USA: primo incontro tra Angela Merkel e Donald Trump

La Cancelliera Merkel ha incontrato per la prima volta il Presidente statunitense Donald Trump.

Venerdì 17 marzo, c’è stato il primo incontro tra la Merkel e Trump dopo la sua elezione a presidente degli USA. L’obiettivo è raggiungere una convergenza sulla difesa e sugli scambi commerciali. Trump ha apprezzato il Brexit; il suo consigliere strategico – Stephen Bannon –  considera l’Unione europea un limite per i nazionalismi necessari per preservare la minacciata identità occidentale.

Secondo Walter Russell Mead – geopolitico dello Hudson Institute – la logica America First implicherebbe una visione della Russia non più come minaccia importante per gli interessi americani. Ciò rimetterebbe in discussione le fondamenta del Patto atlantico.

Le proposte moderate di fine febbraio a Bruxelles del vicepresidente statunitense Mike Pence (una delle voci discordanti nell’Amministrazione Trump) rassicurarono l’Ue. Pence promise di approfondire i rapporti con un’Europa insidiata dal Brexit. L’Ue pertanto attende la concreta linea americana in materia di libero-scambio e tassazione delle imprese. Un moderato ottimismo non ha eliminato del tutto le speranze sul TTIP (l’accordo commerciale con gli USA), nonostante l’opposizione di Trump.

La Cancelliera tedesca è il primo premier europeo a incontrare il Presidente Trump ed è inoltre alla guida di una potenza (nelle esportazioni) i cui successi commerciali non sono particolarmente graditi dal Presidente americano. Angela Merkel è stata accompagnata da alcuni importanti dirigenti di aziende tedesche: Harald Krüger di BMW e Joe Kaeser de Siemens, due imprese saldamente radicate negli USA.

Gli Stati Uniti rappresentano il terzo partner commerciale per la Germania che è disposta a incrementare la sua quota di spesa per la sicurezza, raggiungendo il 2% del PIL per il budget della difesa – un’esigenza degli USA per la NATO –, ma in modo progressivo. Angela Merkel punta a sviluppare buoni rapporti con Trump basandosi sulla pazienza e l’impegno.

Danilo Turco

Finanze pubbliche italiane, Ue e necessaria manovra correttiva

L’Italia ha tempo fino ad aprile per eseguire una manovra correttiva dei suoi conti pubblici pari a 3,4 miliardi di euro. Una tale operazione rappresenta un importante banco di prova per il nuovo staff di governo ed è necessaria per evitare una procedura d’infrazione ai danni dell’Italia per eccessivo deficit.

Mercoledì 22 febbraio, la Commissione europea ha riaffermato l’importanza di una correzione (pari a 3,4 miliardi di euro) dei conti pubblici italiani al fine di evitare l’avvio di una procedura di infrazione per eccessivo deficit. Tale operazione, in apparenza minima, non è facile per il nuovo governo, data la decomposizione politica generale innescata dal referendum costituzionale del 4 dicembre 2016.

L’Italia, oltre a essere interessata da una stagnazione economica ventennale, deve fronteggiare anche un massiccio indebitamento (più del 130% del PIL), nonostante il debole deficit di bilancio (2,4%). Il presidente del Consiglio Gentiloni, privo di un calendario elettorale definito e a causa di un limitato margine di manovra dovuto al frammentato contesto politico italiano, ha difficoltà a rassicurare i suoi omologhi europei. Infatti, venerdì 24 febbraio, nasce anche “Democratici e Progressisti”, un nuovo movimento creato da una scissione dei dissidenti del PD guidati da Roberto Speranza ed Enrico Rossi. Tuttavia, il Premier afferma che attuerà le manovre correttive senza aumentare le imposte, bensì incrementando la tassazione sul gioco e la lotta contro l’evasione fiscale.

La prospettiva di una nuova legge elettorale, di matrice essenzialmente proporzionale, suscita inquietudini circa il raggiungimento di una maggioranza stabile, a causa di uno scenario politico sostanzialmente diviso in 3 parti in cui l’unica forza omogenea è il non classificabile Movimento 5 Stelle. L’Italia ha tempo fino al 30 aprile per comunicare le sue intenzioni a Bruxelles.

Danilo Turco

CETA: approvazione del Parlamento europeo

L’accordo commerciale CETA – Comprehensive Economic and Trade Agreement – tra Ue e Canada è stato ratificato dal Parlamento europeo mercoledì 15 febbraio.

