

Le conclusioni della conferenza sono state affidate alla giornalista scrittrice Francesca Violante Rosso. Esperta di comunicazioni istituzionali, originaria di Tula, la relatrice ha offerto alla giovanissima platea la visitazione del percorso storico che precedette l’inconcepibile orrore della persecuzione razziale avviata dai nazisti e attuata in Italia con l’ascesa al potere di Mussolini. Un compito non facile, agevolmente sostenuto grazie alla riproposta del suo libro, “La marcia di Luigi”, pubblicato nel 2010 da Seneca Edizioni. Il testo percorre gli anni crudeli della Seconda Guerra Mondiale, vissuti nelle memorie biografiche di Luigi Cannas. Il soldato sardo di Tula, scomparso nel gennaio del 2014, pochi giorni prima della Giornata della Memoria è il protagonista nel libro, frutto di una lunga intervista. In essa si ripercorre l’estenuante marcia che il soldato sardo compì insieme a tantissimi altri compagni di sventura. Partendo a diciannove anni, per un lungo viaggio, iniziato nel marzo del 1940 con una corriera alla volta di Olbia per poi raggiungere i campi di addestramento militare a Genova. Mesi durissimi di preparazione militare, sino al folle annuncio romano del 10 giugno 1940, proclamato da Mussolini con l’entrata dell’Italia in guerra.  La narrazione semplice e penetrante di Violante Rosso ha  catturato  l’attenzione collettiva dei piccoli uditori. Le slide che ritraggono il furore dominante del Duce sulle folle ammaliate hanno suscitato riflessioni serie e inquietanti su alcuni passaggi quotidiani della nostra società contemporanea. Il messaggio che emerge da questa iniziativa responsabilizza ogni soggetto, adulto o piccino, come portatore di un contributo importante per la nostra Storia collettiva, al pari dell’illustre (non più) sconosciuto soldato Cannas. La Giornata della Memoria rimane un’esperienza da custodire e tramandare piuttosto che un esercizio da ricordare. Chiaramonti lo afferma forte e chiaro.

Luigi Coppola

Una rivista per sognare

Sfogliando le pagine della rivista della FIAF (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche) che mensilmente viene recapitata ai soci, non è possibile non soffermarsi a vivere le immagini fotografiche che di volta in volta vengono proposte all’attenzione dei lettori, appassionati, neofiti o esperti di fotografia.

Ogni pagina fissa alla memoria un momento di storia, un’immagine di vita quotidiana, un volto, un’inquadratura o semplicemente uno scatto che racchiude in sé la passione di chi lo effettua e la voglia di cogliere sensazioni, emozioni, situazioni, storie e storia come la bella immagine che nel numero di ottobre 2017 FOTOIT ha proposto con “Maternità in Val di Mello” stampata da Pepi Merisio e che nel 2015 ha fatto parte di una mostra dal titolo “Genti di Valtellina”. O ancora il portfolio presente nel numero di novembre 2017 di Luigi Grassi “Il mondo che non vedo”.

Vedere attraverso le immagini e gli occhi del fotografo è un po’ come sognare di essere lì nel momento stesso dello scatto, emozione che si ripete ogni volta che si guarda la fotografia che immortala quel momento irripetibile.

Salvatore Adinolfi

Affrontare la vita ad occhi chiusi

Un importante evento per sensibilizzare tutti alle problematiche legate all’autonomia, mobilità ed accessibilità delle persone cieche e ipovedenti è stato organizzato da U.N.I.Vo.C. di Napoli (Unione Nazionale Italiana Volontari pro Ciechi) in collaborazione con l’Istituto per Ciechi Domenico Martuscelli di Napoli.

Scoprire il mondo senza poterlo vedere vuole essere un modo per meglio far comprendere attraverso un percorso multisensoriale al buio per le persone vedenti le problematiche che una persona cieca o ipovedente è costretta ad affrontare quotidianamente.

Il percorso è allestito nei locali dell’Istituto al Largo Martuscelli 26. Si tratta di un’esperienza di forte impatto emotivo e innovativo.

Gli organizzatori evidenziano che i visitatori, guidati da non vedenti, percorreranno uno spazio che “riproduce uno spaccato di vita quotidiana di una persona con disabilità visiva, ascolteranno suoni e rumori specifici del traffico e della confusione della città, individuando negozi per acquisti di carattere domestico riconoscibili dagli odori dei prodotti o punti di incontro in cui consumare piccoli spuntini riconoscibili dai sapori, ascolteranno audiodescrizioni di un film e si sperimenteranno per riconoscere oggetti con l’uso del tatto”. Un percorso che riproduce gli atti della vita quotidiana e della reale fatica di una persona cieca o ipovedente nell’agire quotidiano.

A chi è rivolta quella esperienza? A studenti, educatori, famiglie e a quanti sono interessati a vivere l’esperienza di crescita per impararare ad affrontare con
maggiore apertura le relazioni con qualsiasi persona cieca o ipovedente.

Con il ricavato delle visite guidate l’Istituto Martuscelli potrà finanziare attività a sostegno dei non vedenti.

