Elena di Euripide a cura di Barbara Castiglioni

“E’ divino riconoscere quelli che amiamo”:  Elena riconosce  Menelao e pronuncia queste parole sublimi. Lei suggerisce l’amore come un sentimento che intrappola, che non dà scampo e non prevede vie di fuga. Perché questo tema è tanto accarezzato dal patrimonio letterario occidentale?

Nel fr. 16 Voigt, Saffo presenta un’Elena piegata alle leggi dell’amore, che diventa exemplum della forza devastante del sentimento: quella di Saffo non è una vera e propria difesa di Elena, ma la rappresentazione dell’impossibilità – e della vanità – di opporre resistenza a un impulso inviato dalla divinità. Effettivamente, il mito di Elena, in tutte le sue riprese, è la rappresentazione di un sentimento fortissimo, quasi feroce, di un amore che piega ogni ragione. L’amore «tutto muove – e Omero e il suo mare», come scriverà Osip Mandel’štam, oppure l’«amore ebbro e disperato» di Margaret Atwood sono espressi in maniera diversa, ma descrivono lo stesso, identico sentimento che ha portato via Elena da Sparta: perché l’amore, come scriveva Keats in una meravigliosa lettera a Fanny, è una religione, ed è forse l’unica speranza di fede rimasta ad una società completamente priva di dèi come quella occidentale.

Elena, tesoro d’arte ed umanità, probabilmente la donna più celebre dell’antichità, innumerevoli volte tradotta e, talvolta, tradita negli intenti. Per quali ragioni da sempre emerge quale pioniera nell’indagare i sentimenti dell’essere umano ed antesignana nella ricerca individuale di un posto nell’esistenza?

Elena è in una posizione molto complicata, tra le donne della letteratura antica, perché la bellezza, che è la sua dote involontaria, determina il suo destino e la rende, contemporaneamente, vittima e carnefice: Elena è vittima, perché non ha scelto il suo dono e non può non essere bella, come dimostra molto bene l’Elena di Euripide, ma è anche carnefice, perché la sua rovinosa bellezza ha provocato la guerra di Troia. L’ambiguità di questa condizione impedisce una vera comprensione del personaggio: greca per i Troiani, troiana per i Greci, Elena è indecifrabile tanto per gli uomini, che la vogliono e la temono, quanto per le donne, che la odiano e la condannano, ed è, il più delle volte, considerata un mero oggetto di cui non sono quasi indagati i sentimenti. Ed è notevole osservare che, anche se in maniera obliqua, uno dei pochi testi che considera la sofferenza di Elena è proprio il primo e più antico in cui compare come personaggio, cioè l’Iliade. Per quel che riguarda l’essere antesignana di una ricerca individuale di un posto nell’esistenza, possiamo dire che Elena – figlia di Zeus, dea,vittima di rapimenti, seduttrice involontaria, moglie di Menelao, amante di Paride, sposa di molti mariti, madre di Ermione, ombra, fantasma, ma sempre causa di infedeltà – è contemporaneamente, moltissime donne e una «figura unica», immutabile, sempre identica a sé stessa, come la definiva meravigliosamente il Faust di Goethe, e rappresenta l’indipendenza – che è sempre temuta ma in una donna ancora di più – e continua ad essere, soprattutto, l’immagine dell’arma femminile con cui una donna può sconvolgere il mondo: la sovrana bellezza.

Elena, donna intelligente, scaltra, coraggiosa. Perché mai il teatro, il cinema, le innumerevoli riscritture la presentano come l’antesignana della vamp o della donna senza scrupoli?

