Draghi, la Commissione europea e l’Italia

Nel ribadire un non imminente rialzo dei tassi il Presidente della Banca europea Mario Draghi sottolinea come il programma di acquisto dei titoli non rappresenti uno strumento che influenzi il contenimento degli spread.

Per questo è opportuno che l’Italia cerchi un compromesso con la Commissione. Occorre non interrompere il percorso virtuoso intrapreso con una politica accomodante attivata su due binari indicati nel 2013-2014: la forward guidance e il Quantitative easing. Draghi ha ribadito infatti che il rialzo dei tassi non ci sarà  fino a tutta l’estate del 2019. Per quanto riguarda  Qe, strumento di politica monetaria, non strumento di contenimento degli spread, il programma continuerà, a partire da gennaio 2019, nella forma del riacquisto dei titoli privati e pubblici in scadenza, mantenendo quindi immutato l’eccesso di liquidità bancaria.

Draghi ha anche ricordato che il mandato della Bce non consente salvataggi dei singoli Paesi in difficoltà finanziaria e che per mettere un tetto allo spread occorre la soluzione di ultima istanza (Omt – Outright Monetary Transactions), condizionata a un programma di assistenza dell’Esm – European Stability Mechanism. A questo però ha aggiunto che una via più efficace sarebbe quella di abbassare i toni politici e non mettere in dubbio la moneta unica.

Nel suo intervento Draghi ha ribadito che l’unione monetaria rimane fragile a causa della sua incompletezza, e ciò non dipende né dalla Bce né dagli eurocrati di Bruxelles, ma dalla volontà dei governi europei. Ha poi aggiunto che è necessario completare l’unione bancaria e del mercato dei capitali, con una rinnovata capacità fiscale.

Infine, sulla manovra presentata dal governo italiano Mario Draghi si è detto fiducioso che il buon senso prevarrà e si troverà un compromesso nell’interesse del paese e del popolo italiano, riferendo che su questo concorda anche il vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis, presente ai lavori del Consiglio della Bce del 25 ottobre.

Danilo Turco

BCE: prosegue una strategia prudente

In seguito alla riunione svoltasi giovedì 7 settembre a Francoforte, il Consiglio dei governatori della Banca Centrale Europea (BCE) non ha mutato la sua strategia prudente.

Il Consiglio dei governatori BCE, i governatori delle Banche centrali e i membri del Comitato esecutivo si sono riuniti a Francoforte in un contesto di crescita. Nessuna nuova decisione è stata presa né in merito ai tassi d’interesse né su un eventuale ammorbidimento del Quantitative Easing (QE). Tale attendismo della BCE dipende sia dalla rimonta dell’euro (mercoledì ha raggiunto 1,1936 dollari) sia dalle dimissioni negli USA di Stanley Fischer – Vice-Presidente della Federal Reserve (FR) – che attestano il clima negativo esistente tra la Casa Bianca e i vertici della Banca Centrale americana.

Secondo gli analisti dell’istituto statunitense Citi, lo status di forza dell’euro serra le condizioni monetarie dell’eurozona. L’indebolimento dell’inflazione ha pertanto rinvigorito la strategia prudente della BCE. Un incremento dei tassi di cambio provoca sull’economia il medesimo effetto restrittivo causato da un aumento dei tassi d’interesse.

La rivalorizzazione della moneta unica rispetto al dollaro si attesta al 15% dall’inizio dell’anno e ha ottenuto un guadagno pari al 3,9% a partire dal 20 luglio. In questa data, durante la loro ultima riunione, i governatori BCE hanno manifestato la loro preoccupazione riguardante un’eccessiva rivalutazione specialmente sui mercati del cambio.

La BCE considera l’euro non soltanto dal punto di vista del cambio col dollaro, ma anche rispetto alle altre valute, ciò determina il tasso di cambio effettivo (TCE). Tale TCE ha ottenuto un incremento pari a 6,1% dall’inizio dell’anno e 1,7% a partire dal 20 luglio. Questo ha contribuito a diminuire l’inflazione. Secondo gli analisti di BNP-Paribas, a parità di tutte le altre variabili, a ogni incremento del TCE pari all’1%, l’inflazione flette dello 0,1% dopo un anno.

