Il rap di denuncia che ha scosso la Thailandia

È stato un fenomeno che non ha precedenti quello della canzone di contestazione di un gruppo di rapper attivisti thailandesi che si fa chiamare “Rap Against Dictatorship”; il pezzo, “What my Country’s got”, ha colpito al cuore il regime militare di Bangkok che a seguito di un colpo di stato nel 2014, si è insediato nel Paese.

La sfida lanciata al governo è diretta. La canzone denuncia la rovente tensione sociale causata perlopiù dalle politiche repressive e dalle elezioni rinviate dopo il colpo di stato. Ma è una scena del videoclip in particolare a diventare simbolo di questa protesta. Si tratta della rielaborazione di un episodio tristemente emblematico nella storia della Thailandia: il linciaggio nell’ottobre del 1976 da parte della polizia e delle milizie di estrema destra di uno studente dell’Università Thammasat di Bangkok.

Le immagini di un corpo appeso ad un albero sono il simbolo di un Paese diviso in due.

Da un lato le proteste della gente nelle piazze, sempre più numerose, anche se caotiche e dominate da un senso di populismo troppo aspro, dall’altro l’élite accusata di essere corrotta, irresponsabile e poco trasparente, insomma, incapace di poter traghettare il Paese verso elezioni democratiche.

Questo sentimento antiregime così esplicito non era mai stato espresso prima ed è esploso con una forza incredibile, che ha oltrepassato i confini nazionali: oltre 50 milioni di visualizzazioni per un video fuori legge, girato e messo in rete in maniera rocambolesca, ma che in una settimana è diventato virale su web.

Le autorità hanno chiaramente reagito, minacciando con la reclusione fino a 5 anni, per vilipendio all’immagine del Paese e crimini informatici, chiunque avesse condiviso il video, ma, si sa, la rete è inarrestabile, tant’è che le intimidazioni non hanno fatto altro che rendere più popolare il video e, di conseguenza, il messaggio della canzone.

Così il regime ha deciso di cambiare totalmente registro, rispondendo con la produzione di altra canzone e altro video dai toni completamente differenti, un’apologia del governo in piena regola che mostra il progresso industriale e tecnologico della Thailandia degli ultimi anni, tra sorrisi e cieli azzurri.

Un tentativo mal riuscito, però, perché la canzone del governo non ha incontrato alcun favore da parte del pubblico, soprattutto delle giovani generazioni.

Tuttavia, da quando è esploso il caso di “What my Country’s Got” in Thailandia, dove sono ancora vietate le campagne politiche, nuovi raggruppamenti hanno ottenuto le autorizzazioni necessarie per potersi registrare come partiti ed è aumentato l’attivismo pro democrazia.

Questa canzone, dunque, potrebbe aver dato una scossa notevole al dissenso popolare che ormai serpeggia in Thailandia, anche se il processo di democratizzazione, pur se innescatosi, pare essere ancora saldamente nelle mani dei militari e l’ambiente delle future elezioni potrebbe essere da questi molto influenzato.

Rossella Marchese

La persecuzione degli africani “bianchi”

 Si tratta di una vera e propria mattanza quella che subiscono gli albini nel continente africano.

La tratta degli albini si concentra soprattutto nella fascia sub sahariana: cacciati come animali perché alcune parti del loro corpo vengono vendute e usate per compiere riti magici che si ritiene portino fortuna, ricchezza e salute; martirizzati ed emarginati dalle loro stesse comunità che in loro vedono solo un’anomalia da eliminare o oggetti preziosi da sfruttare.

All’origine di questo accanimento c’è un pericoloso cocktail d’ignoranza e superstizione. Numerose credenze popolari diffuse in varie zone dell’Africa, tra cui Malawi, Tanzania e Mozambico, vedono la nascita di un bambino bianco da una coppia di genitori neri come un segno divino da cui derivano una serie di conseguenze drammatiche. Il neonato, secondo un’interpretazione che varia a seconda delle regioni, viene considerato o un essere superiore o l’incarnazione di un demone. In entrambi i casi, il nuovo nato, è destinato ad una vita di persecuzione.

Ancora nel 2018 è questo il destino per molti albini.

Secondo un rapporto di Amnesty International, pubblicato lo scorso 13 giugno in occasione della Giornata Internazionale per l’Albinismo, contro ogni forma di discriminazione, in Malawi scompare un albino al mese, rapito e brutalizzato, spesso su commissione dei cosiddetti guaritori tradizionali che ne richiedono gambe, braccia capelli e ossa, per produrre pozioni magiche e portare fortuna ai clienti.