Elena rappresenta l’inevitabilità della bellezza, che non concede scelta, né a chi la ammira, né, soprattutto, a chi la vive e ne subisce le conseguenze. Prima di essere una donna, prima di essere una persona, Elena è bella, e questo determina ogni aspetto della sua esistenza. La bellezza, soprattutto quella femminile, è spesso una colpa. La civiltà greca, non a caso, aveva elaborato il concetto di kalokagathìa. Questo ideale di identità tra bellezza e virtù, però, è prevalentemente maschile: non ne esiste – e non è casuale – una versione femminile della kalokagathìa. Non è impossibile, per una donna bella, essere anche virtuosa, ma si presuppone che non lo sia: l’universale positivo, implicito nell’ideale maschile, è capovolto nel caso della donna, per cui la bellezza, come esemplifica il mito di Elena, si rivela soprattutto una colpa. Questa paura della bellezza femminile, però, non è solo greca né solo antica, ma ritorna insistentemente nella letteratura e nella civiltà – non solo – occidentali: pensiamo ad autori molto diversi come Huysmans, che definiva la bellezza di Elena maledetta e irresponsabile, «che avvelena tutto quello che l’avvicina, tutto quello che tocca», o a Marina Cvetaeva, che deprecava Elena, la «bigama, predatrice, spiffero di morte».

Il primo scontro tra Occidente e Oriente, la guerra di Troia, fu combattuto soltanto per un’illusione. E’ illuminare Achille quale il più forte degli eroi il vero obiettivo della contesa?

Non è difficile immaginare come Euripide, mediante l’εἴδωλον di Elena, volesse rappresentare anche l’illusione delle guerre del Peloponneso che stavano devastando la città e la società in cui era vissuto: il fantasma di Elena è il simbolo di tutto quel che ha condotto i Greci a Troia, ma è anche, con ogni probabilità, la rappresentazione della vita umana. Per quel che riguarda l’Iliade, sicuramente Achille emerge come uno dei centri del poema, che segue, con molte, meravigliose digressioni, il suo eroe: l’Iliade inizia con l’ira di Achille, e finisce con i funerali di Ettore, ucciso proprio da Achille. Senza dubbio Achille è il più forte degli eroi, ma l’Iliade è, forse, più di ogni cosa, il ritratto dei valori della società eroica, rappresentata dall’epos omerico.

Le opere greche si confermano quali testi archetipici del pensiero occidentale, contemporanee ad ogni epoca. Quali ragioni ravvede nella specifica proprietà della classicità di porsi sempre in maniera speculare alle fratture epocali?

Penso sia difficile immaginare la letteratura europea senza la conoscenza dei classici greci e latini. Ora abbondano le riscritture e i rimaneggiamenti, che si allontanano spesso sin troppo dall’originale, deformandone il messaggio; oppure, dall’altra parte, c’è la Cancel Culture, che pretende di rimuovere quello che ora non ci piace, senza considerare il tempo, che è il motore immobile di ogni letteratura, che è, a sua volta, lo specchio di una società. Penso si debba tornare a leggere i testi; in pochi lo fanno davvero. Spesso soprattutto l’accademia si concentra su pochi versi, o poche righe o pochi capitoli, e perde il centro. In questo modo, però, si rischia di notare la pagliuzza, e perdere il messaggio a cui si deve ritornare.

 

Barbara Castiglioni, laureata in Lettere Classiche, Dottorata in Studi Umanistici presso l’Università di Torino con una tesi sull’Elena di Euripide, si occupa di tragedia antica e di ricezione del classico. Ha pubblicato vari saggi sulla tragedia greca e sul rapporto tra dramma antico e moderno.

 

Giuseppina Capone

Luigi Esposito: La croce e il peccato

Una dedica “a chi non mi ha fatto mai mancare il suo supporto” apre il libro di Luigi Esposito “La croce e il peccato”.

Un delicato intreccio di storie è alla base di questo lavoro dell’Autore che definisce il suo scrivere così: “la mia non è una scrittura ricercata ma semplice e fruibile perché ho sempre pensato che chi comincia a leggere un libro, deve appassionarsi fin dalle prime pagine e capire in modo semplice e diretto, altrimenti non avrebbe senso scrivere per te stesso e per chi ti legge” ed è proprio sin dalle prime battute che gli occhi del lettore non possono non proseguire a scorrere le righe per saperne di più.

Un cocktail di emozioni che si muovono tra diversi personaggi e diversi luoghi, ben tre città della provincia napoletana protagoniste della storia e delle vicende che portano ad un finale emozionante.

