Riapre l’antico Teatro di Ercolano

”Con questa riapertura vogliamo sensibilizzare i nostri cittadini. Attraverso il turismo e la nostra storia Ercolano può rinascere e soprattutto creare con le sue bellezze tanti posti di lavoro di cui il Meridione ha gran bisogno” – ha dichiarato Ciro Buonajuto, sindaco di Ercolano.
Il Teatro di Ercolano riapre finalmente le porte. L’antico Teatro fu sepolto dall’eruzione del 79 d.C, mentre nel Settecento veniva scelto da turisti di tutta Europa (dopo essere stato il primo monumento esplorato tra tutti i siti vesuviani colpiti dal cataclisma).

Da domenica 24 aprile e ogni sabato fino a dicembre, il Teatro di Ercolano sarà nuovamente aperto a chiunque abbia voglia di respirare storia, arte e cultura: scale realizzate in età borbonica (con torce ed elmetti protettivi), cunicoli in cui sono visibili reperti, gallerie, graffiti, e piccole stalattiti.

A venticinque metri di profondità, il teatro, fonde la città antica con quella moderna, unisce il parco archeologico con la città sovrastante del mercato dei vestiti usati di Pugnano e il suo centro storico. ”Un luogo straordinario che è il punto di partenza per andare a visitare e scoprire il resto della città di Ercolano. Ci troviamo nel punto in cui è nata l’archeologia occidentale e moderna: con la data del 1738 cominciano gli scavi sistematici proprio dal sito del Teatro. Qui viene sperimentata una forma innovativa di documentazione che non era stata realizzata fino ad allora: qui, ad esempio, viene realizzato un plastico del 1802 che è basato su quello del Settecento che era stato rovinato da un incendio, e che noi esponiamo”, ha affermato, durante la visita in anteprima alla stampa, il direttore del Parco archeologico Francesco Sirano.

L’affascinante teatro, per volere del duoviro Annius Mammaìianus Rufus e progettato dall’architetto P. Numisius, fu costruito in un’area nei pressi del foro durante la prima fase dell’età augustea, (all’interno si svolgevano commedie e satire e poteva ospitare duemilacinquecento persone). Prima ancora di essere sotterrato da ceneri, fango e lapilli durante l’eruzione del Vesuvio del 79, il Teatro aveva già subito gravi danni a causa del terremoto di Pompei avvenuto nel 62. Nel 1710 fu scoperto da Ambrogio Nocerino, un contadino che, intento a scavare un pozzo per il suo orto, trovò dei pezzi di marmo che vendette, poi,  ad un artigiano di Napoli. L’artigiano lavorava per il duca Emanuele Maurizio d’Elboeuf, che, una volta venuto a conoscenza dei ritrovamenti, decise di acquistare il pozzo e di cominciare le indagini tramite cunicoli sotterranei.

Diversi furono i tentativi di studio per arrivare alla scoperta del teatro: l’architetto, ingegnere, archeologo svizzero Karl Jakob Weber, introdusse una tecnica di scavo ordinata, mentre, poco tempo dopo, tramite l’utilizzo di una pompo idrovora, Francesco La Vega, (ingegnere e archeologo) riuscì a raggiungere il piano di calpestio in cocciopesto. Ancora, altri studi furono intrapresi da Francois Mazois all’inizio del XIX secolo.  Ma per un lungo periodo le ricerche furono completamente accantonate e solo nel 1865 venne restaurato l’ingresso per la discesa del Teatro.

Un vero e proprio tesoro dal valore inestimabile l’antico teatro di Ercolano,  finalmente pronto per essere nuovamente vissuto.

