Museo MADRE aperto in agosto

Ebbene sì ha raggiunto il suo quinto anno consecutivo forte del notevole successo incontrato l’iniziativa messa in campo ormai dal 2013 dal MADRE di Napoli dal 1 al 31 agosto 2017. Cittadine e cittadini napoletani e turisti potranno trascorrere visitare gratuitamente le mostre in corso Guyton, Prina, Cuoghi e le collezioni del museo MADRE, oltre che partecipare gratuitamente alle visite didattiche connesse.
“L’iniziativa – sottolineano dal MADRE – si propone come un servizio di prossimità culturale ai cittadini del territorio regionale, durante il mese più caldo dell’anno, ma anche come forma di sostegno all’allargamento e diversificazione del pubblico, assecondando e potenziando la crescita dei flussi turistici registrati negli ultimi anni a Napoli e in Campania nell’ottica di una promozione integrata della straordinaria offerta culturale regionale”.
Il successo suscitato nel pubblico ha riconfermato la bontà dell’iniziativa che mira ad offrire “la possibilità di avvicinarsi alle ricerche artistiche del presente anche a chi non conosce ancora o frequenta già il museo o che vuole approfondire la conoscenza delle ricerche artistiche contemporanee” ma anche un piacevole percorso nel fresco alla scoperta di tanti capolavori d’arte contemporanea.
Cosa potranno vedere i visitatori? Partendo dall’atrio/ingresso Axer/Désaxer, l’opera in situ di dimensioni architettoniche dell’artista francese Daniel Buren (Boulogne-Billancourt, 1938), che introduce il pubblico alla scoperta delle altre mostre temporanee e delle collezioni permanenti, celebrando l’unione fra il museo e la sua comunità.
Proseguendo il percorso ecco le mostre in corso, SIAMO ARRIVATI di Wade Guyton (fino all’11 settembre 2017, terzo piano), ENGLISH FOR FOREIGNERS di Stephen Prina (fino al 16 ottobre 2017, sala Re_PUBBLICA MADRE), PERLA POLLINA, 1996-2016 di Roberto Cuoghi (fino al 18 settembre 2017, secondo piano-ala destra, mezzanino e project room) e delle collezioni del museo MADRE.
Al piano terra i visitatori possono fruire della mostra di Stephen Prina (Galesburg, 1954), artista poliedrico che investiga la relazione fra sfera collettiva e dimensione personale attivando una relazione dinamica tra passato e presente e facendo emergere la relazione fra la propria vicenda biografica e la storia del XX secolo. Anche attraverso riferimenti ad autori come Cesare Pavese e Franco Fortini o ai film sulla Resistenza italiana dei registi Jean-Marie Straub e Danièle Huillet, Prina .
Un Museo da scoprire piano per piano, mostra per mostra, un piacevole modo per trascorrere fra l’arte un caldo agosto.

Alessandra Desideri

Si chiude un Giugno Giovani ricco di iniziative

Un ricco calendario quello che ha visto impegnate le realtà associative e non che hanno raccolto l’invito dell’Assessorato ai Giovani del Comune di Napoli di partecipare all’iniziativa promossa anche quest’anno.
Tanti gli eventi, tanti i luoghi e i giovani coinvolti. Tanto l’entusiasmo e la passione con cui si sono realizzati i numerosissimi appuntamenti. Il bilancio è positivo e molto incoraggiante.
Il 27 giugno presso la Galleria Principe di Napoli nel corso dell’incontro con i giovani attori e video makers di Casa Surace, si è parlato di creatività e start up.
Evento di chiusura il 30 giugno al Parco Totò di Bagnoli, nell’ambito dell’Iniziativa Music Life durante la quale sono intervenuti alcuni tra gli artisti più apprezzati della scena partenopea tra cui Mariotto e Dj Diego Barretta.
L’Assessore Alessandra Clemente, ancora una volta, ha fatto centro con l’iniziativa che è riuscita a coinvolgere per un intero mese giovanissimi, giovani e non più giovani in tante iniziative culturali, artistiche, musicali e non solo.
Appuntamento al prossimo Giugno Giovani.
Salvatore Adinolfi

Rinviato Reading dedicato a Totò

Rinviato, per ragioni organizzative,  a data da stabilire il reading “Totò, poeta e scrittore per Napoli” previsto per il 12 giugno ore 10 presso la Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus organizzato nell’ambito delle iniziative dell’Associazione Culturale Napoli è per il Maggio dei Monumenti.