“Un antiquario, un prete, una croce, una misteriosa chiesa sconsacrata” sono il fulcro della narrazione che porterà ad una conclusione inaspettata. Dopo oltre due secoli Luigi e Sandro riusciranno a far ritornare assieme, oltre la vita, i resti di due sfortunati innamorati, un ricongiungimento possibile grazie ad un crimine compiuto da Giustino, il furto di una croce, comprata da Sandro in un mercatino, oggetto che sarà, però, l’elemento cardine di una ricerca che porterà a sanare una dolorosa vicenda risalente al passato.

Bianca Desideri

Filosofare è da donne

Le donne sono capaci di filosofare?

Musonio Rufo, notabile del neostoicismo romano, consigliere di molteplici antineroniani,  si pose siffatto quesito nel I secolo d.C. Per tale ragione condannato alla pena dell’esilio, rientrò a Roma subito dopo il decesso di Nerone. Delle sue lezioni permane la memoria nelle Diatribe; in una si legge: “Poiché uno gli chiese se anche le donne devono filosofare, così cominciò a dimostrare che anch’esse devono farlo:

le donne, disse, ricevono dagli dei lo stesso logos degli uomini, che noi usiamo l’uno con l’altro, e per mezzo del quale intendiamo se una cosa è buona o cattiva, bella o brutta. Allo stesso modo, la donna ha sensazioni uguali all’uomo, la vista, l’udito, l’olfatto e le altre. Inoltre, il desiderio e l’inclinazione naturale per la virtù non esistono solo nei maschi, ma anche nelle femmine. Stando così le cose, perché mai gli uomini dovrebbero cercare e studiare come vivere bene, nel che consista la filosofia e le donne no?”

Nell’estesa enumerazione delle espressioni pericolosamente tangenti la misoginia degli antichi, ecco una gradevole eccezione, valevole di menzione.

Effettivamente, la storia della filosofia non ha reso giustizia alle donne.

Eppure, si possono citare Ipazia, Hannah Arendt, Simone de Beauvoir, Angela Davis, George Eliot, Edith Stein, Anita L. Allen, Ban Zhao, Mary Wollstonecraft.

Scorrazzando tra i secoli tra le donne-filosofo dell’antichità si segnala la nota Aspasia di Mileto che appare in alcuni degli scritti filosofici di Platone, Senofonte, Eschine Socratico, Antistene. Taluni ricercatori sostengono che Platone stesso fosse rimasto parecchio colpito dalla sua esuberante intelligenza e sottigliezza; il personaggio di Diotima di Mantinea presente nel dialogo Simposio è fondato sulla sua figura. Socrate attribuisce alla irreale, probabilmente, Diotima il suo sapere nell’arte di Eros e parrebbe che proprio lei gli avesse offerto lezioni, contribuendo all’evoluzione della sua ricerca filosofica. Le tarde opinioni platoniche verso le donne rimangono viceversa molto contraddette ma La Repubblica suggerisce che le donne sono analogamente in grado di conquistare istruzione, immaginario intellettuale e competenza organizzativa all’interno dello Stato.

La filosofia medievale è dominata dalla figura di Ipazia, esponente del Neoplatonismo, così descritta nell’Antologia palatina:

Quando ti vedo mi prostro davanti a te e alle tue parole,/ vedendo la casa astrale della Vergine,/
infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto/ Ipazia sacra, bellezza delle parole,/
astro incontaminato della sapiente cultura”.

Secondo Socrate Scolastico unica erede del platonismo interpretato da Plotino: “Era giunta a tanta cultura da superare di molto tutti i filosofi del suo tempo, a succedere nella scuola platonica riportata in vita da Plotino e a spiegare a chi lo desiderava tutte le scienze filosofiche. Per questo motivo accorrevano da lei da ogni parte tutti coloro che desideravano pensare in modo filosofico”.

La filosofia moderna vede l’interesse delle filosofe su temi quali l’istruzione femminile con Harriet Martineau; i diritti delle donne con Charlotte Perkins Gilman, la quale sostenne che le donne fossero oppresse da una cultura pregna di “androcentrismo”; la teoria politica con Rosa Luxemburg, teorica del marxismo consiliarista.

La contemporaneità coincide con la professionalizzazione della disciplina. Tra i nomi rilevante è quello di  Simone Weil: innamorata del pensiero greco; combattente per la giustizia ed il rispetto della dignità umana, appassionata all’idea di Dio, cui corrispondere senza limiti confessionali.

