Flora Fusarelli: Le deboli

Flora Fusarelli è autrice di numerose recensioni di libri, ha curato una collana di classici e varie raccolte di racconti. Con Le deboli si cimenta nel suo primo romanzo.
Marietta, Vincenzina e Annuccia: un caleidoscopio di universi femminili, dissimili quanto ad età ed esperienza esistenziale. Qual tratto le accomuna?
Il tratto principale che le accomuna è di sicuro il loro essere donne oltre che quello di appartenere alla stessa famiglia. Essere donne con una forza che non sanno di avere ma che sapranno tirare fuori al momento giusto.
“I luoghi in cui si nasce, anche se li abbandoni presto, rimangono comunque dentro per tutta la vita”. Quale valore attribuisce all’elemento della “memoria” nel suo romanzo?
La memoria è fondamentale, non sono nel mio romanzo ma in ogni aspetto della nostra vita. Dovremmo ricordare per capire e imparare. Dico in modo quasi qualunquista che senza lo sguardo al passato e alla memoria non potremmo vivere il presente.
Quelle descritte sono di certo donne emblematiche: le loro passioni, le scelte, la debolezza e l’impeto del loro essere, ma anche l’inarrendevolezza e la forza di volontà che le hanno connotate. Quale messaggio ci offrono?
Ad essere sincera nessun messaggio specifico. Forse semplicemente l’idea che ogni persona ha il suo modo di essere, le sue sfaccettature. Ogni persona reagisce alle cose secondo la propria forza e le proprie possibilità.
“Le deboli” ha, evidentemente, richiesto ricerche storiche accurate e meticolose. Quale metodo si è imposta di adottare per trattenere le informazioni e, poi, renderle narrativa?
In realtà la parte storica è piuttosto una cornice, inevitabile, che mi ha permesso di inquadrare la storia in un contesto adeguato. Negli anni ’40, il patriarcato e il fascismo hanno evidenziato degli aspetti già esistenti e nemmeno troppo latenti in relazione alla figura della donna. Non ho seguito metodi e, come sempre quando scrivo, sono andata molto a istinto elaborando informazioni che già avevo.
Le donne sono riuscite ad abbattere con fiera determinazione le gabbie concettuali in cui abbiamo abitato per lungo tempo. Ebbene in cosa si diversifica il punto di vista muliebre?
Nel mio sguardo c’è una diversità di genere che è soltanto quella naturale esistente tra uomo e donna. È per questo che non amo molto parlare di femminismi. Il femminismo è uno soltanto che si può sicuramente scindere creando diverse visioni, ma resta uno e unico ed è soltanto quello che ci appartiene in quanto donne. Quello insito, atavico, ancestrale e profondo.
Giuseppina Capone

Le  “Grandi imprese della storia” una collana per conoscere la storia dell’umanità

Una collana inedita quella del Corriere della Sera che sta portando in edicola da agosto 2021 una serie di monografie dedicate alle grandi imprese compiute da personaggi mossi da “coraggio, ambizione, istinto” e che aprendo i confini del pensiero e dell’orizzonte hanno cambiato la storia del mondo.

Partendo dalla ricerca di Troia che portò Heinrich Schliemann alla scoperta della gloriosa città tanto narrata e cercata con i suoi tesori di arte, ricordo e cultura, le monografie via via ripercorrono, attraverso la storia e la biografia di chi ha condotto l’impresa, la scoperta dell’America di Colombo, le spedizioni verso il Polo Sud di Amundsen. Per proseguire poi con la conquista dello spazio e il primo passo sulla Luna, i viaggi di Marco Polo, gli studi di Darwin,le scalate dell’Everest e del K2, e ancora tanti altri personaggi e tante altre storie che hanno alimentato sogni e fantasie della nostra umanità spesso fortunatamente concretizzatisi.