Alessandra Federico

Samantha Colombo: Polvere e cenere

Samantha Colombo ha studiato etnomusicologia e lavora tra editoria, musica e comunicazione. È appassionata di letteratura inglese e americana, espressionismo tedesco e avanguardie russe. Ha scritto racconti in numerose antologie collettive. “Polvere e cenere” è il suo primo romanzo.
“Polvere e cenere” ha, evidentemente, richiesto ricerche storiche accurate e meticolose. Quale metodo si è imposta di adottare per trattenere le informazioni e, poi, renderle narrativa?
La ricerca storica è stata, per me, la fase più coinvolgente nella stesura del romanzo. Dopo aver abbozzato la trama, ho deciso di inserire gli eventi in un contesto il più possibile verosimile. Ad esempio, si parla di una rappresentazione della “Bohème” a Londra: lo spettacolo è andato davvero in scena nel giorno e nel teatro che sono descritti. Il metodo che ho adottato, e che mi è più congeniale, è stato di avere una padronanza il più possibile completa del periodo storico di riferimento, iniziando con ricerche su libri e archivi online, prendendo appunti. Studiando sono poi arrivate ulteriori idee per arricchire la trama e costruire meglio i personaggi. Inoltre, ho passato parecchio tempo ai Metropolitan Archives di Londra, dove ho potuto consultare documenti originali, mappe e altro materiale. Costruire una scenografia il più possibile accurata è stato indispensabile, anche perché Londra è una dei protagonisti principali.
Gloria vive nell’Ottocento in modo spregiudicato e consapevole. “Spingersi oltre i propri limiti e scardinare le proprie convinzioni, a dispetto di tutto, era ciò che la sua natura meglio rispecchiava” Quali sono le peculiarità che la rendono contemporanea?
Gloria è un personaggio abbastanza sopra le righe per la sua epoca, tuttavia non così atipico. Studiando la società tardo-vittoriana, ho trovato infatti molte somiglianze con la nostra epoca, sia nella spinta all’innovazione sia nelle criticità sociali e politiche. È una donna che, da sempre, si è trovata a badare a sé stessa, facendo scelte complesse, affrontando rinunce, costruendo una professione, gestendo la propria indipendenza economica, tutti aspetti molto difficili per le donne dell’epoca e, mi viene da dire, ancora oggi oggetto di rivendicazioni. Credo che la narrazione delle donne di ogni tempo, anche nella contemporaneità, abbia dei tratti comuni: uno di questi è senza dubbio il legittimo bisogno di affrancarsi da uno stato  di subordinazione, vivere appieno la propria vita, per quanto ciò comporti difficoltà e sofferenze.
Il percorso dei protagonisti si dipana anche a ritroso nel tempo; si serve di ricordi ingialliti e via via emergenti. La sua personale indagine adopera flashback che compongono un puzzle di notevole suspense. Quale valore attribuisce all’elemento della “memoria” nella sua produzione? Si possono davvero chiudere i conti con il passato?
L’elemento della memoria è essenziale, nel romanzo così come nella vita di ogni giorno. Per me è naturale scrivere racconti di ambientazione storica, mi trovo a mio agio con il passato nella misura in cui mi aiuta a mettere ordine nel caos del presente. Per usare un’immagine che amo molto, direi che non ho paura dei fantasmi, anzi: mi trovo a mio agio con loro, hanno molto da dire e, spesso, dei consigli da non sottovalutare. Per quanto riguarda il chiudere i conti col passato, non vedo le nostre vite come suddivise in compartimenti stagni. Credo che ogni decisione presa, che porti poi a soddisfazioni o rimpianti, sia stata dettata da emozioni e influenze che ci hanno portato ad agire in un determinato modo, questo non si può cambiare. Sono però davvero convinta che il passato ci dia una grande possibilità: quella di migliorare, di non commettere gli stessi errori, di lasciare andare ciò che ci fa stare male. Ci dà anche una grande speranza: che la felicità, spesso, è accanto a noi e dobbiamo riuscire a vederla, raccogliere le forze e lottare, se necessario, per lei.
Macchinazioni, intrighi, segreti, misteri, verità sapientemente celate, insabbiamenti, enigmi: questi sono ingredienti essenziali del giallo. Il suo romanzo, tuttavia, indossa una veste storica. Ebbene, in che misura diverge dal genere codificato?
Ci sono esempi stupendi di giallo storico, mi vengono in mente, ad esempio, Caleb Carr con “L’alienista” oppure la stessa Agatha Christie, con lo spesso trascurato “C’era una volta”, per non parlare di una pietra miliare del genere, “Il nome della Rosa” di Umberto Eco. Ho immaginato “Polvere e cenere” quando ero un’adolescente e l’ho ripresa alcuni anni fa, trovandomi quasi spiazzata per la presenza di tutti gli elementi appena citati, ma non credosi possa definire un  giallo nel senso stretto del termine. Forse è un racconto d’avventura con venature noir, soprattutto per le sfumature nei caratteri dei protagonisti, che prendono decisioni spesso opportuniste, trovandosi ad abbracciare il male in luogo del bene. Il giallo, come si diceva giustamente, ha delle regole ben codificate e credo che l’ambientazione storica presenti molti aspetti interessanti, uno su tutti quello di consentire a chi scrive di dare uno sguardo inedito a ciò che vuole raccontare, magari inserendo dei parallelismi con l’attualità.
Londra è da sempre una città caleidoscopio, multiple, imprevedibile, variabile?
Quali sono le ragioni che l’hanno indotta a sceglierla come ambiente che “accoglieva nel suo ventre universi tanto dissimili, uniti nel nome di una speranza più forte della povertà e persino della morte”?
Londra è proprio così e, come accennavo, è forse la protagonista principale del romanzo. L’ho scelta proprio perché, in origine, il mio desiderio era di scrivere una storia ambientata tra le sue strade. Anzi, l’intero racconto nasce proprio prendendo ispirazione da una vecchia cartina della città, pubblicata negli anni in cui è ambientato il libro. In particolare, quando si parla della Londra vittoriana, spesso si generalizza, pensando da un lato alle atmosfere orrorifiche dei quartieri poveri, dall’altro al perbenismo e alle luci degli ambienti nobili. Ciò che ho scoperto, approfondendo gli studi, è una città con somiglianze incredibili con il nostro mondo: mi ha colpito, ad esempio, l’estrema attenzione alla questione ambientale, con la progettazione di parchi, lo spostamento di fabbriche dal centro cittadino per ridurre le emissioni delle ciminiere, il potenziamento della rete fognaria e molti, molti altri interventi. Inoltre, la presenza della tecnologia inizia a farsi sentire, mi vengono in mente il telegrafo e i raggi X, oppure i movimenti politici progressisti, in grado di unire donne, operai, classe media. Londra è diventata una sorta di specchio del mondo, sono rimasta affascinata dalla tenacia di quanti combattevano, e combattono tuttora, per renderlo un posto migliore.
Giuseppina Capone

Dior presenta la collezione in Corea del Sud

Dopo la sfilata dello scorso anno a Shanghai, durante la quale presentò per la prima volta  in passerella la sua pre-fall donna, Dior, decide di  proporre la sua pre-fall 2022 il prossimo 30 aprile a Seul, in Corea del Sud.

Maria Grazia Chiuri, designer del marchio Dior, ha disegnato l’intera collezione,  (presentata online a dicembre 2021). La stampa internazionale ha diffuso l’annuncio della maison, seguendo quello attinente alla sfilata P/E 2023 uomo, che si terrà il 19 maggio a Los Angeles.  Lo show si svolgerà all’interno di un’università femminile privata a Seul (Ewha Womans University 1886). La casa di moda francese collabora con la Ewha Womans University ai programmi educativi che promuovono l’uguaglianza di genere. Difatti, a sostenere la sfilata, sarà proprio un programma di eventi educativi organizzato in collaborazione con l’università. Il flagship House of Dior, aperto nel 2015 a Seul, è uno dei dodici negozi donna in Corea del Sud della griffe di avenue Montaigne.