A lei non dobbiamo solo la vasta mole di scritti ma i singhiozzi, scoppiati alla notizia di una catastrofe quale la guerra, tutte le guerre, l’interesse concreto per l’istruzione ed i problemi di operai, contadini e disoccupati,  la condanna dei totalitarismi di destra e di sinistra e la difesa  del pacifismo tra gli stati nazionali.

Nel mese delle donne non possiamo immaginare una filosofia ideata, scritta e creata da filosofe.

Maura Gancitano asserisce “Siamo sempre state filosofe. Lo eravamo anche prima di poter seguire un corso universitario, di poter pubblicare libri, di poter tenere conferenze pubbliche. Lo eravamo prima che iniziasse a collassare l’idea granitica secondo cui una donna che studiava fosse un abominio. Lo eravamo già, ma non potevamo dare spazio al nostro desiderio di riflessione, di studio, di dialogo, di speculazione, e per questo il mondo ha perso migliaia di filosofe che forse nei millenni avrebbero potuto imprimere un altro corso alla storia umana.”

Giuseppina Capone

Gerardo Grossi lascia un grande vuoto

Una triste notizia ha aperto la giornata di oggi. L’Amico Gerardo Grossi è scomparso lasciando un gran vuoto in noi, nella cultura partenopea e nella sua Palomonte.

Lo ricorderemo sempre con grande affetto per la sua passione di studioso e docente universitario di lingua spagnola, di amante della cultura, della poesia, della storia di Napoli, ma soprattutto per la sua grande umanità.

Caro Gerardo sarai sempre con noi.

Bianca Desideri

Il ritorno di Flash Gordon

L’uscita in edicola de “La città di ghiaccio”, primo numero della collana dedicata all’eroe dei fumetti creato da Dan Barry, riporta all’attenzione dei lettori Flash Gordon uno dei “Grandi classici del fumetto americano”.

Gli amanti del fumetto e della fantascienza potranno seguire le gesta dell’eroe dello spazio nato  dalla fantasia di Alex Raymond e di Don Moore che iniziò presto a collaborare ai testi ma rimase, se così si può dire meno visibile, più dietro le quinte. Un personaggio quello di Flash Gordon che appassionò i lettori degli Anni ’30 e che oggi La Gazzetta dello Sport ripropone nella “serie inedita che raccoglie le strisce quotidiane” firmate da Dan Barry dal 1951 al 1968.

Un eroe, Flash Gordon, che continua a mantenere la sua forza attrattiva sul pubblico e che ha ispirato tante delle saghe e dei film di fantascienza che si sono susseguite nei decenni.

Insieme alla bella fidanzata Dale Arden, al terribile imperatore Ming e ad un mondo popolato da esseri straordinari Flash accompagnerà gli amanti dei fumetti alla riscoperta delle loro avventure in 20 volumi.

Antonio Desideri

 

Sofia: dopo l’adozione sono anche riuscita a diventare mamma

“Per ogni donna che desidera diventare mamma, non esiste notizia peggiore di scoprire che non potrà mai crescere dentro di sé una vita. Io l’ho passato questo brutto momento e posso dire con fermezza che mi è crollato il mondo addosso. Ho deciso di adottare un bambino e, dopo una lunga attesa durata anni, io e mio marito l’abbiamo ottenuto. Ma non potevo crederci che, trascorso un mese dall’adozione, sono rimasta incinta. In quel momento ho capito quanto fosse affascinante la psiche umana; la mente può davvero decidere ogni cosa senza nemmeno che tu te ne accorga”.

La sofferenza per una donna che non riesce ad avere figli è immensa e spesso anche sottovalutata. La scienza e la psicologia hanno fatto passi da giganti verso una più rapida quanto efficace cura per l’infertilità sia maschile che femminile, ma pare proprio che, secondo dichiarazioni di un vasto numero di donne, il metodo più efficace per quest’ultima, per riuscire a mettere al mondo un bambino, sia proprio quello di adottarne uno. Deve essere proprio quello il momento in cui le paure si fanno da parte, quando la donna scopre che l’amore verso il proprio figlio può superare qualsiasi timore e ogni freno dettato dalla propria mente. Si tratta della paura della donna di non riuscire ad essere all’altezza della situazione; di non poter essere una brava mamma. Una paura talmente forte in grado di manipolare la mente e il corpo.

