Marianna Napolitano è la nuova presidente del Lions Club Nola Host “Giordano Bruno”

Un passaggio della campana tutto al femminile quello che il 5 luglio ha visto passare la leadership del Lions Club Nola Host “Giordano Bruno” da Maria Ferrante a Marianna Napolitano.

Marianna Napolitano, informatrice scientifica del farmaco, appassionata di arte ed attenta esteta, contraddistinta  da spirito di servizio e di solidarietà, si dedica ad opere benefiche a sostegno dei bisognosi, svolgendo attività di volontariato presso le associazioni caritatevoli di cui fa parte, come il Sovrano Militare Ordine di Malta, la Croce Rossa Italiana, l’Ordine Costantiniano di San Giorgio e la Caritas locale.

Alla neo-presidente abbiamo posto alcune domande per conoscere le iniziative più rilevanti che porterà avanti nel suo anno sociale.

Un passaggio della campana tutto al femminile quello del Lions Club Nola Host “Giordano Bruno”…

Sì, il 5 luglio scorso, la past presidente, Maria Ferrante, mi ha passato il testimone per questo nuovo anno sociale2024/2025. Per me è un grande onore ed una grande responsabilità essere stata scelta dai soci quale 34esima presidente di questo Club così prestigioso.

La mia presenza sarà in continuità con la sua, sperando almeno di eguagliare i traguardi del suo anno sociale, così ricco di attività e service, che hanno dato tanta visibilità e riconoscimenti al nostro Club. Voglio ricordare che, anche per il prossimo anno, il Club avrà come presidente una donna, la nostra socia Giovanna Sepe. A dimostrazione di come sia stato apprezzato e riconosciuto il nostro impegno nelle iniziative messe in campo.

Negli ultimi anni la presenza delle donne nei Lions è in continuo aumento. Auspico che anche il nostro Club possa, nei prossimi anni, arricchirsi della componente femminile. Attualmente su 45 soci, 10 sono donne. Il presidente è il biglietto da visita del Club e rappresenta tutti i soci. Credo che il valore aggiunto delle donne nelle associazioni rappresenti il motore di una cultura associativa di pari opportunità e strumento di crescita e benessere di tutte e tutti.

Per lei cosa significa essere Lions?

LIONS è l’acronimo di Liberty Intelligence Our Nations Safety (Libertà Conoscenza Soccorso alle nostre nazioni). Il nostro motto è il WE SERVE. Le radici dei Lions si fondano sugli scopi ed i principi dell’etica lionistica e lo strumento che abbiamo per raggiungerli è rappresentato dai service. Ciò che mi contraddistingue è un forte senso del servizio, che ha sempre accompagnato la mia crescita umana e la mia educazione familiare, grazie agli esempi dei miei genitori. Per questo credo sia fondamentale mettere questo bagaglio personale a servizio dei Lions.

Il legame con l’associazione viene da lontano ed è molto consolidato, in quanto mio padre è uno dei soci storici del Lions Club Nola Host “Giordano Bruno”.

Melvin Jones diceva “Non si può andare lontani, finché non si fa qualcosa per qualcun altro”.

Il Club è una realtà molto attiva sul territorio nolano…

Il Club opera sul territorio e per il territorio da 34 anni, sempre guidato dallo spirito di servizio verso gli altri e spirito di aggregazione e fratellanza tra i soci. Un Club storico che ha avuto sempre grande considerazione nel Distretto 108 YA. Di questo bisogna ringraziare i tanti soci che con impegno e dedizione rappresentano un punto di riferimento per tutti noi.

Negli anni tante sono state le iniziative ed i service che ci hanno visti protagonisti. Ricordo uno su tutti “Nola città cardioprotetta”, progetto iniziato nell’anno sociale di Nello Manzi, con cui sono stati donati 7 defibrillatori alla città di Nola, dimostrando l’importanza dei presidi salvavita nei luoghi pubblici. Ciò sottolinea come le nostre azioni sono concrete e finalizzate al bene comune.

Qual è il programma del suo anno sociale?

Come ho ricordato prima, siamo 45 soci con importanti attitudini e capacità professionali nel proprio ambito. Poiché il nostro obiettivo è servire il territorio, è fondamentale la partecipazione e la collaborazione di tutti.

Quest’anno vorrei coinvolgere in alcune attività anche le mogli dei soci, che rappresentano una grande risorsa.

Inoltre continueremo a collaborare in sinergia con gli enti e le istituzioni locali, sempre pronti a supportare le nostre richieste, con le associazioni del territorio a partire dal Leo Club G. Bruno, che festeggia i 30 anni, i Lions Club della nostra zona, il Rotary Nola-Pomigliano, la Mondadori Nola, il Premio Cimitile, la Fondazione La Rocca, il Liceo Carducci di Nola, di cui ricorrono i 90 anni, la CRI, il FAI Nola.

Mi è stato chiesto quale sarà il tema che caratterizzerà la mia presidenza. Una cosa semplice e scontata per me. Una frase che mi accompagna sempre è “La bellezza salverà il mondo”. La bellezza però va oltre l’estetica. C’è la bellezza delle opere umane, della solidarietà, dell’altruismo, della fratellanza, della condivisione, delle nostre azioni associative.

Il tema che ho scelto è “La bellezza del servizio”.

Oltre ai tanti service storici e nuovi che ci vedranno coinvolti organizzeremo per i soci visite culturali in luoghi di interesse storico, come momento di crescita associativa e per consolidare i rapporti di amicizia.

Quali sono i principali service che porterete avanti nei prossimi mesi?

I service sono gli strumenti che abbiamo per realizzare gli scopi lionistici. Per organizzarli al meglio istituiremo delle Commissioni interne che vedranno coinvolte tutte le professionalità del nostro Club.

Commissione “Poster per la Pace”, che si occuperà di questo importante e storico service, al quale mi sono dedicata per tanti anni e che riscuote sempre grande successo nelle scuole del territorio, grazie anche alla disponibilità dei dirigenti scolastici. Altro service di cui ci occuperemo sarà il “Premio Roberto De Lucia”.

Commissione Sanità: la presenza di tanti medici tra i nostri soci ci consentirà di organizzare giornate di screening e visite gratuite ed anche convegni ed incontri su specifici argomenti di interesse medico scientifico. Trai nostri obiettivi anche quello di garantire gratuitamente corsi di Primo Soccorso di BLSD.

Commissione Disabilità: anche quest’anno il tema del service sarà di grande attualità e verrà trattato da esperti a 360°.

Commissione Fondazione Club UNESCO.

