L’Italia e la sanità: disponiamo tutti di una cura essenziale?

La sanità è sempre un tema molto discusso in Italia, specialmente dopo il periodo della pandemia di Covid-19 che ci ha travolti  lasciando segni indelebili sulla popolazione e sulle strutture ospedaliere. Il monitoraggio del Ministero della Salute, che si è concluso poco tempo fa, ha evidenziato come solo 9 regioni su 21 (si considera anche la provincia autonoma di Bolzano) superano la soglia minima di cure essenziali, che si basa sui Lea (livelli essenziali di assistenza) , articolati in 3 macroaree: prevenzione, ospedale e area distrettuale, ovvero le cure sul territorio. Il dato preoccupante è che il numero delle regioni è sceso, infatti l’anno precedente erano 13 e nessuna regione presentava criteri minimi in tutte e 3 le macroaree.

Dati alla mano la regione con il punteggio più alto è il Veneto, seguita da Emilia Romagna, Toscana, Lombardia e provincia autonoma di Trento, invece risulta preoccupante la situazione della Valle d’Aosta, con dei punteggi sotto la soglia in tutti i Lea.

Il presidente della regione, Luca Zaia, ha rilasciato diverse dichiarazioni in cui si congratulava con tutti gli operatori e i lavoratori del settore, “che combattono ogni giorno per tenere alto il livello delle prestazioni nonostante i mille problemi di questo periodo, a cominciare dalla carenza nazionale di personale”.  Successivamente ha proseguito interrogandosi e preoccupandosi sulla situazione delle regioni che non riescono ad ottenere i minimi risultati richiesti e sulla competenza del Governo in questi ambiti, soprattutto in vista del percorso delle autonomie differenziate, che dovrà responsabilizzare tutti sulla gestione delle risorse pubbliche, ponendo in primo piano la sanità.

Ogni cittadino italiano dovrebbe augurarsi e sperare che questa situazione cambi, poiché la sanità deve essere garantita in ogni modo a tutti, ma, come vediamo, non tutti possono godere di alcuni servizi di cure essenziali, aumentando le disparità presenti nella nostra penisola e con il processo di autonomie differenziate potrebbero ampliarsi le disparità emerse da questo primo monitoraggio del Ministero della Salute.

Rocco Angri

Marzo Donna 2024: La Donna Terra Madre

La Donna Terra Madre” è il titolo dell’iniziativa organizzata presso il Parco Ventaglieri in via Avellino a Tarsia (Napoli) mercoledì 20 marzo 2024 dalle ore 10 alle ore 13.00, dalla Consulta delle Associazioni, delle Organizzazioni di Volontariato e degli ETS della Municipalità 2 presieduta da Giovanna Farina.

L’evento è incluso nel calendario del “Marzo Donna 2024 – La donna e il tempo di cambiare” del Comune di Napoli.

“Un incontro partecipato aperto a tutti che porta il suo messaggio nel parco Ventaglieri per declinare e sollecitare riflessioni, sotto varie forme, contesti e modi diversi, intorno al tempo di cambiare, comprendere, vivere la relazione Donna Terra Madre”, questo l’intento della Consulta delle Associazioni, ODV e ETS proponente.

“La forte sinergia sviluppata all’interno della Consulta delle Associazioni, ODV e ETS della Municipalità 2 ha consentito anche in questa occasione di mettere in campo un evento di significativa rilevanza per il territorio che coniuga i temi più strettamente legati al Marzo Donna con quelli dell’ambiente e dell’importanza che l’associazionismo e la cultura hanno nel riscatto sociale della persona”, sottolinea Roberto Marino, presidente della Municipalità 2.

L’Assessore alle Politiche Sociali e giovanili, Manutenzione parchi e giardini, Salvatore Iodice, evidenzia che “non è stato un caso la scelta di Parco Ventaglieri dove da tempo sono in atto attività di riqualificazione e iniziative per il territorio non ultima quella della istallazione di paline recanti poesie scelte dai ragazzi del Liceo Gianbattista Vico che  presentata in questa occasione”.

“Ancora una volta la Consulta presenta all’attenzione del territorio e della cittadinanza un’iniziativa che concentra l’attenzione su alcuni importanti temi di discussione e approfondimento per la vita delle persone favorendo inclusione e partecipazione”, conclude Enrico Platone, Consigliere delegato Municipalità 2.

L’iniziativa sarà articolata:

Ore 10.00 Apertura e saluti

 Avv. Roberto Marino, Presidente Municipalità 2

 Dott. Enrico Platone, Consigliere delegato Municipalità 2

Arch. Giovanna Farina, Presidente Consulta delle Associazioni, OdV e ETS Municipalità 2

Introduzione

Salvatore Iodice, Assessore alle Politiche Sociali e Giovanili Municipalità 2

Presentazione e inaugurazione istituzione del primo parco poetico sulla Municipalità 2

Interventi

Ambiente: la frontiera di una nuova alleanza

Avv. Argia Di Donato, Presidente Associazione NomoΣ Movimento Forense

La donna e “’O Mare”

Concetta Landolfi, Presidente Comitato Residenti del Borgo Antico

Il sorriso delle donne

Rodolfo Matto, presidente e Francesca Fredella, responsabile relazioni e affari Istituzionali Associazione Teniamoci per mano Onlus

I segni di Terra Madre

Arch. Giovanna Farina e Arch. Rossella Russo, Associazione Donne Architetto – Napoli

Una panchina per….