Sofia è una donna di 34 anni, vive a Napoli e racconta la sua storia di come è riuscita a diventare madre solo dopo aver ottenuto in adozione un bambino.

Sofia, per quanto tempo hai tentato di avere un figlio?

Preferisco raccontare partendo dalla relazione con mia madre; ho avuto una madre poco amorevole anzi, incapace di donare affetto, ma io, d’altro canto, ho da sempre desiderato avere un figlio, magari due o anche tre. Quattro, perché no. Io e Vittorio ci siamo sposati quando entrambi avevamo 23 anni e, solo un anno dopo, abbiamo iniziato a provare a diventare genitori. La mia testa e il mio cuore mi dicevano che volevo un bambino per dargli tutto l’amore che mia madre non era riuscita a darmi. Mia madre pensava solo a sé, era una di quelle madri che non trovava mai tempo per giocare con sua figlia perché per lei, la sua carriera, venivano prima di ogni altra cosa. Questa mancanza d’amore ha creato in me dei forti blocchi psicologici anche se irrazionali, naturalmente. Perché io un figlio l’ho sempre voluto, ma la paura di poter essere come lei mi bloccava, la mia mente decideva per me. Finalmente, dopo una lunghissima ed esasperante attesa tra documenti e visite costanti a casa di assistenti sociali, io e Vittorio abbiamo ottenuto Levi in adozione e dopo un mese ho scoperto di essere in dolce attesa. Tutto ciò mi rendeva felice ma suscitava in me una forte perplessità.

Quale perplessità?

Volevo capirmi. Volevo a tutti i costi comprendere la mia mente e perché il mio corpo stesse reagendo così. Anche se ne ero già sicura che fossi finalmente rimasta incinta solo di conseguenza dell’adozione e quindi ad un mio personale sblocco mentale. E questo mi ha portata a voler andare dallo psicologo il quale, dopo diversi mesi di terapia, mi ha confermato quasi tutto ciò che io sono riuscita a capire nel momento in cui ero in dolce attesa, ovviamente con una più complessa e lunga spiegazione. Penso che a volte crediamo di volere un bambino, ma la verità è che non siamo pronte, e quindi siamo noi a non volerlo per questo motivo non arriva. L’ho provato sulla mia pelle. Non è una cosa razionale ma nel nostro inconscio crediamo di non essere in grado di crescere un’altra vita. Alle volte può accadere perché abbiamo avuto genitori poco amorevoli, (come nel mio caso), e crediamo dunque di non riuscire a dare altrettanto amore. In altri casi, al contrario, può accadere quando si ha avuto genitori opprimenti e si crede, dunque, di non essere mai adulti e di non poter crescere un bambino. (Accaduto a molte donne). E ce ne sono tante altre di motivazioni.

C’è qualcosa che vorresti dire a chi come te ha vissuto o vive questo momento?
Non perdete mai la speranza. La nostra mente è capace di tutto anche se noi razionalmente non ce ne rendiamo conto, non lo vediamo, non lo focalizziamo. E’ quindi importante che impariamo a riconoscere le nostre emozioni per far sì che siamo noi a gestire la nostra vita con sentimenti, razionalità e con consapevolezza e non le nostre paure perché spesso, senza che ce ne rendiamo conto, le paure e i timori prendono decisioni al posto nostro. Gestiscono la vita nostra al posto nostro. Dunque, non abbiate paura di conoscervi, perché non c’è cosa più bella di scoprire sé stessi e imparare a vivere la vita che desideriamo.

Alessandra Federico

Massimo Troisi, un genio senza tempo

Avrebbe compiuto quest’anno 70 anni Massimo Troisi, autore, attore e regista il cui ricordo è fisso nelle menti di chi lo ha conosciuto attraverso la sua arte.

Molte le celebrazioni per ricordare quel genio artistico, scomparso troppo presto a soli 41 anni il giorno dopo aver concluso le riprese del suo film “Il Postino”.