In realtà, in gran parte dell’Africa, ogni pezzo di un albino può valere molti soldi. Per questo il traffico umano che prende di mira bambini, adulti e anziani affetti dalla carenza di melanina nella pelle, non riesce ad essere estirpato. E persino da morti gli albini vengono presi di mira, i loro resti, infatti, vengono sistematicamente riesumati e razziati nei cimiteri.

Esiste un mercato nero che muove cifre da capogiro. In questo circuito commerciale le parti mutilate dei corpi delle persone albine vengono vendute per migliaia di dollari. Secondo la Croce Rossa, gli stregoni sono disposti a pagare addirittura 50mila dollari per un “set completo” di tutte le parti del corpo ritenute miracolose. Ed è per questo che in molti casi sono le stesse famiglie, soprattutto nei contesti rurali e più poveri, a consegnare le vittime nelle mani dei loro aguzzini in cambio di denaro.

Oltre al Malawi, i Paesi più esposti sono Tanzania, Mozambico e Zimbabwe. In Tanzania, ad esempio, si è cominciato a parlare con frequenza di questo drammatico fenomeno dal 2007, e ci sono numerose bande di criminali che alimentano il traffico di organi legato agli albini che stentano ad essere sventate. Stessa cosa succede in Mozambico, dove le persecuzioni contro gli albini non sono spesso neanche denunciate. In Zimbabwe, invece, è opinione diffusa che un uomo possa guarire dall’Aids facendo sesso con una donna albina. Questa diceria espone le donne albine a ripetute violenze sessuali e alla contrazione del virus.

Ad oggi nessun trafficante di questi esseri umani è mai stato fermato.

Rossella Marchese

Stilata la classifica delle migliori influencer del 2018 

 C’è anche la nostra italianissima Chiara Ferragni nella lista dei 10 migliori fashion influencer del 2018 che, fra la nascita del figlio ed il matrimonio in Sicilia, ha scalato molti posti in classifica. A stilare la Top10 delle influencer che hanno “influenzato maggiormente gli acquisti in questo 2018” è stata la piattaforma di ricerche di moda LYST, che ha usato come metodo di paragone Instagram, le ricerche sul web, i dati di vendita ed i post sui social. Fra le 10 migliori influencer dell’anno solo una effettivamente fa questo di mestiere, Chiara Ferragni, tutte le altre che hanno “influenzato gli acquisti” sono popstar, attrici, sportive ed anche delle esponenti della Royal Family. Al decimo posto c’è Ariana Grande, che ha generato una mole enorme di ricerche per un capo di abbigliamento in particolare, la felpa oversize: nel 2018 ha visto un aumento di click pari al 130%. Al nono posto c’è un’altra cantante, Rihanna, in classifica per la sua linea di cosmetici Fenty Beauty e per la linea di intimo Savage X Fenty.

All’ottavo posto c’è Blake Lively, in classifica grazie ai look sfoggiati durante il tour promozionale del film A Simple Favor, seguita da Chiara Ferragni che è stata menzionata grazie al suo abito da sposa: le ricerche di quel brand sono aumentate del 109%.

Al sesto posto c’è la tennista Serena Williams per la sua linea di moda ed al quinto la pop star Beyoncé per il video Apeshit, mentre al quarto posto c’è la rapper Cardi B grazie ai suoi look sfoggiati durante la settimana della moda di New York, tutti copiatissimi.

Sul terzo gradino del podio si trova Meghan Markle, considerata un vero ciclone mediatico, visto che ogni vestito da lei indossato fa boom di vendite e nell’arco di appena una settimana le ricerche del brand schizzano  fino al 200%. Secondo posto per Kim Kardashian, che ha ricevuto l’Influencer Award assegnato dal Council of Fashion Designers of America.

Al numero uno c’è Kylie Jenner che collabora con i brand più famosi al mondo, vanta due milioni di ricerche nel 2018 collegate al suo nome ed anche una copertina di Forbes secondo cui potrebbe diventare la miliardaria americana più giovane dai tempi di Mark Zuckerberg.

Nicola Massaro

Come togliere le macchie

Curiosando sulle bancarelle in questi giorni di feste ecco un libro anche se un po’ datato, 2011, utile per tutti. “Come togliere le macchie. Un aiuto pratico per utilizzare nel modo corretto i prodotti per la pulizia”, nella collana Art Book della Rusconi.