Paola Silvi, Presidente Associazione Legambiente Parco Letterario del Vesuvio

Donne artefici di futuro

Dott.ssa Bianca Desideri, Vice presidente Associazione Culturale “Napoli è”

Dott.ssa Matilde Colombrino, assistente sociale Fondazione Casa dello Scugnizzo Onlus

Dott.ssa Assunta Landri, Psicologa – Psicoterapeuta, Sportello d’Ascolto FoCS

Con la partecipazione di: dott. Raffaele De Magistris, Associazione Società dei Naturalisti in Napoli e Arch. Maria Teresa Dandolo, Presidente Associazione Fiab Napoli Ciclo Verdi.

 

Alla FoCS si è parlato di donne e futuro

Si è tenuto Venerdì 8 marzo 2024, in occasione della “Giornata internazionale della Donna” e del Marzo Donna 2024, la Fondazione Casa dello Scugnizzo onlus – Centro Studi e Ricerche “Mario Borrelli”, in piazzetta San Gennaro a Materdei n. 3, Napoli,  presieduta dal prof. Antonio Lanzaro ha organizzato in collaborazione con le Associazioni “Napoli è”, Voce di… Vento, NomoΣ Movimento Forense un incontro di informazione e formazione dal titolo “Una nuova stagione di diritti: Le Donne e la Società del futuro”.

Si è trattato di “un momento di riflessione sul ruolo fondamentale delle donne nella società, nel mondo del lavoro, nell’impresa, nell’informazione, nella scuola e nella formazione e non solo e che non si esaurisce con questo incontro ma vuole essere un laboratorio di riflessione per parlare di diritti e di concreta tutela delle donne per costruire un futuro in cui la parità di genere nella vita e nella società sia effettiva e non solo sulla carta” hanno evidenziato gli organizzatori.

 

(Foto: Argia Di Donato)

 

Intervista a Valeria Melis: Il grido di Andromaca. Voci di donne contro la guerra

Professoressa Melis, per quale ragione proprio Andromaca diventa vessillo di tutte le donne preda e bottino di guerra?

Io e gli altri curatori del libro, Alberto Camerotto e Katia Barbaresco, abbiamo scelto di porre in primo piano il personaggio di Andromaca, perché, a nostro parere, la sua figura è quella che può rappresentare meglio le atroci sofferenze patite dalle donne quando la guerra abbatte le mura e devasta la città: Andromaca assiste dall’alto della rocca di Ilio alla brutale uccisione del marito, Ettore, e poi subisce la perdita del figlioletto Astianatte, gettato dalle mura di Troia senza alcuna pietà, per la sola “colpa” di essere il successore del padre nella guida e nella difesa del suo popolo. Dopo la caduta della città, Andromaca diventa preda e bottino di guerra di Neottolemo, da cui ha un figlio, Molosso, suscitando l’odio e l’invidia della legittima moglie di lui, Ermione. Inoltre, Andromaca non rappresenta solo la condizione della donna greca antica che patisce le conseguenze della guerra, ma assurge a simbolo assoluto. Nell’Iliade (VI 58-60), Agamennone, rivolgendosi al fratello Menelao, tuona che la distruzione di Troia deve essere totale e che nessun bimbo, nemmeno quello ancora nella pancia della mamma, deve sopravvivere. Un’idea, questa, drammaticamente attuale, che ci rimanda subito all’immagine scattata da Evgeniy Maloletka a Mariupol, in Ucraina: una giovane donna, Iryna Kalinina, viene portata via su una barella dopo il bombardamento dell’ospedale pediatrico nel quale si trovava. Il suo pancione è grondante di sangue. Ancora vi custodisce  Miron (nome che, proprio come quello della madre, significa ‘pace’), nato morto: né madre né figlio hanno avuto scampo. Andromaca, che, nel giro di poco tempo, perde marito, figlio e la propria libertà, ben rappresenta il dolore universale della guerra.

Dagli archetipi epici museali della guerra alla letteratura: quali convergenze?

Appena terminate le restrizioni più severe legate all’epidemia da Sars-CoV-2, non essendo ancora possibile riunirsi nei teatri o nelle scuole, il gruppo di ricerca Aletheia, creato e diretto da Alberto Camerotto (Professore di Lingua e letteratura greca dell’Università Ca’ Foscari Venezia), ha deciso di portare la voce dei Classici nei musei d’Italia. Abbiamo cominciato il 3 marzo 2022 al Museo Archeologico Nazionale di Venezia, in piazza San Marco, con un’azione intitolata La morte negli occhi. Filologi, archeologi, docenti e studenti si sono riuniti tra le statue e le steli del museo per parlare degli archetipi epici della guerra, del pianto e del dolore causati da tante morti cruente. Le parole volavano alate tra le statue dei Galati, effigi del nemico sconfitto, le quali ci ammoniscono rammentandoci un fatto ineludibile: nelle guerre e nei conflitti, anche nelle piccole beghe di ogni giorno, a trionfare è l’odio, la sofferenza, l’invidia: nessuno è davvero vincitore. Poi, abbiamo attraversato l’Italia, andando, novelli clerici vagantes, di museo in museo. A Vicenza, alle Gallerie d’Italia – Palazzo Leoni Montanari e al Museo Naturalistico e Archeologico di Santa Corona, l’8 marzo 2022, è nata l’idea del libro Il grido di Andromaca. Voci di donne contro la guerra (Vittorio Veneto 2022). Quel giorno, a Vicenza, infatti si parlava di Donne e caduta della città. Al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, invece, è avvenuto l’incontro con La madre dell’ucciso, un bronzetto nuragico ritrovato a Urzulei, in provincia di Nuoro, e risalente al X-VII sec. a.C., quindi all’epoca in cui, in Grecia, gli aedi cantavano l’epos omerico. Il bronzetto raffigura una madre che compostamente piange la morte del figlio in guerra: l’uomo che tiene tra le braccia è infatti un guerriero spirato in battaglia. La sorte ha deciso il nostro incontro con quest’opera straordinaria, che abbiamo voluto nella copertina del libro come simbolo della dimensione universale del dolore della guerra.

