Ivana Margarese: Tra amiche

Nel canone dei trattati sull’amicizia, da Aristotele a Bataille, i legami femminili non trovano accoglienza. Quali ragioni ravvede all’interpretazione della solidarietà di genere come un privilegio maschile?

Aristotele nel IV secolo a. C considerava la donna per natura inferiore all’uomo. Nella Politica scrive «il maschio è per natura migliore, la femmina peggiore, l’uno atto al comando, l’altra all’obbedienza».

Con rare eccezioni, le donne sono state escluse a lungo dalla politica e dal canone. Semplicemente non venivano considerate argomento di discussione se non in relazione all’uomo, per sottolinearne la diversità e l’inferiorità, soprattutto nell’azione del pensiero. È noto che a fino al Settecento discipline come la filosofia o la matematica fossero considerate dannose per l’educazione femminile perché lontane dal sollecitare l’amabilità della donna che risiedeva soprattutto nell’umiltà e nell’obbedienza.

Ecco che i legami femminili rimangono non riconosciuti o imprigionati in una rappresentazione che vede le donne rivali tra loro e incoraggia il sospetto e l’ostilità piuttosto che la condivisione. Pensiamo ai miti greci o alle fiabe e a come raccontano le figure femminili. Invece a pensatrici come Hannah Arendt, Simone Weil, Maria Zambrano si devono pagine fondamentali sul valore del sentimento di amicizia. Pagine che sono a mio parere preziose e meritano di essere riscoperte.

“Tra amiche” non discute l’amicizia da un punto teorico o concettuale.

Perché questo cambio di paradigma dall’astratto al vissuto?

Il progetto di questo libro nasce dai miei studi su Arendt, Weil, Cavarero. Arendt promuove un modello teorico che concepisce l’esistenza quale sé incarnato, esposto fin dalla nascita alle relazioni con gli altri, e riconosce nel rapporto tra amici più che nell’astratta fratellanza il fondamento della comunità. Anche il pensiero di Simone Weil dà grande valore all’esercizio dell’amicizia. Nell’amico, scrive la filosofa francese, si ama un particolare essere umano come si vorrebbe poter amare ciascun componente dell’umanità. Cavarero riporta l’attenzione della filosofia alla specifiche differenze dei corpi piuttosto che all’uomo astratto e universale.

Ecco che mi interessava non teorizzare ma mostrare attraverso un progetto corale alcune tra le tante storie di donne che hanno tratto alimento e sostegno dalla loro relazione. Abbiamo raccontato storie di relazioni privilegiate tra donne che hanno incoraggiato la loro capacità di vedere, pensare e creare.

Un arcipelago di punti di enunciazione attraverso cui vedere più cose diversamente e fare di questi molteplici punti di vista avvio per molteplici punti di azione. Basarsi sui vissuti comporta un cambiamento di paradigma: non si tratta di trattare l’amicizia come teoria o come concetto, ma di guardare invece al fatto concreto di un legame che, nel suo esercizio, si rende politica e stimolo creativo, oltre che emotivo, considerando la creazione un’azione comunitaria.

La ricostruzione dei percorsi di diverse amicizie esemplari al femminile trae origine dal mito e giunge alla contemporaneità.

Qual è stato il criterio selettivo e discriminante?

La scelta fatta è stata inevitabilmente parziale ma le esperienze di molte donne qua non raccontate sono comunque presenti e attive.

Ho coinvolto nel progetto scrittrici che conosco e stimo e che hanno esperienza in un particolare ambito di ricerca, dalla filosofia del tragico al teatro, alla letteratura russa, alla cultura visuale e così via. Ho chiesto loro di scegliere e di raccontare una storia di amicizia reale o immaginaria che avesse a che fare con il pensare come azione e cambiamento.

Avremmo potuto continuare… mi piace pensare sia stato un avvio.