L’accordo CETA, ratificato dal Parlamento europeo mira a incrementare il commercio di beni, servizi e investimenti tra l’Ue e il Canada. Questo trattato è stato spesso denominato un “Tafta 2” (Trans-Atlantic Free Trade Agreement) suscitando numerose inquietudini. Prima del passaggio attraverso tutti i parlamenti nazionali e regionali dell’Ue, la votazione del Parlamento europeo consente un’applicazione provvisoria del testo già a partire da aprile 2017.

Il CETA mira ad agevolare la creazione di nuove opportunità per le imprese in Ue, le quali potranno risparmiare più di 500 milioni di euro ogni anno, somma spesa fino ad oggi per acquistare i diritti su varie merci esportate verso il Canada. Le imprese dell’Ue beneficeranno di un accesso senza precedenti al mercato canadese a tutti i livelli: federale, provinciale e municipale. Le piccole imprese, spesso impossibilitate a fronteggiare i costi delle procedure amministrative, saranno tra i primi beneficiari di questo accordo e potranno risparmiare tempo e denaro evitando ad esempio, le lunghe procedure doganali e alcune spese legali elevate.

Infine, i consumatori dell’Ue potranno beneficiare di una scelta maggiore pur preservando le normative europee. Solo i prodotti e i servizi in perfetta conformità con le norme europee potranno entrare nel mercato Ue. Infatti, il CETA non modificherà la normativa Ue in materia di sicurezza alimentare concernente l’interdizione di alcuni prodotti tra cui gli OGM e la carne agli ormoni.

Danilo Turco

Nuovi assetti nel comparto alimentare delle conserve

Un’importante acquisizione economica cambia gli assetti proprietari nella filiera alimentare nazionale nel settore dei prodotti freschi e conservati, destinati alla grande distribuzione organizzata. E’ il gruppo Generale Conserve-ASdoMAR, protagonista di un nuovo cambio nella proprietà azionaria, una svolta che, secondo gli indicatori di mercato, segnerà  nuovi sviluppi di crescita per l’azienda italiana con sede a Genova. Nata sul finire degli anni ’80 come Società commerciale di importazione conserve ittiche, sotto la guida del Presidente Vito Gulli, azionista di riferimento dal 2001, in poco più di dieci anni, è passata da piccola realtà dedicata esclusivamente alla commercializzazione di prodotti ittici di qualità, a impresa con due stabilimenti produttivi di proprietà, circa 555 dipendenti e un fatturato di 155 milioni di euro in costante incremento rispetto agli anni precedenti.

“Con l’operazione, che si è perfezionata in data odierna, il gruppo che fa capo a Adolfo Valsecchi, entrato in Generale Conserve nel 2014, consolida ulteriormente la propria quota di maggioranza. Contestualmente ha fatto il suo ingresso nella Società una nuova Compagine Azionaria di primari Investitori Finanziari”.

L’incipit del comunicato stampa emesso nella mattinata del 3 febbraio annuncia i nuovi rilevanti assetti societari scaturiti dall’operazione. Adolfo Valsecchi, che ha ricoperto la posizione di Amministratore Delegato in primarie Aziende Alimentari Europee con sede a Londra e a Parigi, dopo più di 40 anni di esperienza nel business internazionale dei prodotti alimentari di marca, da oggi assume, oltre alla carica già ricoperta di Amministratore Delegato, anche quella di Presidente della Società.

La nuova compagine azionaria conferma la strategia di rafforzare ulteriormente la presenza dei marchi ASdoMAR e DE RICA sul Mercato Italiano, ampliando la gamma prodotti e la loro presenza nei diversi canali distributivi con l’obiettivo di portare i propri marchi ASdoMAR e DE RICA anche sui Mercati Europei puntando sull’immagine di Prodotto Alimentare, Sostenibile, “Made in Italy”, di Alta Qualità.

