Pianeta Napoli 2, la nuova idea letteraria di Antonio Lanzaro

 

Abbiamo incontrato il prof. Antonio Lanzaro, Presidente della Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus, autore di numerose pubblicazioni e di alcune raccolte di racconti e poesie. Con lui abbiamo parlato della sua ultima produzione letteraria.

Presidente Lanzaro, da autore di libri e pubblicazioni di diritto a narratore e poeta, come mai ha deciso di intraprendere questa strada letteraria?

In effetti non c’è stata alcuna programmazione o decisione ma “solo una”, imprevedibile “senilità” incombente che ha comportato l’esigenza di rispolverare ricordi, persone, avvenimenti che hanno caratterizzato la mia vita. Ovviamente l’unico strumento per lasciare il… segno era la scrittura e quindi …

Quando e com’è nata l’idea di scrivere questa raccolta di racconti?

Come ho detto nella premessa a “Racconti Fantastici” molti racconti sono autobiografici. Su alcuni ci ho ricamato sopra, altri sono frutto di fantasia, comunque tutti i personaggi sono napoletani, eroici, generosi, altruisti, dotati di inventiva e indiscusse capacità.

Quanto della sua esperienza personale è presente nei racconti di “Pianeta Napoli” e “Racconti Fantastici”?

Certamente l’esperienza personale è stata determinante, avendo perso mio padre a venti anni si potrà immaginare quanto … ho “vissuto”, studiato, lavorato e alla mia età quante persone ho conosciuto nel bene e nel male.

La fantascienza è il leitmotif di questo libro, i tempi che stiamo vivendo quanto hanno inciso nella scelta dei contenuti di questa pubblicazione?

Ho precisato nella premessa a “Racconti Fantastici” il mio interesse per la fantascienza e per la cinematografia in genere e da ragazzo seguivo il sogno di imitare autori come Asimov, Clarke, Dick, Ballard.

Ma nel 1970, pubblicai il mio primo articolo giuridico sulla rivista “Orizzonti Economici” della Camera di Commercio e quindi la realizzazione del sogno fu rinviata: “Maiora Premebant!!!”

A quando la prossima “fatica” letteraria?

Salute e Covid permettendo ho in mente di scrivere una commedia comica in due atti.

Diciamo questa estate. Ovviamente né darò notizia su “Lo Scugnizzo” il giornale della Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus di cui sono Presidente.

Alessandra Desideri

Luis Enrique: quando il dolore non incrina uno spirito puro

L’allenatore del calcio spagnolo, la perdita di sua figlia Xana e le sue eloquenti parole per il calcio italiano.  

“Nostra figlia Xana è venuta a mancare questa sera all’età di nove anni dopo aver lottato per cinque lunghi mesi contro un osteosarcoma. Ci mancherai tantissimo, ma ti ricorderemo ogni giorno della nostra vita, con la speranza che un giorno ci incontreremo di nuovo. Sarai la stella che guiderà la nostra famiglia. Riposa in pace, Xanita”, dichiaravano Luis e la sua famiglia in seguito alla morte della piccola, il 26 agosto del 2019.

Non si dovrebbe mai sopravvivere ai propri figli. Eppure la vita a volte è ingiusta. Luis Enrique (Allenatore della CT della Nazionale spagnola) ha perso sua figlia di soli 9 anni il 26 agosto 2019. Tuttavia, malgrado la forte sofferenza, l’allenatore ha, con grande forza di volontà, trovato la grinta per andare avanti dimostrando, inoltre, di possedere una grande intelligenza e  un animo sensibile, umile e altruista.  Luis  è ad oggi stimatissimo anche dagli italiani che, alla vittoria della partita contro la Spagna dello scorso 6 luglio, sono rimasti colpiti dalla sua straordinaria umiltà:

“Sono felice per quello che ho visto. Ho goduto di una partita di alto livello, con due squadre forti che cercavano di giocare un bel calcio, è stato uno spettacolo per i tifosi. Voglio fare i complimenti all’Italia, spero che in finale possa vincere questo Europeo. Tiferò per gli azzurri”, ha dichiarato.

“L’errore che non dobbiamo commettere – aveva detto alla vigilia – è non essere la Spagna. Poi potremo perdere, vincere o pareggiare, ma so che la mia squadra sarà fedele al nostro spirito”.

Il messaggio di Enrique ha voluto trasmettere diversi significati: la sofferenza non deve portare a diventare meschini e a perdere fiducia nella vita.

Al contrario, Luis ci insegna che le tragedie devono far sì che il proprio punto di vista sulla vita possa mutare affinché si arrivi a comprendere quali sono le priorità e per cosa valga la pena soffrire o gioire. Ancora, ci ha insegnato a esultare anche per la vittoria del prossimo e che la competizione è giusta solo se è sana.

La passione per il calcio

La sua passione per il calcio nasce da bambino: gioca nelle giovanili dello Sporting Gijòn e da lì a poco diventa calciatore fino a divenire allenatore. Ha trascorso la maggior parte della sua vita in campo, l’unico momento in cui ha preso una pausa è stato per una giusta quanto delicata causa: 19 giugno 2019 si dimette da allenatore della Spagna per ben sei mesi per stare accanto a sua figlia Xana di nove anni che, per sei lunghi mesi, ha combattuto una dura lotta contro il cancro alle ossa ma purtroppo non l’ha vinta.

