Oscar, il Miglior Film è “La forma dell’acqua” di Del Toro

La 90ma edizione degli Oscar ha incoronato La forma dell’acqua – The shape of water di Guillermo del Toro come miglior film. Regista messicano gentile e sognatore, che sa dar corpo ai suoi sogni, Gulliermo del Toro, sul palco del Dolby Theatre ha ricordato al mondo di essere solo un immigrato come tanti altri, ringraziando il Paese che lo ha ospitato e gli ha permesso di vincere l’Oscar più importante e di riuscire a lavorare in un universo che sognava da bambino. Il suo fantasy La forma dell’acqua – The shape of water, che esplora i temi della diversità, dell’amore inaspettato e della disobbedienza civile, ha vinto quattro Oscar, tra cui miglior film e migliore regia. “Sono cresciuto in Messico e ammiravo i film stranieri come E.T. o quelli di Frank Capra. E solo pochi giorni fa mi sono detto: se ti trovi sul podio non dimenticare che fai parte di un lignaggio di cineasti e così voglio dedicare questo premio ai giovani registi che ci fanno vedere tante cose nuove”, ha detto. “Ero un bambino, abitavo in Messico e non pensavo che mai mi sarebbe successo tutto questo, ma ci sono persone che sognano e con questi sogni si può parlare anche di cose reali se si ha immaginazione. Quest’ultima è una porta: apritela ed entrate”. E il messaggio per tutti: “Viviamo in un’epoca in cui ti viene detto che devi avere paura dell’altro, che l’altro è il tuo nemico, che è la causa dei tuoi problemi. Al contrario, l’altro è la soluzione ai tuoi problemi, l’altro è quello che rimane, che mostra la via”.

L’Italia, arrivata con quattro nomination targate Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino, torna a casa con il premio Oscar conquistato dal maestro americano James Ivory per il suo adattamento dal romanzo di André Aciman: “Ringrazio Luca Guadagnino per la sua sensibilità di regista” ha detto dal palco.

Esplode il colore sul red carpet, dopo gli abiti neri che hanno caratterizzato i Golden Globe e dei premi Bafta, in segno di protesta contro le molestie e in difesa delle donne per il movimento Time’s Up e Mee Too, sul tappeto rosso degli Oscar si rivedono il bianco e tutte le sfumature di colore. Anche se si torna a parlare della denuncia e del movimento che ad oggi ha raccolto fondi per 20 milioni di dollari a favore delle donne vittime di violenza e molte delle star portano la spilla appuntata sulla scollatura. Sulla passerella che introduce al Dolby Theatre dominano negli abiti delle star soprattutto tutte le sfumature del rosa, dal pallido al fucsia, del rosso e del viola in particolare. C’è anche molto bianco, scelto ad esempio da Jane Fonda, che ha consegnato quest’anno il premio al miglior attore, e che ha indossato anche la spilla di Time’s Up che in tante portano in bella vista. L’ultra violet, che è il colore Pantone del 2018, è stato scelto da molte delle attrici come Ashley Judd. Oppure in sfumature meno accese, come il glicine di Salma Hayek. Ma non sono mancate neanche il verde e l’indaco, come quello dell’abito di Helen Mirren con gioielli di regale eleganza.

Nicola Massaro

The Truman Boss, una storia italiana

“La lentezza della giustizia non fa che agevolare chi sbaglia, mai chi subisce un torto”. 

La chiosa amara, per usare un eufemismo di Vincenzo Balli chiudeva una sua intervista rilasciata al cronista Matteo Scirè (ilsicilia.it), nello scorso giugno in occasione dell’uscita in libreria del suo primo libro.

“The Truman Boss” (Castelvecchi editore) scritto insieme al giornalista scrittore Giuseppe Lo Bianco, narra una vicenda realmente accaduta a Palermo nei primi anni del nuovo millennio.

Protagonista, lo stesso autore insieme alla sua famiglia, la moglie Patrizia, la figlioletta Lucrezia di tre anni all’epoca dei fatti.

