I pericoli per la stabilità dell’UE all’interno degli stati membri: i timori  Weimar della Merkel

Nelle elezioni politiche in Germania i sondaggi corretti che erano arrivati sul tavolo della Cancelleria Merkel prima del voto vedevano Alternativa non al 9-10, ma al 13-15%, sottraendo voti sia alla Cdu sia all’Spd. Non solo per la prima volta una formazione neo-nazionalista sarebbe tornata al Parlamento tedesco, ma sarebbe diventata di colpo il terzo partito del Bundestag.

Per questo Schulz, ex presidente del Parlamento europeo, ricevette la telefonata della cancelliera, che, con toni cordiali, nonostante l’inasprimento inferto della campagna elettorale, lo informò del peggioramento all’orizzonte per entrambi i partiti, invitando a esprimere dichiarazioni concilianti alla chiusura delle urne, così da preparare tutti all’unica soluzione possibile, la Grande coalizione tra i due partiti. Schulz si sentì a disagio, aveva condotto per oltre sei mesi una campagna serrata proprio contro la Cdu e contro la Grande coalizione.  Dopo 48 ore i risultati elettorali confermarono i timori della Merkel. La Cdu era scesa al 33%, la Spd al 20,5% e Alternativa al 12,6. L’analisi evidenziò che la Cdu aveva perso rispetto al 2013, ma non rispetto alle tre elezioni precedenti e  la debolezza apparteneva al partito bavarese (Csu); l’Spd, il più antico partito politico europeo, era sotto il minimo storico; il partito liberale (Fdp) era risorto energicamente col 10,6% spostandosi però alla destra della Cdu. Infine, la frammentazione dei partiti aveva reso ancora più ingombrante la presenza di Alternativa, terzo partito al Bundestag. Merkel ricordò una frase del socialdemocratico, Helmut Schmidt: “fu il disordine e il fallimento della grande coalizione ad aprire la strada al nazismo dopo la Repiubblica di Weimar”. Allora  sì, la cancelliera  elabora una strategia per contrastare il rischio di una nuova Weimar:  prima scelta quella di consolidare il quadro politico, formando una grande coalizione e allineare l’azione politica di Berlino con quella francese del nuovo presidente Emmanuel Macron. Questo avrebbe rafforzato l’Europa prima che i populisti ne minassero le fondamenta; seconda azione sarebbe stata quella di modificare le procedure parlamentari, rafforzando la presa sull’attività legislativa e sul dibattito pubblico con la nomina del più potente uomo politico tedesco, Wolfgang Schäuble, a presidente del Bundestag, in modo da ridimensionare la visibilità di Alternativa; infine, terza azione quella di operare per porre le basi per il tradizionale bipolarismo destra-sinistra alle future elezioni, con un lavoro nascosto di alleanza tra le forze più giovani della Cdu e dei liberali. Tutto questo avrebbe riportato la stabilità al quadro politico tedesco.

Per far tutto questo occorreva superare l’ostacolo Martin Schulz, il quale, il 24 settembre sera, comunicato l’esito delle elezioni, confermato alla guida dell’Spd con il 100% dei consensi, si presentò alle telecamere alterato e attaccò frontalmente la cancelliera dichiarando: “la SPD non sarà disponibile a rinnovare la Grande coalizione”.

Il giorno dopo, la cancelliera cercò al telefono una rappresentante di vertice dell’Spd con cui aveva la giusta confidenza, la ministra del Lavoro e delle politiche sociali Andrea Nahles di cui aveva constatato un crescente realismo politico dopo le iniziali posizioni radicali. Alla Nahles, Merkel spiegò che era suo unico interesse replicare il governo di grande coalizione e Nahles concordò e chiese tempo per costruire il necessario consenso nel partito per aggirare la contrarietà del segretario. Dopo due giorni dopo, Nahles si dimise da ministro e fu eletta presidente del gruppo parlamentare dell’Spd. Merkel e Nahles si diedero appuntamento per metà novembre. Il lungo e insolito negoziato per il varo di una coalizione Giamaica, composta da Cdu-Csu, Liberali e Verdi, si rivelò in gran parte solo un escamotage per guadagnare tempo mentre l’Spd persuadeva il proprio segretario.