Di caloroso conforto fu il calcio italiano per Luis che, con gesti d’amore e tante parole d’affetto, gli ha dimostrato di essergli accanto. Non solo, tante sono state le dediche per Luis ricche di parole di conforto, di sostegno  e di incoraggiamento per una persona di un grande valore d’animo che avrebbe dovuto sopravvivere alla scomparsa della propria figlia.  Christian Vieri: “Xana è volata in cielo, preghiamo per la famiglia di Luis Enrique”.  “Una notizia che mi addolora molto, a te e alla tua famiglia vanno le più sentite condoglianze”, scrisse Roberto Mancini. Francesco Totti: “Non ci sono parole. Riposa in pace piccola stella” . E tante altre dediche colme di parole d’affetto che Luis porterà sempre nel cuore.

Alessandra Federico

 

 

 

 

 

 

 

Alessandria: donna uccide il marito per le troppe violenze subite

È accaduto lo scorso 11 luglio a Borghetto di Borbera in provincia di Alessandria. La donna, (sessantenne, ha ucciso il marito di 64 anni sedandolo e strangolandolo con i lacci delle scarpe. La donna ha immediatamente telefonato i carabinieri per confessare l’omicidio e il  motivo per il quale ha commesso questo omicidio. Sembrerebbe che quest’ultima sia stata vittima, per anni, di violenze (fisiche e psicologiche) da parte del marito. La moglie era disperata e sembrerebbe, dunque, che questo gesto sia stato dettato dall’esasperazione, per difendere sé stessa e suo figlio dalle botte subite per anni all’interno delle mura di casa.

Poche ore prima dell’omicidio, l’uomo si era recato in ospedale a causa delle ferite che aveva in volto in seguito ad un litigio con sua moglie, ma veniva dimesso poco dopo essendo in ottime condizioni di salute.

La donna ha raccontato che il marito, nel pomeriggio prima dell’omicidio,  aveva avuto una forte lite con suo figlio arrivando anche a lanciarsi bottiglie. La situazione stava decisamente degenerando, soprattutto nel momento in cui l’uomo rimane ferito ad un orecchio. Decidono entrambi di chiamare i carabinieri. Secondo quanto raccontato dalla donna, l’uomo, negli ultimi 3-4 anni, sarebbe diventato più aggressivo e prepotente, anche se non c’erano mai state denunce prima d’ora da parte della donna per i maltrattamenti subiti dal marito. Di fatti,  gli investigatori escludono che la questione andasse avanti davvero da anni. Soprattutto perché, i due coniugi, erano considerati due persone gentili e amorevoli dai loro concittadini, quindi nessuno (nemmeno tra amici più intimi) avrebbe mai sospettato ci fosse violenza tra loro.  Ma c’è anche da dire che spesso l’apparenza inganna e che dall’esterno non si è a conoscenza del vero rapporto di una coppia.

 “Ero stanca delle botte a me e a mio figlio”. Arrivare  a compiere un atto del genere senza preoccuparsi delle conseguenze, avviene nel momento in cui si arriva davvero all’esasperazione.

La violenza sulle donne è più frequente di quanto si possa immaginare. La violenza fisica o anche quella psicologica è all’ordine del giorno e la si riscontra in una coppia su tre. In questo caso, la donna ha deciso di sacrificarsi e di rinunciare alla sua libertà pur di porre fine a tutto lo strazio, alle sofferenze, e alle umiliazioni subite per anni dal marito, pur di difendere  e mettere in salvo suo figlio, soprattutto.

Ad oggi la donna è stata sottoposta a fermo nel carcere Lorusso e Cutugno di Torino. La protagonista della vicenda ha dimostrato, senza ombra di dubbio, di possedere un forte coraggio, e che i figli vengono prima di ogni altra cosa.

Ma c’è qualcosa che possiamo fare noi donne prima di arrivare a questo? E’ anche vero che, quando la mente umana viene plagiata, assillata, esasperata, si può arrivare a compiere  atti estremi come questo omicidio. La soluzione potrebbe essere quella di scappare via al primo schiaffo, alla prima minaccia, alla prima aggressione anche se verbale. Bisognerebbe trovare immediatamente il coraggio di dare un taglio netto alla storia anche se dura da tutta una vita, perché alla prima parola offensiva significa che da quel momento in poi la situazione non può che peggiorare. Quando si ha difficoltà nel trovare il coraggio di troncare, è necessario chiedere aiuto a qualcuno, raccontare ciò che si sta vivendo. Ogni donna non deve mai dimenticare che la sua libertà è la cosa che conta di più e che non ne vale mai la pena sacrificarla per un uomo, chiunque esso sia.

Alessandra Federico

Laureato a undici anni: Laurent Simons   viene definito bambino prodigio

“Se un giorno inventerò qualcosa, lo metterò su internet a disposizione di tutti”.

Sono le parole di Laurent Simons, il bambino prodigio belga che all’età di soli 11 anni si è laureato in fisica all’Università di Anversa con il massimo dei voti. Simons era già noto per il suo quoziente intellettivo altissimo e infatti ha completato gli studi portando a termine un percorso di tre anni in solo dodici mesi. Il piccolo genio, quando viveva in Olanda, era già a un passo dalla laurea ma a causa di un disaccordo con il direttore dell’Università (riteneva che Laurent fosse troppo giovane per potersi laureare) non completò gli studi. Il piccolo Simons ha già seguito alcuni corsi per seguire il programma di un master e non solo, ha intenzione di intraprendere un dottorato al termine del master.

“Vorrei inventare organi artificiali che sostituiscano quelli reali – ha dichiarato Laurent Simons . – Così anche i miei nonni potranno vivere più a lungo”.