“Per raccontarvi questa storia non bastano le righe di un libro. Non arrivano a restituire la tensione, l’ansia, la paura, il continuo scorrere di adrenalina che hanno vissuto i protagonisti per due anni e mezzo, immersi in un sistema di protezione antimafia nella Sicilia di Totò Cuffaro.”.

L’incipit della prima pagina, curata da Giuseppe Lo Bianco (autore anche del prologo al testo di Balli e dell’intervista finale allo stesso autore protagonista), chiarisce da subito il senso di una vicenda talmente ampia e grave da rendere necessarie successive occasioni d’incontro e approfondimenti sul tema. Tale premessa appare irrinunciabile per comprendere l’atteggiamento contemporaneo quasi “ostinato” di Balli nel promuovere questo libro in ogni luogo d’Italia (sarà presentato anche al prossimo Salone del libro a Torino) non per la mera soddisfazione delle copie vendute rispetto a un esordio editoriale, quanto per il seguito culturale che il caso reale comporta. Importante per le giovani generazioni italiane e non solo.

La trama del libro è molto dettagliata ed articolata e mette in evidenza lo sviluppo di una serie di eventi anche tragici anche  macchiati dal sangue che costringerà la famiglia Balli a più fughe repentine per riuscire a sopravvivere. Una vita blindata oltre l’inverosimile.  Quando la tenuta psicologica della moglie  Patrizia è quasi compromessa e la piccola Lucrezia soffre gravi malori, si realizza la svolta degna di un thriller, con la surreale aggravante della veridicità dei fatti narrati giudicati in un processo penale approdato con sentenza definitiva in Cassazione il 21 settembre 2016. Sulla base di queste conclusioni, riportate nell’intervista finale all’Autore, si desume l’impegno alla massima diffusione di questa esperienza che in un fantastico o assurdo ragionamento sembrerebbe porre la mafia nota alle cronache, come “parte lesa”, rispetto ad “altri colpevoli” che risultano periodicamente presenti in oscure dinamiche che permeano lo stato di diritto con contaminazioni mai chiarite dove, sovente, cresce, nella comune percezione, la distanza fra legalità e giustizia mentre si accorcia quella fra Stato e anti Stato. Le conclusioni di questa lettura richiamano alla mente ancora quel grido scomodo di rottura rivolto ai giovani napoletani, esternato dal grande Edoardo circa quaranta anni or sono, nel suo noto“fuitevenne”. Quell’imperio ruvido potrebbe essere oggi esteso ai giovani stritolati non solo dall’assenza di lavoro e futuro ma anche da una cultura che potrebbe risultare conservativa dello status quo. Il tentativo che si può definire quasi stoico di Vincenzo Balli parte proprio da qui.