La partecipazione  della cantante e attrice sudcoreana Jisoo (del gruppo Blackpink), allo show come fashion e beauty ambassador globale, ha consolidato di gran lunga il rapporto tra Dior e il Paese asiatico, e non solo; è stata di grande contributo per ottenere 140 milioni di visualizzazioni sui canali di Dior durante la settimana della moda di Parigi dello scorso mese.  “Quest’anno, la maison sta creando nuovi e forti legami con la Repubblica di Corea. Dalla nostra collaborazione con la Ewha Womans University — nell’ambito del nostro programma Women@Dior che promuove la trasmissione di conoscenze, l’educazione e la sorellanza — fino a questa sfilata a Seul, siamo più determinati che mai a celebrare gli scambi creativi e la pluralità culturale”, ha dichiarato Pietro Beccari, CEO di Christian Dior Couture.

Per la realizzazione di questa nuova collezione, la designer della casa di moda francese, si è lasciata persuadere dall’eleganza di Catherine Dior (2 agosto 1917- 17 giugno 2008), la sorella minore del fondatore, nonché sua musa ispiratrice. Catherine era appassionata di fiori e coltivava rose a Naÿssè, la fattoria di famiglia a Provenza. Infatti, gli abiti prevedono raffinati modelli tra lo stile punk e giardinaggio; abiti da contadino, grembiuli da giardinaggio e una borsa ispirata ai sacchi di iuta (sacchi che l’azienda di famiglia utilizzava per imballare il compost). Non resta altro che attendere il 30 aprile per ammirare queste meravigliose creazioni Dior.

Alessandra Federico

Steve Jobs: il genio dell’informatica

Negli ultimi 33 anni, mi sono guardato ogni mattina allo specchio chiedendomi: “Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?”. E ogni qualvolta la risposta è no per troppi giorni di fila, capisco che c’è qualcosa che deve essere cambiato.”- Steve Jobs

 Steven Paul Jobs, statunitense, ricordato da tutti come Steve Jobs, il fondatore di Apple inc. è stato inventore, imprenditore e abile informatico. Jobs è stato amministratore delegato di Apple fino a quando, per motivi di salute, è stato costretto ad abbandonare l’incarico, assumendo, però, il ruolo di presidente del consiglio di amministrazione. Inoltre, Jobs, è stato fondatore e amministratore delegato della Pixar Animation Studios, fino al momento in cui la  Walt Disney company decise di acquistarla. Ancora, ha fondato la società NeXT Computer e ha progettato anche IPhone, iMac, iPod, Macintosh e iPad.

Fortune, la rivista che tratta di business globale (pubblicata dalla Time inc’s Fortune), ha classificato Steve come primo tra i 25 uomini d’affari del 2007.

Steve Wozniak era un caro amico di Jobs con il quale lavorò alla prima versione del circuito del videogioco Brakout. Da lì  a poco, il primo aprile del 1976, decisero di mettersi in proprio dando vita alla Apple Computer.

Il garage dei genitori di Steve fu la prima sede dove lavorarono sodo al primo computer Apple (venduto ai membri dell’Homebrew Computer Club). Poco tempo dopo riuscirono ad ottenere un finanziamento dall’industriale Mike Markkula (versando nelle casse della società 250.000 dollari). Ma fu con l’Apple II che Jobs e Wozniak con le vendite arrivarono a un milione di dollari.

Apple, il 12 dicembre del 1980, venne quotata in Borsa misurandone il valore di 256 milioni di dollari e alla fine dello stesso mese il suo valore era di 1,79 miliardi di dollari. Bil Atkinson (programmatore) assieme a Steve Jobs riuscirono a convincere il Parc a mostrargli l’interfaccia grafica da loro progettata per inserire innovazioni al progetto come nella parte hardware; difatti, il 24 gennaio del 1984, Apple produsse un personal computer: l’Apple Macintosh, compatto e dotato di un nuovo sistema operativo a interfaccia grafica. Purtroppo, però, a causa della concorrenza, le vendite non furono all’altezza delle aspettative che avevano prospettato visto l’innovativo progetto. John Sculley, amministratore delegato, venne immediatamente incolpato da Jobs. Sculley e Steve Jobs iniziarono ad incolparsi a vicenda per il fallimento del nuovo progetto e Sculley costrinse il consiglio d’amministrazione a scegliere tra lui e Jobs. Quando il consiglio si schierò dalla parte di Sculley, il 31 maggio, le autorizzazioni di Jobs vennero distrutte; le cariche di vicepresidente e di direttore generale della divisione Mac gli furono tolte e a settembre diede le dimissioni. Cominciarono così, per Steve Jobs, i viaggi in Europa e in Unione Sovietica per promuovere i computer Apple. Ma il genio dell’informatica non si perse d’animo e si dedicò alla NeXT Computer fondata da lui poco dopo aver lasciato Apple. Dalla Lucas Films (casa di produzione cinematografica con l’obiettivo di realizzare animazioni computerizzate) nel 1986, Jobs acquistò la Pixar. Nel giro di poco tempo, la NeXT riuscì a progettare e a produrre computer tecnologicamente avanzati rispetto a quelli dei suoi rivali (Apple). Nello stesso momento la Pixar era concentrata sulla produzione di lungometraggi al computer e realizzò Toy Story  nel 1995 (primo film d’animazione realizzato interamente in computer grafica 3D). Nel 1996 Jobs venne contattato dalla Apple che aveva bisogno di aggiornare il sistema operativo. La proposta di Steve Jobs fu quella di inserire il sistema operativo della NeXT (NeXTSTEP), chiedendo in cambio che la Apple acquisisse la NeXT. Nel 1997 Jobs ottenne di nuovo la carica di CEO ad interim (senza stipendio ma ricevendo 1 dollaro all’anno)  ottenendo diversi premi di produzione tra i quali un jet privato da 90 milioni di dollari e quasi 30 milioni di dollari in azioni.

