Oscar 2017: vince Moonlight, 6 statuette a La La Land, miglior trucco a due italiani

Anche quest’anno sono stati assegnati i premi Oscar. La serata si è svolta al Dolby Theatre di Los Angeles, in California. L’idea della statuetta più famosa del mondo cinematografico venne ai fondatori dell’Accademia delle arti e della scienza del cinema e fu proprio un dirigente dell’Accademia, Cecil Gibbons, che fece la bozza di un uomo che stringeva sul petto una spada,  facendola poi realizzare dallo scultore George Stanley.

È stata una serata memorabile, surreale è dir poco, una di quelle che se l’avesse scritta il migliore degli autori, non sarebbe mai riuscita così bene. L’89esima edizione degli Oscar sarà ricordata per un errore che è arrivato nel finale che in uno show televisivo non è mai stato così “grande”. Poco dopo le sei del mattino, orario italiano, per celebrare i cinquant’anni di uno dei film più popolari della storia di Hollywood, Bonnie&Clyde (di Arthur Penn), salgono sul palco i protagonisti Warren Beatty e Faye Dunaway per annunciare il vincitore della categoria più importante, il Miglior Film. È Beatty ad annunciare la vittoria di La La Land, il musical di Damien Chazelle che per questa edizione ha ricevuto quattordici candidature, diventate poi sei statuette. Seguono applausi e lacrime con l’intero cast sul palco e i produttori che ringraziano con tanto di Oscar in mano. Stiamo per andare a dormire e spegnere la tv, ma all’improvviso c’è qualcuno sul palco che segnala l’errore. Incredibile, ma vero, il vincitore non è il film di Chazelle, ma Moonlight di Barry Jenkins, gridato al mondo con un vero e proprio colpo di scena. Come è stato possibile? Presto arriva la spiegazione: Warren Beatty ha ricevuto la busta sbagliata. Quella precedente, con l’annuncio della migliore attrice sulla quale c’era scritto “Emma Stone, La La Land”. A confermare il tutto, il presentatore della serata, Jimmy Kimmel, che mostra la busta – quella giusta – con il nome del vero vincitore, e saluta il pubblico dicendo che sapeva che “avrebbe rovinato il tutto prima della fine”. Promette tra lo stupore generale di “non tornare mai più”.Alla fine, però, la premiazione di “Moonlight” è apparsa più in linea con una serata che si è trasformata in una critica costante del presidente Trump. Alla vigilia infatti diversi osservatori avevano avanzato l’ipotesi che avrebbe vinto il film che raccontava la storia di un giovane gay nero di Miami, perché l’Academy voleva prendere una posizione politica, e la storia d’amore interpretata da Emma Stone e Ryan Gosling sembrava fuori dal tempo.

Niente Oscar per “Fuocoammare”, il toccante film di Gianfranco Rosi che lo scorso anno conquistò l’Orso d’Oro al Festival di Berlino, ma guai a parlare di delusione, perché essere lì è stata già una vittoria. Senza ombra di dubbio, il film è un indiscutibile successo internazionale che ha fatto conoscere al mondo gli sbarchi di Lampedusa e lo straordinario lavoro di Pietro Bartolo, il medico che da oltre venticinque anni accoglie i migranti “nell’isola degli sbarchi” vivendo in prima persona quella che è stata definita la più grande emergenza umanitaria del nostro tempo.

L’Italia può però ritenersi a suo modo soddisfatta, perché è riuscita ad assicurarsi l’ambita statuetta per l’hair&make up: a vincerla, assieme a Christopher Nelson, Alessandro Bertolazzi e Giorgio Gregorini per il blockbuster “Suicide Squad”. “Sono un italiano, sono un emigrante e lo dedico a tutti gli emigranti come me”, ha detto Bertolazzi nel suo discorso di ringraziamento. L’italo-americano Alan Barillaro ha vinto l’Oscar per il miglior Cortometraggio d’animazione grazie al sorprendente “Piper”, il corto prodotto dai Pixar Animation Studios che racconta la storia di un piccolo piovanello che deve imparare a procurarsi il cibo e affrontare la propria idrofobia sotto lo sguardo amorevole della sua mamma.