Un titolo accattivante per chi è amante delle pulizie ma anche per chi si trova in situazione di emergenza. Il sogno di tanti è quello di avere una casa linda e splendente e questo, spesso, per il lavoro che si svolge, per i mille impegni quotidiani non sempre è possibile. Allora ecco che è utile ed aiuta ad ottenere i risultati sperati poter conoscere una serie di trucchi e di rimedi antichi e moderni che sicuramente consentono di ottimizzare tempi e metodi.

Il volume nella parte finale ha un utile capitolo dedicato interamente alle macchie dalla A alla Z.

Alessandra Desideri

La  migrazione in Germania

Le priorità in Germania sull’immigrazione è l’integrazione lavorativa per tutti.

Sul Global migration compact, l’accordo internazionale sulla gestione delle migrazioni  vede i paesi dell’Unione europea non molto interessati, con l’Italia che non  intende partecipare alla Conferenza di Marrakech nonostante l’immigrazione sia uno dei temi più discussi all’interno della  coalizione.

In Germania invece, l’economia positiva consente di compiere ragionamenti a lungo termine, di natura demografica e per questo, in ottobre, il governo tedesco ha raggiunto un’intesa per la riforma della legge che la regola, introducendo un nuovo strumento per attrarre manodopera straniera.

Italia e Germania sono in questo momento i paesi Ue più in crisi dal punto di vista demografico, con saldi naturali profondamente negativi (differenza tra nati e morti, rispettivamente -190 mila e -148 mila). Tuttavia, nel 2017 la popolazione in Germania è cresciuta (+328 mila), mentre quella italiana è complessivamente diminuita (-105 mila) e questo è dovuto a una chiara differenza nelle politiche migratorie. Nel corso del 2018 la Germania ha raggiunto il record di 45 milioni di occupati, 15% in più rispetto ai 39,3 milioni del 2005.

Anche i cosiddetti “mini-jobs”, con paghe particolarmente basse, sono in diminuzione e il lavoro segnala ancora 750 mila posti che le imprese non riescono a coprire,specie nei settori logistica e trasporti, metalmeccanico, estrattivo e anche nel settore medico-sanitario, settore importante perché la Germania è uno dei paesi più anziani del mondo.

 

Dati demografici e occupazionali: confronto Italia-Germania

                                                                      Germania                           Italia

Popolazione 2018                                            82.850.000                60.483.973

 

Saldo naturale 2017                                          – 148.000                   – 190.910

Saldo Migratorio 2017                                      + 476.347                  +   85.438

Differenza pop. 2017 – 2018                            + 328.347                  –  105.472

 

Tasso occupazione 2017                                       75,2%                         58,0%

Tasso disoccupazione 2017                                    3,8%                          11,2%

Fonte: elaborazioni Fondazione Leone Moressa su dati Eurostat

 

In Italia gli ingressi di immigrati per lavoro si sono fortemente ridotti a partire dal 2011 con la chiusura quasi drastica dei flussi per lavoro, negli ultimi anni la Germania ha mantenuto un alto numero di ingressi: come si può notare dal grafico, il saldo migratorio è rimasto molto elevato, con il culmine nel 2015 per l’afflusso di rifugiati.

La proposta di riforma della legge sull’immigrazione rappresenta un’ulteriore apertura con l’introduzione di un permesso di soggiorno per sei mesi per la ricerca lavoro, a determinate condizioni (livello di educazione, età, competenze linguistiche, offerte di lavoro e sicurezza finanziaria).

  • il nuovo strumento, nelle intenzioni del governo di Berlino, avrebbe tre effetti e consentirebbe di: attrarre in breve tempo nuova manodopera straniera, rispondendo mirata ai fabbisogni produttivi dell’economia tedesca;
  • separare in modo chiaro i percorsi dell’asilo e della migrazione economica, riducendo l’uso improprio dello strumento della protezione internazionale, fenomeno diffuso in Germania e nel resto d’Europa;
  • accelerare per i rifugiati le procedure di asilo e di favorire l’integrazione nel mercato del lavoro.

Riguardo alle informazioni e la trasparenza sulle azioni, il sito web dell’Ufficio federale per l’immigrazione e l’asilo (Bamf) è particolarmente accurato, con informazioni per i nuovi arrivati e per gli stranieri residenti.

A differenza dell’ Italia, che negli ultimi trenta anni ha “subito” l’immigrazione anziché gestirla fino alla chiusura dei flussi d’ingresso, la Germania ha stabilito alcune priorità, legate alla situazione economica e al mercato del lavoro, agendo favorendo l’integrazione lavorativa, sia dei rifugiati che dei migranti economici, e riducendo anche i tempi per le procedure amministrative e quindi anche i costi di gestione.