Jobs, aveva ormai l’obiettivo di sviluppare applicativi Microsoft Word ed Excel per il sistema operativo della Apple per troncare, una volta per tutte, contrasti legali tra le due società e cercò, quindi, di arrivare ad un accordo con il rivale storico Microsoft. Nello stesso periodo Jobs aprì il primo Apple Store (in breve tempo i punti vendita in tutto il mondo erano 511) e lanciò l’iMac. Poco tempo dopo progettò e realizzò l’iPod, ottenendo grande successo.

Nel 2003 scoprì di essere affetto da una rara forma di tumore maligno al pancreas e dopo 9 mesi, presso lo Stanford University Medical Center in Palo Alto,  venne sottoposto, per la rimozione del cancro, a duodenocefalopancresectomia (intervento chirurgico che consiste nell’asportare la testa del pancreas). Purtroppo, a causa della malattia fu colpito anche dal diabete, pertanto, l’incarico di amministratore delegato passò a Tim Cook per due mesi e per altri sei mesi nel 2009.

Lo smartphone dell’Apple fu prodotto nel 2007: l’iPhone. Per la fine di giugno 2009, Steve Jobs, rientrò alla Apple. Ma solo il 9 settembre tornò sul palco per presentare il rinnovo dell’intera gamma di iPod. Alla conferenza di San Francisco, Jobs, il 27 gennaio del 2010, presentò l’iPad, il primo tablet della Apple.

Uno sguardo alla vita privata di Jobs

Steve Jobs nasce a San Francisco il 24 febbraio del 1955. Appena nato fu subito dato in adozione a Paul Reinhold Jobs e Clara Hagopian (residenti in California). Il bambino venne battezzato ed educato alla fede cristiana luterana. Compì  gli studi presso l’istituto Homestead di Cupertino, in California dove, nel 1972 si diplomò. Conseguito il diploma, Jobs, proseguì gli studi al Reed College di Portland, ma decise di abbandonare poco dopo il primo semestre. Lisa Brennan-Jobs, è la prima  figlia di Steve (con la sua prima fidanzata) con la quale, però, instaurò un rapporto più tardi perché non era inizialmente intenzionato a riconoscerla. Con una cerimonia officiata da un monaco buddhista, Steve Jobs, a marzo del 1991, si sposò con Laurene Powell, con la quale, nel 1991, 1995 e 1998, ha messo al mondo Reed, Erin e Eve.

Jobs, nel gennaio del 2011, chiese un nuovo congedo medico, ma continuò ad occuparsi delle principali questioni strategiche, essendo, però, sostituito da Tim Cook per le questioni di tutti i  giorni. Decise di dimettersi dal ruolo di amministratore delegato di Apple il 24 agosto. Steve Jobs morì all’età di 56 anni in California, nella sua casa il 5 ottobre del 2011.

In questo momento, sdraiato sul letto d’ospedale e ricordando tutta la mia vita, mi rendo conto che tutti i riconoscimenti e le ricchezze di cui andavo così fiero, sono diventati insignificanti davanti alla morte imminente. Nel buio, quando guardo le luci verdi dei macchinari per la respirazione artificiale e sento il brusio dei loro suoni meccanici, riesco a sentire il respiro della morte che si avvicina… Solo adesso ho capito, una volta che accumuli sufficiente denaro per il resto della tua vita, che dobbiamo perseguire altri obiettivi che non sono correlati alla ricchezza. Dovrebbe essere qualcosa di più importante: per esempio le storie d’amore, l’arte, i sogni di quando ero bambino… Non fermarsi a perseguire la ricchezza potrà solo trasformare una persona in un essere contorto, proprio come me.” – Steve Jobs

Alessandra Federico

Morto Ivan Reitman il regista di Ghostbusters

Un grave lutto ha colpito il mondo del cinema per la morte di Ivan Reitman, regista di Ghostbusters. Reitman è morto (mentre dormiva) lo scorso 12 febbraio sera, all’età di settantacinque anni, nella sua casa a Montecito, in California. A comunicare la scomparsa del regista, attraverso un comunicato invitato all’Associated Press, è stata proprio la sua famiglia.

Reitam è noto soprattutto per aver diretto i primi due Ghostbusters e commedie di successo negli anni ‘80 e ‘90. Non solo, film come National Lampoon’s Animal House, Heavy Metal e Space Jam, di cui è stato produttore e da cui ottenne grande fama internazionale.