Cento artisti per ammirare  Napoli

Nato da un’idea di Armando Vano, organizzato dall’Associazione “NapolArte” e coordinato da Margherita Calò, anche autrice del catalogo, avrà luogo sabato 27 e domenica 28 maggio la prima edizione di “100 Artisti Lungomare Partenope”, rivolto a pittori, scultori, ceramisti, cantanti, attori e musicisti, professionisti e non, italiani e stranieri, con l’intento di sensibilizzare alla percezione più consapevole e compiaciuta della città, attraverso una sfilata di arte e artigianato.

Intitolata la biblioteca di San Giorgio a Cremano

villa-brunoA San Giorgio a Cremano intitolata la biblioteca comunale di Villa Bruno al sacerdote Giovanni Alagi, storico ed autore di svariate pubblicazioni sulla città, come “Bernardo Tanucci a San Giorgio a Cremano, “In breve…”, “Salvatore Punzo e i suoi tempi”, “Il cardinal Massaia a San Giorgio a Cremano”, “La processione di San Giorgio a Cremano” o “La chiesa di San Giorgio vecchio e il cimitero comunale”.

Presente alla cerimonia il sindaco Giorgio Zinno, con lui l’assessore Pietro De Martino, membro del comitato promotore dell’iniziativa insieme a Giuseppe Improta, anche artefice della piccola pubblicazione “Giovanni Alagi e le origini della più antica chiesa di San Giorgio a Cremano”, edita dal Comune e gratuitamente distribuita in quell’occasione, Aldo Vella, direttore della rivista “Quaderni Vesuviani”, Pompeo Centanni, autore di libri di storia locale, il giornalista Pino Simonetti e Giacinto Fioretti, attuale direttore onorario di quella raccolta libraria nonché fondamentale istitutore  con la generosa donazione, nel 1995, degli ottomila volumi della sua biblioteca privata, ma di pubblica consultazione, intitolata ad Edoardo Nicolardi, l’attuale, infaticabile e mai interrotta, opera di catalogatore ed, in virtù del suo chiaro prestigio di bibliofilo, motivo di attrazione di donazioni, anche di rilevante pregio, come dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, dall’allora presidente della repubblica Giorgio Napolitano o dalla Presidenza del Consiglio, che hanno portato la collezione all’attuale ammontare di oltre ventiseimila volumi più una nutrita emeroteca.

Peccato che l’attenzione dell’amministrazione comunale non abbia pensato ancora a meglio doverosamente ringraziarlo e ricordarlo alla memoria dei cittadini, attuali e specialmente futuri, se non affidandogli un ruolo certo ponderoso ed assolutamente non retribuito. Ci si augura almeno che, malgrado l’interruzione delle acquisizioni di giornali per l’emeroteca, l’ente, avendo deciso di caratterizzare la biblioteca indirizzandola principalmente alla cultura vesuviana, non lesini anche sull’acquisto di opportuni testi, oggi, lì, in numero ancora decisamente esiguo ed insufficiente, che ne possano giustificare coerentemente la stretta specificità.

Rosario Ruggiero

Il Ventre di Napoli nelle mura di Palazzokimbo

Le atmosfere forti di Palazzokimbo, si realizzano con una insolita e preziosa cadenza dei casi letterari che, per la speciale combinazione fra il contesto ambientale, la trama contemporanea incardinata in avvenimenti realmente accaduti con le comparse di noti personaggi pubblici protagonisti della storia repubblicana italiana (un romanzo storico o di formazione secondo la vulgata corrente), integrati in una speciale potenza narrativa; raggiungono un rapporto di intima condivisione fra la voce narrante dell’autore e l’ascolto orante del lettore. Conquistano una sovrapposizione di comuni esperienze e nitidi ricordi quasi perfetta, una osmosi impressionante fra i diversi stati d’animo come se il testo esprimesse una rappresentazione tridimensionale, interattiva. Capace d’includere lo stesso lettore nello scorrere delle pagine con una sorta di magica macchina del tempo che simuli con straordinaria resa una trasposizione fisica e sensoriale.

