Ivonne Mussoni: Sirene

Ivonne Mussoni è una studiosa dell’Università di Bologna. Nel 2013 ha pubblicato con Heket la plaquette A un quarto d’ora d’universo. Sue poesie sono presenti nell’antologia Post ’900 lirici e narrativi (Giuliano Ladolfi Editore, 2015) e in Centrale di Transito, ceci n’est pas une anthologie (Giulio Perrone Editore, 2016). Nel 2017 pubblica, sempre con Giulio Perrone, la raccolta La corrente delle cose ultime.

 

Dalle prime sirene rapaci all’episodio di Ulisse e le Sirene nell’Odissea, al Cratilo di Platone alla fiaba “La Sirenetta” di Hans Christian Andersen. “Eravamo quasi donne / nel poco che mancava / lucertole, uccelli, meduse, / tempeste, / orsi e serpenti”. Chi è la Sirena?
Rispondere a questa domanda è stato il lavoro di questo libro, ma ciò che realmente è credo si possa afferrare solo per intuizione. La sirena è tante cose, questa è la prima evidenza poiché nella propria immagine tiene in sé le contraddizioni del doppio: è una donna ma è anche una bestia. È un uccello con la voce e le labbra, è un pesce, è un serpente. In ogni caso, in qualsiasi forma si presenti, è un’immagine del profondo e, come tale, sarà complessa e mai univoca. Se guardata dal punto di vista del maschile è una creatura misteriosa e seducente che esce dalle acque, simbolicamente dall’inconscio, per portare una verità all’interno dell’uomo segretamente taciuta. La sirena è quindi l’Anima dell’uomo. Il femminile invece si riconosce nella sirena stessa e nelle sue ambiguità, sa di avere una parte inaccessibile, connessa con i sentimenti più bassi e profondi e sa che presto o tardi dovrà farci i conti.
Al centro della sua raccolta poetica si trovano i versi di Marguerite Yourcenar “Attraverso me poteva spiare l’invisibile / ricordare cosa c’era / prima che ci fosse giorno e notte / prima del firmamento / che separa le acque dalle acque”
La Sirena, pertanto, intesa quale ambasciatrice dell’incorporeo, di un tempo passato e futuro?

Assolutamente, alle sirene-uccelli mandate alla ricerca di Persefone (la figlia di Demetra rapita dal dio dell’oltretomba) viene donato (o sarebbe meglio dire inflitto) lo sguardo degli uccelli rapaci, in grado di vedere molto lontano, uno sguardo dunque, tradotto metaforicamente, in grado di guardare nel profondo: nelle profondità del cuore e del tempo; in più, se pensiamo al canto delle sirene come canto poetico, si intuisce come possa essere in stretto rapporto con il tempo. La poesia è sotto l’egida di Mnemosyne, la dea della memoria che dona ai poeti la capacità di vedere al passato e ai profeti quella di vedere il futuro. Alla sirena, sibilla e poeta, appartengono entrambe le direzioni.
I cerchi sull’acqua, Quasi mezzogiorno, I cerchi sott’acqua fino a Sulla terra, la sezione conclusiva. Ebbene, come si evolve la Sirena sino al suo confronto con le regole terrestri?
L’evoluzione della sirena è culturalmente e letterariamente misteriosa, non ci sono leggende che ne cambiano i connotati, semplicemente succede, è un simbolo che si adatta all’epoca, che ne accoglie i dolori e le ansie. Quello che mi sorprende è come sia potuta cambiare così tanto, fino a rovesciarsi completamente e da carnefice diventare vittima. La fiaba de La Sirenetta di Andersen ne ha determinato in parte il destino, ma lo scrittore danese non è stato il primo a confrontare la sirena con le regole terrestri. Penso a Ondine di De La Motte Foqué e penso che la donna/sirena che cambia la propria natura per amore di un uomo non sia un fatto nuovo. Nel libro ho cercato di seguire la sua storia, la mia sirena diventa sempre più innocua, cede all’amore e si fa vulnerabile, fino a perdere la voce. Rendersi conto della portata di questa perdita è estremamente doloroso, vuol dire sentire minacciata la propria identità e non avere voce per dire chi si è realmente. Nonostante questo nelle nuove sirene terrestri c’è ancora il nocciòlo delle antiche compagne, questo è stato quello che ho cercato di fare nella raccolta: tracciare i confini del mutamento ma lasciando intravedere le origini. Andare all’inizio della storia per scoprire il canto di verità. La storia della Sirenetta diventa allora un monito: non lasciarsi rubare la voce. Non scambiarla per niente al mondo. La sirena che esce dall’acqua crede, uscendo, di farsi intera, ma in realtà perde solamente una parte di sé. L’integrazione avviene al contrario; accettando pienamente la propria parte mostruosa.
Il testo finale reca: “È pericoloso fare luce/ su una natura di bestia… Eravate voi, non io/ a fare più paura” Qual è l’urgenza, qual è la necessità qui evocata?
Questa è l’ultima poesia della raccolta e, contemporaneamente, l’ultima parola della sirena. Qui la sirena percepisce il rifiuto, ne soffre e, per la prima volta, non incolpa la sua oscurità, ma la paura di chi non riesce ad accettarla. Mi sono domandata a lungo se concludere la raccolta con questi versi, il mio primo libro si conclude con la parola Volo e mi è sempre sembrato un sintomo di grande apertura e possibilità verso il futuro, questa termina invece con la parola paura, ero restia a lasciare questa conclusione, ma se c’è una cosa che la sirena mi ha insegnato è non avere timore della propria zona d’ombra.
“Sott’acqua non ci sono le tempeste” Può commentare questo suggestivo verso per noi?