Il 15 novembre, dall’Spd arrivò il segnale che la cancelliera aspettava. In via riservata i tre quarti dei parlamentari socialdemocratici si erano detti favorevoli a formare una grande coalizione contro il parere di Schulz e nel timore di dover tornare alle urne e perdere il seggio parlamentare appena conquistato. L’Spd avrebbe richiesto posizioni importanti nel nuovo governo e ufficialmente rappresentava la propria scelta come un sostegno alla linea europeista del partito e all’alleanza con Macron.

Passarono solo due giorni e il leader liberale Christian Lindner rovesciò a sorpresa il tavolo della trattativa per un governo Giamaica. Non ci furono vere spiegazioni e lo stesso Lindner di fronte alle telecamere lesse una dichiarazione: “meglio non governare che governare mal”. A sua volta, Nahles, che assumeva sempre più  toni pubblici da leader dell’opposizione e perfino da antagonista della cancelliera, si stava costruendo la possibilità di lavorare direttamente al fianco di una Merkel concentrata sulla politica europea, come ministro del Kanzleramt.  Nahles, quindici anni più giovane della Merkel, inizierebbe così a lavorare per un proprio governo futuro, a capo di una coalizione tutta di sinistra. Il bipolarismo tedesco rinascerebbe.  La strada è ancora in salita, sono presenti ostacoli e molti possibili incidenti in agguato, ma i lineamenti della strategia Merkel per sconfiggere i fantasmi di Weimar sono quasi completati.

Danilo Turco

1957-2017. Europa, quale futuro? Insieme nella diversità

Si terrà giovedì 14 dicembre, alle ore 9.45, presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, in via Monte di Dio n. 14, Napoli, la tavola rotonda dal titolo “1957-2017. Europa, quale futuro? Insieme nella diversità”, organizzata da Unisin Regionale Campania, in collaborazione con Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e AIMC (Associazione Italiana Maestri Cattolici) Sezione Napoli Centro.

Un momento di incontro per parlare e riflettere sull’Europa a 60 anni dalla firma del Trattato di Roma del 1957, un’occasione per un’analisi che, partendo dall’idea guida dei padri fondatori, si snoda fino ai giorni nostri, sullo sfondo della Brexit, con un focus su alcuni temi fondamentali quali lavoro, cultura, istruzione/formazione e pari opportunità.

L’incontro, voluto da Unisin Regionale Campania, è in onore di Gerardo Marotta (componente del comitato scientifico della rivista Professione Bancario), fondatore dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, europeista convinto, grande uomo di cultura conosciuto a livello internazionale, che ha avuto il merito di riuscire a portare l’Europa e le sue eccellenze culturali, sociali, scientifiche a Napoli, in quell’Acropoli, sede dell’Istituto, che è cuore pulsante di cultura e formazione per i giovani italiani, europei e non solo.

La tavola rotonda vuole essere un primo momento di riflessione sul ruolo dell’Europa, in un panorama socio-economico caratterizzato da una crisi che sembra  non vedere la fine, e sul futuro stesso dell’Unione europea, che deve essere sempre più “Europa dei popoli” e sempre meno “Europa finanziaria” per riuscire così a tornare a toccare il cuore dei suoi cittadini.

Interverranno: Simona Marino, Delegata del Sindaco alle Pari Opportunità, Comune di Napoli; Fiorinda Li Vigni, Segretario Generale dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Giacomo Zampella, Presidente AIMC Provincia di Napoli; Salvatore Adinolfi, Presidente Regionale Unisin Campania; Umberto Aleotti, Avvocato e Docente di Diritto internazionale della Scuola Superiore per Mediatori Linguistici di Maddaloni (CE); Antonio Lanzaro, Docente di Diritto Internazione dell’Università degli Studi di Napoli “Parthenope”; Daniela Foschetti, Segretario Nazionale Unità Sindacale Falcri Silcea Sinfub (Unisin); Fabio Corbisiero, Docente di Sociologia dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”; Enzo Grano, Massmediologo; Giovanna Mugione, Dirigente Scolastico dell’I.S. “G. Marconi” di Giugliano in Campania; Antonella Verde, Avvocato giuslavorista.