Luigi Coppola

Franco Zeffirelli, 95 anni e non sentirli, artista geniale

Scenografo, costumista, pittore, ma soprattutto uno dei nostri più grandi registi, tra cinema, prosa e opera lirica, amatissimo a livello internazionale. E’ Franco Zeffirelli, che il 12 febbraio ha compiuto 95 anni. “Come sto? Tutto sommato non mi posso lamentare data la mia età – dice lui che l’anno scorso fu ricoverato per un malore -.  E’ il fisico che ha iniziato a fare capricci”. Per celebrarlo la Scala e l’Arena di Verona hano deciso di mettere in scena il suo allestimento dell’Aida. “Un bravo ragazzo con la fortuna di avere molti talenti” e “solo idee geniali”, così si è descritto qualche anno fa, il bambino dall’infanzia “complicata” a Firenze, sua città natale, il più internazionale dei registi italiani, ironico, polemico, passionale. Grande tifoso della Fiorentina, “la porto sempre nel cuore anche se la seguo meno”, disse una volta, all’Oscar avrebbe preferito uno scudetto. “Mi reputo fortunato. Ho avuto molti momenti importanti nella mia carriera. Ho conosciuto e collaborato con i grandi nel mondo della musica classica, dell’opera, del teatro, del cinema. Regalandoci e regalando al nostro pubblico momenti memorabili ed indimenticabili “. L’elenco è lungo: da Luchino Visconti, il suo maestro, “mi ha insegnato e forgiato al mestiere” a Maria Callas, “la diva per eccellenza, l’artista più straordinaria e più completa”, “da Domingo a Pavarotti, dalla Taylor e Burton a Lawrence Olivier, Mel Gibson, Glen Close, Judy Dench, Maggie Smith e così via”. E poi “i grandi direttori d’orchestra: Serafin, Von Karajan, Bernstein, Kleiber”. Zeffirelli ricorda anche Coco Chanel: poco dopo averla conosciuta a Parigi “mi regalò una cartella con 12 disegni di Matisse. Ero all’inizio della mia carriera e quei disegni mi sono serviti, vendendoli uno alla volta, per affrontare momenti di crisi economica, dandomi così la possibilità di sopravvivere e di non rinunciare al mio lavoro”. Fatto anche di difficoltà, ma “per me e per l’amore che dedicavo al mio lavoro tutto diventava passione e divertimento”. Meno lusinghiero il giudizio sul mondo dello spettacolo oggi: “Vive un periodo di decadenza, sono venuti a mancare i grandi interpreti, i grandi registi, i grandi scrittori del cinema e del teatro che tutto il mondo ci invidiava”. E anche in generale sull’Italia, tanto amata ma “dove per questioni ideologiche ho sempre dovuto lottare”: “Mi sgomenta sotto ogni punto di vista ma bisogna sempre sperare che le cose migliorino”. La sua carriera lunga 70 anni ora è raccolta a Firenze, al Centro internazionale per le arti dello spettacolo Franco Zeffirelli, che raccoglie disegni, bozzetti, copioni, sceneggiature, libretti d’opera, foto, filmati e che per il suo compleanno sarà aperto gratuitamente. Nato a Firenze, Zeffirelli frequentò l’Accademia di Belle Arti della città ed esordì come scenografo nel secondo dopoguerra, curando il “Troilo e Cressida” del mitico Luchino Visconti, suo compagno per molti anni. L’esordio al cinema e a teatro risale agli anni ’50, quando curò alcuni grandi spettacoli per il Teatro Alla Scala, per il King’s Theatre di Edimburgo e per il Royal Opera House di Londra. Il primo, di 20, film per il cinema è stato “Camping”, del 1957, con Marisa Allasio, Nino Manfredi e Paolo Ferrari, che si rivelò subito un grandissimo successo. In seguito, però, il maestro si orientò verso le trasposizioni di grandi opere di Shakespeare, portando nelle sale “Romeo e Giulietta”, “Amleto” e “La bisbetica domata”, dando sfogo al suo grande senso estetico per le scenografie e per i costumi, che negli anni hanno conquistato anche l’Academy.

Nicola Massaro

Baglioni e San Remo 2018: vincitori e premi

 

Sanremo 2018 ha battuto tutti i record. Anche la finale della 68esima edizione del festival, che ha incoronato vincitori la coppia Ermal Meta e Fabrizio Moro con il loro brano “Non mi avete fatto niente”, ha registrato ascolti alle stelle: sono stati 12 milioni 125mila i telespettatori sintonizzati su Rai1, con uno share del 58,3%. Un risultato in linea con quello dello scorso anno, quando gli spettatori della finalissima erano stati 12 milioni 22mila e lo share del 58,41%. E che conferma i dati positivi collezionati sera dopo sera dal trio Baglioni-Hunziker-Favino: gli ascolti della quarta serata, per citare l’ultima, hanno registrato uno share mai così alto dal 1999.

Ermal Meta e Fabrizio Moro sono stati i vincitori di Sanremo 2018. Il duo, già dato per favorito e  “assolto” dai sospetti di autoplagio, ha avuto la meglio su Lo Stato Sociale arrivati secondi ed Annalisa che si posiziona al terzo posto.