Si prova questo e altro vivendo le atmosfere forti di “Palazzokimbo”, romanzo finalista al Premio Neri Pozza 2015 scritto da Piera Ventre, edito dalla omonima casa editrice nell’autunno dello scorso anno.  Napoletana d’origine l’autrice vive e lavora a Livorno sin dal 1987 come logopedista e assistente alla comunicazione nei progetti dedicati al “mondo della sordità” realizzati con l’Associazione Comunico.  La sua passione per la scrittura, sin dalla prima infanzia, trova un riscontro importante nel 2015, quando su 1293 candidati si classifica al terzo posto con questa perla nel concorso letterario bandito da Neri Pozza.

Raggiungiamo l’Autrice in un breve intervallo della sua lunga giornata lavorativa.

Il suo primo romanzo esprime uno spaccato storico del nostro passato recente ambientato nella Napoli operaia di fine Novecento. Quanto incide in questo testo la cultura del suo vissuto privato?

“Palazzokimbo” è un luogo fisico, realmente esistito, situato a Napoli Est, nella periferia industriale della città. E’  in quel palazzo, abitato per lo più da operai della Saint Gobain e dalle loro famiglie, che ho vissuto la mia infanzia. Entrambi i miei genitori sono stati operai: mio padre in vetreria e mia madre in una fabbrica di vernici. Volevo partire da un dato autobiografico che mi permettesse di parlare di una realtà che rischia di scomparire: quella del ceto operaio napoletano, ricco di relazioni solidali e di dignità. Il romanzo inizia nel 1973, quando a Napoli scoppiò lo scandalo del Colera e termina nel 1980, col terremoto dell’Irpinia, due avvenimenti che segnarono la città in modo indelebile. Nel mezzo, si dipana la Storia di quel decennio difficile per l’Italia intera. Sono stati quelli gli anni della mia formazione. Ho attinto a tutto ciò cercando di rendere vero il verosimile dei personaggi che compongono il romanzo. Nell’invenzione letteraria di ciascuno di essi c’è sicuramente un frammento di me. Del resto è questa l’alchimia che opera la scrittura: partire da una vicinanza per discostarsene e tramutarla in altro.

La narrativa potente, i contrasti forti estrapolati in un contesto popolare dove bene e male sono valori distinti, contaminati in un perbenismo piccolo borghese, mostrano una scrittura adulta e di spessore, tipica di un blasone con tanti successi alle spalle. Come spiega questa lunga gestazione per un primo esordio sulla ribalta editoriale nazionale?   

“Scrivere è cercare la calma e qualche volta trovarla. È tornare a casa”, disse Anna Maria Ortese, una scrittrice che amo moltissimo, in un’intervista. Palazzokimbo ha una genesi lontana e si è organizzato in una forma che possiamo definire “romanzo” attraverso stratificazioni alternate a potature in un tempo lungo. Probabilmente tutte le volte che mi sedevo alla scrivania cercavo di tornare un poco “a casa”. Sono stata la prima ad accordarmi lentezza. L’ho inviato in lettura solo quando ho compreso che era arrivato il momento del distacco. La scrittura l’ho allenata nei racconti, che sono stati pubblicati in raccolta da Erasmo, una piccola casa editrice di Livorno e tenendo diari fin da bambina. Sono convinta che, alla fine, le cose accadono quando arriva il momento che debbano accadere. E che la scrittura sia un processo in divenire, che ha bisogno di una buona dose di umiltà.

Diversamente da alcuni suoi colleghi scrittori, le storie che narra, non derivano in modo evidente dalle tematiche che affronta nella sua professione. Quali sono i bisogni prioritari che la inducono a scrivere un romanzo o dei saggi da pubblicare?

Non escludo di scrivere, prima o poi, qualcosa che attinga alla mia esperienza di educatrice e logopedista. Ma non ho risposte esatte riguardo al meccanismo dell’argomento narrativo. L’unica cosa della quale ho certezza è che necessito di un coinvolgimento emotivo rispetto a ciò che intendo raccontare. Devo percepire un’urgenza per avere la necessità di passare tante ore al chiuso, davanti a uno schermo. In caso contrario sentirei di esercitare esclusivamente un mero esercizio di stile. E, se così fosse, ci sarebbero così tante cose da fare per occupare meglio il tempo, non trova? Il tempo è l’unica cosa preziosa di cui dovremmo imparare a disporre con rispetto.

