Il coniglio come simbolo della moda 2023

Quest’anno la moda ha scelto, tra tutti gli animali, il coniglio come mascotte per gli shooting fotografici e per i fashion show. Il coniglio, che raffigura longevità, intelligenza, eleganza e salute sarà il simbolo del 2023 (Lunar Year – anno lunare) che, secondo lo zodiaco orientale, sarà un anno ricco di positività, spiritualità e serenità dove ogni forma di negatività tenderà a dissolversi e, dunque, pare proprio che il coniglio sia l’animale capace di trasmettere amore, tenerezza e affetto in assoluto. Non a caso, il coniglio, è fondamentale anche per la pet therapy: la  terapia con animale domestico che consiste nello stare a stretto contatto con il proprio pet secondo diverse tecniche specifiche per aiutare i bambini, adulti ed anziani a superare traumi o blocchi psicologici.

La pet therapy è una tecnica molto efficace per diminuire l’ansia e abbassare la pressione sanguigna, per far aumentare, così, gli ormoni del buon umore.

Il simbolo del coniglietto è molto apprezzato nel mondo della moda, soprattutto dal momento in cui la stilista Luisa Spagnoli cominciò, negli Anni ‘40, ad usare il pelo di coniglio d’angora per le creazioni di t-shirt e cappotti di cachemire. Una tecnica differente da tutte le altre quella per ottenere il pelo del coniglio d’angora perché non implica alcuna sofferenza alla bestia, basta pettinarla con una spazzola e il pelo viene via delicatamente, e automaticamente. Insomma, il coniglio è da sempre molto amato e stimato nel mondo del fashion e, ad oggi, grazie all’iniziativa di prediligerlo come animale per le sfilate di moda, i designer si sono appassionati e divertiti ad elaborare le loro collezioni ispirate a questi teneri animali; per quanto riguarda le creazioni di Ferragamo (capsule collection Ferragamo) il colore predominante è il rosso, seguito dal bianco e dal blu cobalto, unicamente per ispirarsi ai colori dell’anno lunare. Per Valentino la storia non cambia; abiti total red, per ispirarsi al colore più importante dell’anno lunare.

Al contrario, c’è chi ha preferito dare un tocco di vivacità alla collezione con la stampa del coniglietto Miffy (cartone animato) che  appare su tutta la collezione playful di Tommy hilfiger. Mentre il brand Acne Studios ha deciso di applicare i meravigliosi disegni del coniglio Bun Bun (dell’artista Apollinaria Bronche). Ma sono state le borse Bunny di Loewe a vincere il premio accessori per il Lunar Year.

Il mercato orientale è oramai una forte influenza per tutto il mondo della moda che, affascinato dai colori e dai meravigliosi tessuti di quei luoghi incantevoli, ha deciso di dare spazio anche a modelle e modelli orientali per il casting. Insomma, sarà un anno in cui gli appassionati di moda potranno sbizzarrirsi sia con gli outfit stile orientale, sia con la rabbit new collection.

Alessandra Federico

Pierre Balmain, lo stilista di moda francese

Pierre Alexandre Claudius Balmain è stato uno stilista francese e fondatore della casa di moda Balmain, nato  in Francia a San Giovanni di Moriana il 18 maggio del 1914.

La passione per la moda e per il designer, per Pierre Balmain, nacque quando era molto giovane e, infatti, non portò a termine gli studi all’accademia di belle arti per dedicarsi completamente alla moda. Cosicché, il giovane apprendista stilista di moda, poco dopo aver abbandonato l’università, nel 1934, iniziò a lavorare per lo stilista britannico Edward Molyneux fino al 1939. Con la fine della prima guerra mondiale Pierre ebbe una grande opportunità; lavorò come stilista presso una delle case di moda più prestigiose di quel tempo, la Maison Lelong di Lucien Lelong. Pierre Balmain, però, non sentiva di esprimere a pieno la sua creatività poiché la casa di moda Lelong era poco concentrata sul lato artistico, quanto più sull’aspetto commerciale e quindi dopo pochi mesi si licenziò, nonostante la popolarità che stava acquisendo grazie all’eccellente lavoro svolto come designer all’interno della maison. Da lì a poco riuscì finalmente ad aprire una sua piccola boutique a Aix-Les Bains.