Alessandra Desideri

Iniziativa editoriale de La Gazzetta dello Sport per conoscere meglio i “Grandi italiani”

30A dicembre 2021 ha preso l’avvio l’iniziativa editoriale de La Gazzetta dello Sport dedicato agli Italiani illustri. Una collana inedita per “per raccontare vite, conquiste e opere degli italiani che hanno cambiato il mondo come nessuno ha mai fatto prima”.

Ha aperto la presenza in edicola la monografia dedicata a Leonardo da Vinci curata dal giornalista, saggista e critico d’arte Andrea Dusio.

Ingegno straordinario Leonardo ha lasciato un segno indelebile non solo come artista,pittore, ma anche come inventore. “I suo saper procede attraverso l’osservazione e lo strumento del disegno”. Un genio planetario la cui estrema attualità è fonte continua di studio.

Il piano competo dell’opera dei Grandi italiani prevede al momento 40 monografie.

Alessandra Desideri

Il rimbalzo incontrollato

Marco Squarcia nel 2014 pubblica L’Attimo in più. A questo si aggiunge nel dicembre 2018, Quasi Grandi altra raccolta di novelle dai Monti Sibillini fino al Mare Adriatico, pubblicato dalle Mezzelane Editore. L’ultimo lavoro è “Ti racconto una storia”, raccolta di storie ambientate nella provincia di Fermo, editato da Simple Edizioni nel Gennaio 2021. Nell’inverno 2021, pubblico il libro “Il rimbalzo incontrollato”.
Jean Paul Sartre scrive: «Il calcio è la metafora della vita».
Questo luogo comune può essere rovesciato in: «La vita è la metafora del calcio»?
Il calcio o nel mio caso il calcio a 5, è vita  a tutti gli effetti. All’interno del gioco ci sono tantissime dinamiche che si ripropongono in altrettanti aspetti della vita di tutti i giorni. Socializzare è già di per sé la prima forzata causa che spinge molta gente a fare sport. E’ vero quel che dice José Mourinho: “Chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio”, perché il gioco del pallone è filosofia, studio, competenza, vittoria  o sconfitta, è vita, per l’appunto in tutta la sua totalità.
Nel Novecento il calcio ha sconfitto i totalitarismi di Hitler e di Stalin. Quale funzione politico-sociale-antropologica assume oggi il football rispetto alla sua esperienza? 
Come descrivo nel mio libro lo sport, più che il calcio io direi, riveste una funzione estremamente importante.  Dopo la famiglia e la scuola, è la terza agenzia educativa di accompagnamento nella crescita dell’uomo. I bambini che praticano regolarmente attività fisica o sport acquisiscono maggior fiducia e maggior autostima verso se stessi. Lo sport è fondamentale anche per l’eliminazione di ogni forma di stress o depressione, aiuta a svagarsi. Il calcio è lo sport più popolare anche perché molto semplice da praticare: un pallone fatto in qualunque modo, anche arrotolando dei fogli di carta e due porte inventate (due aste, due zaini, due secchi…). Questa semplicità secondo me, permette di superare molte barriere. Di qui anche il calcio a 5, ha avuto una notevole importanza per lo sviluppo sociale di tanti ragazzi che hanno visto nelle palestre, un “rifugio” dal fuori che a volte, spaventa.
