Con Banca5 di Intesa Sanpaolo prelevi il contante anche in tabaccheria

Una vera e propria rivoluzione per i clienti di Intesa Sanpaolo. E’ possibile, infatti,  effettuare il prelievo contanti anche presso le tabaccherie che hanno sottoscritto la convenzione con Banca5 S.p.A.

Come fare? Basta essere in possesso delle carte Intesa Sanpaolo del circuito Maestro, asterCard, Visa o Visa Electron. Sarà possibile prelevare su oltre 15.000 punti convenzionati che esporranno un’apposita vetrofania e il cui elenco sarà disponibile su App e sito web Banca5 e Intesa Sanpaolo.

Oltre al nomale utilizzo della carta e del relativo pin sarà necessario esibire la tessera sanitaria nazionale per consentire la lettura elettronica del codice fiscale. Le operazioni di prelievo saranno gratuite fino al 31 dicembre 2019.

“ L’attivazione di questo servizio, in linea con quanto definito nel Piano industriale della capogruppo Intesa Sanpaolo, – dichiara Silvio Fraternali, Amministratore Delegato Banca5 – consentirà ai clienti del Gruppo di effettuare prelievi di contanti in un numero importante di esercizi aperti in orari prolungati  e, soprattutto, capillarmente presenti su tutto il territorio nazionale; una ulteriore rete territoriale del Gruppo che ci permette di offrire servizi semplici ma importanti per le necessità quotidiane anche in comuni spesso piccoli e meno serviti”.

E per Salvatore Borgese, Chief Business Officer Banca5: “Da luglio i tabaccai convenzionati Banca 5 possono mettere a disposizione dei cittadini loro clienti il servizio di prelievo contante. Questo prodotto innovativo, nel modello di servizio, avrà un forte impatto sociale e rappresenta una svolta nel percorso professionale che la rete dei nostri collaboratori potrà intraprendere, attraverso l’erogazione di servizi transazionali tradizionalmente forniti da reti bancarie. Il servizio di prelievo contante è un prodotto distintivo per la rete dei tabaccai Banca 5.”

Un ulteriore canale, un ulteriore servizio messo a disposizione della clientela.

Alessandra Desideri

Minimo storico per i mutui bancari

Una buona notizia per chi ha necessità di acquistare casa. L’ABI (Associazione Bancaria Italiana) ha reso noto nel suo bollettino, pubblicato mensilmente, che i tassi medi sulle nuove operazioni di mutuo per l’acquisto delle abitazioni hanno raggiunto nel mese di giugno il minimo storico.

Il tasso medio è pari a 1,80% %(1,83% a maggio 2018, 5,72% a fine 2007).

In crescita, secondo i dati disponibili del mese di maggio, anche il mercato dei mutui che vede sul totale delle erogazioni la prevalenza per 2/3 dei mutui a tasso fisso e un incremento di +2,3% rispetto al periodo precedente. Segno che gli Italiani non hanno abbandonato l’idea del “mattone” e che preferiscono avere un importo stabile per tutta la durata del mutuo in modo da poter programmare il proprio bilancio familiare.

Alessandra Desideri

 

Il Portogallo: un paese in netta ripresa

I dati confortanti del 2017 per il Portogallo sono: crescita del 2,6 per cento, calo del debito, deficit all’1,7 per cento e disoccupazione all’8,5.

La suddetta eccezionale performance economica del Portogallo è giunta a tali risultati sotto un governo di coalizione del partito di sinistra con quello di estrema sinistra, eletta in base a un programma di critica ai diktat di Bruxelles che chiedeva il ripudio del debito pubblico, l’uscita dall’euro e dalla Nato, e la rinazionalizzazione di interi settori dell’economia portoghese.

Il simbolo di questa bizzarra combinazione di radicalismo politico e di performance economica, è la figura di Mario Centeno, il ministro delle Finanze che, almeno a parole, ha elaborato il piano per rompere con la logica dell’austerità imposta da Bruxelles ed è stato appena eletto presidente dell’Eurogruppo.

Paradossalmente è stato apprezzato anche dai critici delle politiche di austerità.

Quindi, cosa è successo tra il 2011 e oggi, cioè da quando il Portogallo voleva inizialmente affrontare la crisi smarcandosi da Grecia e Irlanda prima di negoziare un piano di salvataggio da 78 miliardi di euro?

