L’Italia anello debole del sistema finanziario internazionale

Debito alto e sfiducia dei mercati alla base della persistente crisi economico-finanziaria dell’Italia. Necessario rispettare le regole per scongiurare il peggio.

I commentatori internazionali ritengono che l’Italia sia uno degli anelli più deboli del sistema finanziario internazionale. Per questo l’attenzione nei confronti del nostro Paese rimane molto alta e la crescita dello spread sul debito pubblico italiano verificatasi per la nuova formazione del governo ne è dimostrazione.

La causa scatenante di una crisi in Italia potrebbe essere un evento quasi insignificante, ma le ragioni profonde e da ricercare nella sfiducia da parte dei mercati nelle politiche del governo, unita a un alto e incontrollato debito pubblico. La regola del 3 per cento di deficit pubblico può sembrare stupida in condizioni normali, ma è fondamentale per il nostro Paese che ha un debito fuori controllo da trent’anni.  La crisi in Italia potrebbe scoppiare qualora una qualsiasi asta sul debito andasse non sottoscritta, anche solo parzialmente. In tal caso la raccolta delle banche si prosciugherebbe rapidamente e il costo aumenterebbe sostanzialmente e, oltre un certo livello, anche la Banca centrale europea avrebbe problemi a rifinanziarle. Non a caso negli ultimi tre mesi gli istituti di credito italiani hanno perso oltre un terzo del loro valore in borsa.

In un tale scenario gli effetti della carenza di liquidità e gli alti tassi d’interesse, che imprese e famiglie dovrebbero ulteriormente pagare, aggiunti all’incertezza che si abbatterebbe sul sistema, ridurrebbero significativamente gli investimenti, la domanda interna e il Pil. Tutto questo creerebbe il circolo vizioso tipico di tutte le crisi: alti tassi d’interesse, riduzione del Pil, aumento del debito, che a sua volta richiede tassi più alti e maggiori tasse per essere finanziato. Solo una ristrutturazione del debito pubblico e un salvataggio del sistema bancario potrebbero interrompere tale circolo vizioso.

Tutto questo in Italia può essere evitato, ad avviso di chi scrive, non negoziando furiosamente maggiori margini di flessibilità con l’Europa, ma rispettando le regole del mercato e i suoi principali protagonisti, sia privati che pubblici. In tal caso è essenziale che i mercati devono essere severamente regolati e occorre avere nei confronti dei nostri partner un atteggiamento non di subalternità, ma di rispetto delle leggi e non solo economiche, per ricevere pari rispetto.

Danilo Turco

La crisi che non ha fine

I soldi non valgono più nulla. L’inflazione sfiora il 1mln% in un anno. La gente muore di fame e anche l’acqua deve essere razionata. Questa è la situazione attuale del Venezuela nell’anno del Signore 2018.

Con una crisi finanziaria spaventosa, che si protrae ormai da quttro anni, il quarto produttore mondiale di petrolio non può più neppure vendere le sue preziose risorse.

In tutta questa situazione, il Presidente Nicolas Maduro ha annunciato che a partire dal 20 agosto in Venezuela circolerà una nuova moneta, il bolívar soberano (bolívar sovrano), che avrà cinque zeri in meno rispetto al bolívar fuerte (bolívar forte), la valuta usata oggi e rimasta praticamente senza valore. La decisione è stata presa per provare a tenere il passo con l’iperinflazione che secondo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale raggiungerà il milione per cento su base annua entro dicembre.

Il governo di Maduro aveva già previsto una riforma della sua moneta nel giugno scorso, allora l’idea era quella di togliere solo tre zeri, ma l’applicazione del piano fu rimandata due volte.

Il bolívar soberano sarà legato al petro, la criptovaluta controllata dallo stato e introdotta dal governo lo scorso febbraio per aggirare le sanzioni finanziarie imposte al Venezuela. In teoria il valore del petro è basato sulle riserve petrolifere nazionali, quindi su un petrolio di fatto non ancora estratto. A tale proposito alcune dichiarazioni di esperti del settore, tra cui Francisco Rodríguez, economista presso la banca di investimenti Torino Capital a New York, ha detto al Financial Times: “Visto che non c’è mercato [per il petro], non c’è nemmeno un prezzo di mercato, quindi è difficile capire cosa significhi ancorarlo a qualcosa. Il governo venezuelano mantiene la capacità di stampare petro. Questo rende il fatto di legare il bolívar al petro non tanto diverso dal legare il bolívar a sé stesso”.

A giugno l’Assemblea nazionale, ovvero il Parlamento venezuelano controllato dalle opposizioni e rimasto praticamente senza poteri, ha stimato il tasso di inflazione al 46.305 per cento annuo. Ha sostenuto che la banconota più grande, quella da 500 bolívar (50.000.000 di bolívar attuali), varrà solo 6 dollari alla fine di agosto, e 20 centesimi alla fine dell’anno. La banconota da 500 bolívar sarà di colore marrone e avrà stampata l’immagine di Simón Bolívar introdotta dal chavismo nel 2012 e criticata dalle opposizioni per la sua leggera somiglianza all’ex presidente venezuelano Hugo Chávez, il predecessore di Maduro.

Con l’iperinflazione attuale, non funziona praticamente più nulla e sono necessari molti giorni di lavoro al salario minimo anche solo per comprare una dozzina di uova, inoltre, negli ultimi due anni centinaia di migliaia di venezuelani sono scappati dal loro paese e dalla miseria per una crisi che ha le dimensioni di quella dei profughi siriani in Europa.

Rossella Marchese

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