Ginevra Amadio, Valentina Di Cesare, Alessandra Filannino Indelicato, Dafne Leda Franceschetti, Francesca Grispello, Margherita Ingoglia, Ivana Margarese, Antonina Nocera, Maria Oliveri, Chiara Pasanisi, Daniela Sessa.

Contributi dalla saggistica alla narrativa ed un terreno d’indagine: esiste l’interazione fra idee e relazioni affettive?

La risposta alla domanda è senza dubbio sì. Abbiamo voluto mostrare con i contributi di questo libro a metà tra la saggistica e la narrativa che pensare non può essere considerato un atto isolato ma si nutre di sinergie e scambi: solo nell’incontro con l’altro il pensiero diventa fecondo.

Sgombrato il campo dall’idea che spesso serpeggia dei rapporti tra donne viziati dalla rivalità, quale legame tra quelli ricordati le è più caro?

All’interno del testo ho scritto due saggi dedicandomi all’amicizia tra Cristina Campo e Margherita Pieracci, la celebre Mita delle lettere di Campo, e al legame tra Hannah Arendt e Mary McCarthy.

Hannah Arendt e Cristina Campo avevano certamente entrambe il talento dell’amicizia, come dimostrano chiaramente le loro biografie e i loro scritti. Tuttavia tutte le figure femminili trattate nel libro mi sono care dal momento che ho seguito la nascita e lo sviluppo dei diversi saggi  con interesse e gioia. In un tempo – qual era ancora il Novecento, secolo a cui appartengono la maggior parte delle figure femminili che abbiamo raccontato – in cui spesso le donne che scrivevano trovavano più credibile dirsi scrittore o evitare la questione di genere, trovo importante sottolineare la forza delle relazioni tra donne nelle azioni creative e nelle visioni del pensiero.

 

Curatrice:

Ivana Margarese, fondatrice e direttrice editoriale della rivista “Morel, voci dall’isola”, insegna filosofia presso il liceo delle scienze umane Ugo Mursia di Capaci. Ha conseguito un dottorato e un postdoc in Studi culturali ed è stata docente a contratto di Teoria della letteratura all’Università degli Studi di Palermo. Ha curato Ti racconto una cosa di me (2012) e ha pubblicato racconti nelle antologie Non ti resisto (2017), Anatomè (2018) e L’ultimo sesso al tempo della peste, a cura di Filippo Tuena (2020).

 

Interventi delle autrici:

Cassandra e Ifigenia. Un carteggio inedito in punta di philia di Alessandra Filannino Indelicato

“… ché persa non vada la trama” Penelope di Itaca e Oriana Fallaci di Daniela Sessa

L’erotica dello spirito: la sorellanza eretica tra Emily Dickinson e Susan Gilbert di Margherita Ingoglia

L’insofferenza all’altrui dominio”: Giacinta Pezzana ed Eleonora Duse breve storia di due attrici anticonformiste di Chiara Pasanisi

Di tragica intimità: Marina Cvetaeva e Sof’ja Gollidej: la costruzione di un’amicizia di Antonina Nocera

Le ragazze del secolo scorso”: Carla Vasio e Rossana Rossanda dalle acque della Laguna alle redazioni romane di Dafne Leda Franceschetti

Mi mandi se può una parola”. Anna Cavalletti, Cristina Campo e Margherita Pieracci Harwell di Ivana Margarese

“La tenerezza del corpo. Hannah Arendt e Mary Mc Carthy” di Ivana Margarese

“Sogni alchemici. Leonora Carrington e Remedios Varo alla prova dell’amicizia” di Ginevra Amadio

“Susan Sontag e Annie Leibovitz: o della visione” di Francesca Grispello

“Intermezzo. Lettere dal lago. Fausta Cilente e Sibilla Aleramo” di Valentina Di Cesare

“La sorellanza di Monica e Antonella: una storia contemporanea. Riconoscimento tra donne e cura” di Maria Oliveri

Giuseppina Capone

I miti allo specchio. Riscritture femminili liberamente ispirate al mito

Intervista alle curatrici Sara Manuela Cacioppo, Giovanna Di Marco, Ivana Margarese.