Inoltre ricordo il service per la Raccolta occhiali usati, la giornata del Banco alimentare, il service Eccellenze del Territorio, il Concerto di Natale ed il concerto di musica classica. A questi si aggiungeranno altre iniziative ed eventi. Chiudo augurando un buon anno sociale a tutti.

Antonio Desideri

Immagini, immagini, immagini

Il nuovo numero di FOTOIT (luglio/agosto) rivista della FIAF (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche) presenta al suo pubblico numerosi eventi e mostre di fotografia un po’ in tutta Italia e un resoconto del 76° congresso Nazionale tenutosi ad Alba lo scorso maggio, un evento associativo ricco di iniziative e che ha visto per la Campania l’elezione a consigliere nazionale di Francesco Soranno, presidente del Circolo Flegrea Photo.

Spazio anche al Festival della Fotografia Italiana inaugurato a Bibbiena nel fine settimana dal 14 al 16 giugno e che resterà aperto fino al 6 ottobre.

Domenico Notarangelo è il protagonista della sezione Autori con la sue immagini legate al filone della fotografia documentaristica con una particolare attenzione per le classi meno abbienti e per il Sud Italia.

Portfolio Italia 2023 è dedicato a Nicolò Varrella con il suggestivo titolo “Ab Acqua”, portfolio primo classificato al 24° FotoConfronti di Bibbiena e a Veronica Lai con il portfolio “L’Accabadora” classificatasi seconda allo stesso evento.

Marco Introini, selezionato tra i 20 fotografi di architettura con maggiore influenza dell’ultimo decennio,  parla in un’intervista del concetto di paesaggio e di architettura nella fotografia e nel suo fare fotografia.

Per “Visti per Voi” protagonisti  Federico Garolla con la mostra monografica “Gente d’Italia. Fotografie 1948 – 1968” curata da Uliano Lucas e Tatiana Agliani e la 60ma edizione della Biennale di Venezia aperta fino al 24 novembre 2024 che vede in mostra “Foreigns Everywhere/Stranieri Ovunque curato dal brasiliano Alessandro Pedrosa.

Raul Iacometti presenta “Mino e Gabry, alcuni di noi” con un’immagine di forte significato emotivo.

La 12ma edizione di Wiki Loves Monuments  concorso nazionale organizzato da Wikimedia Italia ha visto la partnership della FIAF.

Antonio Desideri

Ischia protagonista del XXVII Triangolo d’Oro – XXII Ischia in Rosso l’evento del Classic Car Club Napoli

Bellissime auto d’epoca sono state protagoniste a Ischia di uno spettacolare incontro dal 22 al 29 luglio per il XXVII Triangolo d’Oro – XXII Ischia in Rosso riscuotendo l’apprezzamento dei partecipanti, dei residenti e dei turisti presenti sull’Isola Verde.

Venticinque le vetture della carovana del Classic Car Club Napoli che sono state “ammirate” durante le escursioni e le mostre statiche che si sono tenute nel corso dell’evento.

Ischia Ponte, Sant’Angelo, Forio, Serrara Fontana, Lacco Ameno, Casamicciola sono stati i comuni dove i partecipanti del XXVII Triangolo d’Oro hanno fatto tappa riscuotendo ovunque particolare interesse.

L’evento è ormai diventato un appuntamento nel panorama internazionale di un mondo, quello delle auto d’epoca, che appassiona grandi e piccoli, “capace di rinnovarsi ad ogni edizione regalando sempre nuove emozioni ai partecipanti” come hanno evidenziato gli organizzatori.

Hanno partecipato numerose vetture storiche fra le quali la Porsche 356 A Speedster, la Fiat Topolino, l’Alfa Romeo Duetto ed una young timer Chevrolette Corvette, “mentre è stata sfida fra le supercar con le Ferrari in evidenza contrastate da Porsche storiche e moderne”.La prova di abilità tenutasi sul corso Rizzoli a Lacco Ameno ha visto la partecipazione delromano Fabio De Luca su Porsche 356 Speedster, reduce dalla 1000 miglia, che ha preceduto la Ferrari California del perugino Luigi Rossetti e all’Alfa Romeo Duetto Junior di Tonuccio Di Gioia, sannita e primo dei driver campani al traguardo.La classifica Femminile ha evidenziato il successo di Laura Cocozza, su Mariarosaria Cannella, Kyoto Mino, Mariarosaria Cocozza e Imane Rachid, tutte alla guida di Porsche.

“Avevamo timore per il cambio di location forzato – racconta Giuseppe Cannella, presidente del Classic Car Club Napoli – ed invece tutto è andato per il meglio, raccogliendo pareri favorevoli da parte dei partecipanti”.

Gli organizzatori si stanno preparando alla “3 Mari del Sud” che “quest’anno – affermano – è nostra intenzione allungare a 4 giorni e con un percorso, attraverso l’Italia meridionale, di ben 1000 miglia, alla scoperta degli angoli più suggestivi delle nostre regioni”.

Antonio Desideri

Il patrimonio di Napoli e della Campania: Il Bosco dei Camaldoli

In un precedente articolo abbiamo parlato del Real Bosco di Capodimonte definendolo  il parco del Re, in quanto voluto dal re Borbone  quale  luogo di svago e di caccia, il Parco urbano dei Camaldoli è, invece, il bosco repubblicano, realizzato in seguito alle lotte condotte dalla metà degli Anni ‘70 da cittadini ed associazioni ambientaliste che sono riusciti a strapparlo dal degrado e dalla erosione della lottizzazione  abusiva, dalle frane  e dalle antenne per restituirlo alla collettività.

Il Parco fu istituito nel 1981 ed il Comune, utilizzando fondi della Cassa del Mezzogiorno,  riuscì ad espropriare alcuni appezzamenti di terreno e a realizzare in quasi quindici anni recinzioni, ad installare attrezzature e ultimare i lavori di sentieristica principale.

L’anfiteatro che si affaccia sul golfo fu inaugurato nel 2007 con due ingressi per il pubblico (via dell’Eremo e viale Rai). Nel 2010 fu infine aperto al pubblico un terzo ingresso   su via Camaldolilli.

Il Bosco dei Camaldoli si trova a 400 metri sul livello del mare, sul punto più alto della città di Napoli e si estende per circa 135 ettari e rappresenta una continua scoperta di biodiversità, un luogo dove si intrecciano combinazioni perfette di specie arboree impiantate con specie spontanee.

Il Parco esiste, ma negli anni la difficoltà della sua gestione ne ha messo a rischio  continuamente la sopravvivenza. Nel 2016 è stato chiuso al pubblico a causa della mancanza di fondi per la riqualificazione e la necessaria manutenzione ed ora è abbandonato e chiuso e con il pericolo di vandalizzazioni, d’incendi e di frane potrebbe mettere anche a rischio la sicurezza dei territori circostanti.