Modera e coordina i lavori: Bianca Desideri, Giornalista, Segretario Regionale Unisin Campania.

 

La pizza patrimonio dell’Unesco, la rivincita di Napoli su Expo

Non è la ricetta della pizza napoletana, rigorosamente disciplinata dall’attestazione di specificità Stg che definisce le materie prime e le modalità di cottura, ma sono bensì la cultura e l’identità di chi ci lavora a essere tutelati dal riconoscimento dell’Unesco.

Dal “masto pizzaiuolo”, che insegna e tramanda la tradizione e sceglie i materiali per la lavorazione, al “guaglione” che apprende e realizza le pizze, fino al “masto fornaio”, che sceglie la legna, controlla la temperatura del forno e gestisce le cotture con le diverse pale a disposizione, di legno e di ferro.

L’Arte del pizzaiuolo napoletano è Patrimonio dell’Umanità. Il 12 Comitato per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale dell’UNESCO, riunito in sessione sull’isola di Jeju in Corea del Sud, ha valutato positivamente la candidatura italiana. Per il Belpaese si tratta del 58esimo Bene tutelato, settimo Patrimonio immateriale riconosciuto, il nono in Campania. Con grande soddisfazione, ha annunciato la vittoria in diretta Facebook la delegazione italiana che sull’isola sudcoreana ha seguito da vicino i lavori del Comitato UNESCO. A Jeju hanno atteso la proclamazione l’Ambasciatore Vincenza Lomonaco, Rappresentante Permanente d’Italia presso l’UNESCO, il Presidente della Fondazione UniVerde Alfonso Pecoraro Scanio, già Ministro delle Politiche Agricole e dell’Ambiente, Pierluigi Petrillo, curatore legale del dossier di candidatura.

I lavori del Comitato UNESCO si concluderanno il 9 dicembre e solo al termine di questa ultima sessione l’Arte del pizzaiuolo napoletano sarà ufficialmente iscritta nella Lista rappresentativa del Patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO.  Appena arrivata la notizia che la pizza napoletana è stata riconosciuta “Patrimonio culturale dell’Umanità” dall’Unesco, la fantasia dei napoletani si espressa in mille iniziative: feste in strada, pizze offerte a passanti nel centro storico, gadget. E, con una tempestività da primato, anche dal salotto della moda partenopea arrivano proposte a tema. Cilento, maison centenaria di moda maschile, ha prodotto e messo in vendita una preziosa cravatta sette pieghe che celebra la pizza. Del resto, non poteva mancare questo esemplare nella prestigiosa collezione dell’azienda di Ugo Cilento che è solita scandire tempi ed eventi della città con una collezione di cravatte ormai nota nel mondo e di importante valore. “Unire cibo, moda e cultura, è questo il segreto che ci rende unici e ricercati nel mondo. Con entusiasmo celebro oggi il risultato che finalmente riconosce la pizza patrimonio dell’umanità”, commenta Ugo Cilento.  Quello che non hanno capito i signori dell’Expo lo ha capito l’Unesco, riconoscendo la pizza come patrimonio culturale dell’Umanità. Oggi l’ingresso dei pizzaioli nell’Olimpo delle Arti suona anche come uno schiaffo alla miopia di una certa politica, assai piccina, che ha preferito, e preferisce, rincorrere le grandi filiere industriali, i grandi brand, i grandi interessi, senza comprendere che questo capolavoro dell’arte povera, in un mondo di piccole patrie, è riuscito a fare da collante e cemento all’identità collettiva di una comunità e di una nazione.

