Patti Smith è globalmente nota per l’immenso carisma interpretativo e la suggestiva intensità delle parole delle sue canzoni. Ciò le ha fatto guadagnare l’epiteto di “sacerdotessa maudite del rock”. Ebbene, perché “La sciamana del Chelsea Hotel”?
Il termine “sciamana” indica colei che media tra due mondi, squello della cosiddetta “realtà” e quello “altro”, popolato dai morti, dagli spiriti, dalle anime. Ha una tradizione antichissima, e ha anche un suono bellissimo che richiama il vento, un vento che porta cambiamenti. Applicato a Patti Smith assume un significato laico e metaforico: i mondi altri con i quali è entrata in contatto sono quelli della poesia, della scrittura, della musica, luoghi in cui si è soggetti all’ispirazione e verso i quali si riceve una chiamata. E il Chelsea Hotel, che durante il secolo scorso ha ospitato almeno due generazione di personalità geniali, per lei ha funzionato come un vero e proprio stargate magico, attraversando il quale è potuta diventare ciò che sognava fin da bambina: un’artista che potesse esprimere se stessa.
La stazione di Port Authority, il Greenwich Village, Washington Square, Brooklyn, il cbgb e gli Electric Lady Studios, la St. Mark’s Church: lei ripercorre le tappe dell’iter newyorkese di Patti Smith.
In che modo ha operato una selezione; a quale istanza ha risposto? La sua è una “geobiografia”?
È una geobiografia perché, fin da subito, mi è sembrato più “semplice” provare a ripercorrere la vita di un’altra persona, di per sé imperscrutabile, ripercorrendo i luoghi che aveva attraversato piuttosto che procedere senza dei veri e propri appigli. Dopo essermi a lungo documentata ho scelto i posti che, a mio parere, hanno lasciato un’impronta visibile ancora oggi sul suo percorso artistico. Ne avrei potuti scegliere molti altri, Patti non è certo una a cui piace restare ferma. Però alla fine, nell’economia di questo libro, mi è sembrato di avere operato delle scelte almeno secondo il mio giudizio coerenti.
La New York di Patti Smith è ancora pulsante o ne è la pallida ombra?
Moltissimi dei luoghi che hanno segnato delle tappe fondamentali per la sua formazione non esistono più: il Chelsea Hotel, per esempio, e poi il CBGB, il Max’s, la libreria Scribner e la Brentano’s, l’ino Café. Neppure quel clima lì, il fermento degli anni Sessanta e Settanta, esiste più. Ma molto è rimasto, oppure si è trasformato. Non potrei mai definire pallida una città come New York: potrà essere brutta, sotto certi aspetti, crudele, respingente, oppure esaltante, scintillante, chiassosa, ma la tiepidezza non credo le si addica molto.
Il suo homo viaticor ha uno sguardo delicatamente carezzevole, accoratamente umile, soavemente poetico, fortemente empatico e mai profanatore dei luoghi newyorchési.
In quale accezione possiamo declinare il suo uso del termine “viaggio”?
Il mio viaggio nella New York di Patti Smith è un insieme di viaggi: la somma di quelli che, negli anni, ho fatto in quella città in momenti per me molto diversi, e quelli che ho intrapreso dentro la mia, di vita. Siamo tutti in viaggio, e con questo non dico nulla di nuovo. Anche scrivere un libro lo è, un viaggio faticosissimo ma che, come spesso accade, lascia anche molti spazi aperti alla gioia, alla scoperta. Fare di questo testo una recerche mi è sembrato il modo migliore per fissare una meta e, quindi, individuare le strade migliori per raggiungerla. Alcune si sono rivelate dei vicoli ciechi e sono state abbandonate. Altre mi si sono materializzate davanti ed erano giuste. E come in un vero viaggio la strada si è “fatta” durante il cammino.
Lei compie una ricerca in absentia. Oltre a Patti Smith, immensa protagonista del rock, del proto-punk e della New-wave, cosa la lega a New York?
Un senso di libertà che non ha nulla di romantico o di ideale. In quella città mi sono sentita più libera – che per me significa “me stessa” – che in qualsiasi altro luogo. I motivi possono essere tantissimi, ma anche nessuno. I luoghi hanno un loro spirito e credo che ciascuno di noi assorba molto dei posti in cui si trova se riesce a porsi dentro di essi in maniera aperta.
Laura Pezzino è una giornalista. Appassionata di letteratura e poesia da sempre, è stata a lungo book editor del settimanale Vanity Fair. Oggi collabora con varie testate e case editrici.
Giuseppina Capone