Pietro Falconetti, imprenditore, laureato in Filosofia e un master in Digital Reputation, è autore di “L’amore (im)perfetto.
Le sue righe suggeriscono l’amore come un sentimento che intrappola, che non dà scampo e non prevede vie di fuga: Elena e Paride infrangono ogni regola, ogni convenzione narra Omero. Ebbene, non si sceglie d’amare né d’essere amati?
Si viene scelti dall’amore e quando questo evento accade, spetta a Noi decidere la mossa successiva. Elena di Omero ha scelto Paride, ha scelto l’amore del momento alle regole scaturite da un amore già consumato, logorato da abitudini consolidate. Ha avuto coraggio. Elena, il personaggio del mio romanzo cerca con tutte le forze di restare ancorata al suo matrimonio senza voler annullare l’amore nato tra lei e Alessandro. Non vuole scatenare una “seconda guerra di Troia”. Fortunatamente per me, nel romanzo “L’amore (im)perfetto” non ci riesce, non mi vedrei nei panni di Omero.
L’amore, soventemente, appare fugace, ingannevole, temporaneo e deludente per i protagonisti dei suoi racconti. Ritiene che siffatto sentimento non possa assumere carattere salvifico?
L’amore è salvifico. Ci fa toccare il cielo con un dito e precipitare negli inferi quasi contemporaneamente. Ed è quest’oscillazione quasi impercettibile tra la somma felicità e l’oblio più recondito che salva l’essere umano dalle abitudini quotidiane. Non è possibile prescindere dall’amore. Dobbiamo accettarlo in tutte le sue sfumature, cercando di “scendere” quando ci porta molto su e di risalire quando tocchiamo il fondo. Amare è relazionarsi con l’altro, con il diverso. Questa è la sfida che ognuno di noi deve accettare e condividere.
Ci spiega l’esigenza di dedicarsi alla narrazione di breve respiro?
Nessuna esigenza in particolare. Piuttosto direi un desiderio di poter dare forma a dei pensieri, a delle idee. Esporre un concetto è molto rischioso. Passare dall’intangibile al tangibile è una strada tutta in salita, impervia e piena di curve. Si potrebbero perdere dei pezzi fondamentali di ciò che si vuole narrare, ma la smania di provarci è sempre in agguato e quando si desidera ardentemente, il desiderio va assecondato e realizzato, col rischio di schiantarsi contro di un muro.
Questo è un libro che gratta il fondo della sfera affettiva; vaglia meticolosamente i sentimenti, emozione, ossessione, attrazione, passione, per poi scaraventarli, di nuovo, sul fondo, senza sterili edulcorazioni. Quale idea ha voluto che emergesse dei rapporti umani?
Abbiamo creato un mondo iperconnesso, perennemente collegato e l’assurdità è che vengono sempre meno le relazioni fisiche tra esseri umani. Ognuno di Noi è un soggetto, un individuo che ha necessità di relazionarsi, anche solo con se stesso. Qui nasce il problema: una relazione è sempre uno scontro con il diverso, con l’altro, in cui i sentimenti, le emozioni, tutto quello che non è fisico diventa predominante per far si che lo scontro diventi incontro. Ne “L’amore (im)perfetto” ho cercato di far emergere il momento topico delle relazioni: l’incontro.
I protagonisti della sua narrazione esistono in quadri della quotidianità che si scopre sotto i loro occhi mediante circostanze comuni che divengono le porte per una sensibilità, a volte, al limite della sopportazione. Perché ha deciso nei suoi racconti d’esplorare il banale, reale, vero quotidiano anziché l’esuberante straordinario?
Perché proprio la “Banale” realtà quotidiana che ad un certo punto di una relazione diventa lo “Straordinario”. L’intervento straordinario che ci troviamo ad affrontare consiste nel rivitalizzare qualsiasi momento già vissuto. Tutto ciò che è abitudine deve essere reinterpretato, reinventato, rivisitato e riadattato. Ed è per questo che ci si deve impegnare ad essere libri e lettori della propria vita e di quella altrui. Mai stancarsi di leggere e farsi leggere.
Giuseppina Capone