Le crisi del 2008 e del 2010 colpiscono gravemente l’economia del Portogallo, che già si caratterizzava per diversi squilibri. Il continuo aumento del deficit, la crescita del debito, sia pubblico sia privato, l’aumento del disavanzo delle partite correnti, l’improvvisa cessazione dei flussi di capitali dal Nord al Sud, la crisi del credito, chiudono bruscamente al Portogallo le porte di accesso ai mercati finanziari. Il Portogallo cerca quindi l’aiuto dell’Ue e del Fondo monetario internazionale per poi accettare un drastico piano di riforme strutturali elaborato dalla Troika.

A partire dal 2014, la crescita riparte, la disoccupazione vive una fase di calo e la bilancia dei pagamenti lentamente si stabilizza.

In questo contesto, l’arrivo al potere di un governo di sinistra-estrema sinistra non porta con sé il rifiuto delle politiche di austerità iniziate nel 2011, ma produce un moderato alleggerimento dei vincoli alla domanda interna: aumenta il salario minimo e le pensioni più basse, senza indietreggiare sui tagli alla spesa e sulle riforme approvate.

E’ anche la ripresa della crescita nell’area euro che contribuisce anche alla ripresa del Portogallo.

Quindi è accaduto che la combinazione di una competitività che ha dato ripresa alla crescita, un leggero stimolo alla domanda e la difesa del rigore di bilancio, in un contesto di ripresa europea e globale, ha reso possibile il miglioramento del Portogallo nel 2017. Infatti, la contrazione della spesa pubblica e le riforme strutturali hanno consentito di migliorare la solvibilità del Paese, ripristinare l’equilibrio commerciale con l’estero ed eliminare i diversi ostacoli alla crescita.

L’attuale ripresa è sostenuta dalle esportazioni verso l’Ue e dalla adeguata gestione del debito e qualità del governo.

Danilo Turco

La fine del decennio di crisi  per la Grecia

Finalmente la svolta! La Grecia ha rispettato gli impegni e quindi sono state concordate le misure che possono a questo momento sostenerla nel lungo processo di ripresa e che potranno essere allentate in futuro.

I ministri delle Finanze europei hanno accertato che la Grecia ha sostanzialmente rispettato gli impegni assunti in occasione dei tre piani di salvataggio approvati finora. Hanno quindi concordato il 21 giugno scorso una serie di misure per sostenerla nel lungo processo di ripresa. Già su alcuni tweet, Pierre Moscovici, commissario europeo agli Affari economici e monetari, aveva  anticipato il suo giudizio positivo sulla Grecia ed evidenziando come il governo di Atene avesse introdotto circa 450 provvedimenti legati alle richieste della Troika, come la riforma del catasto per una più efficiente tassazione immobiliare e l’istituzione del reddito di solidarietà, di cui è oggi beneficiario circa il 6 per cento della popolazione.

La Grecia dal 2010 ha usufruito di tre piani di salvataggio (2010, 2012, 2015), ricevendo circa 274 miliardi di euro dai Paesi europei e dal Fondo monetario internazionale, risorse determinanti per il superamento della crisi. Oggi occorre che si realizzi la ripresa con la diminuzione del tasso di disoccupazione(18%), cosa possibile, se la Grecia continuerà sulla strada delle riforme, in modo che i paesi europei decideranno di alleggerire questi vincoli con futuri interventi.

Occorre evitare il rischio che la Grecia, una volta scampato il pericolo, torni sul sentiero poco virtuoso che l’ha condotta a un passo dall’uscita dall’euro, devastando il suo sistema finanziario e riducendo in povertà milioni di suoi cittadini. Talune condizioni imposte sono da ritenere giuste, come la soluzione del processo in cui è imputato l’ex presidente dell’istituto nazionale di statistica e il completamento della riforma del catasto e del piano di privatizzazioni.

Danilo Turco

Amministratori competenti e trasparenti, questo emerge al convegno della FIGIAC

Quanto è competente l’amministratore del mio condominio? Posso affidare serenamente la gestione della proprietà all’amministratore? Farà i mie e i nostri interessi di condomini? Tante e difficili sono le domande che si pongono i proprietari di immobili quando si trovano davanti a quella figura che dovrebbe gestire al meglio il patrimonio immobiliare.