L’Università degli Studi di Napoli “Federico II” ha conferito all’attore la laurea honoris causa alla memoria in “Discipline della Musica e dello Spettacolo. Storia e Teoria”.

Tante le pubblicazioni a lui dedicate, fra queste “Troisi 70. Il Massimo dell’arte”  a cura di Ottavio Ragone, Conchita Sannino, Antonio Tricomi, Ernesto Assante, Giulio Baffi, distribuito con Repubblica nei giorni scorsi in edicola.  Un volume ricco di interventi, di storie, di testimonianze tra vita  e carriera.

Antonio Desideri

Istituto Italiano dei Castelli Sezione Campania: grande interesse per il corso sulle architetture fortificate della Campania

La XVII edizione del ciclo seminariale di studi dal titolo “Le architetture fortificate della Campania”, organizzato dall’Istituto Italiano dei Castelli Sezione Campania, ha riscosso grande interesse già dalla sua prima giornata tenutasi il 17 febbraio scorso.

Il corso intende mettere in luce e far conoscere il vasto patrimonio di architettura fortificata che esiste ancora nella nostra regione.

Il corso si svolgerà online su piattaforma Google Meet e prevede altri 11 seminari e 4 visite di studio che saranno curati da membri del Consiglio Scientifico dell’Istituto Italiano dei Castelli, docenti esperti sulle specifiche tematiche delle università campane, funzionari delle soprintendenze.

Tutti di grande interesse i temi oggetto del corso. Si va dalle fortificazioni di età sannita e romana, all’evoluzione tipologica del Castello in Italia meridionale dal periodo normanno svevo a quello angioino, alla rivoluzione della polvere da sparo, ai castelli aragonesi e le fortezze vicereali, solo per citarne alcuni.

Il percorso è rivolto in particolare agli operatori dei beni culturali, studenti, guide turistiche, architetti ed ingegneri, “ma – come chiariscono gli organizzatori – anche a chiunque voglia approfondire la conoscenza dell’affascinante ed immenso patrimonio castellano della Campania”.

E’ ancora possibile iscriversi e recuperare le lezioni già tenute tramite videoregistrazioni.

Per informazioni ed iscrizioni: segreteria scientifica 3336853918 –  e-mail castellicampania@virgilio.it.
Antonio Desideri

Palazzo Reale apre le porte a Enrico Caruso

Ebbene sì, sarà il Palazzo Reale di Napoli la sede del Museo Enrico Caruso. Uno spazio dedicato ad uno dei massimi tenori di tutti i secoli che ha lasciato ai nostri posteri interpretazioni indimenticabili. La Sala Dorica accoglierà una stanza delle meraviglie dotata di animazioni in 3d e piattaforme multimediali, postazioni e installazioni musicali e cinematografiche. Uno spazio per tutti, grandi, piccini, appassionati, addetti ai lavoratori e turisti che avranno così un altro luogo da visitare dove omaggiare una voce senza tempo. 500 metri quadrati ad alta tecnologia. Ad arricchire lo spazio i contributi alla mostra con partner provenienti da tutto il mondo: Archivi Ricordi e Puccini, grandi teatri d’opera con i loro preziosi archivi, come San Carlo, Scala e Metropolitan di New York, Cineteca di Bologna, ecc.

L’apertura è prevista per il 20 luglio 2023, in occasione dei150 anni dalla nascita di Caruso, alla presenza fra gli altri illustri ospiti del sindaco di New York e del direttore del Metropolitan Opera House.

Alla presentazione della importante iniziativa per Napoli e per l’Italia sono intervenuti il Ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, il Direttore generale dei Musei Massimo Osanna, il Direttore di Palazzo Reale di Napoli Mario Epifani, la curatrice del “Museo Caruso”, la musicologa Laura Valente.

Antonio Desideri

Diana e Claudio, da Casa Sanremo a Salerno

Pronti per il ritorno gli Ambasciatori della Posteggia Napoletana.