L’edizione numero 68 del Festival della canzone italiana premia la loro “Non mi avete fatto niente”, invito a non aver paura del terrorismo dopo gli attentati degli ultimi anni (dal Bataclan a Londra e Barcellona). Un messaggio sociale forte come quello portato in scena, nel corso della serata finale, da Pierfrancesco Favino con il suo monologo dedicato agli “stranieri in patria” tratto dall’opera “La notte poco prima delle foreste” del drammaturgo Bernard-Marie Koltès. Tra i momenti clou del Sanremo targato Claudio Baglioni (e già campione di ascolti) resterà comunque anche lo show di Laura Pausini, capace di concludere la sua esibizione tra la gente sul red carpet. Ron è stato il vincitore del Premio della critica “Mia Martini” della sezione Campioni. Il Premio “Sergio Endrigo” per la migliore interpretazione è andato a Ornella Vanoni mentre il Premio “Sergio Bardotti” della giuria degli esperti è stato assegnato a Mirkoeilcane. Va invece a Max Gazzè il Premio “Giancarlo Bigazzi” per la migliore composizione musicale assegnato dall’orchestra del festival. Oltre ai numeri, il direttore artistico della 68esima edizione, Claudio Baglioni, è stato “promosso” anche dal collega Adriano Celentano, che ha affidato ad un messaggio, tutta la sua ammirazione: “Ciao Claudio! Finalmente un FESTIVAL! Complimenti!!! I cantanti possono, come un tempo, ritornare a non essere più i valletti dei grandi ospiti. Un’impresa non facile che solo a un ‘Passerotto’ come te poteva riuscire. Oltre che un grande cantante, hai dimostrato di essere un grande organizzatore e direttore artistico. La Rai, ha sottolineato Celentano, non potrà più fare a meno di te. Della tua bravura, del tuo gusto e della tua classe!”.

Nicola Massaro

Napoli e Campania innevate

Napoli negli ultimi giorni si è ammantata di neve, con gli immancabili disagi legati al fatto di non essere una città dove abitualmente i candidi fiocchi fanno da padrone. Dopo l’imponente nevicata del ’56, vicina per accumulo e intensità a quella di questi giorni, l’altra di cui si ha memoria è  quella del 1985.

Tanti i disagi per la circolazione quasi completamente paralizzata nei rioni alti e resa difficile dal manto scivoloso nelle altre zone della città. Disagi all’aeroporto di Capodichino chiuso per ore, scuole chiuse come da ordinanza sindacale, temperature sottozero.

Tantissime le foto e i filmati che hanno documentato sui social l’evento straordinario che ha lasciato con il naso all’insù soprattutto i più piccoli che hanno potuto ammirare i candidi fiocchi scendere lievemente al terreno anche sul lungomare di Napoli.

Neve su tutta la Campania, sulle isole, sulla costiera amalfitana. La Reggia di Caserta ha offerto immagini ancor più suggestive sotto il candido manto nevoso.

Salvatore Adinolfi

La Stanza dell’Ascolto: un luogo protetto a cui rivolgersi

Il prossimo 2 marzo alle ore 10, alla presenza del Sindaco Luigi de Magistris, verrà inaugurata in via Alessandro Poerio n. 21  la “Stanza dell’Ascolto”.

Si tratta di un nuovo e rifunzionalizzato spazio protetto di accoglienza delle vittime di violenze ed abusi dell’Unità Operativa Tutela Minori e Emergenze Social nato nel 1998.

“Dalla tutela dei senza fissa dimora, allo sfruttamento della prostituzione, sia essa maschile che femminile, dal controllo degli insediamenti Rom alla tutela dei minori non accompagnati. Affronta, rinnovandosi, – afferma l’Assessore Alessandra Clemente – nuove emergenze come bullismo e cyberbullismo ed ha istituito il servizio anti stalking che si occupa della tutela delle vittime di violenza e di atti persecutori, dedicandosi all’ascolto ed alla raccolta delle confidenze di quelle persone che ritengono d’essere minacciate o molestate.