Il suo racconto lascia intendere che calcio sia il modello cognitivo del controllo e dell’abbandono, sostitutivo del “sistema di sicurezza” della storia del pensiero occidentale. Il calcio come idea di libertà, appunto un rimbalzo incontrollato e pieno di gioia?
Nel mio volume racconto l’avventura di una banda di “folli”, come ci piaceva e piace tutt’ora chiamarci. Il calcio a 5, se va affrontato con i giusti valori, permette a mio avviso, di trovare una grande libertà che ogni persona dovrebbe prima o poi, raggiungere: consapevolezza dei propri mezzi. Questa è una libertà che inibisce, fa diventare grandi e può regalare assolutamente tanti attimi di felicità. D’altronde come cito nel mio libro: “Il libro è scritto pensando alla possibilità che sempre più bambini e ragazzi incontrino allenatori che li facciano innamorare dello sport. La teologa Dorothee Solle rispose a chi le chiedeva, alla luce dei suoi studi teologici e religiosi, come avrebbe spiegato a un bambino il concetto religioso di felicità: “Gli darei una palla e lo farei giocare”. E’ il compito di ogni allenatore: mostrare che anche una palla può regalare brevi ma intensissimi momenti di felicità.”
La Var possiede una pretesa: controllare il gioco ed eliminare l’errore.
Ciò non stride con il carattere “hayekiano” di siffatto sport, che si profila come l’esito delle azioni dei giocatori e non di una volontà pianificatrice calata dall’alto? L’errore non è una variabile da accettare?
L’errore è la variabile per eccellenza dello sport: senza di esso qualsiasi partita finirebbe 0-0. nessuna emozione, nessun sentimento, il nulla. La var che nel futsal non esiste, ha la funzione di regolarizzare non tante l’errore umano del giocatore, quando quello dell’arbitro. Un fallo non visto in area è punibile con un rigore, un fuorigioco che non c’è, può essere rivisto al monitor. Certo il romanticismo dell’imprevedibilità sicuramente viene meno, ma ne guadagna la regolarità del gioco. Personalmente insisto molto sull’errore coi ragazzi giovani che alleno, perché è da lì che si può migliorare, osservandosi. E in allenamento per fortuna, non c’è comunque la var.
Considerati i frequenti fatti di cronaca, anche bui, quale connubio ritiene possa essere stabilito tra sport e civiltà?
Purtroppo gli episodi di violenza o inciviltà, sono uno specchio della società confusa e menefreghista che in parte si è sviluppata. Il problema più grande però, secondo me, sta nell’esempio. La civiltà di una persona nello sport, si misura da come questa accetta ad esempio, la sconfitta. Da come questa non cerchi alibi, non punti il dito, non alzi la voce, ma faccia semmai, autocritica. E invece troppo spesso anche nelle palestre di calcio a 5, si vedono “pseudo allenatori”, essere maleducatori invece che educatori, che dovrebbe essere la primissima obiettivi che dovremmo porci di fronte ad un gruppo di adolescenti. Miglioriamo le conoscenze, miglioriamo il nostro background e comprendiamo il vero valore della sconfitta; solo così accetteremo noi stessi e di conseguenza anche gli altri. Con orgoglio ho inserito episodi simili in cui mi sono trovato in campo, e non solo, nei due anni alla Futsal Fermo. Non un elogio al sottoscritto, ma un racconto di come ho interpretato ciò che mi capitava.
Giuseppina Capone