Da molti anni vive a Livorno. In comune con la sua città d’origine probabilmente c’è solo il mare, il porto e probabilmente la presenza di molti conterranei che hanno lasciato il golfo reale per motivi di lavoro. Cosa vorrebbe portare sempre con sé della cultura napoletana, a Livorno come in altri luoghi italiani?  

Non sono una napoletana nostalgica, tuttavia so che essere nata a Napoli, e averci vissuto gli anni che indubbiamente sono formativi nel processo di crescita, mi ha portato ad essere ciò che ora sono, sebbene il fatto di essermene allontanata mi spinga a definirmi “napòlide”, per dirla alla Erri De Luca, e a non riconoscermi più né a Livorno né nella mia città d’origine. Credo, però, che ogni luogo abbia la capacità di plasmare il nostro sguardo sul mondo in maniera esclusiva. Ed è questo che porto con me di Napoli: il modo che la città mi ha insegnato a guardarmi attorno. Non saprei dirlo diversamente.

Nella nostra società contemporanea, preda di tante criticità e paure, quale sentimento espresso in Palazzokimbo riterrebbe indispensabile, di quale personaggio sente la maggiore mancanza?

Innanzitutto la dignità dei due genitori di Stella e di tutti gli abitanti del palazzo. Poi la forza della madre, la sua capacità di resistenza, di rimboccarsi le maniche e di battere i coperchi di fronte ai soprusi della vita. Infine, lo sguardo “marginale” di Stella, quel suo desiderio di cercare il bello anche nella desolazione, l’albero stento che cresce ai bordi dell’autostrada che le dice che, a ben guardare, un ritaglio di speranza è la sola opportunità che possiamo darci per cercare di essere persone migliori. È proprio Stella è il personaggio che mi manca di più, il suo mettersi in un angolo per riuscire a vedere le cose da un’ottica decentrata, da una prospettiva periferica. Oggi, assieme a paure e criticità, assistiamo a una smania di protagonismo che rischia di snaturare la visione del mondo in cambio di una miopia egocentrica, che può sfociare in un individualismo cannibale. Allargare lo sguardo, spostarsi dal “centro”, ci fa vedere l’altro. Ed è quello che Stella prova a fare.

Il 30° Salone del Libro di Torino è una edizione molto attesa e discussa dopo le recenti evoluzioni del mercato editoriale nazionale che hanno acceso nuovi riflettori su altre piazze con nuovi soggetti, Milano e la Nave di Teseo per non fare nomi. Cosa prova una amante artigiana delle parole come lei rispetto a queste dinamiche?  

Credo che non sia utile avere questa sorta di “dispersione di energie”. Sarebbe stato meglio puntare su un evento unico, convergere tutte le risorse per potenziarlo al pari di altre Fiere Internazionali, e io, al Salone del libro di Torino, sono affezionata. In quanto alle dinamiche editoriali, queste dovrebbero essere volte, piuttosto, a portare alla luce una buona letteratura, a condurre il lettore alla qualità. Gli editori, insomma, dovrebbero riappropriarsi del ruolo che ben hanno ricoperto nel passato e porsi domande importanti rispetto a ciò che vorrebbero porgere ai lettori. Temo che però i libri si stiano trasformando per lo più in “prodotti” e, attorno a essi, ci sia un proliferare di spettacolarizzazione un po’ svilente. Non ho grande esperienza rispetto a questo. Ciò che dovrebbe fare uno scrittore è mettere le proprie energie, il proprio cuore e la propria onestà in ciò che scrive, occuparsi di questo, sostanzialmente. “Cercare la calma, e qualche volta trovarla”.