Idea unica in tutto il teatro comico, si eleva al ruolo di star nientedimeno quella fetta della società attica libera ma debole ed inascoltata, tuttavia partecipe tanto quanto gli uomini dei lutti e dei dolori della guerra. Lisistrata racconta la sua storia: con quale obiettivo?

L’obiettivo, non solo nella finzione, è convincere i cittadini a porre fine alla guerra del Peloponneso, conflitto che ormai da vent’anni sconvolge la vita di Atene e Sparta e di tutto il mondo greco. Nella commedia, infatti, sebbene l’idea di attuare uno sciopero del sesso per indurre gli uomini a stipulare la pace sia dell’ateniese Lisistrata, partecipano all’azione tutte le donne della Grecia, ciascuna con le proprie forze: le giovani con l’arte della seduzione, le vecchie con l’azione e la saggezza, che suggerisce loro di occupare l’acropoli di Atene impedendo l’accesso al tempio di Atena, dove sono depositate le ricchezze che foraggiano il conflitto. Si è parlato molto della possibile “identità” delle protagoniste, che alcuni hanno descritto come lascive etère, dando, a mio parere, spazio eccessivo all’aspetto erotico della trama, senza considerare altri importanti elementi. Come si può evincere dalla commedia, le donne in azione sono astai, cioè cittadine, che, pur non godendo in alcun modo dello status dei cittadini di sesso maschile, costituiscono comunque parte importante e integrante della polis, cui offrono il tributo più alto: i figli, destinati a riempire le fila delle milizie cittadine e, quindi, a sacrificare la loro vita per la sopravvivenza della comunità (Aristoph. Lys. 650-651). Un altro errore prospettico su questa commedia è consistito nello scorgervi un manifesto femminista o, al contrario, maschilista: nulla di più lontano dall’orizzonte greco antico e da quello di Aristofane, che ha voluto, piuttosto, porre in scena una realtà paradossale (le donne al potere, come avviene anche nelle Ecclesiazuse) per dare maggiore potenza al suo messaggio. Non manca, comunque, un intento mimetico utile a carpire il punto di vista femminile sulla guerra.

Le opere greche si confermano quali testi archetipici del pensiero occidentale, contemporanee ad ogni epoca. Quali ragioni ravvede nella specifica proprietà della letteratura greca di porsi sempre in maniera speculare alle fratture epocali?

I poemi omerici sono spesso considerati come una sorta di “atto di nascita” della letteratura e della cultura occidentale. Dentro questi poemi così antichi e apparentemente lontani troviamo un’umanità, che, seppure filtrata dalla leggenda eroica e dalla fantasia, ci è vicina nei pensieri e nelle opere: la guerra, il viaggio, la scoperta di terre “altre”, l’amore, le amicizie, le inimicizie, le scelte giuste e quelle sbagliate, l’onore, la sconfitta e la vittoria, gli sfarzi dei re, la vita  degli artisti, la quotidianità della gente comune e le miserie di chi è tenuto ai margini sono tutte descritte in quei poemi. Poi, viene il resto: la lirica, il teatro, l’oratoria, la biografia, la satira… Si tratta di un bagaglio di esperienze umane che ci consente di meditare su di noi e su come desideriamo essere, come individui e come comunità, attraverso un processo di identificazione e di antitesi: per molti aspetti continuiamo a essere sempre gli stessi e a comportarci nel medesimo modo, ma per molti altri siamo cambiati, a volte in meglio, a volte in peggio. Il cammino degli esseri umani lungo i sentieri della Storia non è sempre lineare: si può anche regredire. La letteratura greca ci aiuta a dialogare con noi stessi e con la nostra Storia, a capire meglio il percorso che abbiamo compiuto e come vogliamo affrontare quello che ancora è innanzi a noi. Detto questo, confesso che non amo affatto pensare alla cultura greca e latina, così come ad altre culture, in termini di “radici”: la cultura occidentale non è frutto della sola cultura greca o romana antica e non è frutto di alcuna singola cultura. Affermare il contrario significa promuovere un falso storico, spesso condito da un sostrato di arrogante elitarismo che nulla ha a che fare con una cultura umanistica che voglia essere di spessore.

«Poi Zeus sposò la lucente Themis, che diede alla luce Horai ed Eunomia, Dike e la fiorente Eirene, colei che dà significato ai travagli degli uomini mortali». Così Esiodo. Nel complesso momento storico che viviamo quale significato assume il termine “Pace”?