Danilo Turco

Il Bilancio dell’Eurozona, un’opportunità importante

La proposta franco-tedesca di bilancio per l’Eurozona ha molti limiti, ma viene indicata come uno strumento atto a promuovere la competitività, la convergenza e la stabilizzazione nell’area euro.

La proposta franco-tedesca di Bilancio per l’Eurozona viene esplicitamente presentata come uno dei vari strumenti volti a promuovere “la competitività, la convergenza e la stabilizzazione nell’area euro”. Continua, però, la sottovalutazione dei danni che ha prodotto negli anni della crisi. Lo stesso ministro delle Finanze tedesco Scholz si era espresso a favore di un fondo dell’Eurozona per finanziare uno schema comune di sussidi di disoccupazione, capace di soccorrere le risorse nazionali qualora la disoccupazione in un paese superasse la media degli anni precedenti di un valore predefinito. Purtroppo non si fa cenno a questo e la proposta presentata di  bilancio dell’Eurozona non è concepita come strumento multiscopo. Infatti, non fa riferimento esplicito a una parte discrezionale del bilancio che finanzi beni pubblici europei, come le infrastrutture, la difesa comune e le politiche per l’immigrazione, come auspicato dopo il discorso di Macron alla Sorbona in data 26 settembre 2017.

A beneficiare del bilancio dell’Eurozona, inoltre, sarebbero solo i Paesi che rispettano “i loro impegni nel quadro del coordinamento europeo delle politiche economiche, incluse le regole fiscali”. Si tratta di una condizione che porterebbe a escludere automaticamente i Paesi sotto procedura di infrazione per deficit o per debito eccessivo, come tra breve potrebbe essere l’Italia.

Nonostante tali limiti e carenze per l’Italia è importante sedersi al tavolo della trattativa su tale proposta franco-tedesca, per contribuire non solo a migliorarla, ma anche per un’approvazione da non rinviare in quanto in una condizione di recessione è sempre meglio avere uno strumento di stabilizzazione, seppure insufficiente, che necessita di altri strumenti, anziché il nulla.

Per fare questo occorre che l’Italia al tavolo dimostri di essere un partner credibile, che soddisfa i requisiti per l’accesso al fondo e quindi di non essere nelle condizioni di procedura di infrazione per debito. E’ possibile che grazie ai nuovi strumenti da inserire da parte dell’Italia, una revisione del bilancio per il prossimo triennio possa contemperare il rispetto delle regole europee con le esigenze di sostegno alla crescita e di tutela delle famiglie a reddito più basso.

Danilo Turco

La tutela delle donne vittime di violenza

Si terrà oggi 4 dicembre alle ore 16.00 presso la Sala del Chiostro di Santa Maria La Nova, l’incontro “La tutela delle donne vittime di violenza. In famiglia e nei luoghi di lavoro”.

L’evento organizzato dalla Consigliera di Parità della Città Metropolitana, Isabella Bonfiglio, in collaborazione con l’ADGI – Associazione Donne Giuriste – sez. Napoli, presieduta dall’avv. Valeria Palmieri,  vuole offrire un momento di riflessione sullo stato dell’arte.

Cosa prevede la legge, cosa si può fare e cosa si deve ancora fare per ottenere una regressione del fenomeno che, ormai, raggiunge vette poco consone ad uno stato democratico di diritto.

La violenza, come reato perseguibile, non può essere considerato soltanto come “fatto ormai accaduto”.

La donna vittima di violenza è, innanzitutto, una persona che va tutelata, ma la tutela deve essere immediata e preventiva in tutte le estrinsecazioni sociali: famiglia, lavoro, società in genere.

Si può e si deve intervenire sulle cause, ma in ogni settore specifico.

Imparare a riconoscere le fattispecie, ad isolarle, per approntare nuovi strumenti di tutela efficace ma, soprattutto, esigere il potenziamento della rete e implementare gli interventi delle istituzioni preposte.

Quali modelli e quali prospettive?

Interverranno oltre alla Consigliera di Parità, alla Presidente dell’ADGI Sez. Napoli e a chi scrive: avv. Maurizio Bianco, Presidente Consiglio dell’Ordine Avvocati Napoli; avv. Antonella Regine;  avv. Ivana Terracciano; dr. Fabio Delicato, criminologo; dr.ssa Antonella La Porta – commercialista; dr.ssa Ludovica Genna, medico AORN.