L’obiettivo di Laurent è quello di riuscire, un giorno, a sostituire con la tecnologia tutte le parti del corpo, per far sì che la vita umana possa prolungarsi, mantenendo, però, un collegamento con il cervello per salvaguardare la loro coscienza.

Un bambino che a soli undici anni possiede una conoscenza approfondita di una o anche più settori, che riesca ad ottenere risultati del livello di un adulto, non può che essere definito bambino prodigio.

Il bambino prodigio

“Ci hanno detto che è come una spugna” dichiara entusiasta il padre di Laurent.

I nonni del piccolo Laurent, hanno, sin da subito, ritenuto che il bambino fosse “dotato di un dono” motivo per il quale le sue capacità di apprendimento fossero, da sempre, risultate superiori rispetto ad un bambino della sua età. Lydia e Alexander Simons (genitori di Laurent) erano titubanti al riguardo fino a quando gli insegnanti  del bambino hanno confermato la teoria dei nonni e cioè che Laurent il dono ce l’ha. Laurent è stato testato, risultato IQ oltre 145.

“Penso si concentrerà sulla ricerca e la scoperta, l’assorbimento delle informazioni non è un problema per Laurent”, afferma Alexander. Per quanto riguarda il dottorato di ricerca, invece, Alex e Lydia non hanno ancora voluto rivelare la scelta del figlio. Intanto, il piccolo fenomeno, è conteso da prestigioso atenei di tutto il mondo.

È semplicemente straordinario

“È lo studente più veloce che abbiamo mai avuto. Non solo è iper intelligente ma anche molto simpatico. Gli studenti speciali che hanno buone ragioni per farlo, possono organizzare un programma adeguato. Succede anche agli studenti con impegni sportivi” – ha dichiarato, durante un colloquio con i genitori del piccolo,  Sjoerd Hulshof, il direttore della Facoltà del TUE. L’università di ingegneria ha dato la possibilità a Laurent di completare il corso molto prima rispetto agli altri studenti. Sjoerd, ha ritenuto opportuno lasciar libero Laurent di andare avanti senza ostacolarlo, nonostante la sua tenera età. Il direttore ha ben compreso che una persona con un IQ così alto non la si può reprimere. La si può solo far crescere. Far prendere il volo.

Al contempo, però, come tutti i bambini della sua età, il piccolo Laurent ancora non sa bene cosa vuole fare da grande. Vorrebbe diventare medico chirurgo e fare l’astronauta. È  importante che ogni bambino, seppur l’eccezione di un piccolo genio, abbia il diritto di vivere la spensieratezza che quell’età richiede e che si senta libero di coltivare anche il suo lato infantile come tutti i bambini del mondo; di fatti, il piccolo Simons, ama giocare con i suoi coetanei anche se gli attende un futuro totalmente diverso.

Alessandra Federico

Un mito, una leggenda, addio a Raffaella Carrà, la più amata dagli italiani

 

Raffaella Carrà, una delle più grandi showgirl italiane, ci ha lasciato all’età di 78 anni a Roma, in una clinica. A dare l’annuncio è stato Sergio Japino, regista di tutti i suoi spettacoli e, per lunghi anni, suo compagno di vita. “Raffaella ci ha lasciati. È andata in un mondo migliore, dove la sua umanità, la sua inconfondibile risata e il suo straordinario talento risplenderanno per sempre”, ha detto, “unendosi al dolore degli adorati nipoti Federica e Matteo, di Barbara, Paola e Claudia Boncompagni, degli amici di una vita e dei collaboratori più stretti”.

Raffaella Carrà il cui vero nome era Raffaella Maria Roberta Pelloni era nata a Bologna il 18 giugno del 1943. Aveva iniziato la sua sterminata carriera nel mondo dello spettacolo, cantante, ballerina, conduttrice, attrice, autrice all’età di 9 anni, nel 1952: e nonostante l’enorme successo in tutto il mondo è riuscita a rifuggire dalla mondanità, dalle ospitate e dai gossip.

Si è spenta dopo una malattia che, ha spiegato sempre Japino, “da qualche tempo aveva attaccato quel suo corpo così minuto eppure così pieno di straripante energia. Una forza inarrestabile la sua, che l’ha imposta ai vertici dello star system mondiale, una volontà ferrea che fino all’ultimo non l’ha mai abbandonata, facendo si che nulla trapelasse della sua profonda sofferenza. L’ennesimo gesto d’amore verso il suo pubblico e verso coloro che ne hanno condiviso l’affetto, affinché il suo personale calvario non avesse a turbare il luminoso ricordo di lei”. La Carrà, la più amata dagli italiani, era famosissima non solo in Italia, ma anche in Spagna ed in America Latina, “icona gay per le mie canzoni e la mia allegria”, come aveva raccontato a Massimo Gramellini, era stata celebrata lo scorso novembre da un lungo articolo del quotidiano britannico «Guardian», che metteva in fila alcuni dei passaggi più noti del suo percorso artistico, dall’ombelico mostrato durante Canzonissima a «A far l’amore comincia tu», da «Tanti auguri» al Tuca Tuca con Enzo Paolo Turchi, salvato dalla censura Rai da Alberto Sordi e la incoronava la «pop star italiana che ha insegnato all’Europa la gioia del sesso».