Ivan Reitman nasce il 27 ottobre del 1946 a Komàmo in Cecoslovacchia (all’epoca) quindi in Slovacchia. Figlio di famiglia ebraica, emigrò in Canada nel 1951. Ivan lavorò in diversi film poco tempo dopo essersi diplomato alla McMaster University, diretti entrambi da David Cronenberg (Il Demone sotto la pelle – 1974 e Rabid – Sete di sangue 1976). Ma è con Animal House (prodotto da Reitman nel 1978) che cominciò per lui il successo. Ancora, l’anno successivo diresse Polpette (1979). Da lì iniziò a produrre diversi film come Stripes – Un plotone di svitati (1981), Ghostbusters – Acchiappafantasmi (1984), I gemelli (1988), Ghostbusters II (1989), Un poliziotto alle elementari (1990), Dave – Presidente per un giorno (1993), Junior (1994), Due padri di troppo (1997), Sei giorni sette notti (1998) e Evolution (2001), Ghostbusters (2016) e Ghostbusters: Legacy (2020). Ma, nei primi anni novanta, Ivan, preferì svolgere il ruolo di produttore e produttore esecutivo, accantonando, solo per quei pochi anni, il lavoro da regista. Iniziò a collaborare al cartone animato Heavy Metal (1981) a Spacehunter: Adventures in the forbidden zone (1983), Beethoven (1992) e  Beethoven 2 (1993),  Space Jam (1996), e anche altri ma riscuotendo, purtroppo, meno successo. Nel 2005 rifiutò un importante incarico in cui avrebbe dovuto dirigere La Pantera Rosa, prequel della celebre saga con Peter Sellers. Il film La mia super ex-ragazza, invece, con Uma Thurman e Luke Wilson, lo diresse nel 2006. L’acclamato regista ha anche recitato nell’ultimo film di Ghostbusters prodotto interamente al femminile; Ghostbusters: Afterlife, dove interpreta Egon Spengler (in sostituzione all’attore Harold Ramis dopo la sua morte avvenuta nel 2014 a causa di una vasculite autoimmune di cui soffriva da tempo). Questo film, uscito nelle sale nel 2016, è stato dedicato proprio a Harold Ramis. Ghostbusters: Afterlife è stato prodotto da Jason Reitman, il figlio del regista. La carriera di Jason inizia nel 2005 con la commedia Thank You For Smoking. Nonostante la sua giovane età, Jason conquista subito il pubblico ottenendo una grande fama, considerato come uno dei migliori registi della sua generazione. Tre anni dopo, Jason, ottiene la sua prima nomination come miglior regista agli Oscar 2008 grazie al suo secondo lungometraggio (Juno, nel 2007) che vince il premio come miglior film al Festival del Cinema di Roma. Anche per il film Tra le nuvole, Jason è stato nominato all’Oscar per il miglior film, miglior regista e miglior sceneggiatore non originale. Il nuovo capitolo della saga Ghostbusters: Afterlife (diretto da Jason Reitman nel 2019) è stato, a causa delle restrizioni di conseguenza alla pandemia per il Covid-19, trasmesso nei cinema a novembre del 2021. A quanto pare, il giovane Reitman, ha ereditato dal padre la grande passione per il cinema e non solo, sembra proprio che sia anch’egli dotato di grande bravura, talento e professionalità. Di fatti, sarà proprio lui a portare avanti la saga di Ghostbusters: Afterlife.

Alessandra Federico

 

Vivere meglio: prosegue il progetto per Napoli

Le associazioni sostenitrici del progetto “Vivere meglio” proseguono con le attività previste nel programma (“Operazione Napoli città pulita” è uno dei programmi di questo progetto). La prima Ecofotopasseggiata dell’anno si è tenuta presso la Chiesa di Sant’Eligio lo scorso sabato 5 marzo. Ad aprire l’evento è stato il dott. Pasquale Capone che, con il racconto della storia della chiesa, ha catturato l’attenzione di tutti i partecipanti presenti, dando loro modo di potersi immedesimare nelle vicende del passato e vivere, anche per qualche ora, i momenti tragici che hanno segnato il destino della città. La giornata si è conclusa, poi, nei pressi della Chiesa del Carmine dopo aver attraversato piazza del Mercato dove, anche di questa meravigliosa piazza, il dott. Capone ne ha raccontato  la storia, mantenendo alta la concentrazione di ogni singolo partecipante ed evidenziando, soprattutto, avvenimenti fondamentali che hanno fatto la storia, come quella della decapitazione di Corradino di Svevia (29 ottobre 1268) in piazza Mercato oltre ben 7 secoli fa (ultimo Imperatore del Sacro Romano impero), i cui resti sono conservati nella Chiesa del Carmine.

Oggi i commercianti rimasti nella piazza e le associazioni locali insieme a quelle del progetto “Vivere meglio”,  stanno programmando una serie di interventi per il suo rilancio culturale e commerciale.

Nel corso della mattinata, successivamente al racconto della storia della chiesa, Raffaele Federico, presidente del CITS, ha illustrato ai partecipanti il progetto “Vivere meglio”, al quale aderiscono più di 30 associazioni tra le quali “Napoli è”. “Scatta e riscatta”, invece, è lo strumento operativo del progetto; utilizza le immagini per denunciare, segnalare, educare, coinvolgere. Questo strumento comprende: attività quotidiane di segnalazioni, Ecofotopasseggiate (visite guidate con foto), Safari fotografico, concorso e mostra fotografica. Il concorso fotografico inizierà il 12 aprile e terminerà il 28 dello stesso mese. Le foto realizzate dai partecipanti saranno esposte in una sala e messe a votazione durante il Maggio dei monumenti. Il prossimo incontro tratterà le Torri Aragonesi in via Marina, tormentato sito storico, luogo per anni abbandonato e divenuto  residenza per senzatetto. L’intervento del Comune, durato alcuni giorni, ha finalmente liberato i fossati da quintali di rifiuti  restituendone il decoro.

Alessandra  Federico

Il 22 marzo si celebra la giornata mondiale dell’acqua

La giornata mondiale dell’acqua si celebra per ricordare lo sfruttamento delle risorse idriche del pianeta. Questo giorno si ricorda sin dal 22 marzo 1992. World Water Day, ossia la giornata mondiale dell’acqua, a seguito della conferenza di Rio, è stata stabilita dall’ONU per il giorno 22 marzo e festeggiata sin dal 1993.

L’importanza di festeggiare questo giorno deriva dal fatto che i dati sulle risorse idriche del pianeta sono alquanto avvilenti; difatti, pare che, già dal 2018, l’ONU abbia lanciato l’allarme riguardo il fabbisogno d’acqua:  i processi di industrializzazione stanno rendendo l’acqua sempre meno disponibile e, purtroppo, questo farà sì che l’acqua corrente aumenti al ritmo costante dell’1% all’anno fino a che, tra almeno 30 anni, si potrebbe avere bisogno del 30% di acqua in più in un pianeta dove in realtà l’acqua diminuisce di volta in volta. La giornata mondiale dell’acqua 2021, ha scelto come tema l’inquinamento delle falde acquifere a causa degli scarichi industriali, avendo come obiettivo quello della diminuzione dell’utilizzo di sostanze chimiche nelle acque reflue.