Solo alcune associazioni ambientaliste se ne stanno prendendo cura, ma non è sufficiente per coprire un’area così vasta che risulta essere di competenza  tecnica del Comune di Napoli  e amministrativamente della Regione Campania.

Nel 2020 è stato pubblicato il bando per la sua riqualificazione, ma ancora oggi i cittadini restano in attesa di vedere quei lavori necessari che restituiscano alla città uno dei suoi importanti  polmoni verdi indispensabile per la vita  e confidano che si possa finalmente chiudere  una pagina non certo felice del destino del verde della città.

Alessandra Federico

Figli di pancia, figli di cuore

Un titolo forte, che rende immediatamente percepibile il contenuto del libro di Anna Genni Miliotti arricchito dalle belle illustrazioni di Susanna Fierli.

Un atto di amore nei confronti di quelle figlie e di quei figli di pancia e di cuore che come sottolinea Camilla Melegari, presidente del Centro Adozioni La Maloca “con le loro storie ci aprono mondi diversi, complessi e semplici allo stesso tempo, mondi d’amore”.

Il volume ha consentito di far vivere con la sua autrice una giornata di riflessione “su quanto succede nelle emozioni e nei sentimenti di tutti i componenti delle famiglie adottive sia prima che dopo l’adozione e di capire quanto sia importante parlarne e confrontarsi anche utilizzando lo spunto di racconti”.

E questo è un libro di racconti e storie, da poter utilizzare anche nelle scuole, per aiutare “nella crescita e nella conoscenza delle diversità, delle tante unicità di cui è composto il mondo in cui vivono” i bambini e le bambine.

Sfogliando le pagine incontriamo Sofia e Fatimah, Irina, Andràs e Max, Yeman, Juan David, le loro storie, le loro origini e tradizioni, le loro speranze e aspettative nelle nuove famiglie.

Un libro che affronta in maniera adatta anche ai più piccoli il tema delicato dell’adozione, consentendo loro di poter comprendere e apprezzare le diversità non solo fisiche, ma anche linguistiche, culturali ed esperenziali di altre bambine e altri bambini come loro che hanno trovato una nuova casa e una nuova famiglia in cui vivere e crescere.

Antonio Desideri

Luciano Bovina, autore dell’anno FIAF 2024

FOTOIT, la rivista ufficiale della FIAF (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche) presenta in copertina, nel numero di giugno, l’autore dell’anno FIAF 2024 Luciano Bovina al quale  dedica a cura di Silvano Bicocchi una interessante intervista che presenta il fotografo partendo dai suoi inizi negli anni del collegio.

Lunga, interessante e complessa la sua esperienza fotografica sviluppata prima nella Marina militare, durante il servizio di leva, per poi specializzarsi sempre di più grazie a importanti collaborazioni per arrivare alla Formula1.

La sua capacità di cogliere attimi e di immortalarli negli scatti fotografici consente al pubblico di appassionati ed esperti di fotografia di poter vivere le situazioni quasi immergendosi nelle immagini stesse. Non solo, la grande apertura mentale, la curiosità e l’umanità fanno di Luciano Bovina un fotografo di grande spessore il cui lavoro e la tecnica fotografica possono essere approfonditi duranti gli incontri Autore dell’anno FIAF 2024 con i Circoli appartenenti alla Federazione.

Antonio Desideri

Annalisa Di Nuzzo: Etnografie Letterarie e Migrazioni: Scritture di Donne Migranti

Donne impegnate nel mondo accademico, nell’associazionismo, nelle professioni, nell’attività imprenditoriale. Donne affatto ignare di Dante, Shakespeare, Ionesco.

Perché, a suo avviso, lo stereotipo della badante rozza e priva di cultura stenta a morire? 

Mi occupo antropologia delle migrazioni in particolare di migrazioni femminili da circa vent’anni ho visto la trasformazione del fenomeno nel corso delle mie ricerche ma certo restano ancora alcune radicate resistenze e ostilità.

La risposta è nella nostra relazione con “l’altro” e con la diversità. Famosa ma efficace la definizione di  Claude Lèvi Strauss che sintetizzava paradigmaticamente l’ambivalenza di questo incontro/scontro  sostenendo che  con “l’altro o si fa la guerra o ci si sposa”. Dunque sull’altro noi proiettiamo quello che non accettiamo di noi stessi,  sopravvalutando noi stessi in un etnocentrismo che finisce con il disprezzare chi è diverso da noi rendendolo rozzo, incivile, ignorante nonostante forse l’altro ha una formazione e processi culturali interiorizzati complessi e significativi.  Del resto è necessario precisare che tutte le culture hanno bisogno del confronto con l’alterità, tutte le culture sono il frutto di continue contaminazioni nessuna cultura, per fortuna, è pura. Quando una cultura si chiude all’altro collassa su se stessa e implode. Il paradosso che io ho riscontrato nelle mie ricerche sul campo in Campania nell’incontro tra donne immigrate e donne campane è stato davvero singolare. Le datrici di lavoro delle cosiddette badanti erano e sono spesso meno “acculturate” delle donne a cui danno lavoro, sono spesso casalinghe o lavoratrici che hanno una cultura di appartenenza essenziale, semplice e  si confrontano con donne laureate, specializzate in settori lavorativi dirigenziali che magari parlano più lingue e tuttavia l’altro è sempre “meno” rispetto a noi che lo accogliamo e lo utilizziamo relegandolo in forme stereotipate che ci rassicurano e ci tranquillizzano circa il controllo che possiamo esercitare senza un’ autentica relazione di reciprocità. All’interno delle case di realizza una particolare dialettica tra donne che può diventare una comune crescita di consapevolezza delle rispettive identità quando si superano le reciproche diffidenze.

Pessimo umore, afflizione ostinata, anoressia, veglia continua, affaticamento e chimere suicidarie sono le avvisaglie della “Sindrome Italia”, definizione coniata nel 2005 da Andriy Kiselyov e Anatoliy Faifrych ad indicare gli effetti dell’”affetto a pagamento”.

Un Paese può essere foriero di stress patologico?