Credo il significato dell’utopia, lo stesso, cioè, che il termine ha assunto anche in tanti altri periodi difficili della Storia. A partire dai piccoli conflitti quotidiani, passando per la guerra in Ucraina, fino ad arrivare a tante altre guerre ancora in corso, ma di cui non ci interessiamo più o non ci siamo mai interessati, la Pace resta un ideale da perseguire. Tuttavia, non direi che, al momento, vi sia un reale sforzo collettivo per realizzarla. Per questo è importante mettere in moto le menti e la coscienza collettiva, come faceva Aristofane in commedie come la Pace o la Lisistrata. Inoltre, ritengo che sarebbe buona cosa dare maggiore spazio allo studio e all’illustrazione dei processi e delle trattative di pace e delle loro conseguenze, non solo a scuola o all’università, ma anche nei documentari televisivi, ad esempio. Ne parlavo con una persona ben più autorevole di me in materia, la professoressa Elda Guerra (Università di Bologna), studiosa di storia contemporanea, in occasione della conferenza Non solo vittime. Donne di pace in tempo di guerra: l’antichità e il presente, che si è svolta lo scorso 17 novembre all’Accademia Roveretana degli Agiati: mentre allo studio delle cause e alla enumerazione e descrizione delle azioni di guerra si dà spazio adeguato, ai processi di pace, alle loro condizioni e conseguenze si dedicano meno attenzioni. Bisognerebbe, invece, che la collettività fosse meglio istruita sul tema della pace, dal momento che, come afferma Esiodo, è “colei che dà significato ai travagli degli uomini mortali”.

Simone Weil, ricordando Platone, scrisse: «Per noi la suprema giustizia è l’accettazione della coesistenza insieme a noi di tutti gli esseri e di tutte le cose che di fatto esistono». Anche dei nemici?

È una questione molto complicata questa, perché, a livello filosofico, la risposta alla domanda su quale sia la definizione di ‘giustizia’ e su che cosa sia l’‘essere’ (quello che Parmenide designava come τὸ ἐόν [to eon]) non è mai stata univoca. In ogni caso, l’esistenza di nemici è certamente ineludibile. Il problema è se si è capaci di stabilire e rispettare regole che pongano un limite al conflitto. Le Convenzioni di Ginevra del 1949 e i Protocolli aggiuntivi del 1977 e del 2005, ad esempio, hanno stabilito che, in guerra, i civili non devono essere colpiti. Eppure, non si può certo dire che, nella pratica, la distinzione tra obiettivi civili e obiettivi militari sia tenuta in considerazione. Interessante è, poi, il caso dello sport. Come mostrano anche i poemi omerici, le sfide sportive presentano alcune dinamiche simili alla guerra, ma, a differenza di ciò che avviene in contesto bellico, lo sport non ha tra i suoi obiettivi l’eliminazione dell’avversario: il fine ultimo è conseguire la vittoria attenendosi a regole chiare e condivise. Per questo lo sport è segno di grande civiltà ed è per questo che chi non rispetta le regole, nella vita come nello sport, merita di essere ammonito.

Virginia Woolf così si espresse all’alba del secondo conflitto mondiale: «Nella guerra attuale lottiamo per la libertà, ma la otterremo solo se distruggiamo gli attributi maschili, la violenza, e l’idolatria del potere».

È compito della donna instaurare la pace?

Credo che instaurare la pace sia un compito di tutte le persone, non solo delle donne. Di questo tema si è occupata molto autorevolmente la professoressa Marcella Farioli, nel contributo Sul resistibile pacifismo femminile. Note anti-naturaliste sulla Lisistrata di Aristofane (in A. Camerotto, K. Barbaresco, V. Melis, Il grido di Andromaca, pp. 219-232). La studiosa osserva che “secondo il senso comune (…) le donne sono naturalmente inclini alla pace. Lo sono perché partoriscono figli, danno la vita, accudiscono, allevano” (p. 221) e mostra come la relazione tra donne e pace costituisca un topos non recente, rafforzato non solo dalla cultura cristiana, spesso incline a rimarcare la ‘naturale’ propensione femminile alla cura, ma anche da diverse filosofie femministe essenzialiste e maternaliste e dall’ecofemminismo. L’articolo, poi, prende in esame la Lisistrata di Aristofane. Infatti, questa commedia contribuisce, da un lato, a dimostrare che gli antichi non ritenevano affatto che la donna fosse naturalmente propensa alla pace e, dall’altro, a chiarire che se in molti casi “le donne si sono schierate per la pace è perché, come afferma Lisistrata, esse portano «il peso della guerra più del doppio». Le vittime delle guerre, oggi come ieri, sono soprattutto i lavoratori, i poveri, gli sfruttati, i razzizzati, i gruppi minoritari, tutte categorie che – non per caso – nei secoli sono state analizzate tramite parametri e procedimenti naturalizzanti. Fra essi anche le donne, in particolare quelle povere, che pagano la loro oppressione ancor più in tempo di guerra. Queste categorie in una prima fase dei conflitti spesse volte si accodano al fervore bellicista suscitato dalla propaganda dalle classi dominanti, come forse era accaduto anche alle Ateniesi nel 431 a.C. allo scoppio della guerra del Peloponneso; ma in seguito giunge il momento in cui le donne, soprattutto quelle delle classi popolari, misurano sulla loro pelle che a trarre vantaggi dalla guerra non sono loro” (p. 230). Farioli conclude (e io sono perfettamente d’accordo) che i rifiuti femminili della guerra, più volte manifestatisi nel corso della Storia, derivano eventualmente da questo squilibrio di poteri, non dalla biologia.

Colui che è capace d’esprimersi non ha necessità di appellarsi alla violenza: vige una cesura netta tra linguaggio e violenza?