Secondo quanto riportato dalle statistiche, il 51% della popolazione e il 45% del PIL globale, saranno a rischio idrico e 785 milioni di persone non beneficiano di acqua potabile e 2 miliardi di persone non hanno la possibilità di accedere ai servizi igienici di base. Tutto questo può portare ad una vera catastrofe, motivo per cui l’argomento optato per la Giornata mondiale dell’acqua è “Valorizzazione dell’Acqua”.

“Non possiamo andare avanti come società globale mentre così tante persone vivono senza acqua sicura” afferma l’ONU e continua sostenendo che “l’acqua è un diritto di tutti, qualsiasi sia l’età, il sesso, o la provenienza geografica e sociale. Abbiamo solo altri dodici anni di tempo per riuscire ad ottenere un cambiamento climatico, secondo una grande maggioranza di scienziati. È arrivato il momento di comprendere che non bisogna più sottovalutare il fatto che L’acqua sia un bene prezioso che non deve essere più sprecato”.

A tal proposito, “Operazione Napoli città pulita” (progetto che nasce con l’intento di far riemergere la città) sta già provvedendo per la diminuzione di inquinamento attraverso diversi programmi tra cui il vuoto a buon rendere.

Alessandra Federico

Di là dal mare

L’economia blu del mare nostrum. La ripresa sostenibile premia un canto universale.

“Di là dal mare. Dove piove fortuna, dov’è libertà. E l’acqua è più pura di un canto…”.

I versi toccanti del brano di Massimo Ranieri “Lettera di là dal mare”, presentato all’ultimo Festival di Sanremo, evocano sentimenti importanti, sopiti forse, mai estinti nel gusto dei suoi numerosissimi fan e del pubblico italiano. A quello più adulto negli anni, ancor più nelle comuni radici partenopee, non sarà sfuggita l’associazione con un altro brano, culto nella scuola dei classici napoletani: “Santa Lucia lontana”, scritto nel 1919 da E. A . Mario.

Un testo da brividi quello scritto, per il ritorno del cantattore sul palco del teatro Ariston, da Fabio Illacqua.

Moti ondosi che richiamano lustri di storia e migrazioni di troppi connazionali fra i flutti e i muri d’acqua oceanici. L’interpretazione struggente dello stesso scugnizzo settantenne del Pallonetto (il popolare quartiere partenopeo a Santa Lucia) trasuda l’emozione  vissuta sulla sua pelle a soli tredici anni. Quando, come ha raccontato in più interviste nel dopo festival, trascorse quindici giorni barricato nella cabina del transatlantico Cristoforo Colombo (una ammiraglia della Società di Navigazione Italia, gemella dell’Andrea Doria), a vomitare per raggiungere anche lui l’America, salpando dall’Italia.

Il canto e il mare, la canzone italiana e il Mare Nostrum.

Un rapporto inscindibile nel corso del secolo scorso. Una osmosi, culla del genio artistico culturale al centro del Mediterraneo.

Nel 1987 Eduardo De Crescenzo cantava le proprietà terapeutiche del mare. Capace di indurre una conversione sentimentale nella rotta solipsistica umana:

“L’odore del mare mi calmerà. La mia rabbia diventerà. Amore, amore è l’unica per me.”

“e tutto questo cambiare che amore poi diventerà…”.

Negli stessi anni è Pino Daniele con“Qualcosa arriverà”, a evocare nella presenza ancestrale del mare, un moto di cambiamento: “Voglio ‘o mare, cù ‘e mmura antiche e cchiù carnalea vita ‘o ssaje ce pò fa male
e per sognare poi qualcosa arriverà.”

Senza dimenticare un baluardo del repertorio classico partenopeo come “O’ Marenariello”, scritta nel 1893 da Gennaro Ottaviano, musicata da Salvatore Gambardella.

Resa un culto popolare nel 1992 nella struggente interpretazione del Maestro Roberto Murolo. Accompagnato, nel brano e nell’album che festeggiò i suoi ottanta anni, dall’irripetibile voce di Mia Martini.

L’iconografia sonora del mare non è esclusiva degli autori partenopei, va da sé.

Certamente coinvolge sensibilità di culture diverse, contaminate dal comune orizzonte esteso. Azzurro. Illimitato tra cielo e mare.

“Ed a casa io voglio tornare. Dal mare, dal mare, dal mare.”

I versi di Lucio Dalla in “Itaca” ritornano sul Capitano con gli occhi dal “nobile destino”. Senza rimestare oltre nelle visioni solitarie di “Com’è profondo il mare”, brano scritto interamente da Dalla, che titolò il suo settimo album pubblicato nel 1977.

Emersi dalle memorie oniriche del Maestro Battiato i versi di “Summer on a Solitary Beach”:

Mare voglio annegare. Portami lontano a naufragare. Via via via da queste sponde.
Portami lontano sulle onde.

Un altro autore bolognese, fra i top nella canzone d’autore italiana, uscì nel gennaio del novantadue con il brano “Mare mare”, sempreverde, anche dopo trent’anni:

“Mare, mare, mare sai che ognuno c’ha il suo mare dentro al cuore, sì.
E che ogni tanto gli fa sentire l’onda. Mare, mare, mare.

Ma sai che ognuno c’ha i suoi sogni da inseguire, sì. Per stare a galla e non affondare no, no, yeah, yeah…”.

Un tormentone triste per la ricerca vana di un amore. Il brano scritto da Luca Carboni con Mauro Malavasi, vinse a mani basse il Festivalbar nello stesso anno.

Sino a essere incluso, nell’anno nero della pandemia, dopo un remake nel 2013 inciso con Cesare Cremonini, fra quarantacinque brani più belli della musica italiana.

Secondo il contest radiofonico I Love My Radio.