“E’ stata un’edizione di Casa Sanremo indimenticabile, fatta di incontri meravigliosi, tante interviste in radio e trasmissioni e tante esibizioni. Un’edizione che porteremo nel cuore, di cui, come sempre, ringraziamo il Patron Vincenzo Russolillo e la Vice Presidente Rita Petolicchio. Un’edizione che ci ha dato una carica incredibile, che ci ha lasciato un po’ di nostalgia, che ci fa già sentire la mancanza della “Casa” e che ci fa salire già da ora l’adrenalina per la prossima edizione, che non vediamo l’ora di vivere!”

Il messaggio di Diana Ronca è postato via social nella prima domenica del dopo festival.

Otto giorni dopo il trionfo di Marco Mengoni sulla ribalta dell’Ariston. Una settimana ancora discussa al centro di umori contrastanti, clamori e polemiche che in ogni caso renderanno straordinaria questa settantatreesima edizione dei record.

Un’ edizione inedita e da ricordare certamente per Diana Ronca e Claudio De Bartolomeis, al secolo l’espressione in carne e voce della Posteggia Napoletana. (https://www.posteggianapoletana.it/)

Abbiamo “intercettato” telefonicamente la coppia di Artisti, originari di Salerno, durante una prima colazione in Toscana, impegnati in un nuovo tour nel centro Italia ed appena rientrati dalla settimana in Liguria dove sono intervenuti con eventi tematici nel palinsesto di Casa Sanremo. (https://www.casasanremo.it/)

E’ Diana che mi risponde al telefono con il consueto tono di voce brillante. Le chiedo:

Claudio e Diana, siete sempre stati di casa a Sanremo, ricordiamo l’ultima trasferta prima della pandemia con il vostro originale “Salremo”.

Un tour italiano dalla vostra Salerno sino al tempio della canzone italiana.

In questa 73esima edizione del Festival, siete stati ufficialmente inclusi nella nutrita squadra degli addetti ai lavori nelle iniziative molto importanti – in sinergia con la gara canora consumatasi nelle cinque dirette di Rai uno dal teatro Ariston – di Casa Sanremo.

Ci raccontate com’è nata questa collaborazione e quali sono stati gli appuntamenti più belli di questa vostra presenza quotidiana in una così prestigiosa manifestazione?     

Siamo stati a Sanremo in occasione del Festival per una quindicina di edizioni. Prima della pandemia, come dicevi, con un tour che abbiamo chiamato “Sal-remo” con il quale abbiamo fatto varie tappe da Salerno a Sanremo, esibendoci in Castelli, librerie, stazioni radio, salotti di casa, fino ad arrivare a Casa Sanremo, dove abbiamo presentato il libro “Ultimi romantici”. Amiamo essere nella città ligure proprio nei giorni della kermesse perché la musica vive in ogni angolo, si fanno incontri speciali, si vive appieno la bellezza del nostro lavoro. Nel corso di questi anni, abbiamo tenuto contatti “epistolari” con il Patron di Casa Sanremo Vincenzo Russolillo, e con la vicepresidente Rita Petolicchio, due persone eccezionali, visionarie, ricche di senso del sacrificio e passione per il lavoro che fanno. Ci siamo incontrati prima dell’estate e Vincenzo ci ha proposto di esibirci, quest’anno, durante alcune serate di Gala dedicate alla Regione Campania. Inoltre abbiamo concordato la presentazione del nostro ultimo libro “Sì ma… il lavoro vero”. Andando via, avendo visto qualcuno degli episodi della sit commedy che abbiamo ideato per parlare di ciò che facciamo, ci chiese se avessimo pensato mai di fare gli attori. E dopo un paio di mesi, la proposta di realizzare alcuni episodi della sit, tra il serio e il faceto. Brevi sketch leggeri del nostro quotidiano domestico per proporre alcuni dei più bei brani del Festival. Con la “protezione” di Peppe Vessicchio, abbiamo avvicinato le persone all’inizio del Festival. Un’esperienza meravigliosa! Un onore grande fare parte dello staff di Casa Sanremo. Dopo il Teatro Ariston,  indiscutibilmente la location più prestigiosa. Qui abbiamo anche aperto un importante incontro letterario, siamo stati ospiti di Veronica Maya e di varie radio e trasmissioni.