Nel 1945, dopo la seconda guerra mondiale, lo stilista riuscì a dare vita al suo brand e aprì il primo negozio in rue Francois a Parigi. L’intera Parigi, da quel momento in poi parlava dei meravigliosi abiti di Balmain. Il suo stile era caratterizzato da linee sottili, eleganti e raffinate e riusciva a dare ai suoi abiti un tocco di classe indipendentemente dalla stoffa che utilizzava, riuscendo a renderli tutti ugualmente originali.

La fama e la popolarità per lo stilista francese arrivarono fino ad Hollywood dove disegnò e realizzò abiti per film cult, dopo aver conquistato la duchessa di Kent, l’attrice Helena Rubinstein e Simone Simon, progettando e realizzando per loro meravigliosi abiti accontentando a pieno le loro richieste ed aspettative. Anche dive internazionali come Grace Kelly oramai vestivano Balmain. In quel periodo, Pierre, fu anche il designer delle uniformi delle hostess della Singapore Airlines.

Nel 1947, Balmain, iniziò a produrre i suoi primi profumi; Vent Vert, che fu una delle fragranze più amate e vendute negli anni quaranta e cinquanta. Ancora, nel 1953 produsse un altro profumo che chiamò Jolie Madame, nel 1979 Ivoire e nel 2006 Eau d’Amazonie. Balmain, vinse il Drama Desk Award e fu nominato ai Tony Award come miglior costumista per i migliori costumi di scena realizzati per il musical Happy New Year nel 1980. Ma, prima ancora, nel 1960, progettò l’abito per Sophia Loren per il film La miliardaria. Tra gli anni cinquanta e sessanta, il brand Balmain era riconosciuto in tutto il mondo e lo stilista continuava a collaborare nel settore del cinema, vestendo attrici come Vivien Leigh, Mae West e Brigitte Bardot e Dalida. Dal 1948 fino al 1991 Erik Mortensen (designer danese) fu lo stilista della maison Balmain e compagno di vita di Pierre. Pierre Balmain morì per un tumore al fegato il 29 giugno del 1982, a 68 anni.

Alessandra Federico

Gucci ha rotto il vecchio canone della bellezza

“Penso che il mio aspetto abbia un impatto su molte persone, non capisco perché scateno una reazione così grande da parte di tutti, stanno solo cercando una faccia interessante”.

Sembra che Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, sia riuscito a distruggere lo stereotipo di bellezza che per secoli ha condizionato generazioni di donne nel credere che la vera bellezza sia quella di essere perfette esteticamente.  “L’originale” volto della nuova modella, però, pur essendo stato un distruttore di luoghi comuni, è diventato argomento di dibattito facendo scaturire diverse critiche sui social: parole crudeli, insulti, ingiurie, veri e propri atti di bullismo nei confronti di Armine Harutyunyan. Armine viene da Erevan, la capitale dell’Armenia, ha 23 anni ed è un illustratrice e graphic designer.

“Le persone sono spaventate da quello che è diverso. Non posso impedire loro di sparlare ma io posso ignorarle. Ci sono molti modi diversi di essere belli: consiglio di concentrarsi su di sé, su chi si è e su cosa si ama davvero. Credo inoltre che molte donne pensino spesso al loro aspetto e a dirla tutta ho pensato più volte di ricorrere a qualche chirurgia ma col tempo ho imparato ad accettarmi così come sono. Crescendo impari a capire te stesso e ad amarti”.

Parla così Armine durante un’intervista. Il suo tono di voce è sereno e le sue parole non fanno altro che dimostrare la sua sicurezza non solo per il suo aspetto estetico, pur ammettendo di aver faticato per arrivare ad accettare e ad apprezzare ad oggi il suo volto e il suo corpo, dopo aver pensato anche di ricorrere alla chirurgia, ma anche e soprattutto per la forte autostima che possiede in quanto consapevole di ciò che vale al di là del suo volto. La sua serenità d’animo e la sua mente intelligente vale molto di più di qualsiasi corpo o viso “perfetto” perché è questo che fa di sé una persona attraente.