Anche se i prezzi dei consumatori sono aumentati negli ultimi mesi, il livello dell’inflazione non è quello auspicato da Mario Draghi. Il Presidente Draghi ha ripetuto che il mandato della BCE è la stabilità dei prezzi intesa con un tasso di inflazione pari o leggermente inferiore al 2%. Vi è una ripresa della crescita e i rischi della deflazione sembrano essersi dissolti. Pertanto, la Banca Centrale Europea può giustificare il proseguimento della sua strategia prudente.

Danilo Turco

Banche centrali: verso la fine del sostegno monetario

La Banca Centrale Europea (BCE), così come il Federal Reserve System (FED) statunitense, prepara gradualmente il ritiro del suo supporto economico monetario. Tuttavia, secondo Benoît Cœuré – membro dell’Executive Board dell’European Central Bank –, questo cambiamento sarà molto prudente finché l’inflazione sarà reputata troppo debole.
Sia i mercati, sia gli Stati membri dell’Ue, vivono da molto tempo una lenta e continua iniezione di moneta che alcuni riservatamente si augurano essere senza fine. Tuttavia, da qualche settimana le banche centrali dell’eurozona e degli USA incrementano i segnali di pianificazione per un ripiegamento prudente di queste eccezionali misure di aiuto all’economia, che (sin dalla crisi) hanno consentito un abbassamento del costo del credito e l’allontanamento della deflazione.
Lo svezzamento non sarà indolore. Nei prossimi mesi, FED ha intenzione di ridurre il volume dei debiti e dei titoli finanziari acquistati per alleviare il settore finanziario durante la crisi. La pubblicazione – giovedì 6 luglio – del rapporto BCE sulla riunione di giugno ha rivelato la fiducia dell’Istituto di Francoforte sulla solidità della ripresa. Questo, secondo alcuni economisti, potrebbe annunciare una nuova riduzione in autunno dei programmi di riacquisto dei debiti pubblici e privati nel 2018.
Cœuré – membro dell’Executive Board dell’European Central Bank – evidenzia come già lo scorso dicembre la BCE abbia ridotto l’estensione dell’acquisto dei beni senza mettere in questione il sostegno economico. L’Istituto di Francoforte ha già adattato la sua politica monetaria e continuerà a farlo – adeguando qualitativamente e quantitativamente i suoi strumenti alla flessibilità – in modo molto prudente e in funzione dell’inflazione (vacillante nell’eurozona). In questi ultimi mesi, l’indice dei prezzi si è avvicinato all’obiettivo del 2% per effetto dell’aumento del costo del petrolio e delle misure BCE. Secondo Cœuré, le elargizioni monetarie della BCE non hanno alimentato bolle speculative; inoltre, i tassi negativi non danneggiano gli Istituti finanziari (ai quali però spesso sono particolarmente invisi).
Infine, Cœuré afferma che la BCE comunicherà in modo trasparente le misure e le sue percezioni in ambito economico per confermare agli investitori e ai governi il fatto che essi devono prepararsi a rinunciare al sostegno monetario. Tuttavia, questi ultimi saranno informati con largo anticipo in modo da potersi organizzare adeguatamente.
Danilo Turco

BCE: finisce l’era dell’abbassamento dei tassi

Giovedì 8 giugno la BCE ha riesaminato le sue previsioni sull’aumento della crescita, tuttavia resta prudente sull’inflazione.

Riunitosi l’8 giugno a Tallinn (capitale dell’Estonia), il Consiglio dei governatori della Banca Centrale Europea (BCE) ha lievemente modificato la sua comunicazione. L’Istituto di Francoforte ha affermato la conservazione del livello attuale dei suoi tassi per un periodo prolungato, ma in contrasto ai suoi precedenti comunicati, ha omesso ogni riferimento a un possibile abbassamento. Il tasso che principalmente determina il prestito del denaro non sarà inferiore allo 0%, mentre il tasso di deposito (oggi -0,4%) non si abbasserà ulteriormente.

