Quale futuro per la democrazia: diretta o indiretta?

Casaleggio prevede la fine della democrazia rappresentativa e affida il futuro alla democrazia diretta.

Riguardo alla fine del Parlamento per l’avanzata della democrazia diretta, il ministro Riccardo Fraccaro ha presentato in questi giorni un progetto di riforma costituzionale che tocca proprio gli istituti di democrazia diretta (tra le altre cose, eliminazione di quorum e introduzione di referendum consultivi). E’ indubbio che i meccanismi di delega creano molti problemi, ma non è pensabile che tutte le decisioni necessarie siano prese sempre da tutti i cittadini.

Non esiste Paese democratico in cui le decisioni non spettino a un Parlamento di eletti: le poche alternative vanno infatti nella direzioni di potere maggiormente concentrato, come accade negli stati autoritari delle dittature.

La domanda corretta sarebbe come ritagliare spazi di democrazia diretta e democrazia rappresentativa, riferendosi alle necessità dei casi e delle situazioni. La Costituzione italiana riconosce tutto questo prevedendo il referendum abrogativo, quello confermativo di riforma costituzionale, nonché la possibilità di iniziativa legislativa popolare e pone determinati limiti (il quorum, le materie, le firme, etc.). Inoltre, maggiori possibilità sono riconosciute dalla legge a livello di governo inferiore, come i referendum consultivi e propositivi e i bilanci partecipativi.

Infine, occorre riflettere su come in democrazia non siano importanti solo quali meccanismi di scelta sono da adottare, ma soprattutto sapersi assumere le responsabilità degli effetti delle  scelte fatte.

Danilo Turco

La Costituzione è presbite! L’ultimo ricordo di Alessandro Galante Garrone

Nell’anno che celebra il primo Sessantennio dalla promulgazione della nostra Carta fondamentale, ogni testimonianza appare preziosa, anche quelle che appartengono ad un passato prossimo.

Quindici anni fa ci lasciava Alessandro Galante Garrone, esponente di primo piano della Resistenza e del Partito d’Azione, magistrato antifascista, storico e scrittore, uno che osò criticare apertamente le leggi razziali subito dopo la loro promulgazione. Di queste testimonianze così dirette, purtroppo, il presente ce ne riserva sempre meno, pertanto rimanere saldi ad un certo nostro passato storico di lotta per la democrazia sembra piuttosto opportuno, soprattutto per combattere la deriva culturale che si sta abbattendo sul Paese, sempre meno strisciante.

Negli ultimi anni di vita Galante Garrone dedicò la sua riflessione alla memoria dei propri maestri e alle battaglie civili per la laicità dello Stato, contro l’antisemitismo e la corruzione e, interpellato sulla Costituzione italiana, nel 1997 scrisse un inedito per il convegno romano promosso in occasione del Cinquantesimo anniversario dell’approvazione del testo costituzionale, mai pubblicato fino ad oggi.

Nel testo si sottolinea l’importanza del rapporto tra l’indagine storica e il testo della Costituzione; un rapporto affascinante, scriveva Galante Garrone, anche per meglio intendere i problemi politici e sociali che vi sono connessi e che ne fanno una “scienza in azione”.

Si legge: “Il compito che sta davanti agli italiani, in quest’ora di solenne rievocazione, non è quello di creare dal nulla una Carta fondamentale nuova di zecca. Le Costituzioni veramente vitali non nascono da escogitazioni a tavolino, ma per lo più da vere e proprie crisi repentine e drammatiche: come rivolgimenti di fondo, una grande guerra perduta, il crollo di un regime, la dissoluzione di uno Stato. Così furono per noi gli eventi del 1943-’45. Oggi in Italia ci pare prevalga nell’opinione di gran parte degli studiosi, politici e cittadini che si prendono cura dell’avvenire della nostra patria, qualcosa di diverso: la volontà di preservare tutto quel che ancora di vitale sussiste nella nostra Costituzione. Il compito essenziale e improrogabile è, semmai, quello di irrobustirla ed ammodernarla, in due parole; non buttarla nel cestino o comportarci come se essa fosse già morta. Mi pare che si imponga la necessità di migliorare, anziché stravolgere o addirittura porre nel nulla la Costituzione di Cinquanta anni fa: questa Costituzione che, pur con tutte le sue pecche può ancora definirsi, come argutamente fu detto tanti anni fa da Calamandrei, una Costituzione “presbite”, perché guarda e vede lontano, nell’avvenire”.

Rossella Marchese

Il diritto alla casa

Gli attuali  programmi elettorali italiani ignorano la questione “casa”cioè il  disagio abitativo delle famiglie più povere, che include anche una fascia del ceto medio.

Nella Costituzione italiana non c’è una specifica tutela del diritto all’abitazione. Tuttavia, in alcuni articoli, emerge un chiaro riferimento a valori riconducibili al diritto alla casa, la quale viene concepita come elemento essenziale per garantire per garantire lo sviluppo della persona umana.

Il diritto alla casa, all’abitazione, sembra porsi, soprattutto da qualche decennio, come un diritto “nuovo”, sociale, funzionale al soddisfacimento dei bisogni costituzionali della persona. Esso si atteggia a precondizione per il godimento di tutta una serie di diritti fondamentali, quali ad esempio il diritto alla salute, alla riservatezza, alla sicurezza, all’inviolabilità del domicilio ed alla sua libera scelta.

La Carta Costituzionale difende il diritto alla casa agli artt. 2 e 3 è una Carta solidale, generosa, aperta, permissiva, disinteressata. Ma alla nostra Legge fondamentale non sembra interessare  che i prezzi delle case in Italia costino mutui troppo onerosi e non facili da ottenere. Questione, quella della casa che incide fortemente come valore identitario nella mente degli italiani  ed è su questo diritto sociale alla casa che è cresciuto in Italia il fenomeno delle occupazioni abusive prima di abitazioni, poi di spazi collettivi da ultimo di teatri. A riguardo, il codice penale ha accolto l’indirizzo costituzionale nell’articolo 54, riferito allo stato di necessità. Per questo, la necessità di un’abitazione, a chi ne è privo, può essere riconosciuto uno stato di necessità irrefrenabile per condizione di malattia propria o di congiunti, per stato di debolezza, per un più generico bisogno economico e abitativo. Lo stato di necessità si è poi con il tempo allargato secondo livelli di resistenza e sopportazione sempre più labili: da fisico, psicosomatico, psicologico, ambientale  fino al caso che sussista “un pericolo attuale di un danno grave alla persona”.

Per questo, senza dubbio è oggi necessaria un’azione sociale sinergica che permetta alle Istituzioni impegnate a garantire sul territorio il diritto alla casa, impegnata a voler concretizzare il perseguimento degli obiettivi sociali e di eguaglianza, visto che da un alloggio adeguato dipendono ulteriori connessi diritti essenziali alla persona: il diritto alla privacy, il diritto ad essere liberi dalla discriminazione, il diritto allo sviluppo, ma soprattutto, il diritto a conseguire il più alto livello di salute mentale e fisica. Oggi i comitati e le associazioni italiane sul diritto alla casa si sono unite tutte in difesa di questo diritto, scendendo in piazza anche per agire contro le disuguaglianze sociali che la mancanza del riconoscimento del diritto alla casa comporta. Una mobilitazione nazionale che intende sensibilizzare il rilancio di un piano nazionale di edilizia pubblica, che dovrà basarsi sui bisogni reali della popolazione e dei quartieri popolari.

Danilo Turco

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