Non sempre c’è una cesura netta tra linguaggio e violenza: c’è chi ha la capacità di esprimersi e di sostenere le proprie tesi con l’argomentazione o servendosi del linguaggio non verbale, come avviene in certe forme di protesta non violenta, e chi, invece, a prescindere dalle proprie capacità argomentative, decide di usare la violenza fisica; altri ancora si servono della violenza verbale, che può avere conseguenze materiali e psicologiche non meno lievi della violenza fisica. Su questo tema suggerisco di leggere il saggio di Francesca Piazza (Professoressa ordinaria di Filosofia e Teoria dei linguaggi all’Università di Palermo), La parola e la spada. Violenza e linguaggio attraverso l’Iliade (Bologna 2019). Il libro mette in discussione l’idea che esista una cesura netta tra violenza verbale e  fisica mostrando, attraverso l’Iliade di Omero, come entrambe le forme di violenza possano avere pari forza distruttiva. Per chi volesse approfondire ulteriormente, è disponibile su Youtube un webinar, organizzato dal corso in Scienze della Comunicazione dell’Università di Cagliari nell’aprile del 2020, in cui io, Alberto Camerotto, Elisabetta Gola, Emiliano Ilardi, Martina Marras e Gian Pietro Storari discutiamo del libro con l’autrice.

 

Valeria Melis insegna a contratto Introduzione alla cultura classica presso l’Università Ca’ Foscari Venezia e ha insegnato Letteratura greca all’Università di Sassari. I suoi interessi di ricerca vertono sul teatro greco antico e le sue interazioni con il diritto attico, sul linguaggio dei personaggi femminili tragici e comici, sugli archetipi epici della guerra e sulle digital humanities. Si è occupata anche di Tucidide, di Lucrezio e delle teorie aristoteliche sul teatro di Euripide e di Aristofane. Più recente è l’interesse per le Vite parallele di Plutarco e la ricezione di quest’opera nel Cinquecento italiano e delle sue edizioni a stampa in Sardegna. Fa parte di diversi gruppi di ricerca nazionali e internazionali, tra cui il gruppo Classici Contro, ideato dai professori di Ca’ Foscari Alberto Camerotto e Filippomaria Pontani, che dal 2010 porta la voce dei classici antichi nei teatri d’Italia, in particolare al Teatro Olimpico di Vicenza. Tra le sue pubblicazioni vi sono il volume Le amiche di Lisistrata. Lingua, genere, comicità nel tempo (Morlacchi U.-P., 2021, con Rita Fresu) e il manuale Scripta manent. Dieci lezioni sulla scrittura argomentativa (Mimesis, 2021, con Francesca Ervas ed Elisabetta Gola).

Giuseppina Capone

 

 

Al via un nuovo anno di fotografia per la FIAF

Il numero di febbraio di FOTOIT la rivista ufficiale della FIAF si apre con l’editoriale del Presidente Roberto Rossi che sintetizza quanto la Federazione ha fatto per celebrare i 75 anni di vita e presenta le iniziative che vedranno tutti gli amanti della fotografia protagonisti dell tantissime attività in programma sia a livello nazionale sia a livello regionale e territoriale.

Online Il 9 marzo prende l’avvio la quarta edizione di Laboratorio Portfolio. A maggio e precisamente dal 15 al 19 si terrà ad Alba il 76mo Congresso. Il 14 giugno al via la prima edizione del Festival della Fotografia Italiana organizzato dalla FIAF a Bibbiena e in altri due comuni del Casentino.

Ricco anche questo numero con le numerose iniziative organizzate dai Circoli in tutta Italia, le interviste, i focus, i profili delle fotografe e dei fotografi.

Uno speciale ricordo a cura di Pippo Pappalardo di Gina Lollobrigida.

Antonio Desideri

Luna Rossa Prada Pirelli presenta i suoi team Giovani e Ragazze

E’ nel  1997 che nasce il team Luna Rossa dall’incontro tra l’imprenditore Patrizio Bertelli che riceve dallo yacht designer argentino German Frers la proposta di lanciare una sfida alla 30ma America’s Cup del 2000.

Un sodalizio che ha portato il team a prendere parte a cinque edizioni dell’America’s Cup, vincendo per ben due volte le regate di selezione dei Challenger – la Louis Vuitton Cup nel 2000 e la PRADA Cup nel 2021 – e disputandone la finale nel 2007 e nel 2013.

Luna Rossa sarà nuovamente presente rappresentando lo yacht club Circolo della Vela Sicilia alla 37ma edizione dell’America’s Cup che si terrà a Barcellona nei mesi di settembre e ottobre di quest’anno.

Oggi Luna Rossa Prada Pirelli ha presentato a Cagliari, presso la sede del challenger italiano alla 37ma Coppa America, i nominativi dei giovani e delle ragazze impegnati alla UniCredit Youth America’s Cup (17 – 26 settembre) e alla Puig Women’s America’s Cup (5 – 13 ottobre).

Sono state convocate come equipaggio femminile le veliste: Giulia Conti (timoniera), Margherita Porro (timoniera), Maria Vittoria Marchesini (timoniera), Giovanna Micol (trimmer), Maria Giubilei (trimmer), Giulia Fava (trimmer) e Alice Linussi (trimmer).

Ancora in fase di variazione e ampliamento invece è la squadra giovanile costituita da: Guido Gallinaro (timoniere), Gianluigi Ugolini (timoniere), Federico Colaninno (trimmer),  Stefano Dezulian (trimmer) e Rocco Falcone (timoniere/trimmer). Convocato anche Marco Gradoni (timoniere). Gradoni fa parte anche del sailing team di Luna Rossa Prada Pirelli.

Sono molto contento delle scelte fatte, ma non è stato facile», dice Max Sirena, Skipper e Team Director di Luna Rossa Prada Pirelli. «La rosa dei candidati era molto valida, perché costituita da atleti con un ottimo background, che nella propria carriera hanno raggiunto importanti risultati a livello mondiale se non, addirittura, qualificazioni olimpiche.