Nel riconoscimento dell’Unesco c’è l’orgoglio di un mondo artigiano che non ha smarrito il rapporto con la propria terra, con i colori e i sapori del Mediterraneo; viceversa ne resta ancorato, soprattutto del Mezzogiorno. Dietro la pizza non ci sono le grandi multinazionali, non c’è alcun McDonald’s, alcuna filiera nello scacchiere geopolitico del gusto.

La pizza è un affare di popolo che trae origine dagli alimenti più sani dell’agricoltura italiana, il grano, l’olio, la mozzarella e il pomodoro: per questi motivi era e resta il più universale e unificante dei pasti – perché facilmente replicabile ovunque, e a basso costo – ma nello stesso tempo quello in cui meglio si esprime l’identità culturale di un territorio. Dunque è una cosa seria, serissima. Questo avrebbero dovuto capire i signori dell’Expo, che nel 2015 hanno pensato alla pizza solo perché c’erano da sfamare milioni di visitatori arrivati da ogni angolo del pianeta, derubricandola così a prodotto di catering, anziché elevarla a simbolo non solo di Napoli ma dell’Italia nel mondo.

Matilde Serao, nel Ventre di Napoli, raccontò dell’intuizione e del fallimento di un industriale napoletano che aveva pensato di aprire una pizzeria a Roma. “Sulle prime la folla vi accorse: poi andò scemando”.

Nicola Massaro

Energia: le rinnovabili in California entro il 2045

La California, governata da Jerry Brown, vuole utilizzare solo energia rinnovabile entro il 2045, con l’approvazione di un disegno di legge ad hoc, che consente di abbandonare completamente l’elettricità prodotta con combustibili fossili in meno di tre decenni. Il percorso a tappe prevede che entro il 2026, dovrebbe riuscire a raggiungere l’obiettivo del 50 per cento di energia ricavata da fonti rinnovabili, arrivando al 60 per cento nel 2030.  Ad oggi, la California è il secondo Paese al mondo ad aver adottato un approccio così radicale in tema di energia. L’altro è la Danimarca che entro i prossimi tre anni arriverà a produrre metà della sua elettricità da fonti rinnovabili.  Le Hawaii sono diventate il primo stato federale americano a firmare l’Accordo di parigi e le ricerche affermano che 139 Paesi nel mondo potrebbero raggiungere il 100 per cento l’uso di energia rinnovabile entro il 2050.

La lotta al riscaldamento globale prosegue nonostante Trump e il guanto di sfida alle politiche economiche e energetiche dell’amministrazione di Donald Trump è stato lanciato dalla California.

Danilo Turco

Ue: chiede embargo in Arabia Saudita

ll Parlamento europeo ha approvato il 13 settembre 2017 a Strasburgo una risoluzione che chiede l’embargo sulla vendita delle armi in Arabia Saudita agli Stati membri, ma il Consiglio non ha ancora una sua posizione. A destare preoccupazione tra gli eurodeputati sono i crimini di guerra commessi dall’esercito saudita in Yemen, nel sanguinoso conflitto per il predominio della regione.

L’embargo è stato sollecitato il 20 ottobre scorso con una lettera all’Alto rappresentante Federica Mogherini firmata da alcuni presidenti di gruppi parlamentari: Ska Keller e Philippe Lamberts dei Verdi, Gianni Pittella dei Socialdemocratici, Guy Verhofstadt dell’Alde e da Gabriele Zimmer della Sinistra unita europea.

La denuncia su questo è arrivata dalla europarlamentare verde Valero Bodil che ha criticato il fatto che al momento sono prodotte “troppe armi”, perché ci sono “numerosissime industrie di armamenti in Europa”, e quindi “per questo c’è grande bisogno di esportarle”. I maggiori paesi che le esportano e fanno pressioni all’Ue affinché l’embargo non sia approvato, ha spiegato, sono Francia, Germania, e Gran Bretagna, secondo uno studio condotto dall’Istituto di ricerca internazionale per la pace di Stoccolma.