Icona della tv e dello stile, dal 1970 la grande artista, infatti, ha venduto oltre 60 milioni di copie in 37 Paesi nel mondo e ha conquistato 22 dischi di platino e d’oro. L’ultimo progetto discografico pubblicato risale al 2018, in occasione delle festività natalizie: “Ogni volta che è Natale”. “Quando la Sony mi ha proposto di incidere un album di Natale ci ho pensato a lungo, ha detto Raffaella in quell’occasione è stata la garanzia di avere carta bianca nella scelta dei brani e degli arrangiamenti a convincermi. Sono felice di averlo fatto. Dirò di più: nel mio ufficio ho una parete tappezzata di album d’oro e di platino. Ho ancora uno spazio libero, con questo disco mi piacerebbe chiudere il cerchio”. Sono 23 gli album pubblicati da Raffaella Carrà in Italia e nel mondo e 45 singoli. Il primo album ad essere tradotto per il mercato spagnolo è stato “Felicità tà tà” del 1974, distribuito in Spagna nel 1975 con il titolo “Rumore”.

I funerali si sono svolti venerdì 9 luglio nella chiesa di Santa Maria in Ara Coeli.
“Chiedo a tutti i suoi fan, in Italia, nel mondo, nelle chiese dei piccoli paesini come in quelle delle grandi città, di darsi appuntamento alle ore 12 di questo venerdì, per offrire tutti insieme l’ultimo saluto virtuale a Raffaella», è stato il messaggio commovente lanciato da Sergio Japino, per anni compagno dell’artista scomparsa.

Nicola Massaro

Raffaella Carrà: è morta la regina della televisione italiana

“Raffaella… non posso crederci. Il cuore a pezzi. Il mio sogno da bambina era di diventare un po’ come te, ed essere ospite in una tua trasmissione era la mia più grande ambizione. Ti ho incontrata molto presto e ho anche avuto il privilegio di passare del tempo con te, fuori dal piccolo schermo, con amici e con una cara amica in particolare. Tu eri così, semplicemente meravigliosa. Eri raggiante, positiva, umile, sempre. La tua inconfondibile risata risuonerà con forza per sempre e dentro ciascuno di noi. Grazie per tutto quello che ci hai donato, grazie per tutto quello che ci hai insegnato, soprattutto. Grazie per la tua anima bella e grazie per esserci stata. “

Saluta così, Elena Sofia Ricci la sua amica Raffaella, attraverso un post su Instagram dove dimostra tutto l’affetto e la stima che nutre nei confronti della regina della televisione italiana. Tante sono state le dediche da parte di chi ha amato Raffaella perché la televisione ha perso una delle sue più grandi stelle dello spettacolo italiano.

La vita privata della Carrà

Raffaella Maria Roberta Pellone nasce a Bologna il 18 giungo del 1943. Figlia di Padre romagnolo e madre siciliana, trascorreva molto tempo, sin da bambina, nella gelateria del padre (Rimini) dove era solita seguire la trasmissione in tv  Il Musichiere e dove, grazie  a questo programma, imparò a memoria tutti i balletti e le canzoni.  E fu proprio lì che nacque la sua passione per il ballo e per la musica, infatti, all’età di soli 8 anni si trasferì a Roma per proseguire gli studi presso l’Accademia Nazionale di Danza, poi al centro sperimentale di cinematografia. Da lì a poco iniziò la sua carriera cinematografica (anni ‘50), partecipò come attrice bambina (età 8 anni) al film di Mario Bonnard Tormento del passato. Da quel momento in poi la sua carriera come attrice fu rapida e in ascesa, partecipando ad uno svariato numero di film, seppur bambina, interpretando anche piccole parti.

La vita sentimentale

La bella e affascinante Raffaella è stata fidanzata per 8 anni con il calciatore della Juventus Gino Stacchini. Ha avuto, in seguito, altre relazioni importanti tra cui quella con l’autore televisivo Gianni Boncompagni, con il regista e coreografo Sergio Japino e con il cantante Little Tony. La bella Carrà era anche molto corteggiata da Frank Sinatra con il quale divise il set del film Il colonnello Von Ryan. Purtroppo Raffaella non ha mai avuto figli ma l’adozione a distanza le è sempre stata a cuore tanto da farle adottare molti bambini in diverse parti del mondo,  nel 2006 condusse un programma televisivo chiamato amore e nel 2004 uno speciale alla tv spagnola chiamato Contigo, in cui parlava di bambini e adozioni.

Il cinema

Nel 1960 conseguì il diploma al Centro sperimentale di cinematografia e nello stesso periodo debuttò anche al teatro con Un giallo Romano (1960) Il seduttore  (1965) Processo di famiglia e tanti altri meravigliosi spettacoli. Raffaella col microfono a tracolla (1962) fu il suo primo programma alla radio. A seguire: Gran varietà (1972- 1976 Incontro con Raffaella  Carrà (1979) Carràdio che sorpresa (1996) .

In quel periodo interpretò diversi ruoli in diversi film: Tormento del passato, (1952; Valeria ragazza poco seria (1958); Europa di notte (1958);­ La lunga notte del 43 (1960); Il peccato degli anni verdi (1960); Ulisse contro Ercole (1961); L’ombra di Zorro (1962); Giulio Cesare, il conquistatore delle Gallie (1962); I compagni (1963); Dopo i buio (1964); Il colonnello Von Ryan (1965); Il santo prende la mira (1966); Rose rosse per Angelica (1968); Professione bigamo (1969); Il caso “venere privata (1970); Barbare (1980); Colpi di fortuna 2013; Ballo Ballo (2020) e tanti altri ancora.  