In questa succinta epopea sonora del Mare Nostrum, non si possono trascurare alcuni pezzi di quella così detta musica leggera. Capace di conquistare l’empatia, il consenso di ampie fasce di pubblico. Pronto a incarnarne il refrain popolare. Legandolo indissolubilmente a stagioni indimenticabili della propria vita.

Ne sa qualcosa Raoul Casadei: con “Ciao Mare”, scritta nel 1973, esplose la febbre del “liscio”. Il suo conio entrò a pieno titolo nel vocabolario italiano. Segnò l’avvio di una prosperosa filiera di successi per l’omonima Orchestra. Lanciati da memorabili edizioni canore ultra popolari: Festivalbar, Festival di Sanremo, Un disco per l’estate.  

Ancora vacanziera e spensierata la Giuni Russo del 1982 con ”Un’estate al mare”:

“Un’estate al mare. Voglia di remare. Fare il bagno al largo.
Per vedere da lontano gli ombrelloni, -oni, -oni.
Un’estate al mare. Stile balneare. Con il salvagente. Per paura di affogare…”.

Il suo più grande successo discografico le fu consegnato ancora dal Maestro conterraneo Franco Battiato. Un tormentone sempreverde intergenerazionale che a distanza di quaranta anni risveglia legittime aspettative ludiche di un’agognata vacanza. Contaminata dai colori estivi del mare.

Di là dal mare, rimane simbiotico il legame musicale del Bel Paese con l’abbrivio della stagione estiva.

Auspici di ripristino della socialità dopo le ultime stagioni azzerate dalla pandemia vedono impegnate al meglio soprattutto le compagnie di trasporto marittimo. Nel tentativo di riordinare i flussi turistici nel Mediterraneo, in particolare nel nostro Tirreno.

Le due maggiori isole italiane si confermano mete importanti per la ripresa del turismo nazionale ed europeo. Gli sforzi su questo ambizioso obiettivo sono imponenti in termini di politiche promozionali e tariffarie. Che incentivano e premiano le prenotazioni estive, proteggendole da revoche dell’ultima ora. Senza dimenticare l’allestimento di nuovi traghetti con nuove linee pronte a servire e rafforzare i collegamenti con la Sardegna.

Tutto questo virtuoso fermento, integrato nel più ampio dibattito del processo di transizione ecologica (per l’introduzione irrevocabile dei nuovi carburanti sostenibili nel rinnovamento delle flotte tradizionali); rischia di essere fagocitato nelle ultime drammatiche evoluzioni della guerra scoppiata con i bombardamenti sul fronte russo ucraino.

Una tragica fase d’incertezza dagli esiti non immaginabili per la continuità della nostra civile convivenza globale. Ancora più folle nell’attuale era post pandemica.

Sarebbe davvero bello poter archiviare questa buia parentesi di orrore e morte che fa tremare l’Europa e il mondo intero con le note felici del 1970, cantate dall’Orietta nazionale:

Fin che la barca va lasciala andare. Fin che la barca va tu non remare. Fin che la barca stai a guardare…”.

Con lo sguardo in alto, per un orizzonte diverso, di là dal mare.