La pace del sott’acqua è simile al sonno, simile alla morte o al chiudersi nel proprio luogo sacro, questo è raccontato magnificamente nella leggenda di Melusina. Melusina è una fata dei boschi, di lei si innamora perdutamente un cavaliere Raymond che la chiede in sposa, lei accetta ma a alla condizione che l’uomo rispetti un patto inviolabile: ogni sabato le concederà il permesso di ritirarsi in solitudine. In quel momento solitario fa il bagno in una tinozza e non appena si immerge in acqua le gambe si trasformano in una grandissima coda di serpente. Tutto procede per il meglio fino a quando il cavaliere, fremente di gelosia, rompe la promessa e, aprendo la porta del bagno, scopre la parte mostruosa della moglie. Scoprendola la perde, Melusina se ne va. Ciò che la storia ci suggerisce è la necessità di fare quel bagno di sabato, in solitudine nel luogo dove non c’è altro rumore, dove appunto, non ci sono le tempeste, solo così è possibile recuperare le proprie energie psichiche ed essere chi si è realmente.

Giuseppina Capone

L’immagine della donna nella pubblicità e nell’arte: stereotipi di genere e sessismo

Giovedì 25 novembre 2021 alle ore 10.30, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, presso la Sala “Mario Borrelli” della Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus (FoCS), in piazzetta San Gennaro a Materdei n. 3 – Napoli, si terrà l’incontro di informazione e formazione  dal titolo “L’immagine della donna nella pubblicità e nell’arte: stereotipi di genere e sessismo”.

L’iniziativa è promossa dallo Sportello “FocsAscolto” operativo dal 2019 e attivo online durante la pandemia e dallo “Spazio Donne a confronto” della FoCS.

“L’incontro – evidenzia Antonio Lanzaro, presidente della Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus – raccoglie e rilancia le istanze emerse dal lavoro che lo Sportello ‘FocsAscolto’ e lo ‘Spazio Donne a confronto’ hanno portato avanti nel corso delle loro attività sulle varie forme in cui si concretizza la violenza sulle donne”.

Un momento di riflessione, dunque, su come la rappresentazione del femminile veicoli messaggi discriminatori e spesso mercificatori lesivi della dignità della donna.

Dopo i saluti del presidente della Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus prof. Antonio Lanzaro e dell’arch. Giovanna Farina, già presidente della Consulta delle Associazioni e delle Organizzazioni di Volontariato, Municipalità 2 – Comune di Napoli, interverranno la dott.ssa Bianca Desideri, giornalista, giurista, direttore del “Centro Studi Mario Borrelli” della Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus; l’arch. Laura Bourellis, esperta di Beni Culturali, consigliera della FoCS; la dott.ssa Assunta Landri, psicologa-psicoterapeuta, consulente della Procura presso il Tribunale di Napoli, Sportello d’ascolto psicologico ”FocsAscolto”; la dott.ssa Barbara Guercia, esperta in scienze e tecniche psicologiche alla persona e alle comunità. Modera l’incontro A.S. Matilde Colombrino.

 

Daniela Musini: Le indomabili. 33 donne che hanno stupito il mondo

Da Agrippina a Sarah Bernhardt, da Trotula de Ruggiero a Jackie Kennedy, da Caterina la Grande a Rita Levi-Montalcini, da Isabella d’Este Gonzaga a Emmeline Pankhurst, da Elisabetta I Tudor ad Anna Magnani trentatré ritratti di altrettante donne, un caleidoscopio di universi femminili, dissimili quanto ad età, condizione, ruolo sociale, esperienza esistenziale.

Qual tratto le accomuna?

Sono state tutte donne rivoluzionarie, ribelli, audaci, che hanno infranto tabù, scardinato regole, sovvertito consuetudini. Hanno avuto il coraggio di vivere controvento e agire controcorrente per realizzare sogni, perseguire ideali, affermare la propria identità, anche a costo di immolarsi per la propria causa: penso a Ipazia, Giovanna d’Arco, Eleonora Pimentel de Fonseca, Amelia Earhart.

I suoi ritratti muliebri navigano nel tempo. Quale criterio di scelta ha adottato per navigare attraverso i secoli?

La caratteristica più evidente è che sono tutte fra le donne più connotative della propria epoca, sia per talento, che per fama, che per rilevanza storica, che per audacia del loro modus vivendi.

Ho voluto che fossero rappresentate più o meno tutte le epoche della Storia: dall’antica Roma (con Agrippina) fino al Novecento (con Jackie Kennedy Onassis) e, mentre il mio precedente libro Le Magnifiche 33 donne che hanno fatto la Storia d’Italia (Piemme) era riservato a straordinarie figure femminili che avessero avuto grande rilevanza nel nostro Paese, Le Indomabili hanno un respiro più internazionale. Inoltre ho scelto quelle donne che più di altre hanno impresso una traccia indelebile e innovativa non solo nella storia politica della propria nazione d’appartenenza (penso a Caterina Sforza, Isabella d’Este, Elisabetta Tudor, Caterina la Grande, Elisabetta d’Austria, Evita Perón), ma anche nella scienza (come Marie Curie, Hedy Lamarr, attrice e inventrice, e Rita Levi Montalcini), nella moda (Coco Chanel e la sua grande rivale italiana Elsa Schiaparelli), nelle arti (basti considerare la grande innovazione nel linguaggio pittorico di Frida Kahlo e nella danza di Isadora Duncan), e in altri aspetti del costume e della società, senza tralasciare il teatro, il cinema, le conquiste sociali.