Dall’esperienza di questi anni di attività è nata l’esigenza di dedicare uno spazio all’ascolto, una stanza “formalmente informale” per poter procedere all’ascolto con modalità adeguate che coniughino le necessità operative con il rispetto del diritto all’integrità psicofisica garantito dai dritti fondamentali della persona”.

Un’iniziativa interessante di supporto a categorie svantaggiate.

Hanno collaborato alla realizzazione dell’iniziativa strutture del Comune e associazioni che hanno fornito il loro contributo per la creazione di questa stanza.

La progettazione della stanza, su iniziativa dell’Assessorato alla Sicurezza Urbana e Polizia Locale del Comune di Napoli, è stata realizzata dall’Unità Tutela Minori ed Emergenze Sociali. “I lavori e l’acquisto delle tecnologie di ultima generazione – prosegue la Clemente – per la rilevazione dei colloqui sono stati eseguiti dal Comune di Napoli. Gli arredi sono stati donati, invece, dall’Associazione Donne per il Sociale Onlus, presieduta da Patrizia Gargiulo e dall’Istituto Ferriere, coordinato da Anna Sommella. La curatrice d’arte Valeria Viscione e l’artista e docente Stefania Sabatino hanno partecipato all’ideazione ed alla creazione della tela “L’abbraccio”, che verrà apposta nella stanza e donata all’Unità Operativa in occasione dell’inaugurazione”.

Speriamo che questa iniziativa consenta di assicurare un sempre e più ampio servizio per i cittadini che versano in condizione di difficoltà.

 

Salvatore Adinolfi

A colloquio con Salvatore Di Maio

Salvatore Di Maio nel suo libro intitolato “Nato il 4 luglio a Napoli. Le metamorfosi di uno scugnizzo, per i tipi delle Edizioni La Città del Sole, mostra attraverso la sua esperienza un’interessante spaccato della vita napoletana.

Il volume sarà presentato presso la Fondazione Casa dello Scugnizzo a Napoli il 28 febbraio. Abbiamo rivolto a Salvatore Di Maio alcune domande in particolare sul suo percorso di vita trascorso alla Casa dello Scugnizzo.

Salvatore Di Maio, di grande significato le dediche che aprono il volume. Una dedicata alla moglie Maria Antonietta e una alla figlia Francesca. L’altra al padre Peppe e a Don Mario. Perché questa scelta?

Mio Padre Peppe rappresenta per me l’amore, quello irrazionale che non ha bisogno di spiegazioni, c’è e te lo porti appresso. Don Mario, che in una dedica a me destinata si definì “padre adottivo, è la persona a cui devo la mia normalità. la Casa dello scugnizzo da lui creata mi ha offerto la possibilità di crescere con riferimenti che altrimenti non avrei avuto. Mia moglie e mia figlia sono il mio presente e il mio passato di uomo adulto, all’una debbo quasi tutto quello che sono, con tutto ‘o buono e tutto ‘o malamente. Mia figlia è l’amore razionale e irrazionale, parte di me.

Quanta importanza ha avuto nella sua formazione e nella sua vita l’esperienza educativa vissuta con don Mario Borrelli presso la Casa dello Scugnizzo?

Tantissima, perché mi ha dato una adolescenza da ricordare e mi ha fornito gli strumenti e la curiosità per affrontare la vita. mi ha fatto scoprire che il mondo andava oltre Napoli ed è grazie alla Casa che ho imparato la lingua inglese che è stata poi fondamentale per la mia carriera da pubblico dipendente.

Perché “metamorfosi di uno scugnizzo”?

Perché l’insicurezza che accompagna il personaggio del libro, lo costringe a continui cambiamenti per somigliare, quanto più possibile, alle figure di riferimento che man mano ha incontrato nella sua vita. la sensazione di non sentirsi all’altezza nel mondo fuori la Casa dello scugnizzo lo spingono a trasformarsi di volta in volta, fino a quando non si renderà conto di essere accettato per quel che è.