Penelope, Calipso, Nausicaa, Circe: Omero rende tali figure funzionali al suo percorso umano, emotivo, emozionale. Lei, invece, dà loro voce; le rende protagoniste, mutando la prospettiva circa il genere. Perché?

Giovanna Di Marco: Penelope e Calipso non sono personaggi che fanno parte della nostra antologia; Circe sì. Non c’è stata una linea programmatica nell’accettare un personaggio femminile del mito piuttosto che un altro: abbiamo accolto le figure che più si confacevano alle inclinazioni delle autrici che hanno aderito al progetto. In linea di massima, le figure femminili di cui ci siamo occupate sono state quelle più demonizzate nell’arco della storia occidentale. E perché? Perché ritenute pericolose e destabilizzanti rispetto a un mondo dominato dall’uomo. Ribaltare la prospettiva è dare voce e spazio a chi per troppo tempo è stato zittito e condannato dal potere dominante, dalla razionalità di Atena, dea nata dalla testa del padre, come se avesse dimenticato l’aspetto il corpo e le emozioni. L’intelligenza emotiva, la capacità generativa ben oltre la maternità e il fatto che questi aspetti avessero la luce: questi sono alcuni dei motivi che ci hanno condotte alla genesi di quest’opera.

Sara Manuela Cacioppo: Abbiamo voluto restituire la parola a personaggi femminili del mito spesso occultati o marginalizzati, attraverso una pluralità di voci e di esperienze. Si tratta di figure trasportate verso la modernità, donne che sanno guardare allo specchio la loro essenza impavida, non intaccata dal patriarcato. Alcune vi cercano una forma che sia consona alla loro soggettività, per superare l’ibridismo a cui sono state condannate, dichiarandosi iniziatrici della fluidità di genere; altre vi colgono una natura ribelle che non può essere confinata dentro un sistema di regole respingenti nei confronti dei loro desideri.

La vostra apprezzata opera ha protagoniste femminili. Quali differenze o analogie è possibile cogliere tra le ninfe, le dee, le vergini, le maghe, le spose omeriche e le eroine della modernità?

Ivana Margarese: Ciò che ci stava a cuore mostrare, al di là delle differenze, era l’occultamento o il silenzio a cui sono state nel tempo confinate le figure femminili e dare loro spazio e possibilità di parola, al di là del ruolo di mogli, seduttrici, madri o temibili mostri. Ci interessava contattare queste figure e dare loro una voce contemporanea, sottraendole alla consunzione ( penso alla ninfa Eco e a Euridice) o a un destino di colpa o sacrificio, che ha finito col mortificare le loro potenzialità  creative e generative.

Le opere greche si confermano quali testi archetipici del pensiero occidentale, contemporanee ad ogni epoca.

Quali ragioni ravvede nella specifica proprietà della letteratura greca di porsi sempre in maniera speculare alle fratture epocali?

Ivana Margarese: Elémire Zolla, autore che ha a lungo riflettuto sul concetto di archetipo, ci ricorda che l’esplorazione  discorsiva delle possibilità semantiche d’un simbolo, essendo inesauribile, spezza la dominazione esclusiva della conoscenza discorsiva, poiché la mostra incapace di cogliere tutte le potenzialità d’un simbolo. L’archetipo è di per sé fecondo, porta quindi alla possibilità di molteplici riletture e riscritture, a innesti che come in un percorso rizomatico si muovono su molteplici livelli e direzioni.

“Alterità”, “metamorfosi” e “pluralità” sono le “parole chiave” attraverso cui leggere di donne, di diversa età e provenienza, che raccontano di donne. Quanto incide la molteplicità di linguaggi adottati nella piena comprensione del mito?