L’azienda rappresenta oggi un modello di riferimento per qualità-innovazione prodotto e tecnologia produttiva; ha un posizionamento distintivo, sviluppato nel corso degli ultimi 10 anni grazie alla strategia e alla vision del Presidente Vito Gulli: “La Qualità e il Rispetto”. Ciò ha reso Generale Conserve-ASdoMAR testimone autorevole in tema di Corporate Social Responsibility, Sostenibilità Ambientale in generale e della Pesca in termini specifici, presso tutti gli stakeholders. In tale contesto ricordiamo l’adesione al progetto della ong “Friend of the sea” ed alle relative certificazioni di sostenibilità ambientale ottenute dalla stessa organizzazione internazionale. Un team di consulenti aziendali, rappresentanti fra i principali studi legali d’affari nazionali, ha patrocinato le controparti per condurre a buon fine tutte le fasi delle articolate transazioni. La rinnovata proprietà intende rafforzare ulteriormente la presenza dei marchi ASdoMAR e DE RICA sul Mercato Italiano, ampliando la gamma prodotti e la loro presenza nei diversi canali distributivi. Annuncia altresì l’obiettivo di portare gli stessi marchi anche sui Mercati Europei puntando sull’immagine di Prodotto Alimentare, Sostenibile, “Made in Italy”, di Alta Qualità. Il raggiungimento dei nuovi target punterà sullo sviluppo delle tecnologie del processo produttivo, sulle innovazione di prodotto, sulla pianificazione e il controllo finanziario.  I nuovi soci, infine, sono un gruppo di investitori finanziari di trentennale esperienza nel Private Equity, con un particolare focus nel settore dei beni di largo consumo di marca premium. Il loro intervento in Generale Conserve-ASdoMAR è teso ad accompagnare il socio di maggioranza nei progetti di crescita del gruppo e dei suoi marchi, anche per linee esterne.

Luigi Coppola

Draghi e il G30

La delicata questione sollevata dall’inchiesta della Mediatrice europea Emily O’Reilly riguarda Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea (BCE), forse troppo vicino alle banche.

Emily O’Reilly, eletta Mediatrice europea nel luglio 2013, è stata riconfermata nel 2014 per un mandato quinquennale. Una lettera di venerdì 20 gennaio annuncia l’avvio di un’inchiesta sull’appartenenza dell’italiano al Gruppo dei Trenta (G30), un forum internazionale che comprende i dirigenti del settore finanziario pubblico e privato, ma anche sul coinvolgimento degli alti responsabili della BCE nei lavori di questo gruppo di esperti del settore bancario.

L’inchiesta parte da una denuncia presentata dalla ONG Corporate Europe Observatory di Bruxelles (CEO) sui legami tra lobby e istituzioni europee. Il G30 riunisce i governatori delle banche centrali di vari Paesi, economisti di alto livello (come K. Rogoff) e presidenti di istituzioni private (come JP Morgan e UBS). In questo gruppo e con poca trasparenza, banchieri e membri della BCE si incontrano con il rischio che un potenziale conflitto di interessi possa minacciare l’indipendenza dell’istituzione.

La BCE è diventata il supervisore delle 126 più grandi banche dell’eurozona ed è anomalo – secondo K. Haar ricercatore di CEO –  che in un tale contesto il personale dell’istituzione possa, senza alcun controllo, scambiare informazioni con gli istituti che supervisiona. Secondo Haar il G30, nato nel 1978, da gruppo di esperti si è trasformato in una lobby bancaria.

Pertanto, due concezioni di politica monetaria si scontrano:

– la linea dura (di CEO), secondo cui tra banchieri centrali e stakeholder esterni non dovrebbe esistere alcun rapporto, al fine di eliminare qualsiasi potenziale conflitto di interessi;

– la visione più morbida e pragmatica che vede essenziale un dialogo, poiché la BCE necessita  di misurare l’impatto delle sue misure monetarie per migliorarne il funzionamento.

Anche se il Mediatore europeo non ha un potere vincolante, i suoi pareri sono spesso seguiti e CEO spera in una maggiore trasparenza durante le riunioni del G30.

Danilo Turco

Il “secolo asiatico”, dalle conquiste spaziali al pop, l’Oriente espugna anche l’industria musicale

L’era del dragone non riguarda soltanto la Cina, con il suo sviluppo economico e tecnologico, la crescita esponenziale del pil o i piani per conquistare un preciso ruolo nello spazio e nella storia, anche Paesi come Malesia, Thailandia, Corea del Sud o la città stato di Singapore si stanno ritagliando un proprio ruolo, affacciandosi sul panorama mondiale tenendo la scia del grande drago asiatico.

Per fare un esempio, a proposito di oriental style, se negli anni ‘90 lo stile italiano cambiò il gusto e le abitudini culturali di quello che poteva essere definito il “secolo americano”, attraverso la lingua della moda, del design, della cucina e della cultura del Bel Paese, oggi, mentre l’italian style appare un po’ troppo assimilato all’interno della cultura globalizzata del XXI secolo, il korean style o K-Style sta prendendo il sopravvento in Asia e non nasconde le sue ambizioni di confrontarsi direttamente con le grandi industrie culturali europee e nordamericane.