Alla fine abbiamo puntato sulle persone che ci sono sembrate più adatte a eccellere sull’AC40, il monotipo foiling con il quale si correranno le regate. In una scelta del genere si valutano non solo le caratteristiche tecnico – sportive, ma anche la passione, il carattere e la capacità di lavorare in team per raggiungere l’obiettivo comune. Adesso che abbiamo le squadre al completo, ci focalizzeremo sugli allenamenti e sul format di regata affinché i nostri velisti arrivino il più preparati possibile agli eventi di Barcellona. A tutti gli altri faccio un grande in bocca al lupo per i loro prossimi successi sportivi, certo che le nostre strade torneranno a incrociarsi”.

Il gruppo youth si è formato nel corso dell’anno passato attraverso diverse fasi di osservazione», ha evidenziato Jacopo Plazzi, coordinatore del programma Youth & Women’s. «Prima la navigazione con i 69F, poi l’assistenza al team nella preparazione estiva a Barcellona con l’AC40, e infine l’integrazione con il nostro sailing team nell’ultimo periodo di two boat racing. Siamo partiti dal gruppo che abbiamo già visto lavorare insieme, in acqua e fuori, e aggiunto atleti di alto profilo provenienti dalle classi olimpiche. Di questo gruppo youth hanno fatto parte anche alcune delle ragazze selezionate nel programma Women’s America’s Cup, che abbiamo deciso di affiancare a veliste di esperienza, per portare avanti un progetto che unisca la possibilità di competere al massimo livello quest’estate a una visione di lungo termine. Siamo felici di presentare un team forte che potrà dimostrare le sue qualità nelle acque di Barcellona. Il panorama velico femminile e giovanile italiano è eccellente e questo ci ha messo davanti a scelte non facili, per le quali è stato fondamentale il confronto con la Federazione Italiana Vela. Davanti a noi c’è un periodo elettrizzante, Olimpiadi, Coppa e Youth & Women’s America’s Cup e siamo determinati a dimostrare quanto valiamo».

Il coach del programma Youth & Women’s, Simone Salvà, ha aggiunto: «Per quanto riguarda le donne, abbiamo esaminato moltissime atlete, tutte bravissime, e alla fine siamo riusciti a mettere in piedi un team eclettico, con esperienze, età e skill personali molto diverse. Ci sono persone più grandi, con enorme esperienza in regate internazionali e Olimpiadi e giovanissime cresciute sulle barche volanti. Questa sinergia è perfetta per creare il giusto mix di esperienza e tecnica che ci serve a bordo. Stanno lavorando molto bene insieme e fa piacere vedere che nonostante le differenze di età o il fatto che alcune non si conoscessero, si sia creato subito un bel feeling e sia nato un gruppo coeso e motivato».

Due team giovani per competere con forza e professionalità per essere all’altezza della impegnativa sfida che si troveranno a dover affrontare per tenere alti i colori di Luna Rossa. Aspettiamo di seguire le loro imprese nelle acque barcellonesi e le loro vittorie.

Antonio Desideri

Il patrimonio culturale di Napoli e della Campania: la festa di Piedigrotta

La festa di Piedigrotta ha le sue origini nei rituali pagani di epoca greco romana, dedicati a  Dioniso,  con un  riferimento al dio Priapo i cui baccanali erotici  destinati a propiziare la fertilità  si celebrava nella cripta  Neapoletana che era una rettilinea galleria romana lunga circa 700 metri scavata nel tufo che univa l’attuale Mergellina con Pozzuoli.

Secondo una legenda, questa grotta fu costruita in una sola notte da Virgilio, considerato un potente mago e considerato il primo patrono della città di Napoli, prima di San Gennaro.

Piedigrotta inizia alla fine dell’estate, nella notte tra il 7 e l’8 settembre, in prossimità con l’equinozio d’autunno, ed è  la festa del ringraziamento  degli uomini alla Terra per i preziosi e saporiti doni che gli ha offerto durante la stagione del sole.

E’ anche il sacro momento in cui  gli acini dell’uva vengono raccolti, pigiati e messi nelle botti a maturare per poi restituire agli uomini il nettare degli Dei.

La Chiesa Cristiana assorbì nel suo interno lo spirito pagano della festa e l’antica Cappella dedicata a Priapo fu sostituita dal Santuario di Piedigrotta dedicata alla Madonna secondo le indicazioni di tre differenti persone che raccontarono di essere state  visitati in sogno dalla Madonna stessa l’8 settembre  del 1353.

Dopo secoli durante i quali la festa della Piedigrotta  fu dimenticata, con i Borbone  la festa per eccellenza la festa del popolo di Napoli rinacque nella forma più sfavillante e regale.

Il Regno dei Borbone,  guidato da Re Carlo III fece assurgere la festa di Piedigrotta   al rango difesta nazionale, dando vita alle fastose luminarie, alla stesa di panni sui  balconi di panni e al lancio coriandoli, al cuppolone che si calava sulla testa dei passanti, alle tarantelle e alle trombette e putipù ed infine alla  grandiosa “Parata  di Piedigrotta” alla quale partecipavano nobili e spesso la stessa famiglia regnante  che si concludeva alla Chiesa di Piedigrotta dove si  porgeva l’omaggio alla Madonna.

Piedigrotta rappresentò fino alla sua ultima edizione di epoca Borbonica del 1859,  lo spirito più autentico e genuino del popolo napoletano, capace di unire  paganesimo e spirito cristiano ed affermare una condizione di armonia sociale, politica, culturale e religiosa che non può assolutamente andare perduta nell’oblio  e  nella mercificazione  dei valori.