Avere professionisti adeguatamente preparati è sicuramente una necessità, se ne è parlato al primo Convegno nazionale FIGIAC (Federazione italiana gestori immobiliari e amministratori di condominio) tenutosi a Napoli dal tema “L’amministratore di condominio: aspetti teorico-pratici, giuridici, fiscali e sulla sicurezza degli edifici.

L’apertura del convegno è stata affidata al presidente nazionale della FIGIAC Francesco Vittorio Sciubba – che ha evidenziato che “con questo convegno apriamo una importante stagione di iniziative per garantire adeguata preparazione ai nostri associati in un settore che incide notevolmente sulla vita dei cittadini campani interessati dalle problematiche condominiali ed immobiliari. E’ per questi motivi che abbiamo coinvolto alcuni dei maggiori esperti del settore per illustrare le questioni relative alla gestione degli immobiliari che deve fatta ovviamente seguendo criteri di competenza e trasparenza, ma anche per garantire quella urgente sicurezza delle condizioni dei nostri edifici”.

Nel corso dei lavori si sono confrontati alcuni dei maggiori esperti del settore: Gian Andrea Chiesi (magistrato applicato al massimario ed al ruolo della Cassazione), Sergio Falcone (coordinatore Commissione privacy Ordine degli Avvocati di Napoli), Giuseppe Della Pietra (Professore di Procedura Civile), Ciro Capasso (Pm della sezione IV sez. Lavoro della Procura della Repubblica di Napoli), Paola Marone (Presidente della Fondazione dell’Ordine degli Ingegneri di Napoli), Alessandro Arcuri (STS Deloitte), moderati dal Direttore del Centro Studi Nazionale della FIGIAC, avvocato Ghigo Giuseppe Ciaccia. Quest’ultimo ha sottolineato “la rilevanza di una costante formazione ed informazione sulle tematiche di grande rilievo e di interesse per gli amministratori condominiali e per i professionisti esperti del settore condominiale. Lo scopo del convegno è riunire amministratori e esperti della materia per discutere insieme delle maggiori problematiche legate alla professione di amministratore di condominio in riferimenti all’inquadramento giuridico delle mansioni e delle responsabilità, anche penali, dell’amministratore di condominio nell’esecuzione di lavori in condominio ad alle agevolazioni fiscali legate al sismabonus e l’ecobonus”. Nel corso del convegno è stato illustrato” l’accordo quinquennale della FIGIAC con l’Università Federico II di Napoli per l’organizzazione dei corsi di formazione ed aggiornamento annuale per amministratori condominiali e per revisore condominiali”.

L’avvocato Manuela Catapano ha evidenziato che l’iniziativa “si propone di affrontare le problematiche condominiali, in particolare in riferimento al ruolo dell’amministratore, valutando i principali filoni dell’attuale contenzioso in materia”.

Emerge la necessità di una formazione ed un aggiornamento continuo di coloro che svolgono l’attività di amministratore di condominio in modo da avere persone veramente preparate professionalmente ed affidabili.

Alessandra Desideri

La democrazia nel XXI secolo

Il calo della democrazia degli stati nel mondo attuale  inducono a ricercare le ragioni, che sembrano essere sia economiche sia geo-politiche.

In questo ultimo decennio i diritti politici e le libertà civili garantiti dagli stati democratici sembrano essere sotto attacco e recentemente la situazione si molto acuita in tutte le regioni del mondo.

Non molto tempo addietro, dopo la seconda guerra mondiale e, soprattutto dopo la caduta dell’impero sovietico, i regimi democratici sembravano avere vinto la loro secolare battaglia.