Assolutamente sì quando non si instaura una disponibilità al confronto culturale ovvero un autentico transculturalismo in cui si mette in gioco sia chi accoglie sia chi arriva . Lo spaesamento che si insatura nel migrante procura uno shock culturale e un crash identitario che procura sintomi etnopsichiatrici come per esempio la “sindrome di Ulisse” (ossia il rifiuto di parlare e ripercorrere quanto è accaduto durante il viaggio con relativi sintomi di disagio psico-fisico). Nello specifico poi l’accudimento e la cura diventa l’orizzonte di senso della vita quotidiana di queste donne che si sostituiscono ad un welfare spesso inesistente e ad una famiglia in cui le donne non possono e non vogliono più svolgere come nella famiglia ottocentesca e più rigidamente patriarcale, il loro ruolo esclusivamente domestico. Per restare nel mondo del lavoro si affidano ad altre donne che le sostituiscono specialmente per l’accudimento degli anziani. In generale nella percezione sociale rimane radicata la concezione arcaica e velatamente dispregiativa del lavoro di cura, la connotazione ribadisce, qualora ce ne fosse ancora bisogno, con il perdurare di questa scarsa consapevolezza sociale e scientifica del fenomeno badanti e quanto esso connoti un ruolo sociale sottostimato. Ho conosciuto e ascoltato donne migranti che “accompagnano” questi anziani alla morte, e si relazionano continuamente alla sofferenza e sono quindi logorate e spesso reagiscono in modo ambivalente a questo vissuto sia in atteggiamenti depressivi o al contrario in reazioni vitalistiche e di più libera sessualità.  In buona sostanza mi preme sottolineare che dietro il successo lavorativo e la rilevanza sociale di una donna occidentale c’è spesso una donna immigrata che le consente di vivere questa dimensione pubblica.

L’integrazione è un processo multifattoriale esteso nel tempo, un cammino con molteplici tonalità e multiple sfaccettature, un iter gravoso multidimensionale.

Un medium potrebbe essere rappresentato dall’esatta cognizione dei fatti?

La sua domanda pone un problema nel problema. Se analizziamo la comunicazione mediatica, del web, giornalistica della carta stampata o no, insomma  relativa a tutti i mezzi e le forme di comunicazione su tema migrazione, non c’è mai l’esatta cognizione dei fatti quando si comunica sulla migrazione. Il linguaggio, le immagini e quant’altro sono sempre esasperati amplificati sull’aspetto emergenziale dell’invasione e sulla necessità di difendersi. Tanti sono gli studi in proposito fatti anche dai miei studenti dell’università che confermano questa modalità; ne ricordo uno su tutti:  rispetto ai numeri di migranti in Italia ogni italiano ha una percezione triplicata dei dati rispetto a quelli reali. Quindi è chiaro che una comunicazione più autentica a tutti i livelli e in tutte le forme potrebbe dare una mano alla rimozione degli stereotipi e dell’immagine dello straniero brutto, sporco, cattivo, ignorante e delinquente.

Sono passati più di trent’anni dall’inizio della migrazione albanese verso l’Italia: la collettività femminile d’origine albanese è ancora bisognosa di ascolto e riconoscimento?

Tutte le comunità migranti in Italia hanno ancora molto bisogno di ascolto e di riconoscimento. Siamo ancora molto carenti da questo punto di vista nonostante lo splendido lavoro che svolge gran parte del terzo settore in progetti proficui di accoglienza e di integrazione. In particolare le donne come si diceva sono vittime di un doppio stigma negativo ovvero: donne e migranti. Un connubio esplosivo di marginalizzazione.

Il suo lavoro di ricerca pare incedere su due binari paralleli: la silloge del materiale medico-scientifico e la raccolta di colloqui, testimonianze, storie.

Quali sono gli elementi ricorrenti e, pertanto, di congiunzione?

Le metodologie  di analisi e ricerca dei fenomeni da parte dell’antropologo culturale sono complessi e fortemente caratterizzati dall’utilizzo di diversi strumenti che possono essere sintetizzati attraverso un approccio sincretico che coniuga  statuti epistemologici delle diverse scienze umane e sociali senza perdere di vista la specificità dello sguardo antropologico quindi non parlerei di binari paralleli ma di reti interpretative del “campo sociale transnazionale” che caratterizza tutte le società occidentali che vivono il fenomeno migratorio e che investe tutti gli attori sociali. Per comprendere il fenomeno e i suoi continui mutamenti è necessario raccogliere dati quantitativi, aspetti psicologici, sociologici dello stato di salute o di malessere ma poi, soprattutto, qualitativi; insomma al centro dell’indagine c’è una “antropologia della persona” e delle diverse persone del campo sociale che emerge dall’analisi sul campo, dalle storie di vita e dalle interviste (antropologicamente strutturate e non giornalistiche) che non riguardano solo i migranti ma anche gli attori politici, gli operatori sociali, i componenti delle famiglie ecc. Solo così emergono gli elementi ricorrenti  sia negativi che positivi quali l’emarginazione a scuola, la ghettizzazione urbana, le difficoltà nell’uso della lingua, l’incomprensione delle diverse ritualità culturali  ma anche elementi di successo dell’integrazione e della ricchezza che la diversità culturale può portare alle società complesse  quando cioè  si realizza un vero “cosmopolitismo vernacolare” e si cambia reciprocamente quando ciascuno acquista e perde qualcosa come spesso succede in  Campania

In Italia sono presenti pressoché 1.700.000 le donne migranti: filippine, sudamericane, ucraine, polacche, moldave, rumene.

Quale ruolo assumono gli Acli Colf rispetto alla loro tutela?

Nel corso degli anni c’è stata una profonda trasformazione del terzo settore e delle associazioni che si occupano del lavoro dei migranti. Siamo ormai di fronte a seconde, terze generazioni di immigrate che hanno dato una svolta ai sistemi migratori, nuove italiane e dunque in queste organizzazioni ci sono molte donne immigrate che si sono integrate con successo e con la loro intermediazione tutelano al meglio il lavoro di queste donne che rischiano sempre di essere invisibili, chiuse nella loro domesticità tendono a subire in silenzio o anche talvolta a reagire con insospettata aggressività.

Professoressa, le sue analisi sono rivolte altresì alla trasformazione che, progressivamente, ha portato le donne migranti ad affrancarsi dalla domesticità e ad approdare ad attività di tipo imprenditoriale.

Quali le motivazioni sottese ad una radicale ridefinizione del proprio ruolo?

Le mie ricerche attuali sono focalizzate sulle  trasformazioni del fenomeno migratorio e sulle seconde generazioni. In questa ultima fase l’analisi è soprattutto rivolta alla trasformazione che progressivamente ha portato queste donne ad affrancarsi dalla domesticità e ad approdare ad attività di tipo imprenditoriale. Ci sono state nel tempo diverse ondate migratorie di donne  che se in un primo tempo hanno scelto lo spazio del mercato delle cura perché offriva loro l’opportunità di inserirsi senza clamore nel paese di accoglienza, ora le figlie  di queste donne di prima generazione e le donne più giovani hanno acquisito un’assertività maggiore e una consapevolezza delle loro competenze dei loro desideri e della necessaria resilienza che le ha portate ad avere lavori in proprio,  spesso piccole aziende di servizi che ora, ancora una volta paradossalmente, in Campania danno lavoro anche a ragazze e ragazzi italiani. Giovani donne e nuove italiane che hanno vissuto a volte sofferto del lavoro della madri come badanti e sono state in grado anche attraverso non semplici percorsi di integrazione, di cambiare la loro posizione economica e il loro ruolo sociale.