Nicola Massaro

Oscar 2017, “Fuocoammare” nella cinquina dei documentari

Fuocoammare, il documentario del 2016 di Gianfranco Rosi sull’isola di Lampedusa che lo scorso febbraio ha vinto l’Orso d’oro al Festival del cinema di Berlino è stato nominato per l’Oscar come Miglior documentario. L’annuncio è stato dato durante l’evento organizzato per comunicare tutte le nomination agli Oscar.

Fuocoammare era stato inizialmente inserito nella lista dei possibili candidati al premio per il Miglior film straniero, ma ne era stato escluso a una successiva selezione. “È meraviglioso, è stata una battaglia, negli ultimi giorni non ci credevo più. Ho portato Lampedusa a Hollywood”. Gianfranco Rosi è felice come un bambino che gioca sulla sabbia, e nell’incontro via skype da Tokio, dove Fuocoammare sta uscendo, chiede ai media: “Mi volete bene?”. E poi: “Ho promesso alla distributrice giapponese che se fossi entrato nella cinquina degli Oscar avrei fatto l’uomo sandwich davanti al cinema per portare il pubblico in sala”. Gianfranco Rosi è nato ad Asmara, in Eritrea, nel 1964, e a vent’anni si è trasferito a New York per studiare cinema. Il suo primo mediometraggio – si chiamano così quando non sono né corti né lunghi – si intitola Boatman ed è stato realizzato dopo un viaggio in India. Nel 2010 Rosi ha girato El sicario – Room 164, un film-intervista su un ex sicario messicano che lavorava per  un cartello della droga. Rosi è però noto al cosiddetto “grande pubblico” italiano dal 2013, quando il suo documentario Sacro GRA – girato sul Grande Raccordo Anulare di Roma – ha vinto il Festival di Venezia. Gli esperti di cinema parlano di Rosi come di un regista che ama conoscere a fondo i posti dove sono ambientate le storie che racconta: per girare Fuocoammare, per esempio, ha vissuto più di un anno a Lampedusa. “Siamo molto felici che un film così importante e complesso abbia raggiunto questo splendido risultato. Un’opera che non solo risponde appieno alla mission di Servizio Pubblico ma va oltre nell’alimentare un racconto che Rai si impegna a far diventare sempre più internazionale” commenta Antonio Campo Dall’Orto, direttore generale Rai. “L’Italia è il Mediterraneo e Lampedusa ne è non solo il centro geografico, ma soprattutto l’anima –  prosegue il DG –  un luogo di accoglienza e di apertura, esempio più alto della cultura italiana, al tempo stesso inno all’accoglienza e alla bellezza. “Fuocoammare” incarna questo ideale in tutta la sua forza, facendosi messaggio globale di solidarietà”. “Un’altra prova –  conclude Campo Dall’Orto –  che l’audiovisivo italiano è un luogo di eccellenza capace di avere un impatto nella costruzione della pubblica opinione globale su temi tanto difficili quanto importanti come la questione dei migranti”. Un film che può andare a confrontarsi nel luogo dove il cinema è “bigger than life”, più grande della vita, nel tempio di quest’arte dove si riuniscono le più grandi macchine produttive di cinema del mondo. Un film che, nel suo piccolo, ci spinge a fare la vita più grande, più degna, più aperta. E un film che parla dall’Italia a tutto il mondo, e ora lo continua a fare da un luogo particolarmente ascoltato. Grazie a uno sforzo magnifico del nostro cinema pubblico, e grazie agli sforzi congiunti dei due ministeri MiBACT e Mise, che ci dimostra se ce ne fosse ancora bisogno, che l’unione e il collegamento degli sforzi, riesce a portarci in alto. E una piccola, curiosa soddisfazione per un evento unico. È la seconda volta che un documentario italiano arriva alla Cinquina degli Oscar. La prima, nel 1962, fu con ‘La Grande Olimpiade’ di Romolo Marcellini, il film che celebrava i Giochi del ‘60 a Roma. Una storia di successo italiana. Il film era prodotto dall’Istituto Luce.

 

Nicola Massaro

 

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