Quelle descritte sono di certo donne emblematiche: le loro passioni ardimentose, le scelte intrepide, la debolezza e l’impeto del loro essere, ma anche l’inarrendevolezza, il genio e la forza di volontà che le hanno connotate. Quale messaggio ci offrono?

Il grande coraggio da loro dimostrato credo sia la loro più grande lezione. Il coraggio di vivere la propria vita secondo le proprie scelte, senza farsi condizionare più di tanto, reagendo con forza a chi voleva impedire il loro processo di maturazione e di consapevolezza, l’audacia di sfidare le convenzioni e i limiti imposti dalla società, e persino l’ardimento nell’abbandonarsi a passioni amorose anche scandalose e proibite. Perché anche in questo libro, così come nel precedente, racconto di fiammeggianti e rapinose storie d’amore.

Le sue pagine quanto si distaccano dal femminismo nelle sue plurime e molteplici flessioni?

Quando mi sono accinta a questi due affascinanti e coinvolgenti progetti letterari, l’ho fatto non soltanto per amore nei confronti della Storia declinata al femminile, ma anche per ripristinare alcune verità sottaciute, per ricollocare sotto la giusta e veritiera luce molte delle figure raccontate che sui libri di scuola, ad esempio, non vengono menzionate o presentate non nella loro interezza.

Entrambe le mie opere sono state un atto d’amore nei confronti di queste straordinarie creature di cui ho voluto narrare sì i successi, ma anche gli eccessi, sì le sfide vinte, ma anche le sconfitte, sì la loro eccezionalità, ma anche, e soprattutto, i loro aspetti più nascosti, segreti, controversi, financo ambigui. Non perseguo l’intento “agiografico” di santificarle o di ammantarle di gloria solo perché sono donne; perseguo l’obiettivo di onestà intellettuale nel ritrarle, senza giudicarle, anche quando hanno comportamenti per me disdicevoli o non condivisibili, e ho cercato di consegnarle alle lettrici e ai lettori (soprattutto a quelli più giovani) per farle conoscere e far conoscere ciò che hanno fatto per il progresso e per l’umanità.

Inoltre, essendo io anche pianista e autrice/attrice teatrale, ho utilizzato sia la grammatica musicale che quella teatrale per ricreare le singole figure in modo, come dire, tridimensionale, ponendole ciascuna su un palcoscenico ideale e illuminandole idealmente con luci radenti, taglienti o immergendole nella penombra, e, nel contempo, affidandomi ai crescendo e diminuendo, ai rallentando e agli accelerando, insomma a quella che si chiama la dinamica musicale per meglio connotarle.

C’è una rigorosa ricerca storica dietro, uno studio molto meticoloso da parte mia, ma anche una sorta di “drammatizzazione” per quanto riguarda alcuni personaggi fittizi, moltissimi dei dialoghi presenti, la ricostruzione di atmosfere e panorami.

Ho amato moltissimo queste donne proprio per ciò che sono state: inarrendevoli e Indomabili. Appunto.

Artista versatile, Daniela Musini, nata a Roseto degli Abruzzi (TE) e residente a Città Sant’Angelo (PE), è scrittrice, pianista, attrice e autrice teatrale ed è conosciuta come una delle più acclamate interpreti dell’opera di Gabriele d’Annunzio. Ha allestito i suoi recital/concert dannunziani e i suoi monologhi dedicati ad Eleonora Duse e Maria Callas, in Italia, Russia, Giappone, Francia, Bielorussia, Germania, Polonia, Turchia, Stati Uniti e Cuba. Oltre alla stesura di quindici testi teatrali, ha al suo attivo saggi e biografie e con Piemme nel 2020 ha pubblicato Le Magnifiche-33 vite di donne che hanno fatto la storia d’Italia che ha riscosso un lusinghiero successoPer la sua poliedrica attività artistica e per i prestigiosi traguardi raggiunti le sono stati conferiti 37 premi letterari nazionali ed internazionali e 18 premi alla carriera.

Giuseppina Capone

Dante Alighieri

Paola Cantatore è nata a san Giovanni Rotondo nel 1979. Appena ha potuto, dopo il liceo classico, ha trovato una scusa ufficiale per viaggiare ed esplorare il mondo studiando Lingue e Civiltà Orientali a Napoli, per poi involarsi per Tokyo. Nel 2006 torna in Italia e si trasferisce a Ferrara, votandosi al pendolarismo. Ama tradurre, collezionare fumetti e libri che forse non riuscirà mai a leggere e coltivare pomodori pugliesi nel suo minuscolo giardino. Insieme ad Alessandro Vicenzi, ha realizzato Losche Storie, una serie di racconti biografici sui grandi personaggi della storia. Dal 2008 è traduttrice ed editor presso la Franco Cosimo Panini Editore. Con lei parliamo di Dante Alighieri.

Il 2021 celebra il settecentesimo anniversario della morte di Dante in maniera notevolmente articolata e corale, escludendo barriere tra le discipline artistiche e non. Cosa ha rappresentato ed ancora oggi rappresenta Dante?
Dante non solo può essere considerato legittimamente il padre della lingua italiana e un vero e proprio simbolo del nostro Paese, ma ha rappresentato per lunghi secoli un’ispirazione. Da Ariosto a Goethe fino ai grandi scrittori del Novecento come Valéry, Proust, Borges, Camus e Pasolini… Tutti sono stati ispirati da Dante! Ma per quanto “inseguito”, nessuno è mai riuscito a eguagliare la sua fama. Prima di lui c’erano scrittori di rime per musica, qualche religioso che scriveva testi teologici o filosofici e poco altro. Dopo di lui c’è la letteratura. La cultura dell’Italia (e forse l’Europa) non sarebbe quel che è, se non ci fosse stato Dante.