La BCE pertanto appare più ottimista sull’attività economica. Il suo Presidente, Mario Draghi, reputa scomparsi i rischi di deflazione e più forti le dinamiche della crescita europea. Gli economisti della BCE si dimostrano fiduciosi, stimando per il 2017 una crescita dell’1,9% nell’eurozona (contro l’1,8% stimato di marzo), dell’1,8% nel 2018 (1,7%) e dell’1,7% nel 2019 (1,6%).  In aprile l’inflazione era pari a 1,4%, pertanto lontana dal valore del 2% stabilito dalla BCE.  La crescita dei prezzi osservata all’inizio dell’anno dipendeva dalla ripresa dei prezzi del petrolio, che oggi si sono stabilizzati. L’inflazione è nuovamente compressa e, quest’anno, secondo la BCE non dovrebbe superare 1,5% (1,3% è la soglia massima stimata per l’anno prossimo).

Tuttavia, il tasso di disoccupazione dell’unione monetaria (9,3%) resta ancora troppo elevato e molti degli impieghi creati non sono di buona qualità essendo contratti part-time e/o molto precari. Occorreranno ancora alcuni mesi prima di assistere a un rialzo dei salari.  In una tale situazione l’Istituto di Francoforte reputa positiva la continuazione del suo programma quantitative easing di riacquisto dei debiti pubblici e privati (60 miliardi di euro al mese) almeno fino a dicembre, riservandosi il diritto di incrementarne l’entità se necessario. Il QE contribuisce a mantenere bassi i tassi di prestito per gli Stati e le imprese al fine di favorire gli investimenti e le assunzioni. I cambiamenti e le strategie future circa il ritmo di riacquisto dei debiti saranno definiti il 7 settembre, durante la prossima riunione della BCE

Danilo Turco

Draghi e il G30

La delicata questione sollevata dall’inchiesta della Mediatrice europea Emily O’Reilly riguarda Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea (BCE), forse troppo vicino alle banche.

Emily O’Reilly, eletta Mediatrice europea nel luglio 2013, è stata riconfermata nel 2014 per un mandato quinquennale. Una lettera di venerdì 20 gennaio annuncia l’avvio di un’inchiesta sull’appartenenza dell’italiano al Gruppo dei Trenta (G30), un forum internazionale che comprende i dirigenti del settore finanziario pubblico e privato, ma anche sul coinvolgimento degli alti responsabili della BCE nei lavori di questo gruppo di esperti del settore bancario.

L’inchiesta parte da una denuncia presentata dalla ONG Corporate Europe Observatory di Bruxelles (CEO) sui legami tra lobby e istituzioni europee. Il G30 riunisce i governatori delle banche centrali di vari Paesi, economisti di alto livello (come K. Rogoff) e presidenti di istituzioni private (come JP Morgan e UBS). In questo gruppo e con poca trasparenza, banchieri e membri della BCE si incontrano con il rischio che un potenziale conflitto di interessi possa minacciare l’indipendenza dell’istituzione.

La BCE è diventata il supervisore delle 126 più grandi banche dell’eurozona ed è anomalo – secondo K. Haar ricercatore di CEO –  che in un tale contesto il personale dell’istituzione possa, senza alcun controllo, scambiare informazioni con gli istituti che supervisiona. Secondo Haar il G30, nato nel 1978, da gruppo di esperti si è trasformato in una lobby bancaria.

Pertanto, due concezioni di politica monetaria si scontrano:

– la linea dura (di CEO), secondo cui tra banchieri centrali e stakeholder esterni non dovrebbe esistere alcun rapporto, al fine di eliminare qualsiasi potenziale conflitto di interessi;

– la visione più morbida e pragmatica che vede essenziale un dialogo, poiché la BCE necessita  di misurare l’impatto delle sue misure monetarie per migliorarne il funzionamento.