Dopo il successo, nel 2012, del tormentone “gangnam style” del cantante sudcoreano Psy (il singolo più ascoltato di tutti i tempi, con più di 2 miliardi di visualizzazioni su Youtube), quello che poteva sembrare un fenomeno passeggero, si è trasformato nel marchio di fabbrica della così detta K-wave, o onda K-pop: un progetto lautamente finanziato dal governo di Seoul che coinvolge decine di migliaia di giovani coreani, che studiano e si impegnano seriamente per diventare idoli del Pop. Un’utopia che spesso si trasforma in realtà, anche grazie all’aiuto delle case discografiche ed alle sovvenzioni pubbliche.

Negli ultimi anni, infatti, il progetto della K-wave si è sviluppato dalla musica alla televisione,  passando per il design e la cucina e, dopo il successo ottenuto in Cina e Giappone, si è  velocemente espanso in tutta l’Asia, arrivando nelle Americhe e in alcuni paesi dell’Unione Europea; c’è, inoltre, un’altra componente del korean style che lo rende tanto affascinante agli occhi di una moltitudine di ragazzi occidentali ed è la capacità di unire innovazione e tradizione.

Attraverso prodotti artistici orecchiabili e ben confezionati, i cantanti come gli attori, così intriganti ed appariscenti, portano, nella loro espressione, un messaggio facile da comprendere, anche per una cultura straniera, tanto da giocare un ruolo chiave per la promozione della cultura sudcoreana nel mondo.

Insomma, prodotti di super elettronica a parte, l’attenzione che la Corea del Sud sta ottenendo in questi ultimi anni sembrerebbe dovuta alla capacità tutta coreana di realizzare il prodotto culturale più adatto al pubblico globale, una vera e propria catena di montaggio, ad altissimi livelli, di beni culturali, nei campi strategici dei media e dell’intrattenimento.

Con queste premesse resta solo da capire quanto spazio verrà lasciato alla cultura di un paese relativamente piccolo come la Corea del Sud, in un secolo che potrebbe vedere un’unica grande dominazione, quella cinese; speriamo in una diversificazione culturale.

Rossella Marchese

Quantitative easing: BCE estende il programma fino a dicembre 2017

 

La Banca Centrale Europea (BCE) continua a rassicurare i mercati mediante il prolungamento fino alla fine del 2017 del suo vasto programma (iniziato nel 2015) di acquisto di asset. Con questa manovra finanziaria, il cui termine era previsto per marzo, l’istituto di Francoforte si impegna ad acquistare ogni mese l’equivalente di 80 miliardi di euro di debito, principalmente sotto forma di titoli di stato.04

Nonostante la persistente debolezza nella crescita in Europa e i rischi specialmente politici, il Presidente della BCE Mario Draghi non ha mutato le sue previsioni di crescita contando su una crescita pari all’1,7% contro l’1,6% stimato in precedenza. Per alimentare il suo programma di riacquisto ed evitare una penuria di titoli da riscattare, la BCE ha ampliato il deposito di titoli da cui attingere, lasciando i tassi invariati (così come atteso). Il tasso di rifinanziamento, quello principale della BCE, rimane a zero, il tasso di deposito a -0,4% e quello di prestito marginale a 0,25%.

L’inflazione è ancora lontana dalla soglia del 2% stabilita per il mantenimento della stabilità dei prezzi BCE. L’istituto di Francoforte prevede, entro il 2020, un lento incremento dei prezzi, ma al disotto del 2%. Un periodo molto lungo per i mercati che vivono secondo prospettive giornaliere.

Secondo alcuni specialisti come Andrea Iannelli specialista dei mercati obbligazionari presso la Fidelity International, la vittoria del “no” al referendum italiano e le dimissioni del premier Matteo Renzi potrebbero rappresentare un fattore di incertezza per i mercati nel 2017, un anno già caratterizzato da un denso calendario elettorale. Infatti, nella prima metà del 2017, sono previste le elezioni in Francia e nei Paesi Bassi e ciò avverrà in una situazione già contrassegnata dal populismo.

Danilo Turco

Strategie monetarie divergenti

Le Banche centrali dei Paesi industrializzati sembravano condannate a una politica di tassi bassi di lungo periodo. La Federal Reserve statunitense (Fed) dopo aver incrementato i tassi nel dicembre 2015 ha avuto dei dubbi. Il consenso non è più stabile e molti economisti e investitori credono che la Fed, non solo alzerà i tassi di interesse durante la riunione di dicembre, ma che nel 2017 ne velocizzerà il ritmo di crescita.