Luigi Coppola

Salvatore Sblando: Dalla stessa parte. Uomini contro la violenza sulle donne 

La questione di genere investe la sfera culturale italiana da tanto. Qual è la specificità del suo intervento?
La questione di genere, è una delle problematiche sociali e culturali che mi stanno più a cuore.
La seguo, mi documento, mi confronto in ogni ambito; da quello lavorativo, a quello del territorio in cui vivo, a quello culturale.
Non è certo l’unica questione e nemmeno la prima. Sicuramente è tra le situazioni che definisco d’emergenza e per le quali ciascuno deve sapere trovare il proprio punto di caduta per sapersi confrontare, crescere e maturare.
L’argomento bruciante del sessismo e della discriminazione di genere è, soventemente, trattato da un punto di vista squisitamente muliebre.
Ebbene, qual è la visione complementare, ovvero maschile del vivere in una società patriarcale e sessista?
Credo fortemente nell’impegno maschile, culturale e sociale, verso questa tematica che riguarda sempre più direttamente l’uomo, in quanto la donna pur se vista ancora e soltanto come figura complementare e non come essere indipendente di una società comunque ancora sessista, sia stata in grado di sapersi emancipare attraverso decenni di battaglie, lotte e rivendicazioni,
Giunto è dunque il tempo per l’uomo di doversi impegnare in questo percorso di crescita umana che passa innegabilmente nel riconoscere la violenza sulle donne, una questione da sapere combattere e sconfiggere, attraverso azioni concrete di lotte e azioni, sociali e culturali.
La polisemia di accezioni (genere linguistico, biologico e sociale) che sviluppa, dimostra quanto la dimensione linguistica emani riecheggiamenti nella maniera in cui si avverte la realtà, si erige l’identità e si calcificano i preconcetti. Reputa che modi di dire, proverbi e battute possano costituire l’anticamera di forme di violenza?
Non sono di certo porte chiuse a queste situazioni; il nostro linguaggio, i modi di dire, le mai apparentemente innocue battute, i proverbi, sono anticipatori fino quasi ad autorizzare certi atteggiamenti, azioni e comportamenti nei confronti delle donne.
Suggerisco la lettura del libro “Razzisti a parole” dove l’autore Federico Faloppa ci racconta e dimostra come si possa essere intolleranti e razzisti verso il diverso, verso l’altro, anche con il linguaggio. Come ad esempio il dare del “tu” ad un immigrato anche se non lo si conosce. O come il classico “Non sono razzista ma…” che tanto ricorda il “Però anche lei vestita in quel modo, un po’ se l’è cercata…”.
Nel mio ruolo di operatore culturale e proprio per dare testimonianza attiva a quanto fin qui detto, ho recentemente curato insieme all’amico scrittore Salvatore Contessini, un’antologia poetica di soli uomini dal titolo “Dalla stessa parte – Uomini contro la violenza sulle donne”, edito dalla casa editrice La Vita Felice.
Un impegno culturale che se da un lato ha visto noi curatori crescere nel confronto e nella visione della questione, ha dovuto scontrarsi durante la fase di ricerca, con alcune dinamiche sociali riguardanti la situazione femminile, che si sono riflesse a modo loro anche in poesia.
Dagli anni ’60 del Novecento il corpo delle donne diviene l’interprete della discussione politica, il movimento femminista esplora i paradigmi ed i ruoli stereotipati delle donne mentre l’azione dei collettivi arricchisce le meditazioni sulla differenza di genere.
Oggidì, il corpo messo al centro del dibattito nella società contemporanea è quello muliebre. Quali forze diverse ed in contrapposizione si combattono su questo campo?
Manca un soggetto forte in questa discussione. La politica è assente. E su questo sono molto crudo e tendente alla condanna di qualunque schieramento.
Se pensiamo infatti che fino al 1981 in Italia (e non dall’altro capo del mondo) era normato nel codice penale il delitto d’onore e che è solo del 2013 una legge contro la violenza sulle donne, allora facciamo presto a capire che molta strada è da fare ancora.
Nulla si è fatto in ambito culturale, nelle scuole, nelle famiglie. E nulla pare si voglia fare, al di là di meri impegni verbali.
La politica risponde con carcere (che arriva sempre dopo che la tragedia si è consumata) e costosi braccialetti elettronici anziché finanziare centri anti-violenza che sempre più si poggiano sull’esclusivo impegno volontario.
Salvatore, l’Antologia dedicata al tema della violenza sulle donne ha stentato a trovare poesie.
Siamo stati consapevoli fin da subito di aver chiesto un “impegno” poetico sui generis.
Avessimo proposto un’antologia poetica d’amore, ne siamo convinti, saremmo stati sommersi dai testi.
Nonostante ciò siamo riusciti a “costruire” un’antologia che rispecchia sia geograficamente che anagraficamente la popolazione maschile italiana.
Ma è stata nostra precisa convinzione, quella di voler chiedere un contributo volto alla costruzione di un cammino che possa andare oltre le celebrazioni di giornate internazionali. Vogliamo poterci confrontare, andare a dibattere a proporre tesi, a scontrarci con antitesi.
Concludo lasciando un ulteriore spunto di riflessione per il lettore; nell’antologia “Dalla stessa parte – Uomini contro la violenza sulle donne” edito da La Vita Felice, è minoritaria la partecipazione di giovani poeti. Ecco, questa scarsa presenza potrebbe essere un buon argomento di discussione.
Salvatore Sblando: sue liriche sono pubblicate in antologie e blog letterari. Le sue pubblicazioni sono state oggetto di segnalazioni in importanti Premi. Membro del Comitato di lettura della casa editrice La Vita Felice, partecipa attivamente a reading e manifestazioni poetiche. Attivo nel panorama letterario torinese, è fondatore dell’Associazione culturale Periferia Letteraria. Fra i curatori di diversi festival letterari, a gennaio 2015 inaugura “Aperipo-Etica”, rassegna di cultura, poesia e letteratura contemporanea. All’interno del proprio LIT(tle) Blog (www.larosainpiu.org) è solito ospitare le migliori voci del panorama poetico italiano.
Pubblicazioni: Due granelli nella clessidra (LietoColle, 2009) giunta alla 2^edizione;
Ogni volta che pronuncio te (La Vita Felice, 2014); Lo strano diario di un tramviere (La Vita Felice, 2020).
Giuseppina Capone

Paris fashion week

Parigi torna protagonista dell’alta moda; le passerelle della capitale francese tornano a brillare grazie alle innovative creazioni della collezione autunno/inverno 2022/2023 che tanti celebri fashion designer stanno presentando durante la Paris Fashion Week. Mentre alla Milano Fashion week sono state sessanta le sfilate, a Parigi saranno solo quarantacinque dal 28 febbraio fino all’8 marzo 2022.

Ad aprire lo Show la collezione finale di Virgil Abloh per il suo OF White. Sorprendente il ritorno delle sorelle Olsen  alla Fashion Week dopo sette anni, con il loro meraviglioso brand The Row. Per Alexander McQueen, invece, la presentazione della sua nuova collezione si terrà il 15 marzo a New York. Un altro  stimatissimo stilista che mostrerà la sua collezione alla sfilata è Guram Gvsalia con il suo marchio VTMNS.

La settimana della moda di Parigi è un evento che nasce nel 1973 (dalla  Fédération Française de la Couture) con l’intento di presentare le nuove collezioni degli stilisti due volte l’anno a Parigi in Francia: la collezione primavera/estate e quella autunno/inverno. Le date delle sfilate vengono stabilite dalla Fédération Française de la Couture, ogni anno.

La prima volta della Paris Fashion Week si è svolta al palazzo di Versailles. Intanto, negli ultimi due anni, la settimana della moda a Parigi è stata presentata nel Carrousel du Louvre e presso il padiglione delle Arti Decorative del più famoso dei musei. In queste sale, prima ancora di ospitare la Fashion Week, si tiene da anni un ulteriore evento di moda: La Mode Habille la Paix, che tradotto significa la moda veste la pace. Durante questo show, infatti, sfilano collezioni di stilisti che aderiscono al progetto African Fashion Gate; si tratta di un progetto per abbattere una volta per tutte i pregiudizi nei confronti delle modelle di colore.

Le altre tre settimane della moda sempre dei Big Four ( quattro eventi ritenuti importanti svolti nelle capitali della moda) sono quelle di Londra, New York e Milano.

Per gli amanti dell’alta moda non resta che seguire l’evento tanto atteso, ma fino dall’inizio della settimana grazie al calendario dello show hanno potuto e possono fantasticare su quali e come saranno le creazioni degli stilisti che più amano e che più li hanno fatti sognare.

Alessandra Federico

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