L’Italia è un Paese che non premia l’istruzione

Il mercato del lavoro italiano non premia i livelli più elevati di qualificazione.

Vale la pena studiare in Italia? Classica domanda ad inizio anno scolastico e alla quale gli economisti hanno dato alcune risposte.

Riconoscendo che i benefici della maggior istruzione non sono da misurare esclusivamente in termini monetari, la  risposta degli economisti a questa domanda è senz’altro affermativa: in Italia chi è in possesso di titoli di studio più elevati ha maggiori opportunità occupazionali e guadagna di più e lo dimostra l’indagine biennale della Banca d’Italia.  Questo studio però poi evidenzia un fattore molto singolare, facendo sì che in Italia l’istruzione renda meno rispetto agli altri paesi Ocse. Infatti, a differenza di quanto si osserva negli Stati Uniti (Acemoglu e Autor, 2011), il rendimento non tende ad aumentare al crescere del livello di istruzione. Inoltre, coloro che hanno conseguito un titolo di studio post laurea non godono di un rendimento aggiuntivo rispetto ai semplici laureati. Questo sta a significare che il mercato del lavoro italiano è incapace di assorbire e premiare i livelli più elevati di qualificazione.  E’ per questo che i cervelli sono costantemente in fuga.

Danilo Turco

Immigrazione e abbandono scolastico

Negli ultimi dieci anni la quota di immigrati regolari in Italia è passata dal 3,9 per cento (2006) al 7,6 (2016) (fonte ISTAT)e, pur essendo con numeri inferiori rispetto ai maggiori Paesi europei, si può comunque riconoscere come l’Italia sia meta dell’emigrazione internazionale e per il 90% degli immigrati proviene da Paesi in via di sviluppo e di questi, meno del dieci per cento ha un titolo di studio universitario. Questo ci porta facilmente a considerare che nel nostro Paese si ha un’immigrazione con competenze limitate e che contribuisce a generare il tradizionale modello economico che divide il lavoro in due tipologie e da cui consegue come  le retribuzioni del lavoro poco qualificato facciano aumentare quelle del lavoro qualificato. Da questo ne dovrebbe conseguire che gli Italiani dovrebbero investire di più in istruzione. Investendo in maggior istruzione, i giovani italiani potrebbero ambire alle mansioni che utilizzano in modo intensivo competenze comunicative e di astrazione, più qualificate e meglio retribuite. Questo in realtà non accade se si osservano i dati di abbandono scolastico (fonte MIUR) e gli effetti negativi si porteranno negli anni incidendo negativamente sul piano del tasso di integrazione sociale nel lungo periodo, se non si interviene con correttivi socio culturali ed economici.

In questo processo al ribasso, le richieste di retribuzioni delle mansioni con competenze intermedie tendono a diminuire, rinforzando l’dea fra molti giovani che non ci sia convenienza a conseguire un livello di istruzione intermedio. Fatto molto preoccupante, considerando che l’effetto dell’immigrazione sulle retribuzioni basse può ritenersi un fenomeno temporaneo, ma quello sull’istruzione bassa degli Italiani non può modificarsi facilmente per invertire la rotta nel breve tempo per indirizzarci verso il meglio del Paese.

Danilo Turco

Istruzione e disuguaglianze

Il rapporto della Commissione europea “Education and Training Monitor 2017” esamina la posizione dei diversi paesi membri rispetto agli obiettivi di Europa 2020 su istruzione e formazione (ET2020). Quest’anno l’attenzione si è focalizzata sulla diseguaglianza nell’istruzione.   Anche se molti Paesi europei fanno progressi su alcuni importanti indicatori come l’abbandono scolastico, la riduzione della diseguaglianza non sembra realizzarsi concretamente,  ma solo formalmente. Questo si riscontra osservando la quota di alunni che non raggiungono il livello di base nel test Pisa in lettura, matematica o scienze. Tale test è riconosciuto necessario per misurare un adeguato inserimento sociale e culturale delle giovani generazioni. I dati rilevano che la maggior parte degli Stati membri ha registrato tassi di successo più bassi nel 2015 rispetto al 2012. La media UE relativa alla percentuale di studenti con risultati bassi nella lettura è cresciuta dal 17,8 nel 2012 al 19,7 nel 2015, annullando i progressi realizzati dal 2009. Per quanto riguarda l’Italia, dopo i miglioramenti ottenuti tra il 2006 e il 2009, nel 2015 si ha un aumento rispetto al 2012 nella percentuale di studenti con punteggi scarsi in scienze e lettura. Tutto questo si concentra tra le famiglie con background socio-economico più svantaggiato: in media nella UE il 33,8 per cento di questi alunni si colloca nel quartile più basso dell’indicatore di status socio-economico e culturale (Escs), mentre solo il 7,6 per cento appartiene al quartile più alto, con uno spread di 26,2 punti percentuali e per l’Italia, è di circa 27 punti percentuali.

Le disuguaglianze di reddito e di benessere generano queste differenze e quindi si apre un’importante questione di giustizia sociale. Ancora oggi, nonostante la scuola di massa diffusa nei diversi Paesi europei e nel mondo occidentale, solo le famiglie benestanti fanno grandi sforzi per aiutare i propri figli a sviluppare abilità cognitive e non cognitive, scegliendo le scuole migliori, assistendoli nello svolgimento dei compiti, pagando lezioni di recupero o vacanze studio (shadow education). Tutto questo implica la necessità che vengano effettuati importanti investimenti in istruzione in favore dei bambini con differente background socio-economico familiare. Infatti, i suddetti sforzi, insieme alla rete di conoscenze familiari, consentono a chi ha un background più vantaggioso, a parità di capacità, di giungere anche da adulto posizioni migliori sul mercato del lavoro, rispetto a chi proviene da una condizione più povera. Ovunque i genitori fanno del proprio meglio per aiutare i figli, ma poiché non tutti hanno le stesse possibilità, le politiche pubbliche dovrebbero cercare di compensare i bambini con background peggiore. Oggi, molto resta ancora da fare per migliorare la qualità delle scuole nelle aree più svantaggiate, incentivando anche i docenti professionalmente migliori a prestare in queste scuole la loro attività, agendo in favore dei meno fortunati.

Danilo Turco

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