Il Dante di cui illustra la biografia adopera un “linguaggio” di verità: bello, brutto, maestà e squallore, operosità e rassegnazione, meraviglia e mistero coabitano, s’annodano e si arruffano.
La modernità di Dante sta nel concedere al lettore di scoprire la propria fragilità?

Nella sua poesia, Dante è riuscito a portare praticamente alla perfezione ciò che Omero e che Aristotele, Orazio e Plutarco ritenevano indispensabile per l’arte poetica: l’immediatezza visuale e la vivacità pittorica del linguaggio poetico. Dante è moderno perché il suo linguaggio, attraverso i secoli, continua a catturare il lettore, ad ammaliarlo e a renderlo partecipe di quanto legge. E perché la Divina Commedia racconta di noi. È un’opera universale, che parla dell’essere umano in quanto tale, e dal tempo di Dante a oggi gli uomini sono cambiati poco. Dante, a ben guardare, non viveva in un mondo troppo diverso dal nostro. Certo, oggi godiamo di condizioni di vita decisamente migliori rispetto ai tempi in cui lui visse, possediamo tecnologie infinitamente più efficienti, ma proviamo le stesse viscerali emozioni di settecento anni fa. È cambiato il nostro rapporto col divino, la concezione che abbiamo di noi stessi si è ridotta su scala ben più piccola. Al suo tempo ci pensavamo come il centro della Creazione, oggi siamo animali evoluti che abitano un puntolino di terra in un universo assai meno ordinato e miliardi di volte più ampio di quanto non fossimo capaci di immaginare allora. Ma restiamo parte di una società, che funziona con gli stessi meccanismi di quella in cui ha vissuto Dante, e in campo morale l’uomo non è cambiato granché.

Si può affermare che l’Italia sia venuta alla luce anche grazie ad una sorta di “Dantemania” che ha appassionato l’intelletto e l’animo di innumerevoli giovani tra Settecento ed Ottocento.
Dante può essere considerato il nostro autentico Padre della Patria in senso politico?

No e… sì. Dante non ha un’idea dell’Italia come di un’entità politica a sé. Per Dante l’Italia non è una Nazione autonoma, ma è parte della monarchia universale, con una posizione preminente nel Sacro Romano Impero. È, infatti, “‘l giardin dello ‘mperio” e Roma, nella sua visione, ne è la capitale naturale. L’Italia è dunque per Dante più un sogno, un’idea. Da questo punto di vista Dante è “il profeta” dell’Italia che verrà. Ma ne è anche l’ispiratore. Dopo di lui verranno Petrarca e Machiavelli, Ariosto e poi Vico e Alfieri, Foscolo e Leopardi, e col tempo i grandi sognatori d’Italia, fino agli scrittori, i poeti e i pensatori risorgimentali… in questo senso Dante è il vero fondatore d’Italia.

Morale, religione, politica, amore, odio, passioni, vizi, virtù: come far coesistere il messaggio e la visione dantesche con l’umanità divisa e fragile del Terzo Millennio?
Nel leggere Dante si riscoprono i peccati mortali come la superbia, l’invidia, l’ira, l’accidia, l’avarizia, la gola, la lussuria, peccati considerati oggi meno gravi. Eppure, l’etica dell’Inferno viene apprezzata anche oggi, in particolar modo dai giovani, ed è un punto di riferimento in un mondo caratterizzato dall’appiattimento dei valori e dalle incertezze. Direi che Dante rappresenta un sostegno, un “centro di gravità permanente” nella condizione di debolezza che caratterizza il mondo occidentale. E i ragazzi lo ammirano anche perché ha il coraggio di denunciare e riesce a punire la corruzione della politica, del mondo della finanza e della Chiesa. Se vogliamo, ai loro occhi è una specie di “giustiziere”.

L’illustratore e fumettista Marino Neri dà vita ad un Dante intenso mediante illustrazioni fortemente espressive, dai poderosi contrasti.
Chi è il destinatario privilegiato di un testo tanto insolito, giacché non si disquisisce né della Divina Commedia né del Poeta?

Il destinatario ideale del libro è principalmente il giovane lettore, o un adulto interessato e incuriosito (che però non lo è tanto da imbarcarsi nella lettura di biografie ben più poderose). Il libro non ha la pretesa di disquisire, ma semplicemente di raccontare la vita di Dante, in maniera accessibile e un po’ diversa dal solito, e di rendere più contemporanea la vicenda umana di quello che prima di diventare il Somma Poeta che tutti conosciamo, fu a sua volta un ragazzo, e poi un adulto tormentato, con le sue passioni, i suoi sogni, ma anche i suoi dubbi e le sue fragilità. Questo è possibile perché prima di me e Alessandro Vicenzi – coautore del libro – altri (e ben più illustri) nomi, hanno raccontato storie sulla vita di Dante, a partire dal Boccaccio. E anche perché, leggendo i testi danteschi, affiorano elementi biografici, che permettono di trarre delle conclusioni sui suoi antenati, sul maestro Brunetto Latini, su Beatrice, sull’esilio e sulla sua condizione di migrante. Questi elementi sono, però, solo piccole tracce che aprono lo spazio all’immaginazione. La frammentaria biografia dantesca e la difficoltà degli studiosi a trovare documentazioni attendibili che completino il puzzle, invita a cercare, a colmare le lacune e a sviluppare alcune teorie. Nel libro ci siamo attenuti a quelle storiograficamente più attendibili, ma abbiamo tratto a piene mani anche dal già citato Boccaccio, vero fan boy di Dante: fu lui il primo a trasformarlo in un vero e proprio personaggio da romanzo.