Questo lo riporta uno studio che ogni anno Freedom House, un’organizzazione americana indipendente, pubblica attraverso un rapporto, “Freedom in the World”, che riporta le valutazioni sul grado di libertà di oltre 200 paesi. La metodologia adottata assegna ad ogni paese  un indicatore sintetico che può oscillare da 0 a 100. Questo a sua volta è composto da 25 indicatori, che oscillano tra 1 e 4 e misurano il grado di libertà in base a diversi parametri che traggono origine dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

Secondo Freedom House, la percentuale di Paesi che possono considerarsi democratici (in termini di diritti politici, civili, economici, di opinione e altro), dopo essere cresciuta dal 35 al 48 per cento fra il 1987 e il 2007, si è ridotta al 45 per cento negli ultimi dieci anni e Paesi come Turchia, Venezuela, Ungheria e Polonia, che parevano essersi avviati a diventare solide democrazie, hanno riportato un duro peggioramento negli ultimi anni. Anche se esistono Paesi in cui il sistema politico e civile è migliorato, si è invece ampliata la forbice fra il numero degli stati in peggioramento e in miglioramento. I segnali più preoccupanti provengono dagli Stati Uniti, per molti decenni considerato paese leader dei valori democratici e sia Freedom House che The Economist Intelligence Unit, da qualche tempo, non assegnano più un punteggio pieno agli Usa, anche se i meccanismi presenti nel sistema statunitense risultano ancora saldi, nonostante la leadership americana nel mondo sia in calo.

Alla caduta dell’egemonia americana non ha corrisposto un maggiore intervento dell’Europa e del Giappone, cioè delle economie liberali storiche, ma si è assistito ad un aumento dell’attivismo dei due paesi tradizionalmente autocratici, Russia e Cina.

La prima ha cercato di interferire nelle ultime elezioni americane, francesi e tedesche e, forse, italiane, supportando i partiti xenofobi, e sostenendo militarmente i regimi autoritari nel Medio Oriente.

La seconda, presenta ambizioni egemoniche più globali e il potere economico è stata la migliore arma. La recente decisione di abolire il limite di eleggibilità del presidente in Cina, il rigido controllo dei social network e la forte repressione dei dissidenti residenti all’estero, sembra rendere più improbabile il passaggio del sistema verso la democrazia.

Oggi il mondo è diventato multipolare e il modello occidentale si è rivelato meno seguito da numerosi paesi emergenti sul piano economico, che considerano la democrazia un sistema non efficiente. La Cina è un esempio. Si tratta di una sfida da dover affrontare con determinazione, perché è evidente come i paesi meno democratici siano più inclini a seguire i conflitti militari.

Danilo Turco

I premi ai banchieri

La regola europea pone un limite ai premi dei banchieri, ma continua in molti casi a essere aggirata, ma l’Italia è in buona posizione nel confronto internazionale

Le norme europee definiscono un limite ai compensi dei manager bancari detti premi (in denaro, azioni o opzioni) che sono legati ai risultati aziendali. Tale quota non dovrebbe superare la cifra corrispondente allo stipendio fisso, o massimo al doppio solo con l’approvazione dell’assemblea dei soci, ma accade che la regola viere raggirata con il trucco di non farsi classificare dalla banca per cui si lavora, come “rilevante” per il rischio della banca stessa e in questo caso il limite non si applica.

Il recente rapporto della European Banking Authority evidenzia che i miglioramenti sono marginali. Il vincolo stabilito ha la finalità di limitare l’effetto perverso che questi premi introducono, cioè, ritenere che se le cose vanno bene grazie al manager va assegnato il premio e se vanno male si annulla il premio. Su questo la situazione non è la stessa in tutti i Paesi europei e in nove, tutti gli high earners sono classificati come “rilevanti” per il rischio della banca e come tali soggetti al limite dei premi ricordando la direttiva europea, che indica che siano ritenuti “non rilevanti” in casi eccezionali, motivati e approvati dalle autorità di vigilanza. Ma in alcuni Paesi la quota dei “non rilevanti” lascia intendere che non si tratta di casi isolati, infatti anche in Germania la quota arriva al 25%.

L’Italia poi, presenta 172 manager bancari che guadagnano oltre il milione di euro e 32 di essi non sono classificati come “rilevanti”, quindi non sono soggetti al limite e molti di essi lavorano nel settore dell’investment banking. Sul totale degli high earners, il rapporto medio tra variabile e fisso è del 72 per cento: assai più basso della media europea. Una volta tanto, il nostro paese si pone in buona posizione per l’Europa.

Danilo Turco

L’utilizzo dei fondi europei in Italia

In Italia non si parla mai di fondi Ue, ma se si analizzano i dati, emerge che esiste una seria difficoltà di spesa. Questo fatto impone  un ripensamento della costruzione funzionale della politica di coesione in vista del prossimo  negoziato sul bilancio dell’Unione.