Reagisce, dunque, con diplomazia e serenità Armine alle numerose critiche sui social da parte di chi ancora non accetta  un canone di bellezza differente da quello che impone la società, da chi vede la bellezza ancora solo nella perfezione estetica e non riesce a valutarla  personalmente se non attraverso gli occhi di tutti.

La vera bellezza sta soprattutto nel fascino di una persona, non solo nella forma o nel colore degli occhi, quanto nella profondità di uno sguardo. La vera bellezza in una donna non sta nella forma delle sue labbra ma nell’espressione intelligente che assume il suo volto. Non sta nel corpo perfetto ma nel portamento, nell’eleganza che assume quando lo muove. La vera bellezza è dentro di noi e nel come siamo capaci di esternarla.

Anche se una modella non ha lo stesso volto di tutte le altre, il suo garbo e lo sguardo intelligente fa diventare il capo che indossa più interessante. Perché una mente interessante rende tutto più affascinante e attraente.

Alessandra Federico

Psicologia della moda: l’abito che indossi racconta di te

La psicologia della moda collega corpo e psiche. Perché nella moda c’è dell’altro nel profondo, qualcosa che va oltre la superficie: il tuo vissuto racconta chi sei attraverso il tuo look.

Il tuo stile esprime la tua personalità, le tue ispirazioni, i tuoi sogni.  L’abito che indossi racconta di te non solo in base alla scelta del modello e del colore, ma anche dal make-up o dagli accessori che indossi. È necessario sentirsi bene nella propria “pelle”, è dunque fondamentale indossare abiti che facciano sentire a proprio agio. Secondo ogni situazione che si vive, si tende a sviluppare una parte diversa di sé: nei differenti ruoli sociali che ricopriamo e nelle relazioni interpersonali. Per questo motivo (inconscio) acquisiamo uno stile differente non solo per ogni occasione, ma un look che riesca a esprimere chiaramente ciò che abbiamo vissuto. L’abbigliamento può davvero essere una valvola di sfogo per tirar fuori tutto ciò che si ha dentro, per nascondere degli aspetti e per comunicarne altri.

“La moda passa, lo stile resta”

 Le parole di Coco Chanel ci insegnano che la moda non è solo nuove tendenze da seguire, ma riuscire a trarre da quest’ultime uno stile individuale.  D’altro canto, acquisire un look personale vuol dire avere una profonda conoscenza di sé, ed è interessante e affascinante scoprirne il significato. Partiamo dalle radici: rapporti sociali e modelli familiari sono esempi che sin da bambini abbiamo avanti ai nostri occhi, possono quindi aiutare a formare la personalità poiché l’indole è influenzata dall’ambiente in cui cresciamo. Andare più a fondo attraverso un’intervista ci aiuterà a capire da cosa può dipendere la scelta di un determinato look.

Lucia, diciannove anni, napoletana, racconta il suo vissuto e il motivo per cui ha scelto un tipo di abbigliamento.

Lucia, quali colori di un abito preferisci indossare?

Amo il nero, rispecchia esattamente il mio animo. I colori chiari, invece, mi ricordano la donna che mi ha reso la vita difficile: mia madre aveva un look tutto suo, tipo stile gitano con foulard colorati e gonne lunghe. Andava sempre di fretta, per quel che mi ricordo di lei. Amo invece i colori scuri, quelli che mi fanno sentire a casa e protetta, quelli lunghi che mi coprono. Quando sono costretta a indossare un capo colorato mi sento a disagio. Odio apparire chi non sono.

Credi che il tuo look sia legato alle tue esperienze di vita?

Sì, ho un carattere forte, a volte anche troppo perché sono rigida, ma sono anche molto paziente. Sono cresciuta in una famiglia un po’ particolare: padre, due fratelli e una madre molto presa dalla sua carriera lavorativa. Sin da bambina vedevo mia madre la domenica a pranzo perché quando tornava in settimana la sera da lavoro io già dormivo. Quando avevo poco più di dodici anni decise di andare fuori Italia con il suo collega. Non l’ho mai più vista. Ed è per questo che il rancore lo manifesto tuttora nel mio look scuro e coprente.

Le persone che frequenti hanno un look diverso dal tuo?
Il look dei miei amici è come il mio. Non mi piace frequentare persone che indossano abiti colorati perché questo disturba il mio modo di essere, anche se non giudico nessuno perché ognuno è libero di avere il look che più gli si addice, a parere mio. Poi la paura di essere giudicati non c’è se mi circondo di persone simili a me.