Dopo le promesse di Trump di rilanciare le spese in infrastrutture e di diminuire le imposte, la Commissione europea pronostica un allentamento della pressione sui deficit. Secondo alcuni osservatori, la BCE potrebbe seguire l’esempio americano sospendendo il riacquisto dei debiti e incrementando i tassi. Tuttavia, questo scenario sembrerebbe prematuro in Europa data la debolezza dell’unione monetaria e la prudenza dell’Istituto di Francoforte.

A dispetto delle ambiziose misure di rilancio promesse da Trump, è probabile che la Fed continuerà a incrementare i tassi, mentre la BCE seguiterà a supportare l’economia. Le conseguenze di una divergenza monetaria tra le due sponde dell’Atlantico potrebbero non solo far approdare più capitale negli Stati Uniti (grazie alla prospettiva di rendimenti più elevati), ma anche spingere il dollaro più in alto. Ciò costituirebbe uno svantaggio per i prodotti americani, che diventerebbero meno competitivi, bensì un vantaggio per gli esportatori europei.

Tuttavia, la BCE rischia una difficile situazione dovuta al deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro. L’incremento dell’inflazione importata andrebbe a discapito dei consumi delle famiglie soprattutto in Francia, Italia, Spagna, Grecia e Portogallo, dove il costante livello elevato della disoccupazione limita gli aumenti salariali.

Danilo Turco

 

“The Bank of England”: l’opposizione di Mark Carney

I sostenitori del Brexit chiedono la destituzione, a partire dal 2018, del Governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney, ritenuto politicamente troppo coinvolto. Carney resterà fino al 2019.

Il Governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney, è stato criticato dai sostenitori del Brexit per aver svolto un ruolo politico e non di alto funzionario, supportando la causa della permanenza del Regno Unito nell’Unione europea.

I critici ambiscono alla sua destituzione da governatore della Bank of England (BoE)a partire dal 2018, tuttavia i sostenitori di Carney, tra i quali vi è anche Philip Hammond il Cancelliere dello Scacchiere, desiderano la sua permanenza fino al limite massimo del 2021.

Un compromesso è stato raggiunto lunedì 31 ottobre: il Governatore ha annunciato che lascerà l’incarico nel 2019. Carney ha avanzato delle motivazioni personali per giustificare la sua decisione. Teoricamente, questa data dovrebbe consentire la permanenza di Carney fino all’uscita effettiva del Regno Unito dall’Ue prevista per la primavera del 2019, permettendo una transazione strutturata verso le nuove relazioni tre Regno Unito e Unione europea.

Janan Ganesh, editorialista Financial Times, ritiene che le problematiche riguardanti la BoE – la cui indipendenza risale agli Anni ‘90 – e il suo Governatore rappresentano solo un colpo di avvertimento esploso dalla diffamazione euroscettica dei sostenitori del Brexit. Secondo l’editorialista il prossimo obiettivo potrebbe essere il Cancelliere dello Scacchiere Philip Hammond, deciso sostenitore di un Brexit dolce.

 

Danilo Turco

COP21:  Stati Uniti e Cina insieme per il clima

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Per Pechino e Washington la ratifica dell’accordo firmato a Parigi il 12 dicembre 2015 in occasione della conferenza COP21 per la lotta contro riscaldamento globale è un dato di fatto.

La crescita verde è stato uno dei temi principali dell’incontro e la Cina vuole dare una buona impressione e trainare le altre 19 potenze mentre la maggioranza resta indietro. Almeno 55 paesi, che rappresentano il 55% delle emissioni globali di gas serra devono ratificare l’accordo per l’entrata in vigore come previsto nel 2020. Un obiettivo non facile da realizzare. La Cina, estremamente dipendente dal carbone, da sola produce un quarto delle emissioni globali e pertanto la sua comunicazione appare di grande peso.

Pechino ha sorpreso Washington. Il Presidente statunitense Barack Obama e quello cinese Xi Jinping, leader dei due maggiori paesi inquinanti del mondo, insieme hanno consegnato al Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon gli strumenti di ratifica della convenzione di Parigi.

L’accordo marcherà un punto di svolta per gli Stati Uniti secondo Obama. La posizione di Ban Ki-moon è di generale ottimismo.

 

Danilo Turco

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