Lo spettacolo

“Io Agata  e tu” fu il suo primo spettacolo in cui Raffaella si cimentava nel suo stile di showgirl moderna. Poco dopo debuttò in Canzonissima al fianco di Corrado in cui mostrò per la prima volta l’ombelico durante il ballo della sigla Ma che musica maestro.  Mentre per la stagione successiva di Canzonissima entrarono in classifica tre singoli i quali Maga Maghella per il pubblico infantile, Chissà se va e il mitico Tuca Tuca . Sono ancora tanti gli spettacoli di Raffaella da citare: Musica Hotel (1963);  Il paroliere questo sconosciuto (1962-1963); Musica Hotel (1963); Incontro con la New Vaudeville Band (1967); Tempo di samba (1968); Vedettes d’America (1968); Milleluci (1974)  e il più ricordato e amato da tutta Italia Carràmba!che sorpresa. La showgirl italiana più famosa al mondo ha, inoltre, lavorato come doppiatrice e ha interpretato diversi ruoli in diverse serie tv.

Icona della televisione italiana, Raffaella, è stata, difatti, una showgirl, ballerina, attrice, cantante, autrice televisiva italiana, conduttrice televisiva, radiofonica. Presente nei palinsesti televisivi dalla fine degli anni 60 riscontra grande successo anche all’estero. La showgirl, nel corso di tutta la sua carriera, ha venduto oltre 60 milioni di dischi.

“Il Tuca Tuca lo ballai la prima volta con Enzo Paolo Turci, e L’osservatore Romano fece pressioni in Rai per stopparlo. Riuscii a riportarlo in tv solo grazie ad Alberto Sordi, a cui nessuno diceva no, io mi vestivo così, pantaloni e top corto, senza nessun secondo fine. Certo, le donne italiane hanno grande simpatia per me perché non sono una mangia uomini: si può avere sex appeal insieme a dolcezza e ironia, non bisogna per forza essere Rita Hayworth” . Dichiarava, la regina della televisione italiana.

Raffaella ha insegnato, alle donne di tutto il mondo, non solo a ribellarsi per ottenere i propri diritti (come indossare ciò che si desidera senza pensare di provocarne scandalo) e a sentirsi libera di essere ma soprattutto che la vera bellezza e sensualità non risiede nella volgarità bensì nella dolcezza e nell’eleganza di una donna, così come lo è stata lei; un mix di sensibilità, allegria, ribellione e delicata sensualità che facevano di lei una donna passionale senza cadere nella sgarbatezza. L’audace showgirl è stata una donna evoluta, capace di eliminare tabù riguardo al sesso e di andare contro ogni  pregiudizio sull’abbigliamento femminile dimostrandolo anche attraverso i suoi balli e le sue canzoni moderne. E infatti, nel 2020, è stata definita “’Icona culturale che insegnato all’Europa le gioie del sesso” dal quotidiano britannico The Guardian. Insomma, la carriera della Carrà è stata ricca di soddisfazioni e rivincite.

Raffaella Carrà è morta il 5 luglio alle ore 16.20 a Roma, all’età di 78 anni a causa di una malattia, Ma il mondo intero la ricorderà per il grande entusiasmo con il quale affrontava la vita, per l’emozione che ha trasmesso con ogni suo spettacolo, per ogni sua risata che donava a tutti gioia e spensieratezza.

Alessandra Federico

Generazione Pompei

Maurizio Molinari nella sua prefazione a “Generazione Pompei” riassume in poche ma significative parole il contenuto del volume, distribuito gratuitamente il 24 giugno scorso con il quotidiano la Repubblica, ricco di illustrazioni edito da Guida editori “… è un viaggio nel sito archeologico che dal 2013, grazie alla piena operatività del Grande progetto Pompei, ha cambiato volto: dai crolli ai restauri alle scoperte”.

Massimo Osanna per ben sei anni ha diretto il Parco Archeologico di Pompei ed oggi è direttore generale dei Musei del Mic è stato attore e protagonista del riscatto di uno dei siti più conosciuti e più visitati al mondo.

Nella sua introduzione Ottavio Ragone sottolinea l’importante contributo dato dalle donne le quali, con la loro competenza  e forza, hanno contribuito in maniera determinante nel Progetto Pompei.

Il nuovo direttore generale del Parco archeologico di Pompei Gabriel Zuchtriegel nel suo contributo al volume ha evidenziato il rapporto tra la città e il territorio tra antichità e presente e l’importante opera di valorizzazione della zona e del paesaggio vesuviano.

Nelle immagini che raccontano insieme alle parole Pompei, le nuove scoperte, il riscatto e la valorizzazione di uno dei siti archeologici più affascinanti per la varietà e ricchezza di reperti che ci raccontano la storia di una fiorente città cancellata insieme ai suoi abitanti e quelli di Ercolano, Stabia e Oplontis dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.