Entrando più nello specifico dell’immigrazione femminile in Campania, area presa in considerazione nel corso delle sue ricerche, è possibile notare come la presenza straniera in Campania si sia modificata.

Quali sono le caratteristiche dei modelli migratori emergenti?

Come appena detto sono cambiati i flussi migratori e anche, in parte, le nazioni di provenienza ma per esempio l’Ucraina resta ancora  uno dei  paese di provenienza anche purtroppo per le recenti drammatiche vicende, che hanno portato in Italia e in Europa una nuova forte presenza di migrazione femminile. La continua analisi della qualità della composizione dei flussi attuali mostra come stiano ancora una volta cambiando anche le caratteristiche del profilo delle donne coinvolte. Ve ne sono molte  dotate di istruzione medio-alta, che migrano da sole. Il collettivo che presenta la più alta percentuale di presenza femminile è quello ucraino (77,3%), seguito dal polacco (74,1%), moldavo (66,1%) e bulgaro (62,6%).

L’analisi si orienta verso due distinte direzioni: da un lato si concentra sul ruolo giocato dalle relazioni di genere, ossia dalle nuove solidarietà tra donne, le reti d’informazione e di sostegno transnazionali nei processi migratori; dall’altro si cerca di comprendere le specifiche modalità di incorporazione delle donne migranti nei mercati del lavoro delle società di destinazione. Un dato emerge sull’evoluzione delle migrazioni  femminili che la donna migrante è dotata, rispetto agli uomini migranti, di una maggiore capacità di innovare, di trovare risorse e soluzioni, e di fare “rete”. Dalla ricerca sul campo emerge un profilo di donna immigrata in cui c’è un intreccio di assertività e determinazione, il voler essere artefice di una autonomia economica che non sia legata ad un lavoro dipendente, dunque la scelta di una migrazione che nasce già come desiderio di affermazione e non da un bisogno devastante scaturito dalla povertà, non una fuga scomposta e disperata ma una partenza verso una opportunità.

Non si tratta più della donna migrante di qualche decennio fa, chiusa tra le mura domestiche e invisibile. Si definiscono in questo modo nuove forme di identità femminili postmoderne e globali; un femminismo nuovo senza frontiere né ideologismi che attraversa vecchi confini e ne annulla le barriere spaziali, nazionali, post coloniali, etniche e psicologiche, rifondando nuove solidarietà nonostante i limiti della loro collocazione sociale e lavorativa.

 

Annalisa Di Nuzzo  (annalisadinuzzo.com) è antropologa culturale, professore abilitato II fascia in antropologia culturale, professore a contratto per l’insegnamento di Geografia delle lingue e delle migrazioni Corso di laurea in Lingue moderne per la comunicazione e la cooperazione internazionale, Università degli Studi Suor Orsola Benincasa; coordinatore responsabile Fondo Durante Studi e scritture delle migrazioni  Biblioteca Suor Orsola Benincasa;  già professore a contratto di Antropologia culturale presso dipartimento DISUFF Università di Salerno, ha conseguito il PhD in Antropologia culturale, processi migratori e diritti umani.

Direttore  Scientifico e socio fondatore dell’Associazione Festival della filosofia in  Magna Grecia in qualità di esperta di antropologia culturale, antropologia del turismo, patrimoni immateriali e heritage tourism.

Socio del Centro di Ricerca Interuniversitario I_LAND (Identity, Language and Diversity) dal 2016.

Socia e membro del Comitato scientifico dell’associazione ALTERITAS Interazione culturale tra i popoli dal 2016 con sede a Verona, Alteritas http://www.alteritas.it/comitato-scientifico/

Tra i suoi maggiori campi d’indagine ricordiamo l’antropologia delle migrazioni, l’antropologia del turismo, antropologia e genere, antropologia e letteratura.

È autrice di numerosi saggi e  monografie tra cui:

Monografie:

Napule è… Piccola antropologia partenopea, il melangolo ed., Milano 2024.

La città e le sue culture. Adolescenza, violenza, gruppi di strada, la Valle del Tempo ed., Napoli, 2023

Conversioni all’Islam all’ombra del Vesuvio, CISU, Roma 2020.

Minori Migranti. Nuove identità transculturali, Carocci, Roma, 2020

Fuori da casa. Migrazioni di minori non accompagnati, Carocci, Roma, 2013

Il mare, la torre, le alici: il caso Cetara. Una comunità mediterranea tra ricostruzione della memoria, percorsi migratori e turismo sostenibile, Roma Studium 2014;

La morte, la cura, l’amore. Donne ucraine e rumene in area campana,  CISU, Roma, 2009.

Saggi tra gli altri:

Dall’invisibilità alla soggettività. Imprenditorialità femminile di donne immigrate in Campania, in “Dialoghi mediterranei”, n. 56 luglio 2022, ISSN 2384-9010 rivista on line