Ci avete documentato con le vostre quotidiane dirette –  via social – la settimana sanremese densa di eventi e originali aneddoti sin dalle prime ore mattutine. Fra le centinaia di musicisti, vip o presunti tali, personaggi pubblici e non solo, quale incontro vi è rimasto scolpito, tale da rimanere indimenticabile?  Per quanto riguarda la kermesse musicale diteci i vostri vincitori ideali. La canzone che più vi è piaciuta e che magari, prossimamente, sarà visitata nel vostro ricchissimo repertorio.

Abbiamo condiviso con chi sta a casa e non ha mai avuto la possibilità di visitare Sanremo nei giorni del Festival, l’aria che si respira, una realtà che tanti neanche immaginano. Facendo dirette in cui mostravamo la strada che porta al Teatro Ariston, piuttosto che le varie sale di Casa Sanremo e tanto altro. Abbiamo incontrato moltissimi musicisti, ma anche tanti giornalisti che stimiamo ed apprezziamo per la loro professionalità. Di sicuro, avere avuto la possibilità di incontrare Amadeus è stata una esperienza indimenticabile: è molto difficile, nei giorni della rassegna canora, incrociare il presentatore di turno. Dispiace constatare che, da ormai molti anni, le canzoni del Festival non hanno più il “passo lungo”, non restano negli annali. Durano lo spazio di qualche mese. Alcune volte per una stagione brevissima: non si fa nemmeno in tempo ad aggiungerli al repertorio, che sono già dimenticati. Di sicuro la melodia di Mengoni è una di quelle destinate a rimanere un po’ più a lungo. 

Oltre 35 anni di carriera alle spalle, molti di più nella vostra vita privata.

Onorate con grande orgoglio e umiltà il ruolo di “Ambasciatori della Posteggia Napoletana”. Non uno stereotipo giornalistico ma un vero e proprio mandato consegnatovi in una straordinaria festa privata di compleanno del Maestro Roberto Murolo.

Un evento prezioso e datato che custodite nel vostro animo. Nelle serate a tema di Casa Sanremo avete rappresentato da par vostro la regione Campania nelle eccellenze musicali d’Italia. Occasioni importanti per raccontarvi anche con un vostro libro che reca in copertina un titolo particolare: “Si ma… il lavoro vero”. Prima di salutarci diteci la vostra idea del lavoro da trasmettere a tanti ragazzi, ma anche ai meno giovani in questa transizione epocale che viviamo.     

Siamo sempre onorati ed emozionati quando ci definiscono Ambasciatori della Posteggia Napoletana e sentiamo tutto il peso e la responsabilità di questa “incoronazione”, soprattutto perché abbiamo un rispetto enorme per un repertorio musicale inarrivabile, inimitabile.

Un patrimonio culturale che ci fa grandi e riconoscibili nel mondo. A Casa Sanremo abbiamo suonato per la Stampa e gli Artisti in occasione delle serate di gala ospitate dalla Regione Campania. L’emozione è stata forte. Soprattutto intrattenere tavoli di giornalisti e artisti che ammiriamo per dedicare loro una serenata. Un’esperienza bellissima! Per la presentazione del libro, poi, la giornalista Rai Marzia Roncacci ci ha fatto un regalo immenso, moderando l’incontro con la sua impeccabile professionalità con tutta l’umanità che riesce a mettere nelle interviste. Abbiamo il privilegio di andare spesso nelle scuole a parlare con i ragazzi. A loro cerchiamo di trasmettere la “cura” dei loro sogni, il valore del sacrificio, la perseveranza, il non arrendersi ai no, la bellezza di riuscire a realizzarsi e a vivere facendo ciò che più si ama. Di rientro da Sanremo, a parte le interviste di rito, qualche altro viaggio e qualche ospitata, siamo pronti a lavorare ad un progetto che è già in fase avanzata. Vedrà la luce, speriamo, tra aprile e maggio: un video che dedicheremo al tema degli emigranti. Quelli che lo sono stati e i nostri ragazzi, costretti ad andare via per realizzare i propri obiettivi. Il brano è, come sempre, un meraviglioso classico della tradizione partenopea.

E poi, ancora tante cose in cantiere, perché, come recita il nostro motto…

“Non abbiamo ancora iniziato!”

Luigi Coppola

(Foto di Diana Ronca e Claudio De Bartolomeis)

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