Alessandra Desideri

 

 

Generazione Pompei

Scoperte e restauri: i protagonisti

Massimo Osanna

Antonio Ferrara

A cura di Ottavio Ragone

Novanta-Venti

la Repubblica

Guida editori

pp.166, 2021

Grazia Calanna: Cinque sensi per un albero

Grazia Calanna, giornalista, dal 2001 collabora con il quotidiano “La Sicilia” per il quale cura la rubrica di poesia Ridenti e Fuggitivi. Ha fondato e dirige, dal 2007, la rivista l’EstroVerso (www.lestroverso.it). È responsabile dell’Ufficio Stampa del MacS (Museo Arte Contemporanea Sicilia) per il quale ha curato “PoetArte”, connubio contemporaneo tra arte e poesia. Con Fabrizio Ferreri, organizza il Premio Letterario “Paolo Prestigiacomo” San Mauro Castelverde (Pa). Tra le pubblicazioni: Crono Silente (poesia, 2011, Prova d’Autore); William Shakespeare, Sonetti 1 – 48 con AA.VV. (traduzioni in italiano, 2013, Prova d’Autore); La neve altrove di Giovanna Iorio (traduzioni in francese a cura di Grazia Calanna, 2017, Fara Editore); Poeti in Classe – 25 poesie per l’infanzia e non solo con AA.VV. (poesia, 2017, Italic Pequod); “Zafferana Etnea. Suggestioni letterarie alle pendici dell’Etna” di Grazia Calanna, in Borghi di Sicilia (saggistica, 2018, Maimone Editore), a cura di Fabrizio Ferreri; Il Gatto Figaro (letteratura per l’infanzia, 2020, Algra), con illustrazioni di Giovanna Marchese; Cinque sensi per un albero con AA.VV. a cura di Grazia Calanna (poesia, narrativa e arte, l’EstroVerso, 2020). Per le edizioni Algra, con Orazio Caruso, dirige la collana Quadernetto di Poesia contemporanea.

Qual è l’idea sottesa all’antologia Cinque sensi per un albero?
«L’idea sottesa è che la vita è indivisibile. Dal conforto ricevuto dalla natura, tanto più in un delicatissimo momento storico qual è quello che stiamo vivendo. Tra silenti passeggiate nei boschi etnei, ho pensato al significato come alle potenzialità di una riflessione corale sul nostro futuro, sulla nostra salute, non esclusivamente fisica, e, così, ho formulato un invito a scrivere (fotografare o dipingere o illustrare) per gli alberi la cui esistenza, non possiamo dimenticarlo, o, peggio, ignorarlo, è indissolubilmente legata alla nostra».
Jaques Brosse ha asserito “Fin dall’origine il destino degli uomini fu associato a quello degli alberi con legami talmente stretti e forti che è lecito chiedersi che cosa ne sarà di un’umanità che li ha brutalmente spezzati ”. Cosa insegnano gli alberi?
«Gli alberi insegnano l’ascolto. L’amore per gli alberi, dai quali, in generale, mi sento ascoltata e protetta, mi è stato trasmesso dal mio amato padre come da un fraterno amico che ha aderito al progetto narrando in versi la toccante storia di un albero che gli ha letteralmente mutato l’esistenza. Il mio albero del cuore si trova a Milo, terra di mio nonno Marcello, è un ciliegio bellissimo, privilegiato da una duplice vista sul mare e sul nostro vulcano. Il mio albero dei sogni è l’albero arcobaleno, un eucalipto beneaugurante, che mi prefiggo di piantare a Zafferana Etnea, in provincia di Catania, dove vivo, insieme a tantissimi bambini, in un luogo incantevole, “Etna Shakti – Avamposto Vegano”, un’oasi di pace e di verde con un giardino/orto sinergico con più di mille specie arboree e arbustive».
Questo è un testo corale e pluriforme: poesia, narrazione, saggio, fotografia, dipinto ed illustrazione. C’è un simbolo che funga da nodo di raccordo?
«Sì, le betulle simbolo di rinnovamento. Alberi splendenti che prosperano restituendo alla vita paesaggi nei quali, con audacia scelgono di mettere radici. Come per prodigio, non era stato concordato, le ritroviamo in copertina, grazie alle generosità di Sonia Maria Luce Possentini che ha partecipato al progetto con uno splendido pastello e acquarello su carta satinata, perfetto per rappresentarci tutti come resilienti betulle».
A pagina 31 si scorge un’impostazione differente del testo. Qual è la motivazione?
«La ringrazio per l’attenzione. Come ho precisato in una nota del libro, ho accolto un’impostazione differente del testo, come nella richiesta e nelle intenzioni del professore Dario Borso, per ricordare il poeta rumeno di origine ebraica Paul Celan».
Lei scrive “Dopo questa prima (parziale) pubblicazione (…) se, come desideriamo, concluderemo con un editore coraggioso e tenace (…), stamperemo su carta ecologica l’antologia (…). Ebbene, quali sono gli scenari possibili in merito ai prossimi sviluppi di un progetto così lirico quanto digitale?
«L’idea del libro – realizzato in sinergia con l’associazione “Mindart”, presieduta da Laura Cavallaro, e che attualmente si avvale anche della preziosa collaborazione della galleria catanese “KōArt”, diretta da Aurelia Nicolosi – è quella di sensibilizzare per il tramite dell’arte, da intendere concretamente come “forza attiva e folgorante dell’essere e dell’agire”. Ci prefiggiamo, colgo qui l’occasione per ringraziane Nino Federico che ha curato l’impianto grafico del libro, di stampare l’edizione completa e cartacea insieme ad un editore coraggioso e tenace, alla stregua di una bella betulla, l’antologia cinque sensi per un albero. Destineremo i proventi spettanti per la curatela (come per gli animatori del progetto) all’acquisto di alberi da donare ai bambini perché li piantino nelle proprie città ovvero nelle medesime città di appartenenza degli autori che hanno sposato il progetto».

Giuseppina Capone

Il Marconi va in scena… al tempo del Covid. Protagonisti l’amore e i Sedili di Napoli

Mercoledì 30 giugno 2021 alle ore 17.30 andrà in onda sul canale canale youtube all’indirizzo https://youtu.be/hpt69k1i_0o l’evento online “Il Marconi va in scena”… al tempo del Covid-19 realizzato dagli studenti dell’I.S. “G. Marconi” di Giugliano in Campania, dirigente scolastica prof.ssa Giovanna Mugione.