Anche se il Mediatore europeo non ha un potere vincolante, i suoi pareri sono spesso seguiti e CEO spera in una maggiore trasparenza durante le riunioni del G30.

Danilo Turco

Quantitative easing: BCE estende il programma fino a dicembre 2017

 

La Banca Centrale Europea (BCE) continua a rassicurare i mercati mediante il prolungamento fino alla fine del 2017 del suo vasto programma (iniziato nel 2015) di acquisto di asset. Con questa manovra finanziaria, il cui termine era previsto per marzo, l’istituto di Francoforte si impegna ad acquistare ogni mese l’equivalente di 80 miliardi di euro di debito, principalmente sotto forma di titoli di stato.04

Nonostante la persistente debolezza nella crescita in Europa e i rischi specialmente politici, il Presidente della BCE Mario Draghi non ha mutato le sue previsioni di crescita contando su una crescita pari all’1,7% contro l’1,6% stimato in precedenza. Per alimentare il suo programma di riacquisto ed evitare una penuria di titoli da riscattare, la BCE ha ampliato il deposito di titoli da cui attingere, lasciando i tassi invariati (così come atteso). Il tasso di rifinanziamento, quello principale della BCE, rimane a zero, il tasso di deposito a -0,4% e quello di prestito marginale a 0,25%.

L’inflazione è ancora lontana dalla soglia del 2% stabilita per il mantenimento della stabilità dei prezzi BCE. L’istituto di Francoforte prevede, entro il 2020, un lento incremento dei prezzi, ma al disotto del 2%. Un periodo molto lungo per i mercati che vivono secondo prospettive giornaliere.

Secondo alcuni specialisti come Andrea Iannelli specialista dei mercati obbligazionari presso la Fidelity International, la vittoria del “no” al referendum italiano e le dimissioni del premier Matteo Renzi potrebbero rappresentare un fattore di incertezza per i mercati nel 2017, un anno già caratterizzato da un denso calendario elettorale. Infatti, nella prima metà del 2017, sono previste le elezioni in Francia e nei Paesi Bassi e ciò avverrà in una situazione già contrassegnata dal populismo.

Danilo Turco

Strategie monetarie divergenti

Le Banche centrali dei Paesi industrializzati sembravano condannate a una politica di tassi bassi di lungo periodo. La Federal Reserve statunitense (Fed) dopo aver incrementato i tassi nel dicembre 2015 ha avuto dei dubbi. Il consenso non è più stabile e molti economisti e investitori credono che la Fed, non solo alzerà i tassi di interesse durante la riunione di dicembre, ma che nel 2017 ne velocizzerà il ritmo di crescita.

Dopo le promesse di Trump di rilanciare le spese in infrastrutture e di diminuire le imposte, la Commissione europea pronostica un allentamento della pressione sui deficit. Secondo alcuni osservatori, la BCE potrebbe seguire l’esempio americano sospendendo il riacquisto dei debiti e incrementando i tassi. Tuttavia, questo scenario sembrerebbe prematuro in Europa data la debolezza dell’unione monetaria e la prudenza dell’Istituto di Francoforte.

A dispetto delle ambiziose misure di rilancio promesse da Trump, è probabile che la Fed continuerà a incrementare i tassi, mentre la BCE seguiterà a supportare l’economia. Le conseguenze di una divergenza monetaria tra le due sponde dell’Atlantico potrebbero non solo far approdare più capitale negli Stati Uniti (grazie alla prospettiva di rendimenti più elevati), ma anche spingere il dollaro più in alto. Ciò costituirebbe uno svantaggio per i prodotti americani, che diventerebbero meno competitivi, bensì un vantaggio per gli esportatori europei.

Tuttavia, la BCE rischia una difficile situazione dovuta al deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro. L’incremento dell’inflazione importata andrebbe a discapito dei consumi delle famiglie soprattutto in Francia, Italia, Spagna, Grecia e Portogallo, dove il costante livello elevato della disoccupazione limita gli aumenti salariali.

Danilo Turco

 

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