“È uno scandalo che gli Stati membri dell’Ue continuino a fornire armi e competenze all’Arabia Saudita per la guerra contro lo Yemen. L’Alto rappresentante Mogherini dovrebbe lanciare urgentemente un’iniziativa per imporre un embargo sulle armi dell’Ue”, ha chiesto Valero, e l’Arabia Saudita “dovrebbe immediatamente fermare il blocco del mare, della terra e dell’aria dello Yemen e consentire il pieno accesso per gli aiuti umanitari al Paese”.

Danilo Turco

Discriminazioni di genere e sicurezza nei luoghi di lavoro

I temi delle discriminazioni di genere e della sicurezza nei luoghi di lavoro sono molto dibattuti. Quotidianamente i media ci propongono situazioni di discriminazioni e notizie relative a infortuni e morti sul lavoro.

Alta deve essere l’attenzione e la prevenzione così come la tutela delle vittime. Di questi argomenti si è discusso nella tavola rotonda tenutasi giovedì 26 ottobre a Napoli nella suggestiva Sala Consiglio della Città Metropolitana di Napoli, in via Santa Maria La Nova n. 43.

Due temi scottanti l’incontro che è stato un momento di incontro e scambio di esperienze e buone prassi per porre in essere ogni possibile azione per favorire l’eliminazione del fenomeno delle discriminazioni di genere nei luoghi di lavoro e per rendere sempre più sicuri i posti di lavoro per evitare malattie professionali e ancor di più morti.

Un elemento importante per raggiungere questi scopi è sicuramente quello di una maggiore attenzione alla sicurezza non solo fisica dei lavoratori ma anche psichica, un miglioramento delle relazioni e dell’organizzazione aziendali, un maggiore investimento in formazione e sicurezza.

Ai saluti istituzionali del Vice Sindaco della Città Metropolitana di Napoli, Salvatore Pace, gli interventi di Domenica Maria Lomazzo, Consigliera di Parità Regione Campania;

Isabella Bonfiglio, Consigliera di Parità Città Metropolitana di Napoli; Salvatore Adinolfi, Presidente Unisin Regionale Campania; Daniela Foschetti, Segretario Nazionale Unità Sindacale Falcri Silcea Sinfub; di CGIL Napoli in rappresentanza anche di CISL e  UIL; Antonello Sannino, Presidente Arcigay Napoli; Antonella Verde, Avvocato giuslavorista, hanno focalizzato l’attenzione sulle varie possibili forme di prevenzione e tutela.

A moderare i lavori: Bianca Desideri, Segretario Regionale Unisin Regionale Campania. Le conclusioni sono state affidate a  Giuseppe Cantisano, Capo dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Napoli. Al termine è stato siglato il Protocollo di Intesa tra la Consigliera di Parità della Città Metropolitana di Napoli e l’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Napoli al fine di prevenire e rimuovere ogni forma di discriminazione di genere.

Spirano i venti secessionisti italiani?

Dopo il commissariamento della Catalogna, a 27 giorni dal referendum secessionista che per ora sembra aver provocato più caos che altro, tra la proclamata indipendenza e la contemporanea indizione di nuove elezioni per la Generalidad da parte del Governo centrale, è toccato alle meno temerarie Lombardia e Veneto andare alle urne, lo scorso 22 ottobre.

Il referendum consultivo in questione, che qualcuno non ha perso tempo a ribattezzare   quasi oscenamente “nordexit”, è stato rappresentato in diversi modi, ma va definito per ciò che effettivamente non è: non è stato un tentativo secessionista, non è stato il coronamento democratico delle idee indipendentiste dello “stato padano”, né il suo risultato può essere vincolante o farà entrare automaticamente Lombardia e Veneto nel novero delle regioni italiane a statuto speciale.

Piuttosto, lo si può considerare uno strumento, previsto dalla Costituzione (al terzo comma dell’art. 116) e a disposizione di tutte le regioni che vogliano prendere iniziativa nei confronti dello Stato per poter richiedere più autonomia in quelle materie definite concorrenti Stato-Regioni e pur essendo la prima volta in assoluto che ne viene fatto uso, esso non è il mezzo per ottenere alcuna scissione, né tanto meno viola l’ordinamento costituzionale.