La  Bibbia dei Piccoli

45 uscite in edicola per raccontare con linguaggio semplice e ricche illustrazioni la Bibbia ai piccoli lettori. Una pubblicazione edita da RBA Italia per far conoscere il vecchio e il nuovo testamento attraverso le più belle storie dei libri della Genesi, dell’Esodo, dei Giudici, di Samuele, di Re e da altri libri. Dal nuovo testamento i piccoli lettori potranno seguire il racconto della vita di Gesù.

Un’interessante iniziativa editoriale dedicata ai bambini da leggere piacevolmente da soli o con gli adulti.

Orsola Grimaldi

L’ultima nota. Musica e musicisti nei lager nazisti

Roberto Franchini è giornalista, scrittore e saggista, si occupa da anni di storia della musica. È stato direttore dell’Agenzia di informazione e comunicazione della Regione Emilia-Romagna, presidente della Fondazione Collegio San Carlo di Modena e del Festival filosofia.
Pare surreale che ad Auschwitz, Terezin, Buchenwald e Dachau risuonassero note; eppure, anche i campi di sterminio nazisti possedevano una loro colonna sonora.  
Quali scopi ha potuto ravvedere nella produzione musicale all’interno dei lager?
Occorre distinguere tra produzione musicale volontaria dei prigionieri e “musica obbligata”. I brani eseguiti dalle bande davanti ai cancelli, quando i prigionieri uscivano la mattina per andare al lavoro e quando rientravano, erano una sofferenza psicologica sia per chi li eseguiva e, soprattutto, per chi era costretto ad ascoltarli. La musica scandiva la giornata, i tempi di lavoro e i momenti della vita nei lager: la musica era funzionale alla organizzazione dei lager, modellati in parte sul sistema militare e in parte su quello burocratico tedeschi.
In alcuni lager, come Terezin per esempio, vennero reclusi anche compositori importanti, che non smisero di comporre e di presentare la loro musica, come Victor Ullmann, Pavel Haas e Hans Krasa. Nei lager vennero composte canti di resistenza e canzoni che esprimevano dolore, angoscia, smarrimento.
Le SS imponevano ai prigionieri di accompagnare le torture, le marce verso il lavoro o le camere a gas con brani strumentali. Per quale ragione?
Dal punto di vista pratico la musica copriva le urla dei torturati e il rumore delle pallottole con le quali le guardie mettevano fine alla vita di chi aveva tentato di fuggire o di chi si era ribellato. Allo stesso tempo, la musica aumentava la paura e il dolore di chi era imprigionato.
Lei scrive “Quello che veniva chiamato il modello Dachau comprendeva l’uso degli altoparlanti e della musica come strumenti di propaganda”. E’ verosimile ipotizzare che la musica avesse lo scopo di affermare, ulteriormente, la forza e la sicurezza del regime nazista?
Direi che è non solo verosimile ma anche certo. Dagli altoparlanti i nazisti diffondevano musiche militari, brani patriottici e i discorsi di Hitler, in particolare in occasione dei congressi del partito.
Undici trascinanti capitoli per non dimenticare. Da quali personalità erano costituite orchestre e complessi?
Nei lager nazisti vennero formate bande musicali, vere e proprie orchestre sinfoniche, jazz band, orchestrine per il cabaret, cori di ogni genere. Anche se, talvolta, quelle formazioni musicali si avvalevano di musicisti dilettanti, in molti casi ebbero l’opportunità di aggregare musicisti professionisti e di buon valore. Gli artisti del cabaret di Westerbork erano alcuni dei migliori professionisti tedeschi, i jazzisti di Terezin erano trombettisti o chitarristi di buon livello dell’Europa centrale, in particolare cechi. Ad Auschwitz o a Terezin vennero reclusi pianiste di notevole livello, l’orchestra femminile di Birkenau, unica nel suo genere, venne diretta da Alma Rosè, violinista viennese brillante e di notevole fama.
L’Arte come forma di resistenza?
Questa è la domanda alla quale è più difficile rispondere, forse impossibile. I canti composti dai prigionieri politici dal 1933 fino allo scoppio della guerra erano quasi sempre canti di resistenza: alla musica veniva affidato il compito di esprimere la volontà di ,lottare fino alla liberazione, al ritorno a casa, al recupero di una vita normale, per quanto possibile. Anche alcuni testi del cabaret di Westerbork e le composizioni più complesse di Terezin celavano critiche al nazismo e a Hitler ma anche squarci di speranza.
La musica era lo strumento che i musicisti utilizzavano per mantenere in vita la speranza, via necessaria per non morire psicologicamente prima della morte fisica. Anche se poi, al momento di tirare le somme, erano i comandanti nazisti che avevano nelle loro mani il potere di decidere chi spedire a morire nelle camere a gas di Auschwitz o di Treblinka.
Giuseppina Capone

La mitologia raccontata ai bambini

“Mitologia per bambini”, protagonisti gli eroi della mitologia greca e romana: Ercole con le sue fatiche, la guerra di Troia, il labirinto del Minotauro, Ulisse e le sue avventure, e tanti altri miti in grado sempre di affascinare bambini ed adulti.

La collana di libri illustrati proposta in edicola da Hachette si compone di 70 uscite con cadenza settimanale e con la mitologia “apre le porte di un mondo di fantasia e di avventure”.

Un articolato e piacevole viaggio per conoscere le origini della nostra cultura.