Giuseppina Capone

Massimo Fazzari, un lungo impegno nell’associazionismo 

Il mondo dell’associazionismo campano e napoletano è sempre stato molto attivo
Ne parliamo con Massimo Fazzari, docente e presidente dell’Associazione “L’Armonia”.
Come e quando inizia il vostro impegno associativo? 
Da incontri fra amici ed amiche, riuniti intorno ad interessi diretti o indiretti per l’Arte anzi le Arti. In un momento “catartico” come quello fra il 1987 e 1988 nasce da un lato il bisogno e dall’altro la passione per fare cultura, valorizzare l’esistente e costruire un futuro più positivo nell’ambito appunto culturale per la presa di coscienza generale “culturale ed artistica” di un territorio, di un popolo, di cittadini.
Come mai avete scelto il nome “L’Armonia” e chi partecipava nei “propositi” o programmi al vostro progetto?
Il nome “L’Armonia”, dopo varie riunioni, è stato proposto proprio da me, pur se non ancora Presidente ed ha trovato d’accordo prima i due protagonisti principali, consiglieri, amici e leader, allora “capi gruppo” anche per le serate e le uscite, Carmela (eviterò i cognomi sia per riservatezza, sia perché dopo tanto tempo non a tutti può far piacere riparlare del passato, ormai passato), che faceva anche da ospite molto piacevole per i vari incontri, sia Antonio, che sarà protagonista di vent’anni di impegno. Va però detto che ci fu proprio un senso di “armonia” per far sì che ognuno prendesse il suo posto per poter portare avanti il progetto e poi le iniziative che venivano fuori in modo corale e vulcanico e perciò bisogna ricordare Kriss, Enzo, Antonio, Betty ed altri ancora. Con senso artistico, con buoni programmi e programmazioni, con grande senso organizzativo e di iniziativa, si partiva veramente per una grande avventura che trovava riscontro qualche tempo dopo, i primi di gennaio del 1988, in uno Statuto e in una vera e propria Associazione che con quegli intenti “aggregativi e raccoglitivi di arte, artisti, sensibilità ambientale, tecnica e tecnologia, formazione, era la prima in assoluto. Il successo associativo, prendendo le mosse con le prime iniziative sempre originali e potenti (per passione e competenza), era molto positivo. Più di cento soci nel giro di un paio di mesi e fra questi soci la maggior parte attiva. Tornando al nome bisogna dire il sottotitolo per capire le sue fondamenta, parole presenti nel logo: alchimia d’euritmia. E’ un principio di esistenza e insieme un principio del divenire dell’essere. Quindi gli intenti erano grandi “spiritualmente” oltre che oggettivamente, nella pratica sociale. Alchimia, vale a dire la unione e la “messa insieme” di elementi eterogenei e euritmia che richiama il ritmo e l’essenza delle cose.
Quali sono state le prime iniziative o i principali programmi?   
La prima iniziativa, pur se un po’ abbandonata abbastanza presto per motivi logistici soprattutto, è stata la promozione e produzione di un “seminario  sullo spettacolo” (con corsi molto interessanti), poi dopo aver preso sede a Bagnoli, abbiamo iniziato la promozione di mostre (pittura, foto, e di artisti nascenti o giovanissimi) e poi di spettacoli. Un punto importante resta nella nostra storia il 1994. Sin dall’anno precedente, da un incontro fra me e Raffaele, che portava avanti già un progetto di “vivibilità, benessere in rapporto al territorio” si iniziò a lavorare per far “valorizzare il centro storico di Napoli” e penso che in questo siamo stati proprio i primi, pur se nessuno ne ha mai reso il merito o i limiti, da una piccola traversa ora notissima, dove si trova la “Cappella Sansevero” un po’ più su di Piazza San Domenico Maggiore, che divenne la protagonista perché facemmo una “Piazza di Recupero delle tradizioni, di Commercio e artigianato e di Cultura”: per una quindicina di giorni prima di Natale organizzammo per la prima volta a Napoli una manifestazione di rappresentazioni sceniche, di bancarelle, di artigianato, e tante altre cose… certo il promotore e protagonista era Raffaele, molto più pratico di me.
Quali sono stati gli obbiettivi della vostra attività o quelli raggiunti?
In primis erano le attività, che seppur non da professionisti si sarebbero fatte con la passione e con la precisione di chi “vuole fare” e senza avere prevaricazioni di organismi e controlli e tutto il resto che spesso impediscono l’espressione, la creatività, l’organizzazione autonoma.
Il primo vero e proprio obbiettivo è stato la formazione di un gruppo di spettacolo che però andava a coprire un po’ tutti i campi utili e con volontari che si facevano avanti, dopo una breve selezione dei responsabili di settore si mettevano all’opera. Il gruppo è stato chiamato “Gruppo Teatro Genesi” (proprio la Genesi come origine e come spirito). Il primo spettacolo e forse quello che ha rappresentato non solo un successo oltre le aspettative ma che è rimasto storico e indelebile è stato la Messa in Scena sul Culto Popolare di San Gennaro, fra il sacro ed il profano scritto da me, pur se nella creazione c’è stato l’apporto di tutti i componenti del Gruppo. Dal pomeriggio del 28 giugno 1988 si percorse tutta la Sanità e si sconvolse positivamente un quartiere che allora era quasi impossibile da penetrare, da conoscere, ecc., sicuramente molto diverso da oggi. Si iniziò un percorso spettacolare, sociale e culturale e forse anche politico: promotore un comitato locale legato all’Ospedale di San Gennaro, che aveva alle spalle la Basilica di San Gennaro extramoenia, chiusa prima di quell’intervento che servì proprio a riaprirla. Uno spettacolo che risultava indecente: opere d’arte accumulate, nell’umidità, statue sgretolate quasi, quadri e tavole pittoriche appoggiate in modo casuale alle mura della chiesa. Il nostro successo, se vogliamo, fu proprio il riaprire, riconquistare all’uso della popolazione quel gioiello storico ed architettonico che oggi è gestito da una Associazione e da una Fondazione (nate molto tempo dopo…).
Ci vuole ricordare altre iniziative? 
Questa iniziativa ne porterà tante altre, anche su richiesta delle Istituzioni comunali ed Enti privati, come ad esempio due idee che proposi in occasione di un Bando di Concorso sulle ricerche sui Campi Flegrei. Una riguardava il riappropriarsi da parte delle persone degli spazi sociali, culturali e anche artistici utilizzando o adottando insieme ad altre realtà luoghi e patrimonio artistico esistente in città. Un’altra proposta che facemmo fu quella del recupero delle piazze soprattutto al Centro Storico e così con l’aiuto anche di due Magistrati, queste si svuotarono dalle auto (prima erano solo parcheggi!!) e furono chiuse e da allora vennero rivalutate e riacquistate ad uso dei cittadini e di attività commerciali e culturali, insieme. Non è tanto per farsi belli che riporto queste cose, ma soprattutto per restituire alla storia, alla cronaca vera, quel che sono stati i passi, anzi i primi passi di attività sociali, culturali, artistiche nella nostra città dopo epoche di indifferenza, soprattutto ed anche per lasciare un testimone, per le generazioni che la vivono ora, eper quelli che verranno che si sappia che le cose non sono nate da un cilindro ma anche da attività di Associazioni e di cittadini volenterosi (e capaci). Si scusi l’immodestia ma pochi riconoscono i meriti di chi è stato emulato (senza “far soldi”!).
Alessandra Federico

Lions International Distretto 108 Ya e Distretto Rotary 2021: si apre una stagione di cooperazione

In occasione dell’Incontro Programmatico del Distretto Lions 108Ya tenutosi il 12 e 13 luglio a Salerno, nella cornice del Grand Hotel, il Governatore del Distretto Lions Tommaso Di Napoli e il Governatore del Distretto Rotary 2021 Antonio Brando hanno annunciato l’avvio di un programma di cooperazione tra le due associazioni per rafforzare l’azione per migliorare le condizioni di vita delle persone bisognose e promuovere la pace e la comprensione internazionale.
Entrambe le organizzazioni hanno una lunga storia di servizio e usando la forza combinata delle rispettive reti possono espandere la portata della loro azione e il loro impatto positivo nel mondo a favore dell’umanità sofferente, di chi vive in una situazione di bisogno e promuovendo l’inclusione.
“Affrontiamo insieme il futuro perché ce lo chiede il particolare momento storico. Dobbiamo andare controtendenza in un mondo che esalta la divisione e la contrapposizione”, spiegano i due Governatori, Tommaso Di Napoli e Antonio Brando.