Giuseppina Capone

Loredana Bertè e i tabù della sua vita privata

In un’intervista Loredana Bertè ha parlato di sé, della sua carriera da cantante,  del motivo per cui non ha mai avuto figli facendo rivelazioni sul comportamento dei genitori ed esprimendo  le sue perplessità sulla morte della sorella Mimì.

Loredana Carmela Rosaria Bertè ha rivelato il motivo per il quale non ha mai avuto figli e quanto la questione le porti ancora oggi tanto strazio, angoscia e  rimpianto; dopo la fine del primo matrimonio con il miliardario Roberto Berger, Loredana, avrebbe tanto desiderato avere una famiglia con l’ex tennista svedese Björn Borg con il quale è stata sposata dal 1989 al 1993. Borg avrebbe voluto dei bambini ma il suo più grande sogno era quello di mettere al mondo un figlio dal sangue svedese al 100%. Tutto questo ha condotto la coppia alla rottura definitiva recando, inevitabilmente, un profondo dispiacere a Loredana oramai non più, da quel momento in poi, intenzionata né speranzosa di poter concretizzare uno dei suoi più grandi sogni come quello di diventare mamma.

Intraprendente, forte e temeraria, Loredana non si è mai persa d’animo, non si è lasciata sconfiggere  dalle avversità della vita e dalle meschinità subite, ma ha sempre combattuto per ottenere ciò che desiderava: “Non so se non avessi avuto la fortuna che ho avuto, cosa avrei fatto. Chi può saperlo? Mi sarebbe piaciuto, per esempio, fare l’archeologa o l’architetto” – afferma la star durante l’intervista.

Amata in Italia come in tutto il mondo, ad oggi settantunenne, la raggiante Bertè ha una lunga carriera musicale alle spalle: ha pubblicato diciassette album in studio, cinque dal vivo, 2EP e 4 raccolte ufficiali con un totale di 7 milioni di dischi venduti in tutto il mondo. La Bertè è, inoltre, nota come showgirl, cantautrice e attrice. E ancora, ha collaborato con alcuni migliori artisti e produttori italiani come Mario Lavezzi, Pino Daniele, Corrado Rustici, Fiorella Mannoia, Luca Chiaravalli, Alberto Radius e Ivano Fossati; mentre alcuni dei più stimati cantautori italiani come Renato Zero, Edoardo Bennato, Biagio Antonacci, Gaetano Curreri, Luciano Ligabue, Mango, Ron, Enrico Ruggeri,  Ivan Graziani, Gianni Bell, Bruno Lauzi, Mariella Nava, hanno scritto per lei brani meravigliosi. Ma non finisce qui perché la stella della musica italiana ha vinto perfino numerosi premi: uno assegnato da Lunezia Rock e due RTL Power Hits Awards, cinque da Vota la voce, uno da Un disco per l’estate, tre Wind Music Awards e uno dal Festivalbar.

L’infanzia di Loredana

Loredana è Nata a Bagnara in Calabria il 20 settembre del 1950. Figlia di madre e padre insegnanti (la madre Maria Salvina era maestra elementare e il padre Giuseppe Radames Bertè era professore di latino e greco e preside di liceo), Loredana era la terza di quattro bambine: Mia (20 settembre 1947); Leda (1 gennaio 1946); Olivia (28 gennaio 1958) nate tutte nel paese natale dei genitori ma trasferitesi, poi, assieme all’intero nucleo familiare a Porto Recanati e in fine ad Ancona. Apparentemente amorevole la famiglia Bertè, secondo il suo racconto, celava tanta sofferenza: poco tempo dopo la morte di sua sorella Mia (12 maggio 1995), Loredana, per la prima volta e attraverso le pagine del settimanale Oggi, ha raccontato la verità sulla situazione reale all’interno del nucleo familiare: padre violento e madre assente, genitori manchevoli d’amore, che non manifestavano alcun segno d’affetto alle proprie figlie ma erano solo intenti nell’insegnare loro una severa educazione. In un’intervista nel 2009, Loredana aveva sostenuto che la fonte dei problemi psicologici di Mimì era la sua famiglia: il comportamento violento dei genitori le avevano causato forti traumi che col tempo l’avrebbero condotta alla morte.

Non possiamo non dedicare anche poche parole alla mitica Mia Martini, una delle voci più penetranti, profonde, intense e allo stesso tempo commoventi della musica italiana,  venuta  a mancare, purtroppo, a soli quarantotto anni. Mia sarà ricordata per sempre per la sua appassionante voce capace di far emozionare il mondo intero.

Alessandra Federico

Vuoto a buon rendere: il giusto metodo per il riciclo

Come funziona, la differenza tra vuoto a perdere e vuoto a buon rendere, quali sono i vantaggi e quali imprese hanno aderito al progetto.

Il progetto vuoto a rendere nasce con l’intento di migliorare l’ambiente eliminando l’inquinamento di una percentuale la più alta possibile: la somma dei rifiuti si è ridotta del 96% mentre per vetro e plastica dell’80%.  Ma in che consiste il vuoto a buon rendere?