Antonio Desideri

Lutto per il mondo del cinema: Gaspard Ulliel muore in un incidente sugli sci

Il mondo del cinema è sconvolto per  la morte di Gaspard Ulliel. Erano le quattro del pomeriggio quando, lo scorso diciannove gennaio, l’attore francese Gaspard Ulliel (trentasette anni) è morto a causa di un incidente durante una sessione di sci sulle piste di Rosières nel Sud-est della Francia. Le sue condizioni, secondo quanto riportato dal canale tv BFMTV, erano evidentemente gravi già dal momento in cui è stato portato in elicottero presso l’ospedale universitario di Grenoble. Tuttavia potremo, ancora una volta, vedere Gaspard in Tv su Disney+ dal 30 marzo; avevano recentemente terminato le riprese della nuova serie Marvel Moon Knight in cui Ulliel indossa i panni di Midnight Man (antagonista). Il primo film in cui Ulliel recita la sua prima parte risale al 1999 – Alias (un cortometraggio Alias). Dopo aver recitato in diversi telefilm come “Juliette e Julien L’apprenti”. Ma la sua prima esperienza nel mondo del cinema è stato durante il periodo del liceo quando partecipò alla serie televisiva “Une femme en blanc”. In seguito decise di studiare cinematografia presso l’Università di Saint-Denis.

Raggiunse la fama quando, nel 2007, interpretò il ruolo del criminologo cannibale nel film “Hannibal Lecter – Le origini del male”. Ancora, l’anno dopo recitò nel film “Una diga sul Pacifico”. Nel 2014 interpretò l’illustre stilista Yves Saint Laurent nel film “Saint Laurent”, ricevendo il premio César come migliore attore protagonista. Mentre nel 2016, grazie alla sua eccellente interpretazione nel film “E’ solo la fine del mondo” (diretto da Xavier Dolan) vinse ancora una volta il premio César come migliore attore protagonista. Ulliel non è stato solo un memorabile attore. E’ stato, per dodici anni, modello protagonista della campagna pubblicitaria del profumo maschile Bleu de Chanel, diretta da Martin Scozzese.

La vita privata

Gaspard nasce il venticinque novembre del 1984 in Francia a Bulogne-Billancourt. Sua sorella si chiama Elizabeth Camille Ulliel e i loro genitori sono entrambi stilisti di moda. Indefinibile e impossibile descrivere il dolore che in questo momento stanno provando i suoi familiari. Nella sua vita, Ulliel, ha avuto diverse storie affettive: Cécile Cassel fu il suo primo amore (dal 2005 al 2007) . Sempre nel 2007 la sua compagna è stata Charlotte Casiraghi. Mentre dal 2008 al 2013 pare sia stato molto legato sentimentalmente alla modella Jordan Crasselle. Da fine anno 2013,  invece,  fino alla sua scomparsa, è stato fidanzato con la modella Gaelle Pietri, con la quale ha avuto un bambino nel 2016. Sin da piccolo Gaspard ha amato gli animali, lo dimostrava la cicatrice che aveva in volto; morso di un cane con il quale giocava quando aveva 6 anni. Tanti sono stati i film in cui Ulliel ha recitato: “Il patto dei lupi” (2001), “Baciate chi vi pare” (2002), “The tulse Luper Suitcases” (2004), “Una lunga domenica di passioni” (2004), “Le Dernier Jour” (2004), “La maison de Nina” (2005), “Paris je t’aime” (2006), “L’inconnu” (2007), “La legge del crimine” (2009), “La princesse de Montpensier” (2010), “L’art d’aimer” (2011), “Le 5 leggende” (2012), “E’ solo la fine del mondo” (2016), “Io danzerò” (2016), “Eva” (2018), “I confini del mondo” (2018), “Sybil” (2019).

Per la famiglia Ulliel è, immancabilmente, un momento di immensa sofferenza, ma non solo, anche per il mondo del cinema è stata una grande sconfitta quella di perdere uno degli attori più preziosi del cinema francese.