Antonella Verde

 

 

Spread e mutui… c’è correlazione?

Non influenza il costo dei mutui esistenti l’aumento dello spread Btp-Bund , ma può avere effetto su quelli da stipulare, lo mostrano i dati. Tutto questo andrebbe spiegato adeguatamente al pubblico.

Soltanto i numeri parlano chiaro sulla correlazione esistente dell’aumento del costo dei mutui da stipulare a causa di un aumento dello spread Btp-Bund.

A riguardo, il Rapporto della Banca d’Italia del 23 novembre 2018 specifica come l’aumento del rischio dei titoli di stato impatti sulla decisione delle banche di concedere mutui a tasso maggiore. Infatti studi condotti sul periodo 2010/2011 che vide aumentare lo spread da 100 a 500  punti base, evidenziano che un aumento di 100 punti di spread può causare un aumento dei tassi d’interesse sui depositi a lungo termine e sui pronti contro termine di 40 punti base.

Il tasso d’interesse sulle nuove emissioni obbligazionarie potrebbe invece aumentare di 100 punti base. Inoltre, si potrebbero svalutare le garanzie stabili per i rifinanziamenti presso l’Eurosistema, riducendo la liquidità bancaria e tutto questo si sta già verificando.

Infine, una svalutazione dei titoli di stato riduce l’attivo di patrimonio. A fine giugno 2018 i titoli ammontavano all’11,3 % del patrimonio delle banche più piccole e al 4,7 % delle più significative. Attualmente le stime di Banca d’Italia prevedono un aumento parallelo della curva dei rendimenti sui titoli di stato di 100 punti.

Tale condizione risulta incidere certamente sulla qualità della vita delle famiglie in quanto l’accesso al credito risulta più oneroso. Infatti, se oggi si vuole stipulare un nuovo finanziamento, il costo del debito risulta più alto rispetto a qualche mese fa. Infatti, a partire da ottobre le banche hanno cominciato ad alzare gli spread sui mutui proprio per via dell’aumento del rischio sovrano (il costo medio del mutuo sulla casa è aumentato dall’1,8 all’1,87 per cento).

Anche per le imprese i margini sui nuovi prestiti a tasso fisso sono leggermente aumentati e il costo medio sui finanziamenti in essere ha smesso di abbassarsi.

Si tratta di aumenti non allarmanti ma occorre che la politica economica del nostro paese non abbassi la guardia.

Danilo Turco

A mano disarmata. L’Italia che resiste ogni giorno

“Certo la scelta di stare dalla parte giusta in questo Paese è faticosa ed essere fedeli ai propri principi spesso presenta costi salatissimi”. 

Una considerazione che sembra interrompere un turbinio di eventi tumultuosi che si susseguono con ritmi spasmodici, spesso angoscianti, rivela come in una tregua armata, una sorta di respiro lucido più regolare, un risveglio amaro dalle attese migliori che spiana una strada da continuare. Con estrema difficoltà ma con la consapevolezza che l’impegno assunto, le prove dolorose affrontate, le sofferenze subite, non siano state un sacrificio vano o, peggio, la ricerca di una gratificazione bulimica,sfociata in una megalomane corsa verso carriere e visibilità mediatiche. Il caso tutto italiano di mala vita a Ostia, emerso nelle inchieste giornalistiche di Federica Angeli cronista di nera per “La Repubblica”, pone letture e prospettive diverse per la stessa autrice, rispetto al fenomeno criminale vissuto e narrato, storicamente uguale e puntuale in troppi territori del nostro Paese.

Nel libro “A mano disarmata”, in libreria dallo scorso maggio (edizioni Baldini e Castoldi, già vincitore per l’edizione 2018 del Premio letterario giornalistico Piersanti Mattarella), la Angeli descrive, con una cronaca ampia e intensa oltre i normali canoni giornalistici, gli ultimi cinque anni della sua vita trascorsi sotto la tutela di una scorta adeguata ad un alto livello di potenziale rischio con l’ausilio di una vettura blindata dell’arma dei carabinieri imposta per ogni tipo di spostamento all’esterno della sua abitazione.

Il dispositivo di sicurezza è l’atto dovuto rispetto all’unica scelta di vita, adottata dalla giornalista nel quartiere di Ostia dove vive con il marito e i suoi tre bambini. Una scelta non solo di affrontare a viso aperto i capi clan della mala (riconosciuta dai giudici come“mafia” grazie anche all’impegno civile della protagonista), quanto di denunciarli in un lungo elenco di occasioni, presso gli organi giudiziari di tutto il distretto della capitale e di combatterli uno ad uno, armata solo di penna e determinazione nei valori civili di riferimento.