In Italia manca ancora un primo documento ufficiale che certifichi il livello di spesa per il periodo 2014-2020, ma basta consultare i  dati della Commissione europea per rilevare che l’Italia, a marzo 2018, è all’8 % della spesa, risultando agli ultimi posti insieme a Malta, Croazia e Spagna. Va poi evidenziata l’alta possibilità di spesa offerta che si rifà a oltre 75 miliardi di euro, risultando il secondo stato membro beneficiario, dopo la Polonia, che invece ha speso in valore assoluto più del doppio dell’Italia.

Dai dati della Commissione emergono numerosi spazi finanziari disponibili per l’attuazione della politica di coesione in Italia. Infatti a marzo 2018 risulta allocato solo il 42 per cento del budget. Restano così 44 miliardi di euro da associare a singoli progetti che avrebbero potuto risolvere questioni e problemi emergenti riguardanti gli investimenti pubblici.

In Italia non sono bastati oltre quattro anni per programmare progetti di crescita e sviluppo, e quindi neanche per spendere. Questo accadde anche nel ciclo 2007-2013, ma alla fine si è riusciti a certificare quasi tutto, perdendo qualche decina di milioni di euro.

Non è bastata la nascita dell’Agenzia per la coesione e del dipartimento per le politiche di coesione, per invertire le sorti di questa difficile missione italiana. Anzi, proprio l’Agenzia, che negli obiettivi avrebbe dovuto accelerare i meccanismi di spesa ed entrare in surroga delle amministrazioni meno efficienti, fa registrare per i due Pon (Programma operativo nazionale) di cui è autorità di gestione, i livelli di spesa più bassi (0,3 per cento per il Pon Gov. e 0,5 per cento per il Pon Metro). Risulta difficile per le amministrazioni  svolgere il ruolo di stazioni appaltanti, sia per le difficoltà oggettive introdotte dalla riforma del codice degli appalti e sia, per le attività di progettazione, attivate in tavoli di concertazione che durano anni. Per risolvere occorrerebbe decidere di rimettere mano alla governance dei fondi strutturali e ripensare a nuovi strumenti per la politica di coesione, che nella contribuzione al bilancio dell’Unione,siano lasciate nelle casse degli stati membri più risorse vincolate all’attuazione di una politica di coesione a sfondo sia europeo e sia nazionale insieme, per meglio rispondere ai bisogni immediati di crescita,con investimenti mirati sui singoli territori.

Danilo Turco

Nuovi accordi fra USA e Cina

Anche se la guerra dei dazi tra Usa e Cina sembra rientrata, resta da chiedersi: cosa accadrà in futuro, vista la dipendenza della crescita mondiale da quella cinese?

L’accordo con Xi Jinping è stato trovato dagli Stati Uniti, ma la tensione delle relazioni economiche tra i due Stati ha sollevato una questione di ampie proporzioni sugli squilibri delle partite correnti delle due economie più grandi del mondo.

Va ricordato che la crescita mondiale dipende strutturalmente da quella cinese che nel 2017 è stata del 35 per cento (circa il doppio rispetto agli Stati Uniti). Infatti, se da una parte si assiste al fatto che la “fabbrica del mondo” la cinese, ha spiazzato investimenti e depresso il livello dei prezzi in numerosi settori e in molti paesi, accade che d’altra parte la domanda di consumatori e imprese cinesi ha sostenuto la produzione e l’export di molti altri e diversi paesi, non solo avanzati, ma anche emergenti e poveri. Per questo nessuno si augura un rallentamento dell’economia cinese causato eventualmente da una guerra commerciale minacciata tempo fa da Trump.

A Pechino il 19 maggio i negoziatori hanno fugato i timori di una guerra commerciale, ma non quelli di un forte ribilanciamento, che gli Stati Uniti vogliono accelerare in Cina. Infatti, se si va ad osservare con attenzione, il vero motore cinese per lo sviluppo è stato l’accumulazione di capitale che nel 2014 ha raggiunto un picco del 45% del Pil, per poi iniziare a rallentare con lo sviluppo dei settori delle costruzioni e delle infrastrutture, che sono andati a compensare la minor vivacità dell’export dovuta al crollo della domanda mondiale durante gli anni della crisi. Ma poi, con la diminuzione di fabbisogno di infrastrutture e di abitazioni si è avuto un ulteriore rallentamento del trend dello sviluppo,giunto al 6-7% annuo, e non più del 10%. Infine, sono venuti meno gli altri due pilastri della crescita e precisamente:

la diminuzione della popolazione attiva, registrato ininterrottamente dal 1960, per l’aumento delle generazioni anziane e una diminuzione del tasso delle nascite (per l’aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro urbano), per cui sembra che anche la Cina diventi“un paese di vecchi”, rispettando la tendenza occidentale, ma senza essere diventato un paese ricco;

l’andamento della crescita della produttività, che è fortemente legato alla crescita dell’export per poter competere sui mercati globali, come presentato dai dati di Conference Board analizzati da Capital Economics, si vede che dal 1960 i paesi che hanno saputo generare una crescita della produttività sono anche quelli con la maggior crescita delle esportazioni e raramente, (solo nell’1,2%dei casi) si è registrato un aumento di produttività che non fosse associato a una forte capacità di esportare. Questo ci chiarisce come sia difficile per la Cina, dal momento che l’export cinese mondiale ha raggiunto il 13 per cento e la domanda estera di beni cinesi è arrivata anch’essa al traguardo e associato a questo si rileva una diminuzione dei consumi.

E’ dunque necessario agire in favore di “un cambiamento strutturale”, come indicato dal rappresentante del Commercio Robert Lighthizer, ma senza bloccare quel meccanismo che ha da sempre contribuito alla crescita mondiale, che è fondato sul commercio estero e sugli investimenti nei settori di esportazione.

Danilo Turco

Diritto per l’impresa, la nuova pubblicazione di Antonella Batà

Il volume “Diritto per l’impresa” di Antonella Batà, ricercatore confermato presso la Scuola Politecnica e delle Scienze di Base dell’Università degli studi di Napoli Federico II pubblicato dalle Edizioni Scientifiche Italiane, oltre ad essere destinato agli studenti dei Corsi di Laurea in Ingegneria gestionale è anche un utile strumento di consultazione per coloro che studiano il settore industriale e per coloro che svolgono un’attività professionale nell’ambito imprenditoriale.

Il volume si sviluppa in otto capitoli. Aprono la pubblicazione le presentazioni di Giuseppe Bruno, ordinario di Gestione dello Sviluppo Imprenditoriale presso l’Università degli Studi Federico II e Mario Raffa, ordinario di Gestione dello Sviluppo Imprenditoriale presso l’Università degli Studi  di Napoli Federico II. L’Autrice, nello sviluppo dei capitoli, tratta: i concetti introduttivi, le obbligazioni e i contratti,  l’imprenditore e l’imprese, l’impresa collettiva: le società, le aggregazioni di imprese,  l’azienda, l’impresa ed il mercato, la contrattazione di impresa. In un unico volume Antonella Batà riesce a fornire tutti gli strumenti utili ad un ingegnere, anche se appartenenti a diverse branche del diritto. Il volume e le tematiche sono trattate con una “esposizione sintetica, ma non semplicistica” che utilizza “un linguaggio essenziale, depurato da n eccessivo ricorso ai tecnicismi giuridici che necessariamente caratterizzano la manualistica del diritto” per dirla con le parole del professor Giuseppe Bruno. E ancora “il lavoro riesce ad assolvere alla duplica funzione che è alla base della “missione” di un libro universitario. Essere, cioè, uno strumento  di supporto all’attività didattica in cui si evidenziano gli aspetti di collegamento interdisciplinare, ed essere un oggetto di consultazione per chi, non più studente, abbi ala necessità di accedere, senza particolari propedeuticità culturali, ad argomenti che sempre più frequentemente e significativamente intervengono nell’attività professionale.

Il lavoro di Antonella Batà per il professor Mario Raffa ha un grande merito “fornisce all’ingegnere una serie di conoscenze sul diritto d’impresa quasi mai familiari nelle scuole di ingegneria. Il tutto fatto con un metodo che mette insieme la tradizione umanistica con quella tecnica e tecnologica.  Si produce così una strumentazione interpretativa che aiuta a capire la complessità dell’impresa attuale, nonché il suo ruolo nelle reti nazionali ed internazionali alla luc del fenomeno della globalizzazione”.

Salvatore Adinolfi

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