La prenotazione è obbligatoria e va effettuata almeno 4 giorni prima ai seguenti recapiti:
Tel. 08119915172; Cell. 3407547659; Fax. 08119915173
E-mail: info@univocdinapoli.org

Alessandra Desideri

Flussi di visitatori nei musei e comportamento umano

 Quanto tempo occorre per visitare il museo più grande del mondo? Nel famoso film di Jean Luc Godard, Bande à part, i tre protagonisti attraversano il Louvre in 9 minuti e 43 secondi, all’epoca la visita più veloce mai effettuata, come ci informa la voce narrante. Quella corsa ha ispirato nel tempo numerosi imitatori, tanto che nel 2010 l’artista svizzero Beat Lippert ha battuto il precedente record in una performance di attraversamento del Louvre in 9 minuti e 14 secondi. Ma se Lippert corresse oggi il suo risultato potrebbe essere certificato da un recente esperimento recentemente portato a termine all’interno dello stesso Louvre. Utilizzando tecnologie innovative per monitorare i segnali Bluetooth e wifi provenienti dai telefoni cellulari, un gruppo di ricercatori ha mappato il flusso di visitatori del museo, analizzando l’esplorazione delle gallerie, i percorsi compiuti e il tempo trascorso di fronte ad ogni singola opera.

I risultati di questa indagine hanno rivelato particolari interessanti: la capacità di attrazione di un determinato spazio aumenta con l‘aumentare delle persone che stanno cercando di entrarvi; ed è proprio questo tratto distintivo della psicologia umana che può essere misurato in modo quantitativo e che ha ispirato i ricercatori di questo progetto. Si tratta, cioè, di un vecchio sogno dell’urbanistica moderna che punta alla massima funzionalità degli ambienti urbani studiando il flusso delle persone.

Dunque, domani, grazie ai dati sul comportamento delle persone in ambienti specifici (come il museo del Louvre), l’ambiente  costruito potrà adattarsi meglio alle abitudini delle persone che lo vivono, dando vita ad un’architettura flessibile, dinamica e modellata sulla vita che si svolge al suo interno.

Alcuni settori produttivi stanno già esplorando opportunità di questo tipo. Diversi gruppi bancari, ad esempio, stanno riducendo la propria presenza sul territorio, a seguito di una massiccia digitalizzazione dei servizi finanziari; per loro conoscere i livelli di occupazione degli edifici o le dinamiche degli spostamenti urbani può consentire un impiego più efficiente del patrimonio immobiliare.

Insomma, se messa in pratica correttamente, l’analisi dei flussi umani all’interno degli edifici e delle città promette di rivoluzionare l’approccio all’ambiente costruito. Nei prossimi anni i dati quantitativi raccolti consentiranno ai progettisti di capire come gli utenti usano lo spazio, e come quest’ultimo permette di rispondere al meglio alle esigenze degli utenti.

Rossella Marchese

Possibili cure per i francobolli macchiati

Ci siamo lasciati a fine 2017 tentando di capire come poter smacchiare quei francobolli colpiti dalle “muffe”. Le virgolette sono opportune perché racchiudono nella parola muffa tutta una gamma di alterazioni della carta dovuta a tutta una serie di microrganismi. Il tentativo principe per smacchiarli è quello di immergerli in un recipiente con una piccola quantità di acqua e versare nella stessa qualche goccia di varechina, candeggina o acqua ossigenata, ripeto “cum grano salis”. Se la muffa non ha intaccato in modo sostanziale la carta, la macchia tenterà di sparire e come tutte le malattie prese in tempo guarirà.

È opportuno sapere che l’acqua ossigenata sempre a gocce, una o due, può essere usata anche sul retro del francobollo, con questo sistema le macchie o alcuni tipi di macchie tenderanno a sparire.

Per completezza va ricordato che non tutte sono dovute alla muffa, altre vengono definite di “ruggine” e sono quelle dovute a fenomeni chimici, tra cui l’ossidazione della carta, o, in altri casi, da un insediamento di microrganismi che in conseguenza del loro stesso metabolismo producono sostanze complesse che a loro volta danno vita ad organismi ancora più complessi che nella maturazione, come spesso succede anche nel nostro mondo, assumono colorazioni sempre più intense e più marcate e l’ossidazione poi crea una gamma di colori dalla quale si può evincere anche lo stato di conservazione della carta.

Le colorazioni vanno dal rosa pallido al rosso purpureo, per arrivare poi a quel rosso mattone da noi definito “rosso ruggine”.

Va detto che un’altra concausa per l’accelerazione di questa colorazione è determinata da un altro aspetto che è quello relativo allo stato di umidità presente nell’aria dove sono conservati i francobolli. Per questo motivo, va anche detto che una particolare attenzione va posta da coloro che abitano in zone vicino al mare, ai laghi ed anche vicino ai corsi d’acqua dove l’umidità è spesso più che presente.

I collezionisti in queste condizioni climatiche devono porre molta cura alle loro collezioni facendole tra l’altro arieggiare e tenendole il più possibile aperte, come si può dire “godute e fatte godere” e non essere, come spesso avviene, chiuse in armadi o ancor di più in casseforti senza né luce né aria.

Altro consiglio è quello di controllare anche i classificatori, buona regola sarebbe quella di utilizzare classificatori nuovi per i francobolli nuovi ed usati per quelli usati, ciò consentirebbe di evitare che microrganismi annidati su “carta vecchia” possano essere trasportati da un contenitore all’altro.

Salvatore Adinolfi

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