Per 11 anni 1 è stata l’organizzazione votata a a scovare intrighi diplomatici, scandali di Stato, negoziati segreti e molto altro, per poi trasformare tutte quelle informazioni in biblioteca digitale universale. Ma oggi, a detta di alcuni, l’organizzazione fatta di haker ed attivisti votati alla verità a tutti i costi, dopo aver cambiato le regole del gioco, sembra esservi entrata.
Questo pare sia successo all’indomani della pubblicazione dei “leaks” sul Partito Democratico americano, con Hillary Clinton che, in piena campagna elettorale presidenziale, ha dovuto difendersi per quelle migliaia di mail piene di dati sensibili di cittadini americani date in pasto alla rete, puntando il dito sull’intelligence russa; un episodio che ha fatto dichiarare persino ad un tipo come Edward Snowden la necessità per WikiLeaks di moderare i contenuti.
Analizzando il passato recente dell’organizzazione si potrebbero distinguere due ondate ben evidenti di contenuti rivelati: la prima riguarda le guerre, con i dossier su Iraq ed Afghanistan; la seconda, inerente i trattati di libero scambio e le multinazionali; mentre per la terza ondata, contemporanea, riguarderebbe proprio le campagne elettorali e la montagna di dati sensibili in ballo con esse. Con la pubblicazione delle mail in piena campagna elettorale statunitense e le accuse alla Russia da parte di Hillary Clinton si è aperta a tutti gli effetti una nuova fase per Wikileaks che potrebbe diventare, oltre l’organizzazione che agisce in nome della trasparenza e protegge la segretezza delle sue fonti e dei suoi donatori, anche uno strumento per altri interessi. Questo, almeno è quello che sostengono personalità come il filosofo Slavoj Ziziek o Geert Lovink, teorici delle culture di rete, che parecchio stanno dibattendo sul futuro di WikiLeaks in questo periodo, preoccupati per la deriva che potrebbe prendere la questione delle mail e dei dati sensibili finiti sul web. Eppure l’organizzazione non smette di essere percepita dall’opinione pubblica internazionale come quella che ha avuto il merito di aver liberato i documenti e di averli interpretati per la prima volta in crowdsouring, insieme ad altri.
A guardare bene, il dibattito riguarda anche un futuro con tante WikiLeaks, ed in effetti le piattaforme per trasferire in forma anonima verità scomode sono già più di una: c’è il software opensource GlobaLeaks, c’è l’italiano IrpiLeaks, oppure le associazioni come Transparency che offrono portali alle potenziali “sentinelle” in attesa che la legge le tuteli appieno.
Ma WikiLeaks ha aperto anche una nuova era del giornalismo; l’organizzazione di Assange per alcune rivelazioni collabora anche con i media partner, in Italia, ad esempio, con L’Espresso.
Anno dopo anno questa task force di giornalisti provenienti da 65 paesi ha rivelato casi di corruzione ed evasione fiscale di proporzioni enormi; poi succede che online finiscano i dati sensibili di cittadini inermi e ciò pone al centro dell’attenzione i modi radicali di WikiLeaks.
Si potrebbe parlare di costo da pagare per il futuro della democrazia dell’informazione, ma per Assange, che ancora conserva la ragione dalla sua e la simpatia della gente, la strada aperta da WikiLeaks è insostituibile per le democrazie: tutti gli attori politici, le aziende, devono rendere conto di ciò che fanno, non basta che dicano di agire nell’interesse comune, ma da quando c’è WikiLeaks devono anche dimostrarlo.
Rossella Marchese