Luigi Coppola

Omaggio a Giuseppe Antonello Leone

“Il maestro più completo del nostro secolo”, secondo l’autorevole giudizio del critico d’arte Philippe Daverio, Giuseppe Antonello Leone, pittore, scultore, mosaicista, incisore, poeta e didatta, sarà ricordato martedì 23 maggio, alle 17,30, nel Palazzo Reale di Napoli, nel corso di una serata organizzata dalla Fondazione Premio Napoli e dall’Associazione Lucana “Giustino Fortunato”. A parlare del poliedrico artista, allievo di Emilio Notte e amico di Carlo Levi, Rocco Scotellaro e Leonardo Sinisgalli, ad un anno circa dalla scomparsa, Aldo Masullo, Isabella Valente, Dora Celeste Amato e Francesco Lucrezi, introdotti da Marisa Tortorelli Ghidini

Quando l’Italia si tinse di giallo… un secolo di polizieschi

Circa un secolo fa gli “strilli” per la narrativa di suspance recitavano tutti più o meno: “si legge tutto di un fiato. Questo libro non vi lascerà dormire. Ogni pagina un’emozione!” e, a distanza di tanto tempo, non sono cambiati molto. Più che slogan, oggi le chiameremmo dichiarazioni di intenti, e non era un caso vedere quelle scritte campeggiare sulle copertine dei volumetti in sedicesimo lanciati da Arnoldo Mondadori sul mercato nel settembre del 1929, mentre la grande crisi non risparmiava le librerie.
Si sentiva il bisogno di una narrativa di evasione e il romanzo “poliziesco”aveva tutte le carte in regola per essere quella lettura non troppo impegnativa, adatta ad un pubblico borghese desideroso di distrazioni, ancora lontano dall’intrattenimento dei moderni mass media (la tv non esisteva e le trasmissioni radiofoniche avevano circa 1 anno di vita).
Grazie al colore vivace della copertina, scelto per la subitanea riconoscibilità del prodotto, i polizieschi mondadoriani divennero subito per tutti i “libri gialli”; l’accostamento fu spontaneo, dato che già esistevano i “libri verdi” di storia romanzata e quelli “azzurri” dedicati alla narrativa italiana, mentre qualche anno più tardi, nel 1932, con la stessa logica vennero dati alle stampe i “libri neri”, che comprendevano la serie di romanzi di Simenon con protagonista l’ispettore Maigret.
La scelta dei primi quattro titoli fu significativamente variegata: La strana morte del signor Benson, di Van Dine; L’uomo dei due corpi di Edgar Wallace; Il club dei suicidi, raccolta di racconti neri di Robert Luis Stevenson comprendente il celebre Lo strano caso del dottor Jekill e del signor Hyde; Il mistero delle due cugine di Anna K. Green, inventrice dell’espressione detective story.
Il target a cui si rivolgeva il nuovo genere era chiaramente individuato nel lettore di città, frequentatore abituale di librerie ed edicole, in cerca di suspance e brivido, ma soprattutto, della soddisfazione di assistere alla vittoria del detective, incarnazione dell’ordine e del metodo razionale.
L’iniziativa editoriale riscosse un favore immediato, 50mila copie vendute in un solo mese, tanto che nel 1930, alla collana madre dal prezzo di 5 lire a volume cartonato venne affiancata una serie “economica” di gialli, composta di fascicoli dal costo di 2 lire.
Specchio di cotanto successo fu lo stesso termine “giallo”, entrato di diritto nella lingua italiana ad indicare il romanzo poliziesco; e così, mentre in Gran Bretagna ci si appassiona alla detective novel, alla thriller story o al mystery, in Francia si legge il roman judiciaire e il roman policier, nelle librerie tedesche si trovano i kriminalroman e i detectivroman, chiamare il giallo..giallo, per merito di quei libricini di quasi 90 anni fa, rimane un piacere tutto italiano.

Rossella Marchese

Giuliana, la balenottera materana vissuta circa 2 milioni di anni fa

Durante il periodo del Pleistocene, quando la Lucania era completamente sommersa dalle acque del Mediterraneo, e della Puglia non v’erano che piccoli arcipelaghi emersi, la balenottera Giuliana doveva nuotare indisturbata in quel suo habitat e tanto si sa sul suo conto visto che dal suo ritrovamento, avvenuto casualmente nell’agosto del 2006 ad opera di un agricoltore, alcuno studio è stato compiuto su di lei. Di Giuliana conosciamo ben poco, il suo fossile, rinvenuto sulle pietrose rive del lago artificiale di San Giuliano, vicino Matera, fu trovato ormai 10 anni or sono, recuperato in 3 apposite campagne tra il 2007 e il 2011 e successivamente deposto in grosse e robuste casse dimenticate al Museo Archeologico Nazionale “Domenico Ridola”.