Per lei Scugnizzo è un modo di vivere?

No, non credo sia un modo di vivere, ma mi rendo conto che esserlo stato può, in qualche modo, condizionare il carattere. aver sofferto quella condizione che lo escludeva e lo destinava ad un destino da ultimo, gli ha sicuramente consentito, una volta uscito da quella condizione, di rispondere alle avversità con ottimismo e fantasia.

Quanto di lei c’è in Tore, il protagonista del libro?

Il mio vissuto ha fatto da canovaccio, come quelli della “commedia dell’arte, una traccia su cui improvvisare. c’è quindi tanto di me, Tore mi somiglia ma non è pienamente Salvatore.

Attraverso il racconto del protagonista si snoda anche la storia di una generazione e di una città…

La Storia, quella con la “S” maiuscola, da il tempo agli eventi cui il protagonista partecipa. a volte gli eventi storici ne condizionano le scelte. Tore è partecipe di tanti momenti storici della città, ne è coinvolto come membro delle truppe che hanno consentito ai Cesari di meritarsi la menzione nella Storia.

Alessandra Desideri

Gli effetti della diffusione delle presunte  monete virtuali

Le criptovalute pretendono di essere più sicure rispetto alla moneta tradizionale e di non richiedere intermediari.

Alcune potenze occidentali come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno mostrato un atteggiamento generalmente positivo verso le nuove tecnologie che abilitano le monete virtuali, altri come il Canada e l’Australia stanno ancora decidendo il da farsi.

Gli Usa sono pronti a regolare la moneta virtuale bitcoin. A dare un nuovo colpo alle quotazioni delle criptovalute sono state indiscrezioni di stampa secondo cui i vertici della Sec, l’organo di vigilanza delle Borsa Usa, e della Commodity Futures Trading Commission chiederanno al Congresso americano di prendere in considerazione l’ipotesi di un controllo a livello federale delle piattaforme per gli scambi di monete digitali. Secondo quanto riferisce Bloomberg, i presidenti della Sec e della Commodity Futures Trading Commission saranno in audizione alla Commissione banche del Senato Usa per discutere di criptovalute e potenziale regolazione. Tutto questo da farsi dipende dal fatto che un terzo delle piattaforme di scambio di bitcoin è stato hackerato fra il 2009 e il 2015. Ed è sorta una pletora di intermediari. E’ infatti accaduto che ammonta a più di mezzo miliardo di dollari l’enorme somma di criptovaluta che, nella notte fra il 25 e il 26 gennaio, è stato sottratto a Coincheck, la più grande piattaforma di scambio di criptovalute del Giappone. Il quale, a sua volta, costituisce una delle piazze più importanti al mondo per le monete virtuali, tanto da arrivare ad accentrare fino al 40 per cento delle contrattazioni, secondo il Financial Times.  Il giorno dopo, l’annuncio del furto è stato dato in diretta televisiva dall’amministratore delegato, Koichiro Wada e ha chiesto scusa agli investitori. Cosa possa accadere ancora lo ha spiegato in un’intervista Jeff McDonald, vicepresidente della Fondazione Nem che emette la criptovaluta, evidenziando che il denaro virtuale sottratto ha un contrassegno, come il numero di serie di una banconota, per cui  l’hacker che se ne è impossessato potrebbe non riuscire a utilizzarlo senza essere smascherato, per cui il bottino resterebbe come sepolto o addirittura distrutto, senza consentire alcun guadagno al  criptoscassinatore.  Poi, aggiunge come anche le vittime non ci perderebbero per il fatto che la diminuzione della quantità complessiva di Xem in circolazione ne farebbe aumentare il valore, forse fino a colmare completamente la perdita (almeno in aggregato, al netto di drastiche quanto casuali sperequazioni fra chi guadagna e chi perde).  Anche nel caso Mt Gox,  la più grande piattaforma al mondo per lo scambio di bitcoin, quando a febbraio 2014 ha ammesso di avere perso traccia di bitcoin per un valore di 450 milioni di dollari. Nel giro di pochi mesi è fallita e il bitcoin  deprezzato del 30 per cento, ha poi ha ricominciato a risalire. È possibile che succeda anche questa volta  il rialzo delle criptovalute, in quanto nessun disastro reale può arrestare un’ascesa puramente virtuale. Essendo le criptovalute sono un fenomeno puramente speculativo,si può ammettere che non possono essere toccate da eventi terreni come il fallimento di una piattaforma. Ma se il loro apprezzamento si ritiene dipenda dalle loro qualità oggettive, tecniche , che il loro prezzo rifletta il loro valore effettivo di un mezzo di pagamento del futuro, allora non si può pensare che eventi come il furto di Xem siano da ritenere irrilevanti. Le criptovalute, a cominciare da bitcoin, pretendono di avere due vantaggi rispetto alla moneta tradizionale: di essere più sicure e di non richiedere intermediarima  la vicenda di Coincheck mostra che nessuna delle due pretese è vera.  Bitcoin è nata come sfida al sistema bancario oligopolistico, come moneta elettronica peer-to-peer, trasferibile fra privati senza il ricorso a intermediari, ma la realtà è un’altra, e il mondo delle criptovalute ha visto sorgere una pletora di intermediari non regolamentati.   Se i bitcoin hanno  lo scopo di sostenere l’economia attraverso la creazione di ricchezza virtuale, nella speranza che un giorno si trasformi in ricchezza reale, non sarebbe più equo e solidale  assegnare qualche miliardo di moneta tradizionale ai cittadini più poveri? Ai posteri l’ardua sentenza.