Il vuoto a buon rendere consiste nel restituire, dopo aver pagato una cauzione nel momento dell’acquisto che viene resa dopo la restituzione del contenitore,  una volta vuoto,  il contenitore al fornitore in modo da poter essere riutilizzato. Il progetto include sia bottiglie di vetro (40 riutilizzi) che in plastica (20 utilizzi),  tale riutilizzo comporta anche un risparmio energetico del 76,91% (le bottiglie per il vuoto a rendere sono più doppie per poterle riutilizzare più volte).

Al contrario del progetto vuoto a perdere, invece, che consiste nel gettare il contenitore anziché restituirli (usa e getta) contenitori non riutilizzabili eccetto quello contenente la nutella che solitamente viene usufruito come bicchiere o per tante altre funzioni. Inoltre, il vuoto a perdere, comporta un maggior consumo di energia e inquinamento: l’Ufficio federale dell’ambiente della Germania, dopo diversi studi, afferma che i vuoti  a rendere sono meno inquinanti. Soprattutto  per questioni politiche, ecologiche ed economiche il vuoto a buon rendere è considerato migliore del vuoto a perdere. Difatti, un’ordinanza tedesca del 1991 prevede che il 72% dei contenitori siano vuoti a rendere. Secondo quanto previsto dal DM 3 luglio 2017, nell’ottobre dello stesso anno, i venditori possono procedere all’iniziativa del vuoto a rendere. In Italia dal 2005 il vuoto a rendere copriva meno del 50%. Ogni italiano consuma 224 litri  all’anno, l’equivalente di undici miliardi di bottiglie (369,9 mila tonnellate di plastica all’anno ovvero 5,87 milioni di barili di petrolio in un anno) di cui solo il 15% va riciclato ma l’84% è in plastica e finisce  disperso nell’ambiente (la maggior parte in mare trasformandosi in microplastiche, mangiate poi dai pesci). Grazie al vuoto a rendere i camion che trasportano le bottiglie percorreranno migliaia di km in meno e non solo, i passaggi per il riutilizzo della bottiglia saranno la metà:  passa da casa nostra al deposito e poi al produttore che la sterilizza e riusa.  Con il vuoto a perdere, invece, i passaggi sono ben quattro: una volta gettata la bottiglia nella campana riciclo viene ritirata dal camion che la porta al centro racconta dove un altro camion si occupa di farla giungere all’impianto di frantumazione. Ancora, un altro camion parte verso la vetreria per la fusione in un forno a 1.400 gradi. La bottiglia nuova, trasportata ancora da un altro camion, torna al produttore per l’imbottigliamento. Basterebbe costruire un impianto di lavaggio vicino alla fonte anziché pagare la bottiglia nuova ogni volta; con il vuoto a buon rendere si riducono anche i costi di produzione: meno consumo di petrolio e meno emissioni di CO2.

Inoltre, è importante acquistare l’acqua in vetro non solo per il vuoto a rendere  (perché questo tipo di vetro viene sempre completamente riciclato e il 10 su 16% di bottiglie d’acqua sono in vetro) ma anche perché la plastica delle bottiglie esposta al sole rischia di danneggiare l’acqua e quindi è dannosa per il nostro organismo.

Anche la birra Ichnusa rilancia il vuoto a rendere

“Ogni bottiglia restituita, è una bottiglia che non viene abbandonata. Riuso, impegno e rispetto. Tre parole chiave che rappresentano il circolo virtuoso del vuoto a rendere.  Questa pratica che altrove è andata persa, in Sardegna resiste ancora ed è una tradizione consolidata e virtuosa. Le bottiglie così sono riutilizzate anche per vent’anni. Hanno una storia e danno un messaggio importante: il rispetto verso l’ambiente” – afferma il proprietario dell’azienda della birra sarda.

Il vuoto a buon rendere della birra Ichnusa lancia la nuova linea green di bottiglie. “Rispetto, riuso e impegno” è questo il motto che utilizza l’Ichnusa per il vuoto a rendere e sarà questa la scritta che troveremo sull’etichetta della nuova bottiglia della birra, oltre alla particolare novità del tappo verde. Grazie al progetto “vuoto a buon rendere” si potrà riutilizzare la stessa bottiglia per circa vent’anni:  il nuovo impianto di produzione permetterà allo storico birrificio sardo di ridurre il numero di vetro utilizzato.

La birra Peroni adotta il metodo vuoto a rendere

Anche la birra Peroni si tinge di verde per aderire all’idea del vuoto a rendere. La sua originalità, però, è  l’icona del riciclo che troviamo sulla grafica dell’etichetta accompagnato dalla scritta “Buona per noi e per l’ambiente, vuoto a rendere” come simboli universali di solidarietà.

In verità, la birra Peroni, si occupa di realizzare bottiglie per il vuoto a rendere sin dal 1846. “Birra Peroni è da sempre impegnata per la salvaguardia dell’ambiente. L’impegno che vogliamo trasmettere ai nostri consumatori con questo particolare formato. Pensare che quella bottiglia avrà ancora una lunga vita e non verrà smaltita in quel momento è una cosa incoraggiante, un segno di rispetto per l’ambiente e il territorio in cui viviamo, un progetto che abbiamo deciso di portare avanti con orgoglio e che siamo sicuri possa essere un piccolo ma concreto aiuto alla sostenibilità ambientale. Si tratta solo di acquisire una nuova abitudine, utile prima di tutto a noi stessi”,  dichiara Marina Manfredi, Marketing Manager Peroni Line.

