Antonina Nocera vive a Palermo dove svolge la professione di insegnante nella scuola secondaria superiore.
Ha pubblicato una monografia dal titolo Angeli sigillati. I Bambini e la sofferenza nell’opera di F.M. Dostoevskij (Franco Angeli, 2010), e il saggio Metafisica del sottosuolo – Biologia della verità fra Sciascia e Dostoevskij (Divergenze, 2020) oltre a svariati articoli su riviste come Kaiak-A philosophical Journey, Il Maradagàl, Kainos. Un suo racconto si trova nella raccolta L’ultimo sesso al tempo della peste a cura di Filippo Tuena, (NEO edizioni, 2020) .Gestisce il blog letterario Bibliovorax (www.bibliovorax.it) dal 2016 dedicato alle recensioni di narrativa e poesia e interviste di autori contemporanei. Scrive per una rubrica dedicata alla divulgazione dei classici della letteratura russa sulla pagina Cultura Italia-Russia.
“Metafisica del sottosuolo” : titolo fortemente suggestivo ed evocativo. Può spiegare l’accostamento dei termini?
Il titolo è un omaggio a un antropologo e filosofo, forse lo studioso par excellence, del cosiddetto sottosuolo dostoevskiano, René Girard che in un suo saggio analizza le dinamiche psicologiche dei bassifondi delle anime dei personaggi più significativi di Dostoevskij. Solitamente si accosta la metafisica a idee astratte e poco terrene; senza scomodare i greci e Heidegger, metafisica del sottosuolo è un’interrogazione sul senso globale, essenziale del Male, nelle sue mille declinazioni; poi si avvicendano la Verità, il Potere, la Libertà che nel mio saggio si interfacciano con le azioni umane, il delitto, con il libero arbitrio e la coscienza: il sottosuolo dostoevskiano è propriamente il luogo dove il male, in tutte le sue forme plurime, si materializza e incarna nei personaggi: allo stesso tempo il percorso di Rogas (nel Contesto) e il suo dialogare con i vari personaggi del romanzo da Cres a Riches, sembrano essere una sorta di ‘parodia’ del sottosuolo dostoevskiano e delle sue tappe: il male come libero arbitrio rappresentato da Cres, la svolta nichilista rappresentata da Riches e la ribellione interiore di Nocio .
Nella comparazione con Sciascia, va detto, il titolo si completa con il sottotitolo: “Biologia della verità fra Sciascia e Dostoevskij” a indicare un preciso percorso teorico.
Lei ha esaminato con accuratezza tre romanzi: Il contesto di Sciascia, I fratelli Karamazov e Delitto e castigo di Dostoevskij. Qual è il metodo che ha adoperato ed il fine che ha inteso perseguire?
Sono comparatista e pertanto seguo un metodo che pone due oggetti tra loro apparentemente diversi e lontani e li mette in dialogo; il metodo qui usato richiama a grandi linee il “paradigma indiziario” di Carlo Ginzburg: come un detective il critico, lo studioso si concentra su degli indizi, – anche apparentemente marginali – per poi costruire una visione ampia e strutturata.
Oggetto di indagine pare essere l’uomo al cospetto di interrogativi etici circa il Bene ed il Male, mentre affronta temi quali delitto, punizione e giustizia. Quali sono, a tal proposito, le assonanze e le divergenze che ha ravveduto tra Sciascia e Dostoevskij?
Dostoevskij e Sciascia avevano in comune una grande dote: la capacità di scavare all’interno dell’uomo, questo mistero senza fine sul quale non si può mai pronunciare la parola definitiva. Il Contesto, Delitto e Castigo e I fratelli Karamazov sono tre romanzi, ciascuno con le proprie peculiarità, che indagano nel fondo della psiche, scandagliano le reazioni dell’uomo di fronte a questioni capitali come il delitto, atto supremo di tracotanza e ribellione all’ordine morale e alla legge. In entrambi gli autori il delitto è una “soglia” un passaggio oltre il quale si spalanca un vuoto di senso. La ricerca della verità e del colpevole nel giallo, nel poliziesco è chiaramente un tentativo di ristabilire un ordine razionale, compensativo di cui la giustizia dovrebbe farsi garante. Ma sia Sciascia che Dostoevskij hanno compreso che questo schema lineare è troppo stretto per contenere tutte le contraddizioni della società, del potere e delle ribellioni del sottosuolo umano, tendente al male e all’autoaffermazione. Così il commissario Rogas si trova di fronte a “uno stato detenuto”, una contraddizione insanabile che lo porta a contatto con il vero volto del potere, quello incistato nei gangli della società civile e delle commissioni di giustizia. Rogas, la ragione investigativa, la ricerca della verità, sono un tutt’uno. La sua morte, lungi dal rappresentare il sacrificio espiatorio, è invece una sorta di atto vuoto, senza senso e senza soluzione. Le esequie della verità, appunto. Quando Sciascia, in Appunti sul giallo parla di sostanza ontologica del delitto, sta in fondo ribadendo la formula dostoevskiana del delitto “filosofico” di Raskol’nikov: in questo frangente Dostoevskij e Sciascia parlano lo stesso linguaggio, la differenza è che Raskol’nikov fa i conti con un’altra giustizia, quella interiore e la perfeziona con l’accettazione della redenzione religiosa.
Dostoevskij e Sciascia sono soltanto apparentemente differenti per stile e contenuto. La lettura delle loro pagine, però, rivela un comune trasporto metafisico per le plurime e molteplici patine dell’animo umano. Quale idea emerge dell’Uomo rispetto alla Libertà?
La libertà è una questione originaria in Dostoevskij e ad essa si ricollega il problema del male e della verità, ma anche quella del bene. Senza libertà non vi può essere un bene autentico ma al contempo la libertà assoluta trascende in arbitrio, porta al delitto. Questa antinomia è fondamentale per capire il capitolo della leggenda del Grande Inquisitore, una digressione di straordinaria profondità che anima le pagine del romanzo dei Karamazov. Nel saggio ho ravvisato delle analogie tra un personaggio particolarmente inquietante Riches – il Presidente della Corte Suprema che Sciascia fa dialogare con Rogas- e appunto, il Grande Inquisitore di Dostoevskij. In questo dialogo emergono le questioni cruciali sul potere e la libertà: alle masse viene raccontata la bella favola della giustizia; per Riches questa non mira più alla ricerca della verità ma è una farsa necessaria. Da qui si comprende come la tanto paventata libertà sia molto complessa come orizzonte etico da perseguire. L’uomo non è libero di scegliere, anche se sia Sciascia che Dostoevskij sono promotori dell’uomo autenticamente libero socialmente e spiritualmente.
Il suo saggio è senz’altro caratterizzato da una scrittura agile. A chi si rivolge ed è possibile immergersi nella lettura nonostante non si sia un “addetto ai lavori”?
Il mio saggio inaugura una collana di saggistica breve che è stata pensata appositamente per un pubblico ampio che comprenda specialisti del settore e lettori appassionati. Mi piace l’idea che possa essere letto da uno studente di liceo e universitario, dal critico, dal ricercatore, dall’appassionato di Sciascia e di Dostoevskij. E mi piace che lo legga anche chi non conosce i romanzi che cito e che magari ne approfitta per approcciare queste letture. La cultura apre sempre nuove strade.
Giuseppina Capone