Alessandra Federico

Isabella Gagliardi: Anima e corpo. Donne e fedi nel mondo mediterraneo (secoli XI-XVI)

Professoressa Gagliardi ripercorre la storia sociale delle donne appartenenti alle comunità cristiane, ebraiche e islamiche del bacino euromediterraneo tra l’XI e il XVI secolo.

Qual è la specifica percezione del corpo femminile nelle tre culture?

Una percezione fortemente funzionale nel senso di funzionale alla riproduzione. Le bambine diventavano ed erano considerate donne quando diventavano in grado di generare altri esseri umani: da allora in poi era possibile iniziare a pensare al loro futuro come spose e madri di famiglia. L’arrivo del menarca segnava la fine dell’infanzia e le proiettava su un altro e diverso livello. Il nuovo livello implicava la conoscenza e il rispetto di nuove regole, cioè rituali di purificazione accompagnati da strategie di “astensione” e di “contenimento” particolari. Il sangue mestruale, infatti, era considerato un elemento impuro, poiché potenzialmente capace di contaminare non solo gli esseri umani, ma anche gli elementi naturali, come le piante, o di interferire sulla lievitazione delle farine o sui processi di vinificazione. L’impurità mestruale era un retaggio arcaico, essendo attestata, nella koiné greco romana, fin da tempi antichi. La gestione del corpo della donna era, inoltre, la causa prima della sua qualificazione a livello morale.

Ebbene, emerge che in tutte, al netto delle differenze che pur vi furono, la sessualità e la sua gestione definirono ruoli ed identità.

In qual misura il profilo morale delle donne incide sui mutamenti sociali?

Direi che incideva moltissimo non tanto sui mutamenti sociali, quando sul posizionamento sociale delle donne: era la sessualità e la sua gestione a determinare il ruolo di ciascuna e, di conseguenza, a determinarne l’appartenenza al contesto delle persone rispettabili e di buona fama oppure il suo contrario. Inoltre dobbiamo ricordare che la fama, in epoca medievale, aveva una sua valenza giuridica molto forte, non si trattava affatto di un elemento secondario o di cui era possibile non preoccuparsi. Specie se si apparteneva a un livello sociale mediano.

La specificità dell’acculturazione femminile consisteva nella tendenza ad ottenere l’istruzione necessaria attraverso percorsi privati e informali: la casa familiare come agenzia formativa?

Si certamente, sono numerosi i casi di donne che imparavano mestieri, pure mestieri intellettuali, grazie ai padri, ai fratelli, ai mariti. Oltre al conosciuto e studiato fenomeno del passaggio di saperi e di pratiche specifiche tra donne, occorre considerare anche queste realtà. In alcuni casi sono le donne stesse a dichiarare che si sono formate, per esempio alla professione medica, grazie all’impegno paterno, per esempio. In altri casi si evince dalle fonti come i mariti creassero talvolta piccole aziende familiari che poggiavano interamente sulle loro spalle e su quelle di moglie e figlie: ne sono testimonianza interessante, per restare nell’ambito dei mestieri colti, i gruppi familiari che nelle città universitarie si occupavano della copiatura dei manoscritti che servivano come libri di testo per gli studenti universitari. Sono numerose le piccole aziende familiari di copisti in cui troviamo attive le donne della famiglia che, magari, avevano imparato a esercitare abilmente il mestiere anche in virtù degli insegnamenti dell’uomo di casa.

Leggendo, incontriamo poetesse, maestre di scuola, copiste, miniatrici, esperte di saperi curativi ed anche donne religiose.

Quale fu il loro ruolo sacrale?

Più che di ruolo sacrale parlerei di ruolo religioso. Il ruolo dipese dalle realtà sociali e dalle comunità di appartenenza. Così il mondo cristiano conobbe monache, oblate, terziarie, beghine ma anche circoli di laiche pie e devote ad alcune alle quali fu riconosciuto l’essere sante, cioè il godere di un rapporto molto particolare e speciale con Dio. In quanto sante goderono di una considerazione pubblica, di un rispetto e anche di una capacità di influire sulla realtà circostante piuttosto significativa. Analogamente, pur se con qualifiche e con identità molto diverse, le società ebraiche e islamiche medievali riconobbero ad alcune donne uno statuto particolare in quanto particolarmente sagge e particolarmente vicine a Dio. Infine dobbiamo considerare il ruolo svolto quotidianamente dalle donne all’interno delle loro famiglie dove, seppur in gradazione diversa a seconda dei contesti sociali e religiosi di appartenenza, esse svolsero il ruolo di prime educatrici alla religione dei propri figli e, almeno nelle case ebraiche, svolsero un ruolo importante per le funzioni sacre (ad esempio l’accensione dei lumi per il sabato e le feste, la preparazione dei cibi secondo le regole della purità, la macellazione e anche molto altro).

Le norme religiose, fin dalla Rivelazione, sono state enunciate da maschi, spesso, con sciolte e disinvolte estrapolazioni desunte dai Testi Sacri. Lei evidenzia che sia la singola persona che declina, in virtù della propria storia, della propria cultura e della propria sensibilità, le leggi civili.

Può offrirci qualche esempio di norma che riguarda il singolo e la società tutta?