Anche la birra Forst Kronen parteciperà al vuoto a rendere

Come la Peroni e l’Ichnusa, anche la Forst Kronen adotterà il metodo di vuoto a buon rendere. Dal tappo verde, la bottiglia Forst, sarà più spessa e resistenze per poterla riutilizzare.

Roberto Cingolani, ministro della Transizione ecologia, per evitare distorsioni di mercato, entro la fine dell’anno dovrà incontrare i direttori delle imprese che vogliono partecipare al vuoto a buon rendere e dovrà dare il regolamento applicativo, obiettivi da raggiungere, gli incentivi economici per le aziende, entità della cauzione, quale sarà la prassi per il venditore e per il consumatore.

Dal 3 luglio è entrata in vigore “la direttiva antiplastica” (una direttiva europea antiplastica vuole limitare l’usa e getta di piatti, posate e tutti i prodotti di plastica.).

Alessandra Federico

Protagonisti l’amore e le stelle per il romanzo di esordio di Cosimo Clemente

“La stanza delle stelle” edito da Bookabook è il romanzo di esordio di Cosimo Clemente. Ne parliamo con l’Autore.

Bancario, creativo, scrittore, sindacalista, come si conciliano nella sua vita queste quattro realtà? 

La creatività, caratteristica che mi ha sempre contraddistinto sin da bambino e che per anni è sembrata fonte di “distrazione” da cose apparentemente più importanti, è diventata oggi la mia dote migliore e attraversa trasversalmente tutto ciò di cui mi occupo per lavoro e passione; è la chiave per trovare nuove soluzioni e migliorare.

Com’è nata l’idea di questo suo primo romanzo?

L’idea è nata anni fa, durante il periodo di riadattamento alla vita di sempre in Italia, dopo un intenso periodo di vita all’estero denso di emozioni e nuove esperienze. Per superare il cambiamento ho iniziato a scrivere e in qualche modo raccontare a me stesso ciò che avevo vissuto. Poi un giorno mi sono accorto che la storia poteva diventare un romanzo da condividere.

“La stanza delle stelle”, perché ha scelto questo titolo?

Il titolo “La stanza delle stelle” è stato l’ultimo passo del romanzo, cercavo un simbolo che rappresentasse tutta la storia e l’ho trovato in un luogo emblematico per la storia (di cui non posso dirvi di più), teatro dei risvolti narrativi cruciali.

Nel suo romanzo c’è qualcosa della sua vita, si può definire autobiografico?

La storia è decisamente autobiografica, alcuni personaggi e passaggi sono stati romanzati e modificati per ragioni narrative ma tutte le emozioni di cui si parla mi appartengono.

Progetti per il futuro? Sta già lavorando ad un nuovo romanzo?

Per il futuro continuerò a lavorare per la diffusione di questa opera, vorrei avere tanti lettori a cui proporre un secondo Romanzo nel quale racconterò il destino dei personaggi che hanno già conosciuto leggendo “La stanza delle stelle”.

Alessandra Federico

“Napoli è” alla Race for the Cure

“Anche quest’anno abbiamo deciso, come Associazione Culturale ‘Napoli è’ di partecipare all’iniziativa di Komen Italia per la lotta al cancro al seno – evidenzia Alessandra Desideri, giornalista e direttore del Museo dei Sedili di Napoli”.

“La prevenzione – prosegue la giornalista – è essenziale e in questi due anni caratterizzati dalla pandemia da Covid 19, purtroppo, proprio prevenzione e cura dei tumori hanno subito un fortissimo rallentamento se non un vero e proprio blocco. E’ stato stimato che le diagnosi di tumore mancate in Europa sono pari a 1 milione e la previsione dell’incremento di nuovi casi potrebbe aumentare del 21% entro il 2040. E’ chiaro da questi dati quanto sia importante cercare di ritornare al più presto ai livelli pre-Covid e recuperare quanto non è stato possibile fare in questi due tragici anni”.

Iniziative come quella di Komen Italia sono quindi fondamentali per la ricerca e per tenere alta l’attenzione sull’importanza della promozione della cultura della prevenzione.

Federica Cavenati: il mondo della moda ha perso una stella

Federica Cavenati è stata una stilista bergamasca di moda italiana. La Fashion Stylist aveva dato vita nel 2017 al marchio londinese 16Arlingston assieme a Marco Capaldo, suo compagno di vita e collega di lavoro; Federica e Marco si erano conosciuti durante il percorso di studi nella sede londinese dell’Istituto Marangoni.  La coppia viveva e lavorava a Londra.

Temeraria, sfrontata  e determinata nell’ambito della moda e, allo stesso tempo dolce, generosa e dall’animo nobile, Federica, è riuscita a divenire notevolmente influente nel campo del Fashion in età molto giovane, anche se la vita non le è stata  riconoscente per il suo altruismo e la sua vitalità: era solo lo scorso settembre quando una malattia folgorante l’ha portata via per sempre. Tuttavia, solo oggi,  in una pagina di Vogue britannico dedicata esclusivamente alla stilista, la sua famiglia ha raccontato la grande disgrazia vissuta e del grande senso di perdita e di vuoto che la giovane donna ha lasciato nel cuore di tutti.  Non potevano di certo mancare le calorose dediche da parte della sua più cara amica Lena Dunham: “Che la sua risata senza freni e il suo sconfinato appetito per la creatività non risuonino più nello studio 16Arlington è una tragica perdita per tutti coloro che hanno avuto la fortuna di incontrarla. Kikka era una luce bianca; con un’energia inconfondibile e l’amica più incoraggiante e fieramente leale”.