Nato originariamente come “musical” con il progetto  PER CHI CREA SIAE, promosso dal MiBAC e SIAE, ha dovuto necessariamente fare i conti con tutte le problematiche legate al Covid-19 che hanno limitato la possibilità di studiare e stare a scuola in presenza e di conseguenza di portare avanti l’iniziativa.

La tenacia della prof.ssa Giovanna Mugione, dirigente scolastico del Marconi, e la disponibilità delle studentesse e degli studenti, dei docenti e di tutto il personale del prestigioso Istituto campano coinvolto nel progetto e degli esperti esterni, hanno fatto sì che, nonostante le difficoltà, si completasse il lavoro per la messa in scena finale.

Nessuno, all’inizio del percorso, avrebbe mai potuto pensato che invece di un palcoscenico su cui esibirsi, i giovani studenti del Marconi sarebbero diventati protagonisti di un lavoro in cui si è riusciti a coniugare tecnologia, arte, fotografia, recitazione, musica.

Tutti protagonisti, nelle loro varie specificità e ruoli, le attrici e gli attori in erba, i futuri tecnici di ripresa e fotografi, per realizzare quello che si può definire come sottotitolo “L’amore al tempo dei Sedili” di Napoli e aggiungiamo della Dad. Ebbene sì anche la Dad è entrata alla fine in questo progetto diventandone una protagonista indispensabile in questo periodo pandemico così come lo è stata del percorso di studi dei nostri ragazzi in questi ultimi due difficili anni.

“Voglio ringraziare innanzitutto – evidenzia il dirigente scolastico Giovanna Mugione – tutte le studentesse e gli studenti che hanno mostrato attaccamento e passione per questa iniziativa e che nei giorni peggiori hanno chiesto con insistenza se l’esperienza che avevano iniziato prima della pandemia avrebbe avuto seguito per vedere in scena il loro lavoro. Un forte ringraziamento va a tutto il personale coinvolto e soprattutto ai docenti che hanno seguito le attività didattico-organizzative e realizzative del progetto: Erminia Di Niola che ha coordinato le attività, Francesco S. Marsicano, Carmine Palumbo, Antonello Picciano. Un grazie a tutti gli esperti che sono stati chiamati a fornire la loro professionalità: Giuseppe Desideri, giornalista e sceneggiatore, Antonio Vitale regista che ha attualizzato la storia alla Dad, Alessandra Desideri giornalista-coreografa, Laura Bourellis esperta di beni artistici e storici, Bianca Desideri giornalista che ha curato la comunicazione”. All’iniziativa hanno dato la loro adesione e collaborazione come partner l’Associazione Culturale “Napoli è” che dal 1997 si occupa della riscoperta e promozione della storia dei Sedili di Napoli; la Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus; l’Associazione Teatro Sancarlino Il Teatro del Popolo “che ringrazio per l’attenzione al progetto e la promozione dello stesso – aggiunge il dirigente scolastico Giovanna Mugione”. I costumi di scena sono di Astro Sartoria di Pietro Rocco.

Il lavoro di organizzazione e realizzazione è stato molto più complesso di quanto preventivato alla partenza delle attività didattiche ma gli studenti-protagonisti di questo straordinario impegno dagli attori ai tecnici audio-video, hanno mostrato un entusiasmo che ha travolto tutti e a permesso nonostante il Covid il completamento dello stesso.

Una sfida vinta che ha mostrato come nonostante tutto non bisogna mai arrendersi.

Vi aspettiamo oggi 30 giugno alle ore 17.30 sul canale youtube all’indirizzo https://youtu.be/hpt69k1i_0o, con gli studenti del Marconi protagonisti con i loro personaggi di questa storia d’amore ambientata tra presente e passato nei luoghi dei Sedili di Napoli.

Buona visione a tutti!

 