In realtà nel libro ho inteso evidenziare altro, ovvero che, al di là della Scrittura, dal punto di vista della ricaduta sociale delle credenze, è fondamentale la sua interpretazione. E l’interpretazione della Scrittura, nel periodo che ho preso in esame e in tutte e tre le culture, era appannaggio degli uomini e di alcuni uomini in particolare, a cui era riconosciuto il legittimo esercizio della funzione che consentiva, appunto, di interpretare la Scrittura divina e di legiferarne l’applicazione concreta nella realtà quotidiana. Tra le norme che riguardano la singola persona e l’intera società sia sufficiente ricordare la questione dell’educazione religiosa dei figli e dunque la questione della loro appartenenza a una precisa e ben individuata comunità di fedeli. Nel caso dei matrimoni misti – praticati, per quanto socialmente non apprezzati –  l’appartenenza religiosa dei figli era una questione davvero dirimente. Un’ampia casistica mostra le difficoltà e i veri e propri travagli che erano suscettibili di originarsi in situazioni di questo genere.

 

Isabella Gagliardi attualmente insegna Storia del cristianesimo e delle chiese all’Università degli Studi di Firenze e coordina il settore Cristianesimo del Dottorato Nazionale di Studi Religiosi. È associata al Laboratoire LEM di Parigi e fa parte dello staff accademico dell’Istituto di Ricerca Statunitense The Medici Archive Project; nel 2022 è stata Directeur d’Etudes Associé alla Fondation Maison de Sciences de l’Homme di Parigi. Si occupa di storia dei movimenti religiosi in epoca medievale e proto-moderna, con particolare attenzione alla storia delle donne e di genere con taglio comparativo tra le religioni abramitiche.

Giuseppina Capone

La Reggia di Versailles, un luogo incantato

Scoprire le meraviglie della Reggia e dei giardini di Versailles attraverso le pagine di una delle pubblicazioni divulgative di National Geographic nella collana Regge e Castelli consente ai lettori di potersi immergere nei ricchi saloni e negli splendidi giardini anche senza essere presenti ma solo sfogliando le pagine della pubblicazione che presenta una delle più famose regge del mondo.

La fortuna della località dove poi sarebbe sorta la reggia iniziò nel 1607 quando il futuro re Luigi XIII giunse per la prima volta a Versailles per una battuta di caccia e successivamente vi fece edificare un casino di caccia, mano man nel corso degli anni la proprietà si ingrandì sempre di più. Sarà, però, il suo successore Luigi XIV di Borbone, il Re Sole, a iniziare i lavori di ampliamento dell’edificio esistente fino alla realizzazione di quel gioiello d’arte che vide lo splendore della corte dal 1682 fino alla Rivoluzione francese quando il sovrano Luigi XVI, la consorte Maria Antonietta  e la corte furono costretti a tornare a Parigi con l’epilogo che tutti conosciamo. Con il sovrano cadde anche la Reggia che fu abbandonata e svuotata dei tesori in essa contenuti per non tornare più agli splendori di una volta.

La ricca e fastosa residenza vide anche la firma nel 1919 del Trattato di Versailles che poneva fine alla Prima Guerra Mondiale.

La Reggia e i suoi giardini sono oggi meta di milioni di visitatori all’anno che visitano le sale e passeggiano per i giardini e i boschetti di quel gioiello simbolo dell’Ancien Régime.

Antonio Desideri

Le comunità energetiche

Nella giornata di sabato 3 febbraio alle ore 18:00 si è tenuta alla Mondadori di Nola, in piazza Marconi, la presentazione del libro “Comunità Energetiche, esperimenti di generatività sociale e ambientale” dell’ingegnere Giuseppe Milano. L’evento si è svolto con la partecipazione del Lions Club Nola Host Giordano Bruno e del Leo Club Nola Host Giordano Bruno e con gli interventi dell’ingegnere Giuseppe Angri, del Program Director Belenergia S.P.A, dott. Antonio Di Guglielmo e della moderatrice Autilia Napolitano, che hanno reso l’incontro vivace ed interessante anche per i meno esperti del settore.

Ovviamente ad aprire l’incontro è stata Autilia Napolitano, direttrice della Mondadori di Nola, seguita poi dall’autore, che, attraverso un connubio di vocaboli semplici e tecnicismi, ha saputo mantenere attenta la concentrazione dei partecipanti, suscitando addirittura molta curiosità tra i presenti, i quali, per la maggior parte, non erano addetti ai lavori.

Il tema trattato, strettamente connesso alla transizione energetica, obiettivo fondamentale di programmi europei e mondiali, come Agenda 2030, ha necessità di trovare terreno fertile e germogliare nella cultura delle comunità locali. Uno degli obiettivi del libro è proprio quello di far comprendere a più persone possibile che attraverso le comunità energetiche si può intraprendere una svolta riguardante la sostenibilità sociale, economica e soprattutto ambientale.

L’incontro poi è proseguito con gli interventi dell’ingegnere Giuseppe Angri e del Program director, dottor Antonio Di Guglielmo, che hanno sottolineato come sia necessario acquisire la cultura della sostenibilità ambientale non solo per diminuire l’inquinamento atmosferico del territorio, ma anche per dare nuove opportunità di sviluppo economico e sociale a tutta la comunità.

Il pomeriggio si è concluso poi con i vari saluti, in particolare sul finire dell’incontro è stata anche ribadita l’importanza della Mondadori di Nola, ormai punto di riferimento socioculturale dell’intero agro nolano, che grazie all’ottimo lavoro della direttrice Autilia Napolitano sta diventando giorno dopo giorno un vero e proprio salotto culturale, dove vengono discusse ed illustrate molteplici tematiche, che sanno trasportare e coinvolgere qualsiasi fascia d’età.

R.A.

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