In molte occasioni è possibile osservare delle piccole macchie di vari colori su carte antiche ed anche sui francobolli applicati su vecchie lettere. Sicuramente ci saremo chiesti di che natura erano queste macchie, che cosa erano, e sembra opportuno pensare di fare un’indagine conoscitiva sulle cause di queste più o meno vistose alterazioni della cellulosa. È ovvio comunque che materiale filatelico con queste caratteristiche penalizzanti è di scarso valore, se non per quei valori per i quali non averlo e averlo alterato è preferibile la seconda soluzione.
La carta è un materiale che fino a qualche anno fa era prodotta dalla cellulosa dell’albero, per cui era un materiale organico soggetto a tutte le alterazioni che potevano prodursi con una cattiva conservazione ed era quindi soggetta ad agenti patogeni di ogni tipo che potevano con diverso impatto alterare la carta.
Con una conservazione in un luogo asciutto e ventilato, con una pulizia frequente, la carta può avere limiti di conservazione incredibili, infatti abbiamo testimonianze di papiri di oltre 4000 anni fa, ma quando su questa per i casi più fortuiti s’innesta l’umidità ed una cattiva conservazione è facile che si impiantino delle colonie di microrganismi. Accade così che la lenta erosione ed escavazione di questi agenti intacchi, se così possiamo dire, il tessuto connettivo della carta. Ed in molti casi è successo proprio ciò. Va ricordato che nei tempi andati la distribuzione della posta avveniva con i mezzi più disparati ed in qualche caso anche fortuiti e spesso, prima di essere consegnata ai destinatari, restava in luoghi aperti per molto tempo in sacchi di iuta alla mercé di tutti gli agenti atmosferici del momento. Situazione che favoriva in molti casi l’attecchimento di colonie di microrganismi quasi come se fosse un “cultivar di allevamento” di agenti patogeni consentendo così la creazione di quell’humus ideale per vivere e moltiplicarsi. Questa degenerazione dava poi origine ad una vasta gamma di spore fungine capaci di dar vita a numerose tipologie di muffe.
Va ricordato, senza allarmare nessuno, che le lettere sono state sempre in grado di fare da veicolo trasportando colonie di microorganismi portatori anche momenti particolari quali ad esempio le pestilenze di contagio per cui era necessario addirittura bonificarle con la disinfezione. A tal proposito vanno ricordati i bolli adesivi di Reggio Emilia che si applicavano sui contenitore delle missive durante la peste del 1855, per i collezionisti va detto che i bolli recavano la scritta “Uffizio di disinfezione di Regio” ed erano di quattro tipi.
Oggi liberarsi della muffa è abbastanza semplice, ci sono tanti prodotti che servono a distruggerla, ma, purtroppo, le carte contaminate e non riprese al tempo rapidamente hanno lasciato anche delle depressioni della carta molto profonde, anche con buchi, tanto da richiedere in alcuni casi l’intervento di un restauratore. Va detto comunque che al di là di quelle che oggi sono le nuove tecnologie ed i nuovi rimedi chimici, le collezioni specialmente di francobolli, di annullamenti, di cartoline e di lettere, vanno custodite in luoghi asciutti molto areati, in quanto la carta ha, come si suol dire, necessità di respirare, e questo è un concetto ben chiaro agli archivisti, ovviamente parlo dei vecchi archivisti, di quelli cioè che trattano ancora la vecchia e cara carta. Per quelli moderni, cioè per quelli che oggi si occupano di CD, DVD e altrti supporti informatici ci sono già altri problemi, infatti con il tempo è stato verificato che anche i CD sono soggetti a deterioramento con perdita di files, per cui è necessario anche per questi ricorrere all’ausilio del “restauratore” per evitare ulteriori perdite di informazioni.
Certo che questa è una bella rivincita per noi che, nonostante tutte le muffe e tutti gli ingiallimenti del tempo, ancora siamo in grado di maneggiare carte di centinaia di anni ed apprezzarne il contenuto, cosa che sicuramente non potrebbe essere fatta con gli strumenti informatici attuali.
Riprenderemo l’argomento cause e cure in un altro articolo.
Salvatore Adinolfi