Stefano Cazzato: Studiò diritto ma poi si piegò. Aforismi

Da anni molti si battono a favore del riconoscimento della “bibliodiversità” della letteratura contro l’eccessiva predominanza della narrativa: Stefano Cazzato ce ne spiega le ragioni, considerata la scelta dell’aforisma?
Il discorso sarebbe lungo, ma è molto stimolante. E qui possiamo solo abbozzarlo. La narrativa, soprattutto quella mainstream, ha sbaragliato ogni altro genere perché mediamente i lettori cercano storie semplici, scritte in un linguaggio standard, senza particolari sottotesti o sperimentalismi. Il messaggio deve essere edificante e rassicurante.
E’ l’industria culturale che ha creato questi lettori, o sono questi lettori che premono per questo tipo di prodotti?
Sta di fatto che oggi un romanzo di Perec o di Queneau difficilmente sarebbe vendibile. C’è un bisogno di evadere, del tutto comprensibile, che non può però rappresentare il canone del gusto e dell’offerta.
Peraltro, come afferma Todorov nel suo saggio I generi del discorso, è molto difficile trovare un criterio universale per stabilire cos’è letteratura e cosa no, perché si tratta di un fenomeno storico, situato. I casi freudiani, ad esempio, sono letteratura? E i miti? E gli aforismi lo sono?
Quale che sia la risposta, il ricorso all’aforisma è, nel mio caso, un tentativo di scardinare proprio la logica narrativa, del prima e del dopo, delle cause e degli effetti, della sequenzialità, del prevedibile, dello sviluppo necessario, del sentire comune.
Stanislaw Jerzy Lec sostenne che “non si può pettinare un aforisma”. E’ vero?
Lo ha lasciato intendere (e io ne ho tratto una morale) quando con i suoi “Pensieri spettinati” ha messo a fuoco il carattere non addomesticabile, indomito, contro-corrente, scomposto, politicamente scorretto, di un aforisma.
“Sesamo apriti – voglio uscire!”
“Se abbattete i monumenti, risparmiate i piedistalli. Potranno sempre servire”
“Persino nel suo silenzio c’erano errori linguistici.”
Basta leggere i suoi pensieri, per capire che l’essere spettinati si riferisce alla volontà di introdurre il disordine, e quindi il germe del dubbio, all’interno di ordini di senso programmati, consolidati, dati per scontati.
Ritiene che l’aforisma sia un genere contemporaneo, considerata la velocità del web?
Il web ha letteralmente inflazionato il genere, ma l’ha inquinato e annacquato. Tutti scrivono aforismi ma con quale consapevolezza? Non dico che si debbano rispettare delle regole, ammesso che ce ne siano, ma l’aforisma ha una storia, una tradizione, dei maestri, una grammatica, per quanto in apparenza sia il genere più spontaneo e semplice che ci sia, alla portata di tutti.
Gli aforismi non sono solo belle parole, ma cortocircuiti semantici, infrazioni linguistiche, deragliamenti della morale comune, spiazzamenti di attese. Non mi sembra che ci sia tutto questo in quello che normalmente si legge in rete, a parte eccezioni. E poi ci sarebbe da discutere di alcuni elementi stilistici, formali, estetici, espressivi che sono alla base della scrittura breve. Oltre a scrivere aforismi, ho sempre cercato di studiarne le implicazioni teoriche e storiche.
Per chi fosse interessato posso suggerire Teoria e storia dell’aforisma, un libro a più voci, pubblicato qualche anno fa, sul tema.
Soventemente, si finisce per identificare l’aforisma con La Rochefoucauld o Lichtenberg o Oscar Wilde o Karl Kraus. Può definirne le peculiarità?
Sì, è vero, si pensa a loro. Ma c’è una presenza molto forte della scrittura aforistica anche nel Novecento: Lec, appunto, ma anche Cioran, Canetti e tanti altri. E poi c’è una linea tutta italiana, da Longanesi a Flaiano, da Viviani a Fignon, da Ceronetti a Gragnani. Mi chiedi della peculiarità. Non pochi studiosi rifiutano un’assiomatica dell’aforisma, optando per la tesi della sua imprevedibilità ed estemporaneità. Posso risponderti con quanto scritto nella prefazione del mio libro: “che aforisma è quello che non ci fa dubitare di una certezza, che non smaschera una convenzione, che non coglie la noia di un’abitudine, la miseria di un gesto, di una nevrosi o di una pratica sociale? Che non fa provare un brivido, uno sbandamento, un’inquietudine, che non dà un piccolo pugno nello stomaco? Che non rappresenta uno shock per il pensiero e persino per la cattiva morale che si è pietrificata in un edificante moralismo? Che non crea un vuoto laddove c’è un troppo pieno di detto, di pensato, di indiscusso, di acclarato?”
Ecco, penso che l’aforisma faccia questo, debba fare questo.
La sua raccolta non segue un iter temporale o un ordine stabilito, non obbedisce ad un disegno ma rimescola, mediante un gioco di dadi, un materiale disarticolato che rispecchia le metamorfosi del soggetto e gli affanni della scrittura.
L’aforisma è una questione di involucro?

Sì, l’aforisma riflette una soggettività camaleontica, che cambia continuamente e che, a differenza di altri generi, è in grado di rappresentare in tutte le sue sfaccettature, anche quelle più contraddittorie.
Ho usato il termine involucro, perché il guscio, l’aspetto esteriore, direi quasi sonoro, è fondamentale nella riuscita di un aforisma. Non importa tanto quello che si dice ma il modo in cui lo si dice. Personalmente faccio largo uso di contrapposizioni: “Cercava la dolce metà e trovò un’amarezza intera” oppure “Amava il prossimo ma da lontano”.
Ma mi piace anche il gioco di parole: “La lingua batte dove il Dante duole” oppure: “Sei figlio unico? No, il secondo gemito”.
Infine per deformazione professionale, visto che insegno filosofia, amo gli aforismi filosofici: “Socrate se l’è bevuta solo una volta” oppure “Nietzsche morì nel 1900. Qualche anno dopo la morte di Dio”.
Ma anche io non seguo canone, e mi lascio trascinare, come dice Umberto Eco, dalle mie pulsazioni, come si può evincere dai circa mille aforismi contenuti nel libro.

Stefano Cazzato si è laureato in filosofia a Pisa nel 1989. Insegna da molti anni nei Licei, attualmente al Liceo Carducci di Roma. Collabora con riviste e siti (Rocca, Via Po, Zona di disagio, Il Convivio, MuMag, Roma in jazz) e ha scritto numerosi libri tra cui una trilogia dedicata a Platone: Dialogo con Platone. Come analizzare un testo filosofico, Armando, 2010; Una storia platonica. Ione la stirpe degli interpreti, Giuliano Ladolfi editore, 2017; Il racconto del Timeo. Platone e la letteratura, Giuliano Ladolfi editore, 2019. Del 2020 è La quasi logica. Si occupa da molti anni sia in chiave teorica che didattica di retorica, linguaggio, discorso e argomentazione.

Giuseppina Capone

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