Danilo Turco

 Il futuro della sanità in Italia

Non sono chiare le proposte politiche sui finanziamenti alla sanità in Italia.

Nell’attuale campagna elettorale il confronto fra le parti sulla questione sanità in Italia presenta contraddizioni e dichiarazioni contraddittorie che senz’altro disorientano il cittadino, per questo, per fare chiarezza, occorre riflettere partendo dai dati oggettivi pubblicati sul sito del Ministero della salute.

Il Servizio sanitario nazionale, gestito dalle regioni come stabilito dalla Costituzione, è finanziato da tre voci:entrate proprie delle aziende del Servizio sanitario nazionale (in particolare grazie al ticket);fiscalità generale delle Regioni, tramite l’Irap e l’addizionale regionale dell’Irpef; bilancio dello Stato, che finanzia il fabbisogno sanitario attraverso la compartecipazione all’Iva, le accise sui carburanti e il Fondo sanitario nazionale. Nel 14 aprile 2016 l’intesa tra Stato e regioni ha stabilito che le fonti del finanziamento del fabbisogno giungessero per un terzo dai contributi delle regioni (A+B) e per circa il 60 per cento dall’intervento statale, mentre risulta residuale l’intervento delle regioni a statuto speciale. Ma il finanziamento del sistema ha subito numerose modifiche e interventi a partire dal 2014, come descrive la Camera dei deputati e sintetizza il ministero delle Finanze , che attualmente fa rilevare come il finanziamento sia aumentato di circa 7 miliardi e mezzo nel corso di questa legislatura (+6,4 per cento), crescita che inizialmente già prevista di 30 miliardi e che poi è stata ridotta grazie a tagli di circa 22 miliardi in quattro anni. La spesa è dunque cresciuta, ma non di quanto previsto. Infatti, ci sono state numerose ricontrattazioni degli accordi presi tra stato e regioni nel 2014, in occasione della firma delPatto della salute 2014-2016 e poi formalizzati dalla legge di stabilità 2015 (comma 556), quando, già allora si erano gettate le basi per le future riduzioni così come è realmente accaduto a partire dalla successiva intesa stato regioni del 2015 e con le leggi di stabilità 2016,2017 e con il decreto del ministero delle Finanze del 5 giugno 2017, con tagli che superano la quota 20 miliardi, ma che ancora una volta dà un saldo positivo. Affrontando la questione da un altro punto di vista è doveroso osservare come in un mondo in cui sono i numeri a farla da padroni, non le persone, con le loro ansie, le malattie, i dolori, le paure e dove i medici e gli infermieri non sono solo bravi, ma addirittura straordinari e costituiscono eccellenze assolute, quotidianamente mortificate da chi la salute pubblica dovrebbe amministrarla,  a livello nazionale al regionale. Una salute guardata solo dal punto di vista della spesa, mai dell’investimento alimenta il paradigma della cattiva sanità. Quella amministrata con criteri che non tengono conto che per gestire la sanità occorre far riferimento costante alla qualità dei professionisti che operano: medici, ricercatori, scienziati, ai quali andrebbe proposta una sanità pubblica capace di riconoscere il proprio ruolo alla luce di quelle “humanities” tanto care alla cultura anglosassone.