Una immensa disgrazia, per il mondo della moda, quello di perdere una delle più giovani e audaci stiliste: Federica è stata, nonostante la sua giovane età, capace di arrivare molto in alto nel settore del fashion raggiungendo il suo più grande sogno che rincorreva sin da bambina: diventare  una acclamata Fashion Designer. Il suo marchio, sebbene fosse stato fondato da poco nel ramo del Fashion, aveva già attirato l’attenzione di molti, soprattutto quella di personaggi noti. Difatti, grandi celebrità come Jennifer Lopez, Kendall Jenner, Lizzo, Billie Elilish, Lady Gaga e Amal Clooney hanno indossato abiti 16Arlingston.

Federica verrà ricordata per sempre per il suo spirito intraprendente,  per il suo entusiasmo e per l’amore e la sensibilità che possedeva e per il suo spirito positivo e coraggioso. Una persona che rimarrà nel cuore di tutti noi.

Alessandra Federico

Dario Argento: il maestro del brivido

Dario Argento, soprannominato il maestro del brivido, perché ha dedicato quasi tutta la propria produzione al cinema horror, è il noto regista, produttore cinematografico e sceneggiatore italiano. Uno dei suoi film più celebri è Profondo Rosso ed è proprio grazie a questo suo capolavoro che Dario Argento è diventato uno dei registi più acclamati in tutto il mondo soprattutto per gli appassionati del cinema horror.  Il regista, in una delle sue interviste, racconta che da sempre è stato attratto dalla psiche umana, difatti, la maggior parte dei suoi film,  trattano  un tema psicologico come quello del trauma. Il re dell’horror utilizza la psicanalisi per entrare nella mente dello spettatore, per affascinarla, introducendo spesso scene disturbanti (grazie soprattutto all’uso di effetti speciali in particolare giocando sui meccanismi della suspense). La sua maestria non è solo nella fotografia ma è anche e soprattutto nella colonna sonora; è stato uno dei primi registi italiani capace di far sposare la narrazione cinematografica con la narrazione musicale poiché, nei suoi film, sono in numero minore le scene non accompagnate da musica. Ed è proprio con la musica, in questo caso inquietante, che Argento riesce a far entrare lo spettatore in uno stato umorale di tensione prima ancora di vedere la scena.

Ma veniamo a Profondo Rosso

Marc Daly è un jazzista inglese che si  ritrova a far da testimone del tribunale omicidio della sensitiva tedesca Helga Ullman che, poco tempo prima dell’omicidio, durante la conferenza tenuta dal professor Giordani, (psichiatra) all’interno di un teatro aveva avvertito la presenza di un serial killer. L’agitazione per la circostanza fa accantonare una questione importante per Marc, perché in alcuni quadri, (composizioni inquietanti di volti di Enrico Colombotto Rosso) all’interno dell’appartamento della donna aggredita, riesce a notare un dettaglio fondamentale ai fini della soluzione delle indagini. Carlo, che soffre di dipendenza compulsiva dall’alcool, è il collega pianista di Marc che, preoccupato per l’amico (perché decide di indagare personalmente sulla morte della donna con l’aiuto della giornalista Gianna Brezzi e Giordani), lo supplica di non lasciarsi coinvolgere del tutto dal caso poiché si trattava di un pazzo assassino: uno psicopatico schizofrenico che utilizza un inquietante canzone per bambini come sottofondo per accompagnare il suo omicidio. Amanda Righetti è l’autrice di un libro che può aiutare a risolvere il caso ma l’assassino arriverà sempre prima che Marc possa raggiungere la scrittrice. Il killer arriverà ad uccidere anche Giuliani prima che egli comunichi a Marc il nome del colpevole. Marc raggiunge finalmente il suo obiettivo: in una villa abbandonata trova un cadavere mummificato e un disegno angosciante in cui c’è la firma di Carlo, il suo amico che poco dopo morirà vittima di un incidente stradale. Il disegno raccontava l’omicidio a cui Carlo aveva assistito in tenera età: sua madre che accoltella suo padre.  In quel momento i ricordi di Marc affiorano; il volto del vero assassino (riflesso nello specchio che aveva scambiato per un quadro) era il dettaglio che aveva dimenticato.  l’assassino è la madre di Carlo, Marta che insegue Marc con la macchina dopo aver capito che quest’ultimo era al corrente della verità, e, in seguito ad un breve litigio tra loro,  Marta rimane decapitata dall’ascensore del palazzo. L’ultima scena ritrae Marc immobile con i piedi immersi nel sangue.

Gli elementi principali di questo film sono lo specchio e la musica. Lo specchio, poiché posizionato tra tanti quadri in modo tale da dare la possibilità al killer (inizialmente e al momento dell’omicidio) di nascondersi depistando le indagini pur essendoci la sua immagine riflessa,  allo stesso tempo, però, rivelerà il volto dell’assassino. Per quanto riguarda la musica, invece, la cantilena di natale racconta la triste storia di un bambino (Carlo) che, per difendere il segreto della madre,  da adulto sarà prigioniero del trauma; non avendolo mai elaborato la sua vita sarà per sempre condizionata. Il messaggio che vuole mandare il regista è chiaramente di aspetto psicologico: se un trauma non viene elaborato e curato porta all’autodistruzione. Ancora, in tutti i film di Argento, traspare  il suo amore per la cultura, per il teatro, per i libri e per la musica.

Alessandra Federico

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