Alessandra Federico

Firenze: tassista aggredisce una giovane donna, per ora sospensione della licenza

E’ diventato istantaneamente  virale sui social network il video girato da un passante  a Firenze  la notte tra il 13 e il 14 gennaio. Nel video appare in modo chiaro la reazione violenta del tassista fiorentino (53enne) contro una giovane turista 33enne di origine americana: un calcio e poi uno schiaffo forte.  La motivazione sarebbe, secondo la giustificazione del 53enne, l’assurda pretesa della turista di ottenere un prezzo più basso sulla corsa. Una pattuglia della polizia è arrivata poco dopo in via Tornabuoni in seguito alla richiesta della turista, fatta alle persone presenti, di chiamare subito la polizia alla quale la ragazza ha raccontato che la lite era iniziata quando i due erano in automobile e che il tassista le avrebbe sputato in viso dopo aver spaccato con tanta violenza il divisore Anti- Covid.

“Senza riserve il comportamento del collega, qualunque siano gli accadimenti in precedenza occorsi” sono state queste le severe parole dei membri della società cooperativa tassisti dopo essere venuti al corrente del video.  “Pur comprendendo lo stato di frustrazione del collega, tra crisi lavorativa e la gravità dei fatti subìti l’altra notte, non possiamo che condannarne la reazione, sia come cittadino che come esercente di un pubblico servizio, ricordandogli che soprattutto chi lavora la notte, questi fatti li subisce con drammatica frequenza, ma senza scadere in reazioni di quel tipo” dichiara uritaxi.   Mentre il Comune di Firenze ha già preso provvedimenti: “pur in attesa delle procedure di accertamento dei fatti da parte delle autorità, ha già attivato i propri uffici competenti in materia di taxi ed ha convocato d’urgenza la commissione comunale taxi per esaminare l’accaduto e adottare i necessari provvedimenti”.  Per adesso è stata disposta l’immediata sospensione della licenza del tassista in attesa della riunione della commissione che è stata convocata per il prossimo mercoledì 19 gennaio. Mentre il sindaco di Firenze  Dario Nardella ha annunciato che la questione è stata segnalata al Questore del capoluogo toscano e che si aspetta un’indagine approfondita e una pena esemplare per il tassista non degno di svolgere un servizio pubblico. “Questa non è Firenze” ha scritto poi su twitter Nardella, definendo la vicenda inaudita e deprecabile. Intanto la giovane donna ha evitato per ora la denuncia ma ha  raccontato  la vicenda sui social network descrivendo Firenze come una città poco sicura, ha inoltre lanciato un appello per fermare la violenza sulle donne.

Alessandra Federico

Fotografia sociale: il primo fotografo sociologo

La fotografia è un vero e proprio mezzo di comunicazione. Il  messaggio che si può inviare tramite una fotografia può variare a seconda dell’obiettivo che si prefigge e, di conseguenza, il suo valore si valuta attraverso l’informazione che fornisce a coloro che la osservano. La fotografia sociale, ad esempio, si concentra non solo sulla ricerca di un’immagine perfetta dal punto di vista tecnico ma la sua priorità è dare spazio al tema sociale; la peculiarità della fotografia sociale (che si impone l’obiettivo di raccontare), quindi, è la ricerca tra estetica, stile personale, racconto, e, soprattutto, documentazione. Difatti, la fotografia sociale, viene utilizzata per raccontare storie di persone che spesso vengono trascurate ed è proprio attraverso quest’ultima che gli osservatori sono invogliati ad iniziare un cambiamento sociale. In sostanza, questo tipo di fotografia si impone, come requisito fondamentale, la ricerca di una verità e di un’obiettività, mediante l’uso dell’immagine soprattutto riguardo le realtà sociali e critiche che la maggior parte delle volte si preferisce ignorare. La prima fotografia sociale fu scattata la Lewis Hine.