L’esito positivo che ha avuto potrà essere utilizzato come mezzo di pressione sul tavolo delle trattative con il Governo per chiedere quella maggiore autonomia, in particolar modo fiscale, che le due Regioni hanno diritto di chiedere, anche indicendo un referendum consultivo sulla questione. Dunque, i promotori dell’iniziativa, i due Presidenti delle regioni, pur non avendo bisogno di alcun mandato popolare per poter mettere in atto il disposto dell’art. 116 della Costituzione, hanno ora la possibilità di sfruttare l’evidente vittoria del Sì e l’alta partecipazione popolare per dare maggior peso politico alla loro azione. Una mossa certamente strategica, al di là dei giudizi morali o dell’orientamento politico, ma compiuta nel solco e nel rispetto delle Istuzioni dello Stato.

Resta ferma, infatti, la procedura costituzionale per ottenere la maggiore autonomia, che prevede comunque il raggiungimento di un accordo con lo Stato che dovrà essere a sua volta approvato da Camera e Senato a maggioranza assoluta.

Che gli allarmisti tirino un sospiro di sollievo, dunque, l’Italia non è ancora sull’orlo di un conflitto sociale, né sta per spaccarsi sulla linea del Po, e nonostante da più forze politiche si siano levate grida di inneggiamento alla libertà (non si comprende bene da cosa), il referendum consultivo di Lombardia e Veneto può rimanere esattamente quello che è: un’espressione costituzionale di un Paese ancora democratico.

Rossella Marchese

Le mappe online delle migrazioni

 

La legge di Godwin nasceva nel 1990, quando Internet si chiamava ancora Usenet e affermava: “mano a mano che una discussione in Usenet si allunga, la probabilità di un paragone riguardante i nazisti o Hitler, tende ad 1”, ovvero se una discussione online, a prescindere dall’argomento o dallo scopo, va avanti abbastanza, prima o poi qualcuno paragonerà qualcun’altro ad Hitler; oggi questo avviene con i migranti.

Questa è la rivisitazione della vecchia legge di Godwin sostenuta da Max Galka, il creatore della mappa globale dell’immigrazione che si trova su metrocosm (metrocosm.com/global-immigration-map). La connessione con gli immigrati è sempre presente, che si parli di Isis, di Brexit, di Europa o di Trump.

Osservando sul sito i grafici che mostrano i flussi migratori fra il 2010 ed il 2015, i scopre, ad esempio, che in quegli anni i migranti dalla Siria verso la Svezia erano più numerosi che nel resto dell’Europa e dell’America e, consultando la mappa, si possono avere sorprese interessanti anche per quanto riguarda la portata reale delle migrazioni in Gran Bretagna e negli stessi Stati Uniti.

Controprova di questi flussi migratori che tanto sconvolgono la politica occidentale si può trovare ancora online, su un sito dal nome indicativo therefugeeproject.org: una grande mappa temporale e narrativa delle migrazioni dei rifugiati dal 1975 ai giorni nostri, basata sui dati delle Nazioni Unite e dell’Alto Commissariato.

I rifugiati oggi sono circa 21milioni, gli sfollati, a livello globale, circa 65milioni, mentre gli apolidi ammontano a 10milioni; nel 1975 erano soltanto 2.775.314. Il progetto del sito in questione è di Hyperakt, uno studio di New York, in collaborazione con il “data designer” Ekene Ijeoma e permette, anche qui, di calcolare la percentuale di rifugiati presenti nei vari paesi, oltre che di approfondire i motivi storici e politici che portano ad abbandonare il proprio paese. Tanto per capire che non sarà alzando i muri che la storia cambierà direzione.

Rossella Marchese

Iran: secondo l’Unione europea l’accordo sul nucleare iraniano funziona

Nonostante l’annuncio di Donald Trump sulla “de-certificazione” dell’accordo nucleare iraniano, l’Unione europea intende continuare a sostenere tale accordo reputandolo utile.