Credi che un abito possa colmare le mancanze d’affetto?
Penso che colmare mancanze con cose materiali non farà altro che farci sentire più soli, perché l’affetto mancato possiamo trovarlo solo dentro di noi, amandoci di più. Io darò ai miei figli tutto l’affetto che non ho ricevuto e sono sicura che sarò una madre migliore di quanto lo sia stata la mia, se tale si può definire. La mancanza di mia madre cerco di colmarla indossando qualche suo capo, me la fa sentire in qualche modo più vicina. Anche se dovrei eliminare ogni cosa che mi ricorda lei. Per quanto male mi ha fatto, resta pur sempre mia madre.

Le parole di Lucia sono un esempio lampante di quanto il nostro look riesca a dare vita a tutto ciò che abbiamo dentro.

Alessandra Federico

La moda italiana ai tempi del corona virus:  atelier per produzione di mascherine e shooting via web 

La moda ai tempi del corona virus è stata al centro della crisi globale. Per quanto riguarda gli shooting però, non si è arresa, neanche quando il mondo intero si è fermato, continuava ad essere presente via web. Il mondo della moda è stato costretto, inoltre, a trasformare gli atelier in centri di produzione di mascherine e accessori sanitari.

Il primo servizio  di moda nell’era del lockdown

Il magazine di moda numero 1, Vogue Italia, realizza il suo primo servizio di moda nell’era del lockdown con la sua prima copertina “vuota”. Presenti nel numero, anche la top model Bella Hadid. Le sue foto sono visibili anche sui social. Aderiscono all’iniziativa oltre 40 artisti della community di Vogue Italia in tutto il mondo tra cui modelle, stylist, direttori creativi, make up artists, fotografi. Utilizzando abiti del proprio archivio e facendoli indossare ai membri della propria famiglia, organizzando cosi, shooting, sfilate e dirette live. Un metodo efficace per non perdere la creatività e per essere sempre presenti per tutti coloro che amano il mondo della moda. Per promuovere le nuove collezioni, anche i colossi del fast fashion cavalcano il trend: le modelle di Zara, sotto richiesta del direttore artistico, dopo essere stato costretto a chiudere i negozi in tutta Europa,  hanno indossato i capi della nuova collezione per postare foto sui social.

La crisi per i brand della moda italiana

In Italia, diciassettemila negozi hanno rischiato di non riaprire, compresi i fast fashion e i grandi magazzini. Nel 2020 si prevede un calo di consumi di quindici miliardi e una riduzione dei ricavi del 50 per cento rispetto all’anno scorso. D’altronde è risaputo che un gran numero della produzione europea di moda è fatto in Italia, ma a causa di questa pandemia si è rischiato di perdere pezzi di una filiera di industrie e artigiani.

I grandi brand italiani, così come accaduto per quelli di tutto il mondo, hanno vissuto momenti di grandi angosce, temendo che, a causa di  questa forte crisi, avrebbero potuto perdere la capacità di innovazione e di fare investimenti. Con la fine del lockdown, però, le industrie hanno riaperto il 4 maggio: intere collezioni vendute e quelle future in elaborazione. I capi più venduti sono i pantaloni denim. Jeans “consumati”. Purtroppo, le collezioni invernali sono state accantonate in negozio per dar sfoggio direttamente a quelle della stagione primavera-estate.

La maggior parte degli imprenditori si sono organizzati per sanificare ogni capo dopo ogni prova effettuata dal cliente. Intanto sul digitale il commercio era indietro, ma questa crisi è stata un’opportunità per rafforzare l’acquisto online. Ma chi ha rischiato il crollo, in questa situazione, sono i piccoli negozi che vendono abiti a prezzi bassi. Un vero e proprio stravolgimento anche per la catena H&M che aveva, già dal 4 maggio, annunciato la chiusura di 8 negozi in Italia. Ad oggi, il 90 per cento dei punti vendita della moda è stato riavviato senza problemi.

Come abbiamo potuto notare il mondo della moda non si è mai fermato perché la creatività e l’arte riescono a viaggiare anche restando fermi.

Alessandra Federico

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