 La prima fotografia sociale

“Se sapessi raccontare una storia con le parole, non avrei bisogno di trascinarmi dietro una macchina fotografica”  Lewis Hine

L’intento di Hine, infatti, era proprio quello di raccontare, attraverso la fotografia,  storie che a parole non si riuscivano a descrivere e che venivano, quindi, prese poco in considerazione. Lewis W.Hine nacque a Oshkosh (Wisconsin) nel 1874. Era figlio di un’insegnante e di un veterano della guerra civile. Quest’ultimo perse la vita nel 1892 e Hine fu costretto a prendersi cura della sua famiglia sin da quando era molto giovane, iniziando a lavorare in una fabbrica di tappezziere per mobili e guadagnando poco più di 4 dollari alla settimana, eseguendo 13 ore di lavoro al giorno. In seguito lavorò in una compagnia di filtri per l’acqua e in banca poi. Solo nel 1900 e dopo enormi sacrifici, riuscì finalmente a frequentare l’Università di Chicago seguendo la facoltà di Scienze dell’Educazione. Continuò gli studi presso la New York University e la Columbia.

Hine fu il primo fotografo capace di dare un’importanza ulteriore alla fotografia utilizzandola  per promuovere nuove riforme sociali, come ad esempio mandare informazioni riguardo il lavoro minorile.

Dopo la laurea ottenne il ruolo di insegnante di Sociologia presso la Ethical Culture School di New York e da lì a poco iniziò a realizzare i suoi primi reportage, mirati principalmente sulle grandi città come New York.

Hine credeva che l’educazione fosse un ottimo strumento di trasformazione sociale, anche se non bastava per comprendere a fondo ciò che stava succedendo. Decise così di accompagnare l’insegnamento con la fotografia in modo da orientare i giovani verso una consapevole percezione della realtà. Sentiva il bisogno di dare valore al tema dell’immigrazione dell’America del primo Novecento, optando per la fotografia come  unico mezzo efficace per far essere tutti al corrente di ciò che stava avvenendo. Nacque così il reportage ad Ellis Island. Tantissimi erano gli immigrati che raggiungevano New York nel primo decennio del Novecento. Così, insieme ai suoi alunni, Hine decise di attraversare le strade dell’isolotto newyorkese, il principale punto d’ingresso per gli immigranti che sbarcavano negli Stati Uniti. E attraverso la fotografia, Hine, racconta lo stile di vita degli immigrati, ritraendo queste persone durante le ore di lavoro (sottopagate) persino nelle loro baracche poco pulite, umide e senza luce. Nel 1908, il National Child Labor Committee (NCLC) gli commissiona  un’inchiesta sul lavoro minorile. Decide di dedicarsi del tutto alla fotografia. Il lavoro minorile, nel primo Novecento, era considerato normale in America, ma per Hine non era assolutamente accettabile. Intraprese così lunghi viaggi, (percorrendo oltre ottantamila chilomentri, tra Florida e Chicago) della durata di 10 lunghi anni, per documentare le condizioni lavorative dei bambini nelle miniere, nelle piantagioni e nelle fabbriche.

Le foto di Hine ritraggono bambini che lavorano, con vestiti consumati e sporchi, le lacrime agli occhi e i volti stanchi, nelle industrie, per strada, nelle campagne, e nelle miniere. Per riuscire a documentare le condizioni di questi bambini, però, era costretto a fingersi fotografo industriale o un venditore di bibbie; chi gestiva le miniere o le fabbriche voleva tenere nascosto il lavoro minorile.

Fotografie che hanno girato il mondo intero quelle di Lewis Hine con l’intento di dare voce a chi la voce era stata rubata, per far conoscere la cruda e triste realtà che si ignorava o di cui addirittura non si era a conoscenza.

Le fotografie di Hine sono state fondamentali per scoprire tante crude realtà e riuscire in tempo a soccorrere tante persone in difficoltà, sono state, le fotografie di Lewis, di grande contributo ai fini dell’abolizione del lavoro minorile nel 1916.

“Poeta della fotografia” così è stato definito Lewis Hine  grazie alla sua grande facoltà di comunicare l’animo di un critico tempo storico.

Alessandra Federico

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