Francesca Sensini: Afrodite viaggia leggera

Dal IV sec. a.C. l’iconografia della dea Afrodite muta radicalmente, a partire dall’Afrodite cnidia di Prassitele: in tale statua Afrodite è rappresentata mentre sta per immergersi nell’acqua per un bagno, con uno sguardo lontano che ne sottolinea il carattere ultraterreno.

In qual misura il primo nudo femminile dell’arte greca ha influenzato l’immaginario collettivo legato a questa divinità?

Di fatto, nel mondo antico, a partire dal IV sec. a.C., l’iconografia dell’Afrodite cnidia è quella più popolare. La dea è rappresentata completamente nuda, la veste appoggiata a un’idria, un tipo di vaso destinato a contenere dell’acqua. Afrodite sta per immergere in un bagno, o forse ne esce. Con una mano davanti al pube sembra quasi volersi coprire; di fatto, però, il gesto ha l’effetto di attirare lo sguardo di chi contempla la statua proprio su quel punto. L’esposizione della statua nel tempio dedicato alla dea a Cnido – città di traffici e commerci dell’antica Caria, oggi in Turchia – aveva suscitato un tale scandalo e, insieme, un tale successo di pubblico – pellegrini, viaggiatori, curiosi, assediavano il tempio per vedere la dea nuda – da imporsi naturalmente sulle altre immagini, velate e severe, della dea, o addirittura guerresche. Si pensi all’Afrodite “marziale”, areia, rappresentata armata di spada. Afrodite areia era venerata ad Argo, Sparta, Taranto ma anche a Citera e Cipro, le due isole collegate alla nascita della dea dal mare. Il culto di questa Afrodite combattente, in contraddizione con l’immagine vulgata di dea graziosa e imbelle, rinvia alle sue origini mediorientali e alle dee mesopotamiche, la sumerica Inanna, l’accadica Isthar, la fenicia Astarte, tutte dee dell’amore e della guerra, da intendersi come principi alla base del funzionamento del cosmo.

In Afrodite viaggia leggera racconto come Prassitele fosse stato ispirato da un modello dal vero, la cortigiana Frine – una donna intelligente, assai combattiva, anche in politica, e di grande bellezza – di cui era – così alcuni dicono –  innamorato. Fu in questo modo che, accanto ai nudi maschili, cosiddetti eroici, anche il nudo femminile trovò una sua cittadinanza nello spazio pubblico e ancora oggi, se pensiamo a Afrodite/Venere, pensiamo a una figura femminile nuda o seminuda.

Ai nostri giorni l’Afrodite pop è senz’altro la statua di marmo della Venere di Milo, esposta al Louvre, insieme alla Venere del dipinto di Botticelli, La Nascita di Venere, esposto agli Uffizi a Firenze.

Afrodite si presenta già nella Teogonia di Esiodo come la prima figura femminile in forme antropomorfe, emergendo da un contesto di desiderio e di violenza che ne caratterizza i tratti di seduzione e di inganno, poi presenti nella prima donna, Pandora.

Ella incontra la guerra ed il potere. Riesce a vincere, difendendo l’amore da ogni violenza?

La versione più nota della nascita di Afrodite – dalla spuma del mare, come si suole dire – è raccontata da Esiodo nella Teogonia, vv. 176-206. Secondo questo racconto la dea viene al mondo in virtù di una separazione violenta e non di un’unione sessuale. Di fatto non ha una madre ma deriva da una sorta di prodigiosa reazione dello sperma di Urano – evirato dal figlio Crono per costringerlo a interrompere il coito infinito con Gea, impossibilità così a sgravarsi del figli e delle figlie che nutriva nella sue viscere –  a contatto con le onde del mar Mediterraneo. La dea emerge da un abisso marino che è anche un abisso di mistero. Di ogni separazione e incompletezza Afrodite è in qualche modo l’antidoto, la cura, come ho tentato di raccontare nel mio libro, attraverso le storie d’amore e di avventura in cui è coinvolta, direttamente o come regista, complice, osservatrice.

E sì, nelle storie che racconto la dea riesce a difendere l’amore dal desiderio non corrisposto, dalla violenza, anche se lei stessa, ad un certo momento, deve ubbidire alla sua stessa legge e conosce così l’amore umano, destinato a finire, e la sua sofferenza, innamorandosi di un essere mortale, il cacciatore cipriota Adone.

Mentre la dea Era, legittima consorte olimpica di Zeus, presiede all’unione matrimoniale, nodo fondamentale nella grande rete dell’ordine sociale, nella quale i due coniugi si completano l’uno attraverso l’altro e hanno potere solo insieme – la coppia Era-Zeus non si separa, nonostante l’alto grado di conflittualità che regna tra le due divinità, perché il loro regno crollerebbe  – Afrodite è la dea dell’amore come festa, del matrimonio come rito che celebra la vita e la gioia. Anche questi aspetti emergono dalle vicende che ho scelto di raccontare, in parte riprendendo elementi della tradizione e delle fonti storiche e letterarie, in parte inventando intrecci sulla basi però di dati, di indizi, disseminati sulle rotte della dea.

Pandora merita un discorso a parte, essendo un artefatto – si tratta in sostanza di una prima donna-automa ideata e realizzata dall’abilissimo Efesto – che appartiene già a un altro spazio mitico, a un’altra età del mondo rispetto a quello in cui si situa originariamente Afrodite, che è una titana e appartiene all’età di Crono – l’età dell’oro e di un’umanità aurea che non conosceva alcune distinzione di sesso, né la fatica, né il lavoro, e viveva in armonia con il divino, senza bisogno di astuzie, di inganni, di rivalse, di Prometei. Ma, ripeto, è un’altra storia.

La dea viene soventemente riconosciuta con uno specchio, una mela, una corona di mirto, un uccello sacro – una colomba, un passero – fiori come le rose o il mirto.

Può disvelare questi simboli?

Più che simboli si tratta di attributi a cui si sono associati significati simbolici che hanno poi subito cambiamenti e adattamenti semantici nel corso del tempo e a seconda del contesto in cui vengono evocati. Anche la corona, e in generale gli ornamenti d’oro, come la sua famosa “cintura di Afrodite”, che è in realtà una fascia trapunta d’oro, fanno parte della dea e rappresentato i suoi poteri; anzi, sono veri e propri oggetti magici che fanno del corpo della dea uno spazio di potere che agisce nel suo stesso manifestarsi. Del cinto Afrodite viaggia leggera racconta la storia e prova a darne un senso.