Secondo Donald Trump, l’accordo sul nucleare iraniano non è più funzionale agli interessi statunitensi e non è rispettato da Teheran, almeno nello spirito. Secondo Federica Mogherini – l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue – l’accordo nucleare con l’Iran funziona, essendo il prodotto d’intense negoziazioni focalizzate su dettagli tecnici. Teheran non ha commesso nessuna violazione e l’intenzione della comunità internazionale di riaprire i negoziati appare una strategia molto improbabile.

L’AIEA – l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica – un organismo con sede a Vienna e che è sotto l’egida dell’ONU, confuta il presidente Trump e afferma che il piano d’azione concluso nel 2015 è stato rispettato dell’Iran. Yukiya Amano – Direttore generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica – ha affermato che l’Iran ha rispettato i suoi impegni e che l’AIEA ha un sistema di controllo particolarmente solido che ispeziona i siti iraniani in modo imparziale e obiettivo. Inoltre, il numero dei giorni dedicati alle ispezioni e il numero degli ispettori è aumentato.

Sin dal 2016 l’Agenzia internazionale è stata incaricata di sorvegliare le istallazioni nucleari iraniane seguendo un piano d’azione che è stato stabilito nel 2015. Secondo Yukiya Amano, fino a questo momento, l’Iran è stato collaborativo garantendo all’AIEA l’accesso a tutti i siti richiesti.

Danilo Turco

 

Catalogna: una mancata mediazione ufficiale da parte dell’Ue

Nessun ruolo d’intermediazione è stato proposto ufficialmente dall’Unione europea per la risoluzione delle tensioni tra il governo spagnolo e la Catalogna. L’Ue non vuole rischiare di incrementare le rivendicazioni autonomiste a livello regionale, né ledere la sovranità nazionale della Spagna.

Secondo la Commissione europea le tensioni tra il governo della Spagna e la Catalogna rappresentano una questione interna spagnola. Il Parlamento europeo si è dimostrato critico non soltanto sulle violenze perpetuate dalle forze di polizia, ma anche sul progetto indipendentista. Tuttavia, nessuna istituzione comunitaria e nessuno dei tre principali partiti del Parlamento europeo hanno richiesto un ruolo ufficiale di mediazione.

Secondo l’eurodeputato Alain Lamassoure – profondo conoscitore della questione basca ed ex deputato dei Pyrénées-Atlantiques negli anni ’80 –, lo svolgimento di una mediazione ufficiale potrebbe costituire un vantaggio per Carles Puigdemont. Inoltre, Lamassoure evidenzia come le istituzioni europee non intendano indebolire uno Stato membro sovrano. Il funzionamento dell’Ue si basa sull’unità e la stabilità dei suoi Stati membri. Bruxelles senza dubbio aspira a un dialogo tra Madrid e Barcellona; tuttavia, Lamassoure considera qualsiasi ingerenza negli affari spagnoli inammissibile, poiché non c’è stata alcuna violazione dello stato di diritto, né si sono verificate delle discriminazioni giuridiche.

Le immagini della violenza perpetuata durante il referendum hanno turbato il nord dell’Europa e hanno fatto ricordare scenari di tipo sovietico. Ciò nonostante – per timore di aprire il vaso di Pandora delle rivendicazioni autonomiste regionali – nessuna domanda è pervenuta da Parigi, Bruxelles o Berlino, sebbene la crisi sia così profonda e la posizione di Madrid rigida rispetto all’istanza indipendentista catalana (anche  se Puigdemont sembra aver rinunciato a una dichiarazione unilaterale di indipendenza).

La linea europea, di non prendere alcuna posizione su tale questione di politica interna della Spagna, è stata sposata integralmente anche dalla Svizzera. Per questa nazione, come per l’Ue, una facilitazione sarebbe ammissibile solo se richiesta dalle parti direttamente interessate.

Danilo Turco

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