A tirare fuori questa storia dal dimenticatoio ci ha pensato un documentario a firma di Renato Sartini, giornalista scientifico del Venerdì di Repubblica e film maker, dal titolo: Giallo Ocra. Il mistero del fossile di Matera.

Il ritrovamento di Giuliana è unico al mondo; in concreto della balenottera sono state rinvenute 12 vertebre toraciche, diverse costole, di cui una lunga 3 metri, e la pinna pettorale, rappresentata da scapola, omero, radio, ulna e diverse falangi; del cranio, invece, che è la parte più importante dello scheletro della balena, è stata ritrovata la porzione posteriore, cioè quella parte che includeva il cervello, e una parte del rostro. E proprio il recupero del cranio ha permesso di stimare la lunghezza della balenottera, che doveva superare i 25 metri, misure attualmente raggiunte solo dalla balenottera azzurra e dalla balenottera comune, che vantano il titolo di animali più grandi del pianeta; sorprendentemente, sono state rinvenute anche le bulle timpaniche dell’esemplare, cioè la struttura ossea cava che racchiude parti del sistema uditivo dei mammiferi placentati, elemento fondamentale che ha permesso l’assegnazione dello scheletro al genere balenottera. Questo spiegano nel documentario i paleontologi Giovanni Bianucci, Angelo Varola e Walter Landini, ordinari delle Università di Pisa e del Salento che si sono occupati del cetaceo fin dall’estate della sua scoperta.

Per le sue dimensioni, la balenottera potrebbe racchiudere in sé racconti interessanti, legati alle grandi transizioni climatiche o ai movimenti endogeni del nostro pianeta, che avrebbero portato ad uno sconvolgimento della vita sulla Terra, sia nella struttura degli esseri viventi che in quella delle terre stesse a causa del movimento delle placche.

In termini di ricerca, dunque, le premesse sarebbero promettenti, ma nonostante ciò il restauro, lo studio e la musealizzazione del fossile non sono mai partiti. Le ragioni del ritardo si sono legate ad una più che problematica reperibilità di fondi e, forse, anche nella mancata comprensione dell’importanza del reperto, complice una sensibilità istituzionale tradizionalmente più legata alla conservazione del patrimonio archeologico del luogo: il lascito storico ed artistico della Magna Grecia.

Tuttavia, grazie alla pressione esercitata dall’efficace mossa comunicativa di un documentario dedicato, che si è avvalso dei patrocini (pur non onerosi) delle più importanti istituzioni scientifiche pubbliche e private su scala nazionale, la ricchezza paleontologica eclissata di Matera ha seguito un percorso di divulgazione pubblica davvero importante, dalla presentazione al Festival Futuro Remoto di Napoli, nell’ottobre 2016, ad un’interrogazione parlamentare al Ministro dei Beni, delle Attività culturali e del Turismo, a febbraio di quest’anno e ad aprile è arrivata al Quirinale.

Si spera che con questa movimentazione di animi e di mass media la situazione di Giuliana migliori drasticamente, dall’abbandono alle prime pagine delle riviste di settore e non solo, lì dove dovrebbe stare, studiato ed ammirato, il fossile più grande del mondo.

Rossella Marchese

Aurora Giglio canta Capodimonte

Da tempo impegnata nella tutela del repertorio canoro classico napoletano e dell’antica modalità della “posteggia”, organizzatrice di un interessante  salotto culturale ed in procinto di profondere la sua grande carica vitale per la valorizzazione culturale dell’area di Capodimonte, Aurora Giglio, con tutta la sua straripante simpatia e lo splendore della sua voce, sarà sabato 20 maggio, alle 20,30, in occasione della “Notte dei Musei”, proprio sulla collina di Capodimonte, nel cortile della monumentale Reggia, per uno spettacolo, ad ingresso libero, tutto di canzoni classiche napoletane, tra cui “Munastero ’e Santa Chiara”, “Suspiro ’e Capemonte”,. “Capemonte!”, “Verde, celeste e rosa”, e “’E rrose parlano”, ma pure, e soprattutto, nel pieno rispetto della modalità della “posteggia”, con brani a richiesta. Con lei, i musicisti Vittorio Cataldi, Francesco Ponzo ed Antonello Gagliulli.

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