Lo specchio serve alla bellezza per contemplarsi – e diventa simbolo di vanità con il mutamento della mentalità  – la mela. o “pomo della discordia”, rimanda al famoso giudizio di Paride e alla vittoria della dea sulle rivali, Atena ed Era (a cui è seguito la famosa guerra di Troia). Il mirto, che ha un suo  spazio nel paesaggio del mio libro, è un arbusto sempreverde e deliziosamente odoroso, con bacche che producono il buonissimo liquore, molto diffuso sui litorali del Mediterraneo. Nella Metamorfosi, Ovidio racconta la storia del mirto e riferisce di come Afrodite, appena nata, avrebbe coperto il suo corpo nudo con alcuni rami di questa pianta per sottrarsi allo sguardo lascivo di un satiro. Le rose sono legate all’amore di Afrodite per il cacciatore Adone e restano nella tradizione, specie se rosse come il sangue e la passione, fiori amorosi e da innamorati. Le colombe venivano talvolte allevate nei suoi santuari e le sono associate alla dea perché sembrare avere comportamenti simili a quelli umani – come il bacio – e perché amoreggiano tutto l’anno. I passeri, invece, le sono associati perché considerati tradizionalmente uccelli lascivi. Anche la melagrana è sacra dea – non solo a Persefone, con cui peraltro esistono legami interessanti e complessi – come la mirra, la lattuga, l’anemone; tra gli animale, l’oca, il cigno e creature marine come i tritoni, i molluschi a conchiglia e le loro perle. L’elenco è lungo e non ne esiste una versione unica, come non restano identici i significati dei vari attributi della dea. Occorre sempre interrogarci sul contesto.

“Afrodite, marina e dorata, celeste e terrena, viaggia leggera sulle rotte del Mediterraneo.”

Qual è il luogo di culto maggiormente rappresentativo?

Posso dire qual è per me, in questo mio libro, il luogo più rappresentativo: Ischia, l’antica Pithekoussai e la storia d’amore che si svolge sull’isola. Ma è una risposta personale che non ho nessuna pretesa di oggettività. Non ho infatti scritto un saggio sulla dea. Il mio è un lungo racconto, fatto di viaggi e avventure che ho scelto seguendo le mie inclinazioni, le mie fissazioni anche; in parte si tratta di materiale tratto dal mito antico, dalla storia, dalla tradizione letteraria, e riscritto, interpretato, completato nei suoi vuoti dovuti alle lacune della tradizione; in parte si tratta di storie di mia invenzione, che ho messo insieme analizzando e riassemblando dati ed elementi che ho rintracciato nei miei studi intorno alla dea.

“Tutto l’universo obbedisce all’Amore”. Così si legge nell’Elogio in Les Amours de Psyché, di Jean de la Fontaine.

Il fascino di Afrodite risiede nell’inspiegabilità d’un sentimento?

Il fascino di Afrodite è legato, a mio avviso, all’ineluttabilità dell’amore, del desiderio, dell’eros – con quello che comporta di istinti, di conflittualità, di lotta – in ciascuna e ciascuno di noi. Perché non lo sappiamo. Così è. In effetti, la spiegazione non c’è, c’è una legge. La forma che questa legge cosmica ha preso alle nostre latitudine è quella di Afrodite La dea è una fantasia mediterranea, nostra, tutta umana. Ed è in effetti una fascinosissima donna fatale, nel senso che appartiene al nostro destino di specie: il sesso, l’amore, le loro varie declinazioni civilizzate e civili, e la bellezza a cui aspiriamo ogni giorno, dopo tutto, come consolazione, come forma di possibile felicità.

Professoressa, Lei si occupa anche di studi di genere in ambito letterario. Le sue ricerche sono influenzate dalla sua formazione formazione classica?

Certo. La mia formazione classica influenza non solo le mie ricerche ma anche il mio sguardo sulle cose. Per questo mi occupo della ricezione del mondo antico nella modernità e oggi. Il ricorso a una lente di genere mi è utile per osservare aspetti e rintracciare nessi che, senza quella lente, non apparirebbero, rimarrebbero sulla sfondo, offuscati da altre prospettive. Un caso emblematico è il famoso incontro sulle mura di Ettore e Andromaca in Il. VI, su cui mi sono soffermata in un articolo “Se delle parola di occupano gli uomini”, apparso su Alias del 2.12.2023, e a cui rimando. Si tratta di un episodio notissimo, che io incontrari la prima volta alle medie e che mi fu spiegato esaltando l’amore dei giovani sposi sullo sfondo sanguinario della guerra, la tenerezza del padre, in una pausa del combattimento, che prende in braccio il figlio neonato dopo essersi tolto l’elmo piumato che spaventava il piccino, la tristezza del destino di un grande e coraggioso guerriero destinato a soccombere alla violenza del nemico straniero. C’è altro da osservare in quella scena, da leggere nei versi di Omero e usare lenti nuove aiuta a vedere di più e meglio. Peraltro, tutto è già in quei testi. Omero è una voce critica e non organica all’ordine sociale che rappresenta e racconta. Va letto e contestualizzato, come ogni autore, autrice, come ogni tema, per evitare di fare strame della storia, anche di quella delle idee, e dire delle solenni sciocchezze, in nome di una modernità senza vero progresso, che finisce per imporsi come un nuovo conformismo.

https://ilmanifesto.it/femminismo-se-della-parola-si-occupano-gli-uomini

 

Francesca Sensini è professoressa associata di Italianistica presso l’Université Côte d’Azur di Nizza. Classicista di formazione, dedica prevalentemente le sue ricerche alla letteratura italiana tra Otto e Novecento, agli studi della ricezione classica e agli studi di genere in ambito letterario. Nel 2023 ha pubblicato il romanzo La Trama di Elena, Ponte alle Grazie. Tra le altre pubblicazioni recenti ricordiamo “Non c’è cosa più dolce”: Giovanni Pascoli ed Emma Corcos, lettere, Il Nuovo Melangolo, 2022; La lingua degli dei: l’amore per il greco antico e moderno, ivi, 2021; Pascoli maledetto, ivi, 2020. Ha curato la ristampa dei romanzi di Marise Ferro, La violenza, Elliot 2022; La ragazza in giardino, ivi, 2022; Le romantiche, Succedeoggi Libri, 2021; La guerra è stupida, Gammarò, 2020.

Giuseppina Capone

 

 

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