L’episodio clou, decisivo a porre sotto tutela la giornalista, risale ad una notte violenta, quella del sedici luglio 2013 sulla via di Ostia distante pochi passi dall’abitazione di Federica. Alcuni spari svegliano l’intero vicinato.È appena terminato il raid di Carmine Spada davanti ad una sala scommesse gestita da esponenti del principale clan rivale, quello dei Triassi. All’ordine truce in perentorio romanesco, impartito dallo sparatore a tutti gli abitanti svegliatisi dal sonno e catapultatisi alle finestre, di rientrare e serrare le imposte, l’unica disobbediente, è la Angeli, la quale, dopo un diverbio con il marito che la invita a desistere, scende in strada a raccogliere ulteriori informazioni sulla dinamica dell’evento a pochi giorni dall’uscita di una sua inchiesta esplosiva pubblicata sulla versione on line de La Repubblica.

Il seguito delle oltre trecentosettanta pagine che compongono il testo proiettano immagini vive con riferimenti immediati per il lettore rispetto ad una cronaca nera recente, immediata nella memoria visiva dei telespettatori dei telegiornali nazionali con la ricostruzione dell’episodio violento subito dall’inviato Rai della trasmissione Nemo Danieli Piervincenzi colpito al setto nasale (fratturato) da una testata di Roberto Spada.

La lettura del saggio non è un semplice quanto doloroso diario della cronaca giudiziaria legata alla nota inchiesta cosiddetta “Mafia Capitale”. L’esposizione civile oltre quella professionale della scrittrice richiama inevitabilmente altri esponenti, non solo giornalisti o intellettuali, divenuti famosi per aver rifiutato l’assoggettamento culturale all’illegalità e averla combattuta sino a versarne il sangue e la vita.

Nel libro sono ricordate alcune di queste figure: da Giancarlo Siani ai giudici Falcone e Borsellino, oltre riferimenti a colloqui e messaggi scambiati con alcuni fra i massimi rappresentanti delle forze dell’ordine, della magistratura e di politici di preminente caratura nazionale.La cifra inedita di questo libro insiste nel coinvolgere la sfera privata e familiare, completamente svelata e condivisa con uno struggente senso materno negli aspetti più intimi della realtà quotidiana.

Una operazione certamente non facile che se da un lato richiama espedienti adottati da sceneggiatori di alcune splendide pellicole cinematografiche italiane (La Vita è bella” di Benigni) dall’altro pone riflessioni importanti in un contesto reale dove la garanzia di assicurare una crescita adeguata e serena ai propri figli nella prima infanzia è prioritaria.

Proprio per la natura di un lavoro in evoluzione, dove il “lieto fine” non è previsto o comunque dipende (in divenire) da un auspicato processo di cambiamento culturale non limitato ai lettori di questo libro, la sfida sale in un livello più alto per l’autrice, consapevole dell’esponenziale aumento di quei “costi salatissimi” citati in apertura.

L’annuncio in seconda di copertina che i contenuti di questo libro saranno a breve trasposti in un lungometraggio diretto dal regista Claudio Bonivento (le riprese inizieranno in autunno e Federica Angeli sarà interpretata da Claudia Gerini) assurge la giornalista ad una funzione, se possibile, più importante. Un ruolo che comporterà comprensibili e meritate soddisfazioni con l’auspicio (la stessa giornalista ne è consapevole) di superare il quasi inevitabile destino iconografico già riservato ad alcuni colleghi. Roberto Saviano è un riferimento immediato (la stessa Angeli ne rivela la vicinanza in un frangente molto teso della vicenda), ma il libro apre orizzonti di confronto che superano il dibattito sulla già importante visione dell’informazione italiana (ampiamente coinvolta anche grazie ai referenti istituzionali di settore come Beppe Giulietti e Paolo Butturini) per offrire visioni determinanti a costruire una società civile, tutt’oggi non compiuta.

L’impegno di resistenza civica racchiuso in queste pagine vale ogni tentativo di svilupparne diffusione e nuove forme di proposta d’impegno sociale. Dalla scuola alla famiglia sino ai media, in tutti i linguaggi possibili dell’arte: l’Italia può cambiare oltre la retorica e la propaganda.

Luigi Coppola

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