Danilo Turco

  Il ritorno dei Jethro Tull

Ian Anderson presenterà i 50 anni dei Jethro Tull in un tour mondiale, per celebrare l’anniversario d’oro della leggenda del rock-progressive. Il tour farà tappa anche in Italia per cinque live a luglio: il 18 a Porto Recanati (Macerata), il 19 a Roma, il 21 a Cagliari, il 23 a Milano, il 24 a Firenze. I concerti che si terranno in celebrazione dell’anniversario saranno caratterizzati da un mix di materiali, alcuni dei quali incentrati sul periodo formativo e soprattutto sui “heavyhitters” del catalogo Tull dagli album ThisWas, Stand Up, Benefit, Aqualung, ThickAs A Brick, Too Old to Rock And Roll: Too Young To Die, Songs From The Wood, HeavyHorses, Crest Of A Knave e persino un tocco di TAAB2 del 2012.

Ian Anderson sarà accompagnato dai musicisti della Tull band David Goodier (basso), John O’Hara (tastiere), Florian Opahle (chitarra), Scott Hammond (batteria), e da special guests virtuali.I Jethro Tull sono un gruppo rock progressivo, originario di Blackpool in Inghilterra, fondato nel 1967 dallo scozzese Ian Anderson (flauto traverso e polistrumentista).

La formazione prende il nome dal pioniere della moderna agricoltura, l’agronomo Jethro Tull (1674-1741). La loro musica è contraddistinta dalla presenza dominante del flauto traverso, suonato dal virtuoso leader Ian Anderson. Dopo un esordio all’insegna del richiamo al blues, i Jethro Tull hanno attraversato la storia del rock, sperimentando vari generi; dal folk rock all’hard rock, dal progressive rock alla musica classica. Hanno venduto più di 60 milioni di album in tutto il mondo. Nel mese di aprile 2014 Anderson ha dichiarato che i Jethro Tull come band non esistono più e la volontà di lasciare l’eredità del nome continuando la sua carriera solista. Il nome del gruppo non fu scelto da Ian Anderson, ma fu sostanzialmente dettato dal caso. Come lo stesso Anderson spiega, forse con una buona dose di autoironia ed esagerazione, all’inizio della carriera la loro musica non era un gran che, e i Jethro Tull stentavano a ottenere ingaggi. Per poter essere chiamati per nuove serate, dovevano ogni volta fingere di essere un altro gruppo, e quindi dovevano settimanalmente cambiare nome alla band: tali denominazioni erano di solito suggerite dal loro agente, ma sembra che talvolta suonassero senza neanche sapere come si sarebbero dovuti chiamare. La prima volta che un loro concerto fu apprezzato da chi gestiva un locale, nella fattispecie da John Gee del Marquee Club di Londra, e che furono reinvitati a suonare, la band dovette tenere il nome della settimana precedente: “Jethro Tull“.

Nicola Massaro

 

 

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