Ivana Margarese: Il progetto de I miti allo specchio è nato dalla esperienza di rete della rivista “Morel voci dall’isola”, un luogo dove si raccolgono voci e opinioni, che si collocano non al centro ma piuttosto ai margini, così da ricercare nelle piccole cose sproni in grado di animare un dialogo vivace e attento a ciò che stiamo vivendo. Il nostro libro propone una polifonia di voci, un intreccio fluido di posizioni e figure femminili differenti. I racconti, nonostante siano riscritture, restano fedeli al carattere originario del mito che sempre racconta di esperienze di trasformazione. C’è inoltre un appello alla pluralità e al fare comunità come risorsa del pensiero. Un approccio questo per me prezioso, che ho conservato anche nel nuovo progetto editoriale che sto portando avanti con Ginevra Amadio e che è incentrato sul valore generativo dell’amicizia.

Giovanna Di Marco: Di ogni mito ci arrivano spesso più versioni, da cui derivano numerose letture su vari piani; altro aspetto del mito è quello della metamorfosi: spesso i suoi personaggi vengono mutati in altre forme. Il mito di per sé si apre a molteplicità formali e contenutistiche. Era dunque interessante per noi in questo esperimento – che non voleva essere solo letterario, ma di ricerca sul femminile – cercare di capire quante versioni e nuove visioni del mito potessero scaturire, per replicarlo nella nostra contemporaneità, in un’ottica non sono di molteplicità, ma anche e soprattutto di pluralità. Non a caso, la nostra antologia accoglie due racconti ispirati al mito di Medusa e ben quattro ispirati alle Sirene.

Sara Manuela Cacioppo: L’intento sociale dell’opera è dunque la rimozione della cristallizzazione del femminile nel mito. Donne che raccontano di donne liberandole dallo sguardo maschile opprimente e manipolatore, che le rilega a una condizione di subalternità e immobilismo, servendosi di nuovi linguaggi che rischiarano significati “altri”, riassunti nelle parole chiave “alterità”, “metamorfosi” e  “pluralità” sensoriale percettiva.

Dicotomie persistenti, ibridazioni e pluralità storico-identitarie. Perché l’isola di Sicilia è il luogo d’elezione per rappresentare la femminilità del mito nelle sue magnifiche contraddizioni?

Ivana Margarese: Il mito si rivela come risorsa inesauribile perché va oltre le dicotomie. La metamorfosi, che è carattere proprio di ogni mito, si oppone alla fissità di un modello e diviene elemento creativo, elemento pegasèo che, nato dal superamento dell’immobile si misura con nuovi contesti e visione di orizzonti.

Perché l’isola di Sicilia è il luogo d’elezione per rappresentare la femminilità del mito nelle sue magnifiche contraddizioni?

Giovanna Di Marco: L’insularità è uno stato esistenziale di confinamento circolare, che nasce certamente dal limite geografico e spaziale. Questa terra bellissima è tanto luminosa quanto tetra, come ci insegna la storia. Ci sono tante isole nel Mediterraneo, ma è difficile trovarne una così complessa e stratificata come la Sicilia: granaio di Roma, ma terra di povertà; luogo di approdo e luogo da cui voler fuggire. Questa Grande Madre ha spesso divorato i suoi figli migliori o magari li trattiene ancora incatenati ad alcuni retaggi. L’isola fornisce però gli strumenti per guardare il mondo dall’isola, per immaginarlo. E per immaginarne altre forme e formule che non siano solo grandiose e roboanti, ma che diano voce a ciò che non è consueto intravedere. Anche a una femminilità che non sia dominata e irreggimentata o che, a sua volta, non domini o, peggio, divori.

Sara Manuela Cacioppo: l’Isola di Sicilia, con le sue dicotomie persistenti, le sue ibridazioni e pluralità storico-identitarie, ben rappresenta la femminilità del mito nelle sue fulgide contraddizioni.

Giuseppina Capone

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